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Capitolo 4

Francesco Wright passeggiava tra le viottole della campagna senza avere un pensiero fisso. La sua mente vagava da un ricordo all'altro, senza soffermarsi troppo sui dettagli che lo avrebbero portato alla malinconia e ai sensi di colpa. La strada su cui camminava, con testa leggera, era frastagliata da varie pietroline che si conficcavano, quasi sempre, nelle suole delle scarpe. La strada irregolare con ciottoli e buche era quello che ormai costeggiava l'andare delle sue giornate. L'erba cresceva lentamente ai bordi della strada e vari fiorellini da campo rosa spuntavano qua e là, irregolarmente.
D'estate la terra arata dava quella simmetria che tanto mancava e i frutti prodotti e non raccolti davano colore allo sfondo.
La sua casetta, al di là del campo coltivato, era una struttura semplice un legno e priva di ornamenti. Il tetto, fatto in tegole, stata cadendo a pezzi ormai da tempo, ma Francesco non si decideva ad aggiustarlo. La porta era quasi del tutto rotta con dei piccolissimi buchi e, forse per i cardini arrugginiti o per l'antichità di tutta la porta, scricchiolava quando veniva aperta o chiusa creando un suono fastidioso.
All'interno della struttura vi erano solo due stanze: una di enormi dimensioni, l'altra di piccole. Un tavolo risiedeva al centro della stanza più grande e, in disparte, una piccola cucina di un bianco sporco dove vi era poggiata una pentola forse contenente gli avanzi di qualche pasto.
Il paesaggio non era uno dei migliori, ma Francesco si sentiva a proprio agio e questo era l'importante.
Il vento soffiava calmo sulle foglie che erano cadute dagli alberi.
Aveva deciso di vivere così, all'aperto e lontano dalle caotiche città. Tutto era successo subito dopo il matrimonio di sua sorella, quando era finalmente uscito di prigione. Le città gli avevano sempre creato problemi (sia sociali che politici), di certo, con i suoi genitori, la situazione non era cambiata poi così tanto e sua sorella finalmente si era sposata e raggiunto un livello di felicità. Lui, invece, se ne era andato non salutando nessuno, facendo scomparire le tracce. Era meglio così, aveva pensato. Ma adesso, dopo tanto tempo se ne pentiva, come ogni volta che faceva qualcosa di avventato. Il suo essere D. non aveva cambiato le cose e lo sapeva. Non era riuscito a terminare ciò che aveva iniziato e mai l'avrebbe fatto. Dietro la sua personalità menefreghista e fredda si nascondeva qualcuno che aveva bisogno d'affetto e di calma. Francesco aveva avuto sempre paura di perdere qualcuno a lui caro e di certo era cambiato negli ultimi anni. L'uccisione di Luke e di Kate lo aveva cambiato, in peggio o in meglio non lo sapeva.
Ma era cambiato.
La sua vita trascorsa per lo più ad architettare rapimenti e sotterfugi gli aveva fatto credere che non c'era niente da fare, da cambiare.
E poi il cambiamento arrivò.
Mentre si dirigeva verso quella strana abitazione qualcuno ne uscì.
Aveva un passamontagna.

A Julio faceva male la gamba. Erano passati per quel bosco e adesso la ferita era stata trapassata anche dai vari rami che aveva intralciato il suo cammino. Il suo rapinatore gli aveva urlato contro mentre correvano via da quella casa. Aveva capito solo dopo che Julio abitava lì e se non avesse avuto i riflessi pronti, il ragazzino sarebbe corso dal padre. Sinceramente non gli importava se lo avesse perso, una canaglia in meno, ma la cosa che lo preoccupava era che se fosse successo lui in quel momento sarebbe stato dietro delle sbarre di acciaio, cosa che non poteva permettersi.
Portò in avanti un cellulare estratto dalla tasca e compose un numero.
Squillò tanto ma alla fine, dall'altro capo, qualcuno rispose.
Julio non riuscì a sentire quello che si dissero, forse per la fatica.
L'uomo, invece, cercò di essere il più semplice possibile.
"Dove sei?"
"Sono appena salito dal traghetto, arriverò tra qualche minuto." rispose l'altro.
"Assicurati che tutto vada secondo i piani. Un altro errore non ce lo possiamo permettere." "Tranquillo, ho amici da queste parti. Ci sono degli sbirri, ma non combinano niente se non sorseggiare caffè. Se mi succede qualcosa sarai avvisato."
Rise con amarezza.
"Certo. Comunque non posso più partecipare alla rapina questa notte. Ho qualcosa di più importante da fare."
"Cosa? Aspettiamo da tempo! Non puoi farlo. Se non sarai tu a guidare la rapina chi lo farà?"
"Qualcun altro."
"Cosa hai da fare?"
"Ho rapito qualcuno di molto importante. Ora devo andare, uso il tuo nascondiglio per adesso.  Gli sbirri ci stanno dietro e non possiamo allontanarci molto."
L'uomo dall'altro capo non sentì altro.
"Bene, adesso muoviti. Per colpa tua non abbiamo molto tempo."
"Mi fa male la gamba non riesco a camminare." Rispose Julio che si era fermato su in sasso a sedersi.
"È colpa tua se ti ho sparato." Rispose l'uomo di rimando. Si avvicinò e lo prese in braccio "Forza, così faremo più veloce."
Si incamminò verso destra, poi a sinistra e ancora a sinistra, fino a quando Julio si addormentò non capendo più niente.
Sognò forse la mamma e il papà, o forse una vita semplice ma quello che l'uomo notò fu il sorriso che serpeggiò lentamente sul volto del bambino.
Non sapeva che a breve il suo rapimento sarebbe divenuto di dominio pubblico, nè che altri come lui lo stavano cercando. Qualcosa lo stava avvertendo di un pericolo troppo vicino ma al contempo molto lontano. Chi avrebbe vinto? Lui, gli altri mafiosi, o gli sbirri?
Mark era ancora in caserma sperando che il giorno passasse velocemente. Sapeva che suo nipote era stato rapito ma non poteva fare niente. Il Signor Lanel aveva la priorità. Arrivati sul luogo del delitto aveva osservato bene il corpo senza vita dell'uomo. Un colpo di pistola gli aveva perforato il cuore. Mentre cercava di trovare degli indizi, si ricordò di una cosa. Il padre del suo superiore, cioè colui che si credeva morto per quello sparo, aveva più di cinquant'anni. Quel corpo non era appartenuto al padre, se lo sentiva. Ma allora perché dire a tutti che l'assassinio riguardava suo padre? Perché tutti gli altri non se ne erano accorti? Nessuno lo aveva visto, questo era certo, se non lui. Perché il suo superiore aveva deciso di tacere che in realtà quell'uomo steso a terra non era suo padre ma suo fratello?




Spazio Autrice.

Ebbene sì, sono tornato dopo mesi, ma davvero per fare questo capitolo mi sono davvero impegnata perché
1) la descrizione è stata davvero difficile da fare
2) non sapevo quali personaggi mettere oltre a Francesco
3)mi sono accorta di aver sbagliato una cosa: se Luke ha un superiore significa che ha più anni di questo, allora il padre deve essere molto anziano. E poi non me lo vedevo come mafioso. Mentre un fratello sì. Quindi ho dovuto fare in modo che tutto seguisse una retta senza troppi intralci e incongruenze
4)ho dovuto decidere se far entrare in questo capitolo l'amico del rapinatore e la notizia che si sta espandendo a macchia d'olio
5) ultima cosa ma non per importanza, non sapevo se fare un salto in avanti o continuare il racconta da dove si è interrotto. Alla fine mi sono decisa a mettere la seconda opzione perché, come visto, avevo molte cose da raccontare.

Spero che il capitolo vi piaccia e anche che non ci siano molti errori.
Ho pensato di partecipare ai Wattys2017, ma non ne sono sicura anche se ho tutti i requisiti che servono.
Per chi non sapesse cosa sono:
I Wattys sono dei concorsi annuali che includono tutte le storie. Il concorso quest'anno apre il 15 giugno e per partecipare basta inserire tra i vari tag, il tag "wattys2017". Tutte le storie saranno lette da un comitato. Le storie devono avere minimo 5 capitoli pubblicati, se si tratta di one shot, cioè storie molto brevi, bisogna che esse abbiano il tag "completata". Per maggiori informazioni comunque trovate il profilo dedicato ai wattys: WattysIT.
Spero che partecipiate in tanti, ma soprattutto che tutti vi mettiate alla prova!

A presto

-lucy387❤

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