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14. Promessa

Note:

- Capitolo non betato. Molto probabilmente subirà dei cambiamenti non appena verrà revisionato.

«Kyojuro, potresti aprire questa porta, per favore?»

Akaza batté per l'ennesima volta le nocche contro la superficie lignea della porta che celava la propria camera, senza ricevere alcuna risposta. Il tritone si era chiuso lì dentro dopo aver visto lo scempio perpetrato da Douma e non ne voleva sapere di far entrare nessuno, incluso il giovane capitano che bussava e lo supplicava ormai da diversi minuti.

«Che reazione infantile. Cosa pensava facessimo, una volta catturate le sirene? Che le usassimo come animaletti da compagnia per poi rilasciarle come niente fosse? Doveva immaginarselo che, prima o poi, avrebbe fatto i conti con ciò che facciamo per sopravvivere.» Mormorò Hakuji alle spalle di Akaza, credendo di non essere udito dal gemello troppo impegnato a pregare il tritone per avere accesso agli alloggi.

«Hakuji, potresti tacere per una buona volta?» Ringhiò il capitano, guardandolo in cagnesco da sopra una spalla, gli occhi ambrati accesi dalla rabbia. «Quello non è cacciare per sopravvivere, ma torturare per il puro piacere di farlo.» Disse poi, indicando con un brusco gesto della mano il punto in cui si trovava lo scoglio pullulante di scheletri. «Non paragonare ciò che facciamo noi a bordo di questa nave con ciò che fanno Douma e i suoi uomini. Mi viene il voltastomaco solo a pensarci.»

«Caro, Akaza ha ragione. Da quando ne ho memoria, sulla "Terza Luna Crescente" non sono mai state utilizzate pratiche così barbare. Mio padre cercava sempre di dare una morte dignitosa a quelle creature, anche alle più feroci. Un colpo secco dritto in fronte, senza causare loro ulteriore sofferenza.» Koyuki poggiò una mano sul braccio del proprio compagno e lo affiancò, puntando le iridi rosa prima su Akaza e poi sulla porta che continuava a rimanere chiusa. «Vuoi che provi a parlarci io?» Chiese poi, facendosi avanti.

Prima che Akaza potesse rispondere e dire a Koyuki che non sarebbe stato necessario e che voleva sbrigarsela lui, una serie di forti tonfi raggiunse le loro orecchie, allarmando il giovane capitano.

«Kyojuro?» Lo chiamò, ma il tritone non rispose e i rumori continuavano ad essere l'unico suono proveniente dall'interno della stanza. «Kyojuro, capisco che tu possa essere sconvolto, ma apri questa dannata porta, o giuro che la sfondo!» Disse poi, cercando di mantenere la calma, fallendo miseramente nell'intento.

«Nessuno entrerà in questa camera finché non mi sarò calmato. Al momento non sono in me e potrei seriamente rischiare di fare del male a qualcuno.»

Finalmente, dopo lunghi minuti di silenzio, la voce squillante di Kyojuro raggiunse le orecchie di Akaza. Il tono che aveva usato non lasciava alcun dubbio: il tritone era furioso, e qualunque cosa stesse facendo in quegli alloggi, gli serviva come valvola di sfogo.

Il capitano guardò la porta con le sopracciglia aggrottate, poi scosse la testa e decise di ascoltare quella sua richiesta. Sapeva che Kyojuro aveva bisogno di tempo per metabolizzare ciò che aveva visto e capì che insistere sarebbe servito a ben poco. Tuttavia, proprio mentre si apprestava ad allontanarsi insieme ad Hakuji e Koyuki, il rumore di un vetro che andava in frantumi, seguito da un gemito di dolore, lo fece girare di colpo. Quasi fosse un gesto automatico dettato direttamente dal proprio inconscio, Akaza estrasse la pistola e sparò un colpo contro la serratura, facendola saltare in aria. La porta si aprì e lui entrò come una furia, senza aspettare più altro tempo.

Ciò che il capitano si trovò davanti agli occhi lo fece bloccare sul posto, portandolo a sospirare amareggiato: Kyojuro aveva messo a soqquadro la stanza, ribaltando il tavolo su cui teneva mappe e scartoffie, buttando in aria le poche cianfrusaglie presenti, fino a distruggere uno dei cuscini che aveva riversato tutte le proprie piume in ogni angolo della camera. Akaza spostò lo sguardo sul caos che il tritone aveva creato, finché non lo puntò in direzione del bagno, da dove sentiva provenire i mugolii soffocati di Kyojuro.

«Akaza, hai bisog- Oh, cazzo

Hakuji entrò negli alloggi del proprio gemello e rimase sconvolto di fronte a ciò che gli si era presentato davanti agli occhi azzurri come il cielo. Sembrava fosse passato un animale inferocito, per come era messa male la stanza.

«No, Hakuji, non ho bisogno di aiuto. Me la sbrigo da solo. Tu pensa a portarci fuori dalla rotta di quello scoglio.» Rispose Akaza, lo sguardo sempre fisso in direzione del bagno.

Hakuji annuì appena e fece ciò che suo fratello gli aveva appena detto di fare, richiudendo la porta che cigolò con un rumore assordante. Trascinando il grosso baule pieno di biancheria davanti all'ingresso, il capitano fermò il ciondolare dell'anta ormai priva di serratura, bloccando così l'accesso a chiunque avesse anche solo pensato di andare a curiosare. Poi, con passo lento e calcolato, camminò in mezzo a ciò che restava delle proprie cose e si diresse verso il bagno, superando il paravento che divideva i due locali.

Trovò Kyojuro seduto sul pavimento ligneo, vicino alla grande vasca, girato in modo da dargli le spalle e celare il viso che teneva tra le mani. Dei vetri rotti se ne stavano tutto intorno al corpo del tritone e Akaza notò che la specchiera presente in quella stanza era andata in frantumi. Vide che lo sgabello se ne stava riverso lì vicino e dedusse che Kyojuro doveva averlo lanciato contro il mobile in uno scatto d'ira. Poi un altro elemento attirò la sua attenzione, allarmandolo e non poco: sulle assi di legno c'erano delle macchie di sangue e alcune gocce erano finite anche sulle schegge affilate come lame dello specchio rotto.

Si avvicinò preoccupato, accovacciandosi in prossimità del tritone che continuava a starsene con il capo chino e lo guardò per capire da dove provenisse tutto quel sangue.

«Kyojuro.»

Akaza chiamò dolcemente il nome dell'altro nel tentativo di fargli alzare la testa per guardarlo negli occhi e rassicurarlo, ma l'unica cosa che ottenne fu un'occhiata di fuoco tra le dita sporche di sangue. Kyojuro lo fissava con l'unica iride visibile animata dalla furia più cieca, il folto sopacciglio nero aggrottato in un'espressione mortalmente seria e le labbra strette in una linea dura. Il capitano non si lasciò intimidire e provò ad allungare una mano per afferrargli il polso e vedere quanto fosse grave il taglio che aveva intravisto proprio al di sopra del sopracciglio.

Il tritone lo guardò in silenzio, visibilmente combattuto tra il lasciarsi toccare e lo scacciare via Akaza prima che potesse anche solo sfiorarlo con un dito. Sentiva ancora di essere pervaso dalla rabbia e dalla delusione, e aveva paura di non riuscire a mantenere il controllo di sé stesso. Amava quel giovane capitano che era stato in grado di fargli provare sentimenti tanto profondi e umani, ma vedere ciò di cui sarebbe stato capace, della crudeltà nascosta dietro alla caccia alle sirene, lo aveva destabilizzato e fatto vacillare.

«Ascolta.» Capiti i pensieri che vorticavano senza sosta nella mente di Kyojuro, Akaza ritirò la mano e si sedette di fronte a lui per spiegargli come stavano davvero le cose. «Quello che hai visto non ha niente a che fare con il nostro metodo di caccia. Quello è solo il perverso divertimento di uno degli altri capitani conosciuto per essere maledettamente sadico e fuori di testa.» Continuò, digrignando i denti di fronte all'immagine degli scheletri impalati allo scoglio che gli si era impressa a fuoco nella mente.

Kyojuro tolse finalmente le mani dal viso, rivelando un profondo taglio sul sopracciglio sinistro che continuava a sanguinare copiosamente. Puntò lo sguardo vermiglio dritto negli occhi ambrati di Akaza e lo studiò in silenzio, decidendo se credere o meno alle sue parole.

«Mi stai dicendo che tu non hai mai torturato una sirena, prima di ucciderla e smembrarla? E io dovrei crederti, Akaza? Sei pur sempre un cacciatore, un pirata come tutti gli altri.»

Le parole uscirono dalla bocca del tritone senza che se ne accorgesse, dettate dalla rabbia e dal risentimento. Non aveva motivo di mettere in dubbio ciò che gli stava dicendo, perché gli aveva dimostrato che era diverso, che aveva un grande cuore nascosto sotto a quegli abiti da austero capitano. Eppure non poté fare a meno di ascoltare l'infimo sentimento che gli serpeggiava dentro, quello che gli stava facendo mettere in discussione i suoi stessi sentimenti nei confronti dell'altro.

«Sai perché sono diventato membro di questa ciurma e perché do la caccia alle sirene ormai da dieci anni? Solo perché Keizo mi ha offerto un modo per sopravvivere in questo mondo dove non c'era posto per dei topi di fogna come me e Hakuji. Mi ha allungato la mano quando ne avevo più bisogno e io l'ho afferrata senza pensarci su due volte, adattandomi alle regole di questo vascello. Le sirene erano un'ottima fonte di guadagno, catturarle e vendere tutto ciò che potevamo portava profitti che non sarei mai stato in grado di immaginare, se fossi rimasto a strisciare nel fango e a mangiare ratti grossi come gatti.» Rispose Akaza, mantenendo il sangue freddo di fronte alle provocazioni di Kyojuro.

Sapeva che il tritone aveva parlato in quel modo solo perché era ancora accecato dall'ira e lo capiva perfettamente. Anche lui si sarebbe comportato con rancore e diffidenza, se si fosse trovato al suo posto.

«Questo non risponde alla mia domanda: non hai mai torturato una sirena, prima di ucciderla e smembrarla?» Chiese ancora il tritone, anche se con meno rabbia di prima e con un tono di voce più calmo.

«No, mai. Io non provo tutto questo odio nei confronti delle sirene, tanto da dovermi abbassare a tormentarle ulteriormente prima di dar loro il colpo di grazia. Nemmeno Hakuji serba dentro di sé così tanto rancore, anche se una di loro gli ha portato via la mano con un morso.» Rispose con sincerità Akaza, fissando Kyojuro intensamente, così da fargli capire che non stava mentendo. «Posso guardare quella ferita?» Chiese poi, indicando il taglio sanguinante che deturpava il bel viso del suo tritone.

Kyojuro ci pensò su un attimo, poi annuì appena. Parlare con il capitano l'aveva fatto calmare e adesso vedeva le cose con più lucidità. Ripensando bene alla scena che si era ritrovato davanti agli occhi, qualcosa si accese nella sua mente, rievocando un ricordo lontano che lo fece sussultare.

«Ti ho fatto male?» Chiese Akaza, mentre toccava con le dita la zona arrossata attorno al taglio.

Kyojuro scosse lievemente la testa e si lasciò andare alle cure del capitano, cercando di riportare alla memoria le parole che gli aveva detto sua madre poco prima di sparire per sempre.

Mentre il tritone se ne stava fermo e in silenzio a tentare di ricordare, Akaza controllò la ferita per accertarsi che non fossero rimaste delle schegge di vetro all'interno della pelle – immaginò che il taglio fosse stato causato da un pezzo dello specchio che era schizzato in aria quando lo sgabello vi si era schiantato contro. Trovandola abbastanza pulita e priva di corpi estranei, il capitano si alzò dal pavimento per prendere una bacinella e riempirla con un po' di acqua dolce. Vi immerse un panno di spugna e tornò a sedersi, iniziando a tamponare via il sangue con gesti delicati.

«Temo che resterà una cicatrice. Avessi avuto ancora i tuoi poteri, saresti stato sicuramente in grado di curarla senza problemi.» Mormorò Akaza, togliendo fino all'ultima stilla scarlatta dal volto di Kyojuro.

«Akaza.»

«Mh?»

«Non sei arrabbiato con me per tutto quello che ho insinuato su di te?» Chiese Kyojuro, lo sguardo fisso sul viso di Akaza che lo medicava con espressione concentrata.

«No, non lo sono. So che hai parlato in quel modo solo perché eri furioso per ciò che hai visto. Anche io avrei fatto lo stesso, se non peggio.» Disse il capitano, prima di alzarsi e andare alla ricerca di qualche benda pulita da poter applicare sulla fronte del tritone.

«Hai detto che l'uomo che ha fatto quella carneficina si chiama Douma, non è vero?» Domandò poi il tritone, ricordando finalmente ciò che gli aveva detto sua madre e riportando alla mente anche un ricordo più recente, che riguardava molto da vicino suo padre.

«Sì.» Rispose semplicemente Akaza, trovando finalmente ciò che stava cercando e apprestandosi a fasciare la testa di Kyojuro così da tenere chiuso il taglio sul sopracciglio.

«Forse so cosa sta cercando e perché ha torturato in quel modo le mie simili. Ma prima di dirti di cosa si tratta, voglio che tu mi faccia una promessa.» Disse con tono serio, la determinazione a rendergli le iridi vermiglie vive e accese come fiamme ardenti.

Akaza lo fissò per un attimo, mentre finiva di sistemare il bendaggio, capendo subito quale richiesta avrebbe avanzato Kyojuro.

«Tutto quello che vuoi.»

«Quando arriverà il momento, voglio essere io ad uccidere quel bastardo. Gli farò provare lo stesso, straziante dolore che lui ha inferto a tutte quelle povere sirene che ha torturato fino alla morte.»

Akaza sorrise serafico, di fronte a quella richiesta, e si abbassò sul viso del suo biondo tritone per depositargli un bacio sulle labbra. Ricercando la sua lingua con la propria, il capitano suggellò quella promessa, perdendosi nel calore di quella bocca che aveva temuto, per un solo attimo, di non poter sfiorare più. Non vedeva l'ora di scoprire in quale modo Kyojuro avrebbe deciso di far passare le pene dell'Inferno a quello stronzo di Douma e non poté fare a meno di sentirsi fremere dall'eccitazione.

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