20. Rifugio
- Capitolo non betato. Molto probabilmente subirà dei cambiamenti non appena verrà revisionato.
«Akaza, aspetta!»
Hakuji afferrò il braccio del gemello prima che questi potesse calarsi giù dalla nave con l'aiuto di una cima. In quei pochi giorni che gli erano sembrati lunghi una vita, aveva creduto che suo fratello fosse morto. Lui e Koyuki avevano pianto insieme, dietro le sbarre in cui Douma li aveva fatti rinchiudere in attesa di subire la stessa sorte, colmi di un dolore d'animo che andava ben oltre quello fisico. Le ferite che Hakuji aveva riportato durante il combattimento avevano fatto meno male dell'improvviso senso di vuoto che gli aveva lacerato il cuore, nel momento in cui aveva visto Akaza precipitare giù dalla "Terza Luna Crescente" con il ventre dilaniato. Quando si era presentato davanti a loro, sporco di sangue e con lo sguardo di chi si era appena preso la propria rivincita, i due amanti avevano quasi fatto fatica a credere che fosse vero. E non avevano fatto in tempo a riabbracciarlo, contenti e sollevati, che Akaza si era precipitato di nuovo sopra coperta dopo aver dato loro le fiale contenenti gli integratori.
«Non posso permettermi di perdere altro tempo, Hakuji. Devo salire a bordo della "Seconda Luna Crescente" e salvare Kyojuro prima che sia troppo tardi.» Rispose Akaza, voltandosi verso il gemello per guardarlo dritto negli occhi, lo sguardo fermo e deciso.
Era stato felice di rivederli, di averli trovati sani e salvi seppur con qualche ferita superficiale per le percosse che avevano subito; ma così come il sollievo lo aveva pervaso facendolo sorridere grato, anche la preoccupazione aveva fatto nuovamente capolino, portandolo in uno stato di evidente agitazione. Non sapeva ancora cosa avrebbe trovato non appena fosse stato in grado di raggiungere Kyojuro, ma avvertiva dentro di sé l'orribile presentimento che Douma non avesse graziato il tritone per come aveva fatto con Hakuji e Koyuki. Quell'idea lo fece rabbrividire.
«Lasciami venire con te. Non puoi affrontare Douma da solo.» Insistette Hakuji, stringendo maggiormente le dita sul braccio di Akaza, come a volergli far capire quanto fosse deciso a seguirlo, indipendentemente da tutto il resto.
«No. Tu resterai qui e ti terrai pronto a dare fuoco alle polveri non appena ti darò il segnale: voglio che non rimanga niente di Douma e della sua ciurma.» Disse Akaza con un tono di voce mortalmente serio, gli occhi puntati in direzione del grosso vascello ancorato diversi metri più in là.
Anche a bordo della "Seconda Luna Crescente" non si vedeva anima viva. Solo qualche lampada era accesa – tra cui quelle degli alloggi del capitano –, ma nessun marinaio era stato posto a fare da guardia, proprio come sulla "Terza Luna Crescente"; e così come aveva fatto fuori gli uomini ubriachi e dormienti sul ponte di coperta della sua nave, Akaza avrebbe riservato lo stesso identico trattamento anche a quelli rimasti a bordo dell'altra imbarcazione. Li avrebbe uccisi tutti, uno ad uno, pur di raggiungere il suo obiettivo e riprendersi quanto aveva di più caro.
«Akaza, porta almeno questo con te: a me non serve.»
Koyuki si avvicinò ai due gemelli e prese gentilmente la mano del ragazzo dai capelli rosa, posandogli sul palmo la piccola fialetta contenente l'integratore. Anche se sul suo viso spiccavano i tagli e i lividi lì dove era stata colpita mentre veniva trascinata via per essere rinchiusa dietro le sbarre con Hakuji, la giovane si sentiva piena di forze ed energie. Era sicura che quel medicinale miracoloso sarebbe servito più a Kyojuro, che a lei. Akaza la guardò con gratitudine e strinse la boccetta tra le dita, riponendola con cura all'interno della tasca del pantalone. Aveva capito ormai da tempo che tra Koyuki e Kyojuro era nato un legame davvero speciale, quasi fraterno, e sapere che la ragazza teneva al tritone tanto quanto lui, gli scaldò teneramente il cuore. Sorrise lievemente, prima di tornare ad afferrare con decisione la fune con cui aveva intenzione di calarsi giù dalla propria nave per riprendere la scialuppa e avvicinarsi silenziosamente al vascello di Douma.
«Vi mando un amico che vi aiuterà con quelle ferite. Trattatemelo bene, mi raccomando.» Disse, concedendosi un ghigno irriverente, per poi lasciare con un agile balzo il ponte di coperta della "Terza Luna Crescente."
• • •
Akaza si affacciò lentamente dal bordo del ponte di coperta della "Seconda Luna Crescente", stando ben attento a nascondersi tra i robusti pioli della ringhiera che costeggiava per intero la murata. Tenendosi saldamente ancorato alla parete scivolosa e corrosa in più punti dall'acqua salata del mare, si guardò attorno per accertarsi che non vi fosse nessuno a fare la vedetta. Proprio come a bordo della sua nave, i sottoposti di Douma dormivano tranquilli e beati, sbronzi fino al midollo e dall'aria felice.
Una smorfia tra il disgustato e il divertito si dipinse sulle labbra del capitano, di fronte al panorama che si trovava davanti ai propri occhi ambrati. Era ovvio che quegli stronzi si erano dati alla pazza gioia, brindando e festeggiando in onore della vittoria che pensavano di aver conquistato. Purtroppo per loro, quella notte avrebbero pagato le conseguenze di quel gesto fatto con la boriosa convinzione di essere riusciti a farlo fuori e mettere così le mani sul tesoro. Avrebbe preso le loro vite una per una, come aveva fatto a bordo della "Terza Luna Crescente", vendicando così i propri uomini che erano stati uccisi ingiustamente.
Riuscì a salire senza produrre alcun rumore, le mani strette attorno ai pioli in legno e i piedi puntellati lì dove le assi risultavano irregolari o più corrose dal tempo. Scavalcò la balaustra con agili movimenti, accovacciandosi e camminando in punta di piedi. Sguainò la spada ed estrasse il coltello che teneva nascosto nello stivale; poi, tratto un profondo respiro e messo su il più compiaciuto dei ghigni, cominciò a danzare: il sangue schizzò ovunque sul ponte, e il sibilo delle lame che tagliavano la carne di quegli uomini riempì il silenzio che aleggiava sulla nave, insieme ai singulti appena percettibili che uscivano dalle loro labbra ogni volta che gli trafiggeva il cuore o recideva la carotide.
Li uccise tutti nel giro di pochi secondi, silenzioso e letale; poi raggiunse velocemente la scalinata che scendeva direttamente nelle viscere della "Seconda Luna Crescente". Guardò per un attimo in direzione del cassero di poppa, puntando le iridi sulla porta che celava quelli che sapeva essere gli alloggi – nonché il rifugio – di Douma, e si fermò prima di posare il piede sui gradini che portavano verso la stiva e le celle. Per un solo istante, l'idea di andare direttamente lì e uccidere quel bastardo gli balenò nella mente, facendolo fremere di eccitazione e determinazione; poi, però, si ricordò della promessa fatta a Kyojuro – per non parlare del fatto che trovare e salvare il tritone aveva assolutamente la priorità su tutto il resto.
Lanciò un'ultima occhiata alla pesante porta di legno, poi si addentrò sotto coperta con passo leggero e la spada sguainata. Anche se aveva fatto fuori molti degli uomini di Douma, era sicuro che ve ne fossero altri all'interno del vascello. La ciurma della "Seconda Luna Crescente" era parecchio numerosa, quasi quanto quella della "Prima Luna Crescente", e sapeva con certezza di non averne uccisi che la metà. Appoggiò lentamente il piede destro sul ponte di batteria e fissò lo sguardo sui vari drappeggi appesi tra un pilone e l'altro, il tessuto ricurvo sotto il peso dei marinai che dormivano lì per essere pronti a caricare i cannoni in qualsiasi momento. Contò una ventina di giacigli, poi altri dieci verso il fondo della nave, proprio lì dove erano situate le scale per continuare a scendere verso la stiva. Il locale era poco illuminato e non era certo del reale numero di uomini presenti in quel piano del vascello, ma non si fece intimorire. Aveva giurato di farli fuori tutti, dal primo all'ultimo; per il suo Kyojuro era disposto pure ad affrontare un'intera flotta di galeoni carichi di pirati inferociti, se fosse stato necessario.
Strinse la mano attorno all'elsa della propria spada e trasse un profondo respiro; poi riprese la sua carneficina, trafiggendo il cuore dei marinai e spargendo il loro sangue ovunque. Cercò di essere veloce e meticoloso il più possibile, ma le travi scricchiolavano rumorosamente ad ogni passo e il liquido scarlatto che fuoriusciva dalle ferite aveva iniziato a impregnare il pavimento. Temendo potesse gocciolare verso la stiva e allarmare chiunque si trovasse là sotto, Akaza si affrettò a uccidere quanti più uomini possibili e scese ancora più in profondità. Dedicò lo stesso identico trattamento a tutti i pirati di Douma presenti nella stiva e continuò a scendere nei meandri del vascello.
Raggiunse finalmente la zona in cui erano situate le celle e sentì l'adrenalina schizzare improvvisamente alle stelle. Cercò di mantenere la calma e il sangue freddo anche se dentro di sé fremeva per l'impazienza – Kyojuro era lì, lo sentiva! –, e studiò bene l'ambiente circostante per cercare di capire a cosa sarebbe andato incontro una volta uscito allo scoperto. Le lampade a olio illuminavano fiocamente il fondo della nave, segno che chiunque fosse di guardia si trovava proprio lì; lungo il corridoio, c'erano una decina di gabbie all'apparenza vuote.
Akaza si mosse cauto, la spada alta e pronta a colpire. Passò davanti alle prime due celle, trattenendo il fiato e stando sempre attento a non produrre alcun rumore. Guardò tra le sbarre e, per come aveva già intuito, le trovò prive di prigionieri. Era sicuro che Kyojuro fosse stato relegato nella zona più profonda, proprio in prossimità della guardiola da cui continuava a baluginare la luce fioca e tremolante dei lumi accesi, e ne ebbe conferma quando vide che anche le due celle successive erano vuote.
Si addentrò ancora, perdendosi nei propri pensieri e chiedendosi quanti uomini potevano trovarsi là sotto – non riusciva ancora a vedere nessuno, oltre l'arcata che divideva le celle dal locale di guardia. Mentre ragionava e avanzava a passo silenzioso, un movimento attirò improvvisamente la sua attenzione, mettendolo in allerta. Tuttavia, prima di poter anche solo reagire e attaccare chiunque si trovasse vicino a lui, una mano ossuta uscì dalle sbarre e gli afferrò il polso con una forza che non si addiceva per nulla ad un arto così scheletrico.
«Uccidimi, ti prego!» Gracchiò con voce rauca la donna a cui apparteneva quella mano.
Akaza la fissò con gli occhi sbarrati, congelandosi sul posto. Anche se con tono arrochito, era sicuro che quella supplica l'avesse sentita anche chi stava di guardia; ne ebbe prova quando vide la luce tremolare maggiormente e delle ombre allungarsi verso il corridoio delle celle. Strattonò il braccio con l'intento di liberarsi dalla morsa ferrea con cui lo stava tenendo quella prigioniera, senza però riuscirci. Sentiva i suoi artigli affondare nella pelle ogni volta che cercava di divincolarsi.
«Lasciami andare!» Sibilò, guardandola in cagnesco.
«Uccidimi... uccidimi...» Supplicò ancora e ancora, come un mantra cantilenante.
Akaza si prese un attimo per osservarla e anche nella penombra capì che quella non era una donna qualsiasi: aveva davanti agli occhi una vera e autentica sirena. Seppur avesse il viso scarnito, il corpo ricoperto di stracci e ferite cicatrizzate male, la bellezza di quella donna restava intatta. Aveva dei lunghi capelli corvini e dei grandi occhi verdi, profondi ed espressivi proprio come quelli di Kyojuro.
«Chi è là?!»
Uno dei membri dell'equipaggio si risvegliò bruscamente, attratto dalla voce della sirena che aveva rotto improvvisamente il silenzio della stiva, e pose quella domanda mentre cercava di darsi un contegno e afferrare le proprie armi. Ad Akaza gelò il sangue nelle vene e rimase immobile, provando a non attirare ulteriormente l'attenzione dell'uomo che aveva appena parlato. Fortunatamente, un altro marinaio si svegliò proprio in quel preciso momento. Lo sentì biascicare un: "È solo Kotoha che delira", cercando di rassicurare il compare che non ci fosse nulla di cui preoccuparsi, e lui ne approfittò per darsi una mossa.
«Non ti ucciderò e prometto di portarti in salvo. Però, devi lasciarmi andare o moriremo entrambi.» Disse a voce bassa, lanciando un altro sguardo in direzione della guardiola e riuscendo a distinguere almeno quattro diverse ombre che avevano iniziato a muoversi.
La sirena lo fissò con sguardo assente e carico di tristezza, poi riprese a cantilenare e lo lasciò andare, ritornando a sedersi al proprio posto in un angolo della cella. Il capitano della "Terza Luna Crescente" la guardò dondolare con le braccia strette attorno alle gambe magre e sentì l'angoscia attanagliare le proprie viscere. Non sapeva perché Douma avesse deciso di lasciare in vita quell'unica sirena, ma se quello era ciò che accadeva alle creature del mare che decideva di torturare e tenere con sé, allora doveva davvero sbrigarsi a trovare Kyojuro e a portarlo via da lì prima che fosse troppo tardi.
«Ma... e questo cos'è? Sangue?!»
Akaza sentì l'esclamazione e guardò in alto, verso le travi che componevano il soffitto. Il sangue versato dagli uomini sgozzati aveva iniziato a gocciolare lento tra i buchi e le fessure, per come aveva temuto. Un gran trambusto arrivò dal fondo della nave, segno che i sottoposti di Douma messi a guardia delle celle erano tutti svegli e in allerta. Il giovane capitano sbuffò un'imprecazione e si preparò all'inevitabile scontro; non che gli dispiacesse affrontare quegli uomini in un corpo a corpo, ma avrebbe preferito ucciderli velocemente come tutti gli altri, così da poter raggiungere e salvare Kyojuro senza ulteriori ostacoli.
Strinse l'elsa della spada fino a far sbiancare le nocche e puntò lo sguardo in direzione della guardiola proprio mentre due uomini varcavano la soglia tutti trafelati, le spade in una mano e il lume nell'altra. La luce investì in pieno Akaza, rivelando così la sua presenza. Quando capirono di avere davanti colui che credevano ormai morto e sepolto sul fondale marino, i sottoposti di Douma rimasero attoniti e sconcertati, dandogli così il tempo di attaccare per primo. Il sottoposto alla sua destra cadde morto in un attimo, trafitto all'addome e con la carotide recisa. Il secondo uomo si ridestò dallo stupore iniziale e schivò l'affondo di Akaza prima che la lama potesse tagliargli di netto la testa, cosa che fece scontrare la sciabola contro le sbarre di una delle celle, generando un frastuono metallico che portò gli altri marinai ad accorrere nel corridoio.
«Tu! Corri ad avvisare il capitano e gli altri!»
Il pirata che aveva evitato l'attacco si rialzò velocemente e puntò il dito contro il mozzo che li guardava nascosto dietro l'arco della guardiola, spaventato e tremolante. Akaza ringhiò e cercò nuovamente di recidere la carne dell'uomo che aveva dato quell'ordine, brandendo la spada con furia omicida: non avrebbe permesso a nessuno di passare da lì! Riuscì a colpire il marinaio che lo fronteggiava e si lanciò in direzione degli altri due che si erano fatti avanti, combattendo con entrambi contemporaneamente. Anche se si era ripreso da poco dall'attacco quasi mortale di Douma, il pensiero di non riuscire a salvare Kyojuro aveva cancellato la stanchezza e annichilito ogni altra sensazione. Sentiva di avere energie da vendere, tanto che avrebbe potuto continuare a battersi per ore intere.
I due uomini circondarono Akaza e si lanciarono simultaneamente all'attacco, mentre il terzo si rialzava a fatica, tenendosi con una mano il fianco in cui era affondata la lama. Il capitano li fronteggiò senza alcuna esitazione, sfogando tutta la propria rabbia e frustrazione, mettendo a segno un colpo dietro l'altro. Uccise il sottoposto che aveva ferito poco prima e si preparò a porre fine anche alla vita di quello che gli si stava lanciando contro, quando, preso alla sprovvista da un colpo di pistola che lo aveva mancato per un pelo, si distrasse, dando così modo al mozzo di sgattaiolare via a tutta velocità.
«Merda!» Imprecò Akaza, rimettendosi subito in guardia
Il capitano evitò un fendente che minacciava di tagliargli via la mano destra, rispose all'attacco aprendo uno squarcio nel ventre del marinaio che aveva cercato di ucciderlo con la pallottola di piombo, e si voltò in direzione del mozzo. Prima che questi potesse sparire nel buio e risalire le scale, provò a farlo fuori lanciandogli contro il fidato coltellino. Purtroppo, anche se riuscì a colpirlo facendolo urlare come un ossesso, non fu in grado di centrare nessun punto vitale. Lo vide correre verso la stiva e un'altra sonora imprecazione lasciò le sue labbra; non aveva più tempo! Anche se aveva fatto fuori gran parte dell'equipaggio, restavano ancora diversi uomini da uccidere, rintanati nei vari alloggi o in chissà quale meandro della nave.
Avendo ormai perso definitivamente l'effetto sorpresa, doveva sbrigarsi a portare via Kyojuro da lì o non ne sarebbero davvero usciti vivi. Smosso da quella nuova, angosciante consapevolezza, Akaza diede tutto sé stesso per mettere fine alla vita dell'ultimo uomo che gli stava sbarrando la strada. Riuscì a eludere la sua difesa e a trafiggergli il cuore con un movimento fluido, facendo schizzare il suo sangue ovunque insieme a quello dei compari che già scorreva in fiotti densi e scarlatti. Scavalcò velocemente i corpi mutilati e sanguinolenti dei quattro marinai che aveva ucciso e corse in direzione della guardiola, dando un veloce sguardo alle celle che non aveva ancora controllato.
«Kyojuro!»
Akaza urlò il nome del tritone quando riconobbe la sua folta chioma bionda. Lo aveva trovato! Era lì, a pochi passi da lui! Si aggrappò alle sbarre dell'ultima gabbia e lo chiamò ancora una volta a gran voce, non ricevendo alcuna risposta. L'ansia lo assalì quando riuscì a scorgere meglio la sua figura nella penombra; Kyojuro se ne stava appeso al soffitto della cella, con le braccia legate da spesse catene e la testa reclinata in avanti, privo di sensi.
Il capitano si fiondò nella stanza adiacente per cercare le chiavi e prendere un lume; poi tornò indietro e aprì il cancello con un cigolio assordante. Nel momento in cui la luce della lampada ad olio illuminò il corpo del tritone, Akaza ebbe un tuffo al cuore e si sentì letteralmente morire dentro: nudo, pieno di lividi e profondi tagli su ogni porzione di pelle disponibile, Kyojuro sembrava più morto che vivo.
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