10. Stella polare
Note:
- Capitolo non betato. Molto probabilmente subirà dei cambiamenti non appena verrà revisionato.
Nell'oscurità del bosco di pini marittimi che costeggiava la spiaggia, Akaza e alcuni dei suoi uomini seguivano Kyojuro in assoluto silenzio, i sensi in allerta per captare qualsiasi tipo di pericolo. Con la lampada ad olio stretta tra le mani, il tritone li stava guidando tra i tronchi degli alberi per raggiungere la grotta in cui si diceva fosse nascosta la fonte dai poteri curativi. Perché stesse facendo tutto ciò, restava un mistero che il capitano della "Terza Luna Crescente" non aveva ancora trovato il coraggio di scoprire.
Con le iridi ambrate puntate contro la schiena ampia di Kyojuro, Akaza camminava pochi passi più indietro, fissando soprappensiero l'ondeggiare delle ciocche bionde sopra i muscoli delle spalle dell'altro. Dopo ciò che era successo la sera prima con la ragazza della Villa delle Farfalle, il capitano era tornato a bordo della nave con l'intenzione di assumere un atteggiamento diverso nei confronti di quel tritone che gli aveva letteralmente scombussolato l'esistenza.
Quando era rientrato nei propri alloggi con l'intento di sbattere fuori Kyojuro a calci in culo per riprendere in mano la propria vita, l'aveva trovato raggomitolato sul suo letto, con il cuscino stretto al petto e il viso affondato tra le soffici piume di cui era imbottito. Inutile dire che era rimasto incantato a fissarlo con il cuore che gli batteva furioso nel petto e che, per un solo attimo, aveva desiderato raggiungerlo e giacere con lui. Subito dopo aver formulato quel pensiero, era uscito dalla stanza come una furia, andando a cercare un giaciglio in cui passare le poche ore rimaste prima del sorgere del sole e dove calmare i bollenti spiriti che si erano risvegliati in lui solo guardando il bel volto addormentato del tritone. Ormai non aveva più alcuna speranza: si sentiva totalmente attratto da Kyojuro e non solo dal punto di vista fisico, ma non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura.
«Stiamo camminando da troppo tempo. Non aveva detto che la grotta era nascosta vicino alla spiaggia? E se il suo intento fosse solo quello di farci perdere in questo maledetto sottobosco?»
Hakuji sibilò quelle parole a pochi centimetri di distanza dall'orecchio di Akaza, cercando di non farsi sentire né dal diretto interessato, né da Koyuki che gli camminava a fianco, mantenendo il passo con non poca fatica. La ragazza si era indebolita nuovamente, durante quella lunga traversata, ma il corvino si era rifiutato categoricamente di vedere il tritone infilare ancora una volta la propria lingua nella gola della sua dolce metà.
«Se dovesse succedere, ci basterà seguire la direzione della stella polare.» Rispose Akaza, senza prestare troppa attenzione al proprio gemello.
«Mi spieghi perché ogni singola volta che avanzo un dubbio su di lui, tu rispondi come se fossi io a essere nel torto?» Sbottò Hakuji, riuscendo finalmente a catturare l'attenzione di Akaza che si girò a guardarlo.
«Dio, Hakuji, non sto prendendo le difese di nessuno. Hai visto come sono rade le fronde di questi pini e com'è limpido e terso il cielo? Spiegami come possa essere possibile perdersi in questo bosco, soprattutto quando siamo entrambi perfettamente capaci di seguire le stelle.» Rispose Akaza, sentendosi improvvisamente ribollire dalla rabbia per quell'insinuazione nemmeno troppo velata da parte del fratello.
Il capitano aveva il forte sentore che Hakuji avesse capito prima di lui ciò che Kyojuro gli aveva fatto, che avesse scoperto la natura di quei sentimenti scomodi che stava provando a nascondere e rinnegare con tutto sé stesso; la cosa lo indisponeva e non poco senza un reale motivo.
«Sì, ma stai calmo.» Disse il corvino, arrabbiandosi a sua volta. «Ormai non posso dire più nulla, che subito scatti come una molla. Sei cambiato, da quando abbiamo catturato questo tritone, e ti fidi troppo di lui.»
Akaza sentì il forte impulso di prendere e colpire Hakuji con un pugno, per farlo stare zitto. Aveva ragione – cazzo, se aveva ragione –, ma non voleva stare ad ascoltarlo. Perché era come sentir parlare la propria coscienza, quella che da giorni gli urlava le stesse identiche cose, e dargli ragione o rimanere semplicemente in silenzio, significava ammettere apertamente qualcosa che non aveva ancora ammesso nemmeno a sé stesso.
«Ho trovato l'ingresso della grotta. Venite.»
La voce squillante di Kyojuro lo fermò prima che potesse stringere la mano a pugno e piantarla contro il viso di Hakuji, riportandolo con i piedi per terra. I pochi uomini che si erano portati dietro li fissavano in silenzio, decidendo di non intromettersi in quella discussione ma trovandosi tutti perfettamente d'accordo con quanto detto dal fratello del loro giovane capitano. In quegli anni, non era mai successo che Akaza perdesse così apertamente la rotta. Aveva sempre resistito al canto di ogni sirena, respinto i loro tentativi di ammaliarlo e sedurlo, le aveva uccise senza pietà, senza esitazione, ma ormai era chiaro a tutti che con quel tritone le cose sarebbero andate diversamente.
Akaza serrò la mascella e lanciò un'ultima occhiata furiosa in direzione del gemello, prima di dargli le spalle e raggiungere il tritone, seguito dai propri uomini. Kyojuro li aspettava davanti ad una parete rocciosa alta e frastagliata, in prossimità di una cavità naturale buia e profonda. Non disse nulla riguardo ciò che aveva sentito dire ai due fratelli e guardò Akaza con il solito sorriso largo sulle labbra, invitandolo ad entrare con un cenno del capo. Tenendo le lanterne alte davanti a loro in modo da avere una visuale chiara di quel cunicolo che si perdeva dentro la roccia, il capitano e la sua ciurma si addentrarono all'interno della grotta.
L'oscurità li inghiottì uno per volta e camminarono in fila indiana per evitare che le strette pareti potessero ferirli in qualche modo con i loro spuntoni sporgenti e appuntiti. Kyojuro continuava a precederli, tallonato da Akaza che aveva ripreso a fissare intensamente la sua figura che gli dava le spalle. L'impulso di allungare una mano e afferrare un lembo di quella camicia che gli fasciava il busto alla perfezione era forte, ma si trattenne dal farlo. Desiderava con tutto sé stesso ricercare un qualsiasi tipo di contatto e la cosa lo stava mandando lentamente e inesorabilmente fuori di testa.
Si addentrarono all'interno della fenditura per lunghi minuti, camminando a tentoni e incespicando nelle pietre presenti sul terreno. Poi, improvvisamente, intravidero una flebile luce sul fondo della grotta e quando la raggiunsero, rimasero tutti a bocca aperta di fronte alla bellezza di quel luogo: una grossa pozza d'acqua brillava flebilmente al centro della grande cavità, riflettendo la luna e le stelle del firmamento che si vedevano da un'apertura nel soffitto della grotta; tutto intorno, strani fiori rossi come il sangue spuntavano dal terreno, in steli lunghi sormontati da petali arricciati su sé stessi e filamenti che ad Akaza ricordarono tanto le zampe di un grosso ragno.
Kyojuro rimase in silenzio per un lungo attimo, gli occhi vermigli fissi sul lago nero come il cielo di cui rimandava il riflesso. Il capitano lo vide prendere un profondo respiro, chiudere le palpebre e appoggiare la lampada ad olio contro il terreno. Iniziò poi a sbottonare la camicia bianca, sfilando con calma un bottone alla volta, sotto gli occhi attenti di tutti che aspettavano solo un suo cenno per capire cosa fare.
«Entrerò per primo. Poi, quando sarò io a dirvelo, mandate Koyuki da me.» Disse Kyojuro con fermezza, finendo di spogliarsi e restando totalmente nudo, come nulla fosse.
Anche se non era la prima volta che lo vedeva in quel modo, Akaza non poté fare a meno di sfiorargli il corpo con lo sguardo, soffermandosi sui muscoli compatti e guizzanti di quella schiena che aveva guardato per tutta la sera come attratto da una forza di gravità diversa da quella che lo teneva incollato alla Terra.
«Fate come dice.» Rispose quasi automaticamente il capitano, seguendo attentamente i movimenti dell'altro che aveva preso ad avanzare verso il grande lago.
Kyojuro entrò nell'acqua fredda senza battere ciglio, camminando finché non si ritrovò immerso sino ai fianchi. Dandosi un piccolo slancio sul fondale, si gettò a tuffo e sparì sotto il pelo dell'acqua, infrangendone l'immobilità che l'aveva caratterizzata fino a quel momento. Quando riemerse, Akaza notò subito che aveva assunto la sua forma da tritone. Un brivido indistinto lo attraversò per intero, nel vedere la grossa coda dalle lucenti squame rosse agitarsi appena e la membrana traslucida della pinna creare piccole onde ad ogni movimento. Non riusciva a togliergli gli occhi di dosso come la prima volta che lo aveva visto con quell'aspetto. Era così bello, se non addirittura maestoso.
Nuotando un paio di volte il cerchio, Kyojuro si fermò al centro del lago e cominciò improvvisamente a cantare. La sua voce melodiosa riempì la grotta e le orecchie degli uomini presenti, rompendo il silenzio e incantando tutti con una canzone in una lingua sconosciuta che aveva l'aria di essere antica come il mondo stesso. Tutto ad un tratto, le squame che ricoprivano il corpo del tritone iniziarono ad emanare un bagliore quasi etereo; e più lui cantava, più il centro di quello specchio d'acqua riluceva. Anche i fiori rossi che circondavano le sponde avevano iniziato a splendere, diffondendo un luccichio azzurrognolo per tutta la grande cavità naturale. Era uno spettacolo divino che nessuno di loro pensava sarebbe mai stato in grado di vedere in quella effimera vita terrena.
Continuando a cantare, Kyojuro si spostò dal centro del lago e raggiunse una delle sponde, allungandosi fino a raccogliere uno di quei fiori strani. Con un colpo di coda, ritornò dove si trovava prima e, stringendo in una mano i petali rossi fino a far colare lungo il braccio il liquido che avevano prodotto, si infilzò il palmo dell'altra con i propri artigli, facendo sì che il sangue e il succo del fiore si mischiassero insieme alle acque del lago. Ci fu uno strano ribollire tutto attorno al corpo del tritone, poi lo specchio d'acqua tornò immobile, increspandosi lievemente solo per via dei movimenti della lunga pinna del tritone.
«Koyuki, vieni qui.»
Kyojuro smise di cantare e invitò la giovane ragazza a raggiungerlo al centro del lago. Koyuki lo guardò, trattenendo appena il fiato. Aveva paura di ciò che sarebbe potuto accadere, ma non poté fare a meno di guardare estasiata quella creatura che aveva deciso di aiutarla e si lasciò guidare dal senso di calma e sicurezza che le stava trasmettendo con il suo sguardo. La ragazza si liberò degli indumenti che indossava, restando solo con la leggera sottoveste bianca. Hakuji la bloccò per un braccio prima che potesse toccare l'acqua con i piedi nudi e l'abbracciò stretta a sé, preoccupato come mai era stato in vita sua.
«Sono pronto a venirti a prendere e ammazzarlo, se ti dovesse succedere qualcosa.» Disse con una serietà mortale, fissando le iridi azzurre sul viso di Kyojuro che aspettava pazientemente.
«Stai tranquillo. Sono sicura che andrà tutto bene.» Rispose Koyuki, ricambiando l'abbraccio per poi staccarsi dal proprio compagno ed entrare in acqua con passo lento.
Hakuji la seguì con lo sguardo, mentre Akaza fissò il proprio sulla figura del tritone che si avvicinava appena alla ragazza per porgerle la mano e trascinarla con sé. Il bagliore delle squame rosse rifletteva sul volto di Koyuki, illuminando appena i suoi occhi rosa sgranati che si puntarono nelle iridi vermiglie di Kyojuro.
«Io... ti conosco.» Disse ad un tratto, sorprendendo Akaza e Hakuji che sentirono quelle parole come rimbombare per tutto l'ambiente circostante.
Cosa voleva dire? In che senso lo conosceva? Il capitano non capì, ma si rese conto che era la seconda persona appartenente alla "Terza Luna Crescente" che diceva di aver già avuto modo di incontrare il tritone e non poté fare a meno di provare nuovamente la forte sensazione che, se si trovavano lì, non era solo perché Kyojuro voleva ricambiare il favore che gli aveva fatto salvando Senjuro. C'era sicuramente altro e avrebbe preteso di sapere cosa fosse, una volta finito quello strano rituale.
«Sì, Koyuki, io e te ci siamo già incontrati, in passato. Ma non è il momento per parlarne. Ora voglio solo che chiudi gli occhi e ti lascia andare. Fidati di me.»
Akaza aggrottò le sottili sopracciglia rosa e fissò il tritone con un'espressione confusa sul volto. Kyojuro lo guardò a sua volta, riservandogli un sorriso enigmatico e uno sguardo penetrante che ebbe la forza di fargli mancare il respiro. Avrebbe voluto chiedergli di cosa stavano parlando, dirgli di spiegargli cosa stava succedendo, ma le parole gli morirono in gola quando lo vide prendere Koyuki per le spalle e spingerla improvvisamente sott'acqua. Ricominciò a cantare in quella strana lingua antica, e prima che Hakuji potesse anche solo pensare di tuffarsi per andare a salvare la propria ragazza, la caverna venne illuminata a giorno dalla luce sprigionata dal corpo del tritone e da quella degli strani fiori rossi come il sangue. Quel momento non durò che un attimo: quando la luce cominciò ad affievolirsi, Koyuki riaffiorò dal fondo del lago, tossendo per l'acqua che doveva aver ingerito.
«Koyuki!»
Hakuji si lanciò in direzione della ragazza, allungando il braccio sano e la protesi per permettere a Koyuki di aggrapparsi a lui quando riuscì a raggiungere le sponde del lago. Anche se aveva rischiato di annegare, uscì dall'acqua con il sorriso sulle labbra e l'aspetto decisamente più sano di quando vi si era immersa. Era raggiante, bagnata fradicia ma pienamente in forze.
«Oh, Hakuji! Mi sento così bene. Il petto non mi fa più male e ho come la sensazione che potrei correre per chilometri interi, se solo lo volessi.»
Akaza vide il fratello piangere di gioia, mentre abbracciava nuovamente la sua dolce metà, e non poté fare a meno di sentirsi felice per loro. Finalmente avrebbero potuto vivere senza il timore che la malattia potesse portarsi via la vita della giovane ragazza da un momento all'altro e tutto ciò era stato possibile solo grazie all'aiuto di Kyojuro. Il capitano guardò in direzione del lago per incontrare lo sguardo vermiglio del tritone ed esprimergli tutta la propria gratitudine, ma quando puntò le iridi ambrate dove avrebbe dovuto trovarsi l'altro, non vide altro che un corpo immobile che galleggiava sul pelo dell'acqua scura. Il sangue gli si gelò nelle vene e scattò istintivamente in avanti, pronto a tuffarsi per andare a salvarlo.
«Akaza, cosa fai?» Chiese Hakuji, fermandolo prima che potesse toccare l'acqua gelida.
«Che cazzo di domande fai? Vado a tirarlo fuori da lì!»
«Perché? Ormai non abbiamo più bisogno di lui. Dato che non possiamo ricavare niente né con il sangue né con la sua carne, che senso avrebbe salvarlo? Ha fatto ciò che doveva, importa solo questo.» Disse ancora il corvino, stringendo con forza il braccio del gemello.
Akaza sgranò gli occhi ambrati e non ci vide più dalla rabbia: liberandosi dalla presa di Hakuji, gli mollò un pugno dritto contro lo zigomo, ferendolo e facendolo vacillare all'indietro. Koyuki lo sostenne, evidentemente preoccupata per ciò che stava accadendo, ma fissò Akaza con sguardo implorante, come se gli stesse silenziosamente chiedendo di andare a salvare il tritone.
«Sono io il capitano e la decisione di ciò che va fatto o non va fatto, spetta solo a me. Che nessun altro provi a fermarmi, o giuro che stavolta è la volta buona che commetto una carneficina senza fare distinzioni.» Tuonò con voce autoritaria, girando le spalle ai propri uomini per poi entrare nel lago.
Akaza nuotò con foga, cercando di fare in fretta, e raggiunse Kyojuro che se ne stava a faccia in giù dentro l'acqua nera. Lo girò supino, così da poter accertarsi che stesse ancora respirando, accorgendosi che non era più nella sua forma da tritone, ma in quella da umano. Lo trascinò senza troppa fatica fino a raggiungere la sponda opposta e lo fece distendere contro il terreno erboso, circondato dai fiori rossi che avevano smesso di brillare nell'oscurità della grotta. Appoggiò l'orecchio al petto per sentire il battito del cuore, trovandolo debole e aritmico. Digrignò i denti e provò a pensare ad un modo per impedire che il tritone spirasse in quel preciso momento tra le sue braccia.
«Cazzo, Kyojuro! Non erano questi gli accordi. Non puoi morire!» Urlò, piantandogli due pugni contro lo sterno.
Lo guardò in silenzio, la testa che lavorava freneticamente per trovare una qualsiasi soluzione. La prima cosa che gli venne in mente, fu l'immagine di Kyojuro che cercava di tenere in vita il fratello tramite il proprio sangue e decise che avrebbe fatto altrettanto. Certo, lui non era una creatura marina dai poteri magici, ma fare un tentativo non poteva nuocere a nessuno.
Tirando su la manica della propria camicia fradicia, Akaza estrasse il coltellino che teneva nascosto nello stivale destro e si procurò un taglio lungo l'avambraccio. Il sangue iniziò a fuoriuscire immediatamente, colando lungo il braccio e gocciolando sul terreno. Afferrando la mascella ben delineata di Kyojuro, fece pressione così da fargli aprire la bocca e premette sulla ferita per permettere al sangue di uscire più copiosamente. Appoggiò l'avambraccio contro le labbra dell'altro e pregò con tutto sé stesso che quello sarebbe bastato per evitare il peggio. Il capitano aspettò che il liquido scarlatto scendesse lungo la gola di Kyojuro e trattenne il respiro, quando lo vide fremere impercettibilmente.
Un po' alla volta, il tritone riacquistò un colorito rosato e meno cadaverico, cosa che fece sospirare Akaza di sollievo. Appoggiando nuovamente l'orecchio al petto dell'altro, sentì il battito del cuore tornare regolare, anche se era ancora più debole del normale. Tolse il braccio dalla bocca di Kyojuro e lo guardò rimanere inerme, le labbra sporche del sangue che gli aveva appena dato. Allungò le dita per raccogliere le stille prima che potessero rapprendersi, pensando a cos'altro fare per aiutarlo. Quando passò il polpastrello sul labbro inferiore del tritone, lo vide arricciarsi appena e non poté resistere di fronte all'impulso di abbassarsi sul suo viso per depositargli un bacio sulla bocca. Una miriade di sensazioni diverse lo pervase con la forza di un uragano, facendolo sentire leggero come quando si ritrovava brillo per il troppo rum ingerito. Ne avrebbe voluto di più, ma non era quello il momento per prendersi quello che ormai aveva capito di desiderare.
Nel momento in cui si ritrasse per rimettersi eretto, Akaza si ritrovò a fissare le iridi vermiglie di Kyojuro che lo guardava senza però vederlo davvero. Aveva lo sguardo offuscato e sbatteva le palpebre come per mettere a fuoco ciò che aveva davanti agli occhi, ma era vivo. Quello era ciò che importava.
«A... kaza...» Lo chiamò, provando ad alzare il braccio per toccargli il volto, senza però riuscirci e perdendo subito dopo i sensi.
Il giovane capitano lo guardò, sentendosi sollevato, e sorrise fino a sentire le guance far male. Come ricordandosi improvvisamente di avere una ferita aperta sul braccio, strappò un pezzo di stoffa dalla propria camicia per fasciare il taglio che continuava a sanguinare e lo strinse in modo da evitare che potesse aprirsi troppo per lo sforzo che stava per compiere. Mettendosi in piedi e caricandosi in spalla il corpo di Kyojuro, si diresse verso i propri uomini senza dire una parola, ignorando le loro occhiate accusatorie e piene di pregiudizio. Afferrò la lampada che la creatura marina aveva appoggiato a terra quando erano arrivati lì e si avviò verso l'uscita della caverna, andando in direzione della nave su cui si sarebbe preso cura del suo tritone.
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