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Capitolo 74.

Mi aggrappai ancora di più a Minho e sentii il ragazzo irrigidirsi. I muscoli delle sue braccia guizzarono e lo sentii aumentare la presa sulla mia vita per sorreggermi. "Forza!" gridò il ragazzo, riprendendo a camminare più veloce di prima e trascinandomi dietro di lui.
Strinsi i denti e feci tutto il possibile per stargli dietro e non essere totalmente un peso.
Minho mi condusse verso l'uscita e subito imboccò un corridoio, continuando a camminare senza esitazione. Nel frattempo, nella mia testa stava accadendo di tutto: sembrava che qualcuno si divertisse ad accendere e spegnere l'interruttore della mia mente, lasciandomi vedere ciò che stava succedendo solo a pezzi. Le mie palpebre si erano fatte molto pesanti e ogni volta che le chiudevo dovevo tirare fuori tutta la mia forza d'animo per riaprirle e quando finalmente ci riuscivo tutto intorno a me era cambiato, come se fosse passata un'eternità e il mondo attorno a me fosse mutato.

Sentii il mio respiro farsi sempre più calmo e lento, come se il mio corpo stesse dormendo e la mia mente fosse prossima ad accompagnarlo nel sonno. Percepivo il fiato calarmi in gola, caldo e rilassante, per poi arrivare ai miei polmoni.
Mi sentivo come avessi potuto spiccare il volo da un momento all'altro, se solo la mia testa e i miei arti non fossero stati così pesanti da sostenere. Appoggiai una tempia alla spalla di Minho e continuai a trascinare i miei piedi all'avanti, stanca come se avessi corso una maratona.
Il Velocista urlò qualcosa e all'improvviso mi sentii sollevare da terra. Terrorizzata spalancai gli occhi, ma il corridoio che stavamo percorrendo era ancora più buio di prima, le poche luci funzionanti erano fioche e andavano a intermittenza.

Portai una mano davanti a me e tastai qualcosa di duro, caldo e bagnato.
"Resisti ancora un pochino, okay?" sentii Minho parlare con una voce affannata. Non lo avevo mai sentito così affaticato, ma ben presto capii che era colpa mia se il ragazzo stava sprecando tutte le sue ultime forze: il ballonzolare del mio corpo tra le braccia del ragazzo era il chiaro segno che il Velocista stesse salendo delle scale e dire che stesse correndo era forse limitativo.
La gente che superavamo era accaldata e in panico, ma tutti sembravano essersi calmati da quando erano usciti dal Labirinto. Nessuno gridava più, nessuno piangeva. Tutti si erano limitati a prendere per mano gli amici o i propri cari e a correre in silenzio, seguendo i miei amici come se fossero il loro unico punto di riferimento. 

Quel silenzio, per quanto mi fosse d'aiuto, non aveva fatto altro che aumentare il mio senso di smarrimento. Mi sentivo chiusa in una sfera di vetro, isolata dal mondo e dai suoi suoni.
Ma ben presto, anche la mia piccola bolla di vetro si ruppe, quando, in lontananza, si sentì un altro scoppio rimbombare nell'aria e l'edificio tremò. Le esplosioni sembravano ancora abbastanza distanti, ma non seppi dire se fosse per le mie orecchie tappate o se fosse realmente così. Appoggiai la testa sul petto di Minho, sudato e ansimante come non mai. Poi il ragazzo si fermò e mi appoggiò delicatamente a terra, nel tentativo di riacquistare le energie e le forze.

Un'altra figura si mosse veloce al mio fianco e mi si parò davanti, iniziando a parlare con Minho.
"Lascia che la porti io, adesso." mormorò una voce.
Gally. Pensai senza avere dei dubbi al riguardo.
"Non ci penso nemmeno, amico." bofonchiò scocciato Minho, attirandomi ancora di più a sé. Puntai una mano sulla spalla del Velocista e feci per replicare, ma dalla mia gola uscì solo un suono rauco. Tossii e parlai di nuovo. "Posso camminare da sola." mormorai stanca, muovendo un passo avanti e sentendomi alquanto instabile. Cosa mi stava succedendo?
Se guardavo in basso potevo vedere i miei piedi diventare improvvisamente quattro e poi sei. Le mattonelle bianche del pavimento erano alquanto sfocate e ogni cosa sembra confondersi con le altre, diventando sfocata e traballante.

Strinsi con la mia mano la spalla di Minho e non appena riuscii ad avanzare di un altro passo, mi sentii cadere. Mi accorsi che fosse solo una sensazione nel momento in cui mi trovai tra le braccia di qualcuno, salda, stretta e soprattutto non a terra.
"Quante sono?" domandò Gally, alzandomi una mano davanti al volto e sollevando quattro dita.
Scossi la testa e aggrottai le sopracciglia. "Quattro." constatai, confusa per la domanda del ragazzo che, alla mia risposta, aumentò la presa sulla mia schiena.
"Ehm, sì." borbottò abbastanza preoccupato. Poi si voltò verso di Minho e gli rivolse un sorriso di vittoria. "Ho vinto la scommessa, tocca a me."
Sentii il Velocista brontolare, ma non capii nemmeno una delle sue parole. In meno di un secondo mi ritrovai tra le braccia di Gally.

"Cosa..."
"Minho non ti voleva lasciare." rispose il ragazzo, iniziando subito a correre. "Abbiamo fatto una scommessa: se tu rispondevi quattro ti avrei portata io e se rispondevi due ti portava lui."
"E le dita quante erano?" domandai, attaccata da un'improvvisa scarica di sonno e stanchezza.
Mi appoggiai al petto di Gally e inspirai a fondo il suo odore, trovandomi improvvisamente calma e rilassata, come se nulla fosse successo e io fossi al sicuro.
"Un solo dito." disse secco il ragazzo, abbassando lo sguardo su di me e lanciandomi un'occhiata preoccupata. "Devi promettermi che non chiuderai gli occhi, Eli."
"Mmh..." mormorai, sentendomi talmente stanca da non riuscire a rispondere.

Sbattei gli occhi e quell'istante di buio che precedeva la loro completa riapertura fu il lasso di tempo più lungo della mia vita. Gally se ne accorse e subito mi rimproverò. "Parlami di qualcosa."
"Cosa?" risposi sospirando.
"D-Di... Stephen." rispose veloce, come se stesse cercando di trovare un argomento di conversazione a tutti i costi.
"È un bravo ragazzo." risposi con un sorriso, alzando gli occhi su Gally e osservando una piccola goccia di sudore scivolare lentamente sul suo zigomo e morire nel suo collo.

"Eh?" mi incalzò lui. "Ho visto che avete costruito un bel rapporto."
"Già. Lui mi vede come una delle sue sorelle."
"Sorella? Mh, avrei detto diverso."
"Cioè?" domandai io, questa volta.
"Be', a volte ho notato che si perde a fissarti." rispose con un tono leggermente irritato. "Assume quell'espressione da cane bastonato e quando ti giri verso di lui si fissa le scarpe come uno scemo."

"Non avercela con lui." borbottai, sentendo la stanchezza montare sempre più in me. "Le sue sorelle sono morte per colpa della W.I.C.K.E.D. Pensavo che Hailie fosse l'unica cosa che gli era rimasta, ma a quanto pare ha aggiunto anche me alla lista."
"Ha paura di perderti?" domandò quindi il ragazzo.
"Forse." mugugnai.
"Be', senz'altro tiene alla tua felicità. Quando ha visto che avevi perso l'arco ha insistito per tornare indietro. Non c'è stato modo di fermarlo, si è trascinato dietro la sorellina."
A sentirlo dire ciò, il sorriso appena accennato sulle mie labbra scomparve. "Sono... Sono tornati indietro?" biasciai, sentendo la mia mente iniziare a scollegare neurone dopo neurone. 

Gally mi rispose, ma ebbi un vuoto. Lo sentii borbottare qualcosa, poi il buio totale per qualche secondo. Pensai di aver appena sbattuto le palpebre quando una voce allarmata mi ricatapultò nella realtà. "No!" gridò subito il ragazzo. "Apri gli occhi."
"Scusami." mormorai, spalancando nuovamente le palpebre. "Perché è così importante che tenga gli occhi aperti?" domandai stanca.
"Perché sei già svenuta e non ho intenzione di morire di infarto vedendoti perdere conoscenza di nuovo."

Aggrottai le sopracciglia e alzai lo sguardo a fatica, osservando la sua mascella contrarsi per lo sforzo e il suo volto riempirsi di piccole gocce di sudore. "Svenuta?"
"Sì, quando ci siamo separati da Vince." mi informò. "Hai perso un sacco di sangue e anche se non sono un caspio di Medicale sono sicuro che è un miracolo che tu sia ancora viva."
"È per questo che sia tu che Minho state correndo come pazzi?"
"Già." rispose Gally. "Prima arriviamo, prima ti curiamo."
Una risatina mi scosse. Improvvisamente mi sembrava tutto così confuso e comico. "Prima arriviamo, prima mi metto a dormire." biascicai, sentendo la mia testa pesante annebbiarsi di nuovo.

Ci fu un'esplosione da qualche parte sopra di noi che scosse l'intero edificio e Gally traballò su sé stesso, ma non si fermò e scattò all'avanti. Mi sporsi leggermente e guardai oltre il suo braccio riuscendo appena in tempo a vedere un gruppo di piastrelle staccarsi dal soffitto e cadere a terra con un tonfo, fortunatamente senza ferire nessuno.
L'aria si riempì di rumori di cose che cigolavano e si rompevano. Alla fine, dopo aver tremato per diversi secondi, tutto si fermò e ripiombò nel silenzio.
"Continuiamo a muoverci! Ci siamo quasi!" gridò Teresa da qualche parte. La sua voce mi arrivò ovattata, ma riuscii almeno a comprendere il significato delle sue parole.

Sentii un brivido scuotermi la schiena e mi accoccolai ancora di più a Gally. I miei piedi avevano iniziato a essere abbastanza congelati, così come le mie gambe e le mie mani.
Feci scorrere i miei palmi sul petto del ragazzo e li intrufolai nella fessura tra il mio corpo e il suo, nel tentativo di scaldarli.
Pensavo di essermi abituata a quella sensazione di freddo che ultimamente mi aveva circondata come una nebbia fitta, ma a quanto pareva quello era un freddo più reale. Da quando io e Newt ci eravamo separati le mie giornate erano invase dal gelo proveniente dal mio cuore. Mi mancava il tepore di Newt, in grado di scaldarmi con solo un tocco.

E invece ora mi ritrovavo a dover provvedere da sola a quel freddo, a fare in modo che non invadesse altri luoghi del mio corpo, come la mia mente. Eppure ultimamente era stato sempre più difficile cacciare quelle ombre nere e fredde che ogni volta, sempre con più forza e ardore tentavano di avvelenarmi. Ma sapevo che in realtà non fossero le ombre a diventare più forti, ma io a diventare più debole. Perché continuare a combattere per qualcosa che prima o poi mi avrebbe divorata? Perché sforzarsi tanto per mantenere in piedi i tasselli che componevano la mia vita se tanto mi sarebbero crollati addosso una volta esaurite le energie? 

Ero allo stremo delle forze.
Ero stanca.
Tanto stanca.
Erano esplose molte altre bombe, ognuna più vicina della precedente, ma per me quel suono era come una ninna nanna.
Sentii Gally chiamare il mio nome e il mio corpo venne spostato lentamente. Solo in quel momento mi accorsi che il ragazzo dovesse essersi fermato. Con una fatica immane aprii gli occhi e mi guardai attorno. Senza nemmeno essermene accorta il ragazzo mi aveva messa in piedi, continuando però a sorreggermi con le sue braccia.

Sollevai lo sguardo e mi ritrovai proprio davanti allo sgabuzzino che Teresa aveva descritto.
All'interno di quella stanza erano ormai entrate un sacco di persone e a stento riuscivo a vedere ciò che era presente all'interno. Lo sgabuzzino era situato dietro un enorme magazzino. File ordinate di scaffali di metallo pieni di scatole erano allineate lungo il muro di destra. Thomas era entrato e stava facendo segno a tutti di avanzare nella stanza.
C'era solo una porta sul retro di quello spazio, doveva per forza essere quella dello stanzino che stavamo cercando.
"Continuate a farli entrare e preparateli." disse a Brenda; poi corse verso la porta. 

"Andiamo." constatò Gally, stringendomi forte a lui e camminando all'avanti, seguendo Thomas. Potevo sentire la fatica del ragazzo nei suoi respiri: brevi e continui, come se non avesse mai abbastanza ossigeno a disposizione.
Se la cancelliera Paige avesse mentito riguardo al Pass Verticale, o se qualcuno della W.I.C.K.E.D. o del Braccio Destro avesse intuito quello che stavamo per fare, saremmo stati spacciati. Non avevamo altre via d'uscita, perciò o morivamo sotto le macerie o trovavamo quel dannatissimo Pass Verticale.

Gally mi condusse verso la porta sul retro e ci ritrovammo vicino a Thomas. Lui la spalancò ed entrò nella stanza successiva, piena di tavoli coperti di attrezzi e rottami di metallo e pezzi di macchinari. Sulla parete in fondo era appeso un grande telo. Thomas lo raggiunse di corsa e lo strappò. Dietro trovò un muro grigio luccicante, incorniciato da un rettangolo d'argento lucido e, accanto, una centralina. Doveva essere quello il Pass Verticale. La cancelliera aveva detto la verità.

A quel pensiero sentii un sorriso spiccare tra le mie labbra. Eravamo salvi. Ce l'avevamo fatta.
E pensare che era stato proprio il capo della W.I.C.K.E.D., l'associazione che ci aveva torturato per anni, a darci alla fine la chiave per uscire da quel labirinto di orrori.
Thomas fece un profondo respiro, poi senza dire nulla alzò un piede ed entrò nella lastra, scomparendo dalla vista di tutti.
Rimasi a fissare quella parete grigia con la bocca aperta e il fiato sospeso. Sicuramente Thomas stava controllando che quel posto fosse effettivamente sicuro per poi far entrare tutti, ma avevo comunque paura che fosse una trappola.

I secondi passarono lenti e l'unica cosa che riempiva quel silenzio era il rumore dei respiri affannati di Gally affianco a me. Le mie palpebre, nonostante fossero pesanti, erano rimaste aperte da quando Thomas aveva varcato quel Pass Verticale e, per quanto sentissi la stanchezza affiorare in me come un uragano, ero decisa a non chiudere gli occhi fino a quando non avrei visto ricomparire il ragazzo.
Un altro scoppio scosse quell'edificio e il mio cuore perse di un battito. Mi aggrappai alla spalla di Gally nel momento in cui tutto prese a tremare, dandomi la solita sensazione di instabilità e confusione.

Rilasciai un respiro profondo e ripresi a fissare ardentemente la grande porta.
Dopo quella che mi sembrò un'eternità, finalmente vidi la testa di Thomas apparire nuovamente, poi il suo intero corpo.
"Andiamo!" gridò. "Fate entrare tutti qui dentro. Funziona! Presto!"
Un'esplosione sbatacchiò i muri e gli scaffali di metallo. Polvere e detriti cominciarono a piovere dal soffitto. "Presto!" ripeté.
Sentii Gally spingere sulla mia schiena, ma non appena capii le sue intenzioni, puntai i piedi a terra. "No." mi opposi, voltandomi e rivolgendo al ragazzo un'occhiataccia. "Non entro qua dentro fino a che Stephen non è tornato."

"Cosa?" rispose il ragazzo sollevando le sopracciglia. "Sei ferita, devi passare per prima."
"No." mi opposi nuovamente. "Ferita qui o ferita dall'altra parte non cambia."
"Quanto sei..." il ragazzo scosse la testa e si morse il labbro, reprimendo l'istinto di uccidermi. "Ritiro ciò che ho detto. Se fossi svenuta tutto sarebbe più semplice."
"Già, peccato che le cose non siano mai semplici." replicai abbozzando un sorriso. "Usciamo da qui? Sicuramente gli altri sono tutti fuori."
"Non provo nemmeno a dirti di no." bofonchiò il ragazzo facendo spallucce e aiutandomi ad attraversare quella stanza per poi arrivare alla porta dello sgabuzzino.

Teresa stava già facendo muovere la gente, indirizzandola verso di Thomas, che stava lì sulla porta. Quando arrivò la prima persona, la prese per un braccio e la condusse verso il muro grigio del Pass Verticale, iniziandole a spiegare qualcosa che tuttavia non riuscii a sentire.
Nel frattempo io e Gally attraversammo la porta e tornammo nel magazzino. La gente si era messa tutta in fila e stavano entrando uno alla volta nello sgabuzzino. In fondo a tutta quella gente c'erano Minho, Brenda, Jorge, Teresa, Violet, Frypan e qualche altro membro del Gruppo B. Io e Gally avanzammo verso il resto del gruppo e ben presto ci raggiunse anche Thomas.
"Sarà meglio che si sbrighino lì davanti." bofonchiò Minho indicando con il mento la fila davanti a noi. "Le esplosioni si stanno avvicinando sempre di più."

Stephen, dove sei?
"Questo posto crollerà." aggiunse Gally. Vidi Thomas osservare il soffitto come se si aspettasse che accadesse proprio in quel momento.
Stephen, dove diamine sei? Il pensiero del ragazzo intrappolato sotto le macerie era l'unica cosa che mi impediva di cadere a terra e svenire una volta per tutte. Volevo che quell'incubo finisse. Volevo che tutto tornasse normale, come ai vecchi tempi. Volevo avere di nuovo Newt, i miei amici, la felicità. Volevo poter tornare a sorridere senza sentirmi stupida o ingenua. Perché doveva esistere tanta cattiveria nel mondo? Prima la W.I.C.K.E.D. e poi il Braccio Destro. Cosa ci avrebbe atteso una volta aldilà del Pass Verticale?

Thomas annuì verso Gally, poi parlò "Lo so. Gli ho detto di fare presto. Saremo fuori di qui in un..."
"Bene bene, cosa abbiamo qui?" gridò una voce dall'altra parte del magazzino.
Ancora prima che riuscissi a capire a chi appartenesse quella voce, il mio corpo rabbrividì, anticipando la paura e il disgusto che provai non appena voltandomi trovai Janson avanzare in nostra direzione. Sentii i miei amici sussultare insieme a me e Gally mi trasse a sé istintivamente, come a proteggermi. L'Uomo Ratto era appena entrato dalla porta che dava sul corridoio e non era solo. Era circondato dalle guardie di sicurezza della W.I.C.K.E.D., sette in tutto.

Janson si fermò e si mise le mani intorno alla bocca per gridare sopra il boato di un'altra esplosione. "Strano posto per nascondersi quando tutto sta per crollare!"
Pezzi di metallo caddero dal soffitto, sferragliando sul pavimento. "Tu lo sai cosa c'è qui!" gli rispose Thomas. "È troppo tardi... lo stiamo già attraversando!"
Janson tirò fuori un lungo coltello e glielo fece vedere come una tacita minaccia. E come se fosse un segnale, gli altri mostrarono armi simili. "Ma possiamo salvarne qualcuno." disse Janson. "E a quanto vedo, abbiamo i più forti e più intelligenti proprio davanti a noi. Persino il nostro Candidato Finale, niente meno! Quello che ci serve di più, ma che si rifiuta di collaborare!"

Mi morsi il labbro e all'improvviso mi sentii nuovamente carica di energie, quasi come se il disprezzo per quell'uomo fosse talmente elevato da superare il senso di stanchezza e il dolore acuto. Senza esitare mi portai una mano dietro la schiena e tastai il vuoto alla ricerca del mio arco. Poi ricordai.
Stephen. Stephen era tornato a prendere il mio arco.
"Oh, speravo che lo facessi." mormorò Janson notando il mio gesto e sorridendomi in modo sinistro. "Stavi cercando questo?" domandò quella specie infima di uomo, facendo un cenno a qualcuno fuori dalla stanza.

All'improvviso dal corridoio apparve un altra figura. Una guardia stava trattenendo Stephen puntando un coltello affilato alla sua gola.
Spalancai gli occhi non appena notai il volto pieno di sangue e graffi del ragazzo, ma il mio cuore smise di battere nel momento in cui la guardia che lo teneva fermo gli affibbiò un calcio nello stomaco, facendolo cadere a terra in ginocchio. Non appena il ragazzo lasciò la presa sull'arco, facendolo cadere a terra, un urlo si diffuse per la stanza. Solo allora notai la piccola figura esile e indifesa di Hailie, tenuta ferma a stento da una guardia. La piccola si stava dimenando tra le sue braccia, piangendo e cercando di raggiungere il fratello che, mugugnando dal dolore, aveva appoggiato la fronte a terra.

Se solo avessi potuto raggiungere il mio arco...
"Come puoi..." iniziai, ma subito dopo mi zittii, capendo che parlare fosse l'unica cosa da non fare in quel momento. Janson era un uomo malvagio, senza scrupoli né coscienza, incapace di provare sentimenti e di ascoltare le parole degli altri. Non importava cosa fosse uscito dalla mia bocca, lui non si sarebbe fermato.
Mi guardai attorno in cerca di sostegno e mi sorpresi quando vidi i miei amici schierati in formazione uno accanto all'altro a fare da barriera tra i prigionieri, sempre meno numerosi, e le guardie, ognuno con un'arma improvvisata in mano: tubi, viti lunghe, il bordo appuntito di una griglia metallica, un grosso pezzo di cavo ricurvo che terminava con una serie di fili elettrici.

Rialzai lo sguardo da terra proprio quando un'altra esplosione scosse la stanza, sbattendo una grossa parte della scaffalatura di metallo sul pavimento.
"Non ho mai visto un mucchio di delinquenti tanto minaccioso!" gridò l'Uomo Ratto con una faccia da pazzo, la bocca distorta in un ringhio selvaggio. "Devo ammettere di essere terrorizzato!"
"Chiudi quella bocca del caspio e risolviamo questa cosa una volta per tutte!" gli gridò Minho. Janson concentrò il suo sguardo freddo e folle su di noi. "Volentieri." disse. Per quanto fossi ansiosa di dare sfogo alla rabbia repressa per tutta la paura e il dolore e la sofferenza che avevano segnato la mia vita e quella delle persone a me care così a lungo, sapevo che Stephen ed Hailie avessero la precedenza.

Non appena Thomas gridò di andare all'attacco e i due gruppi caricarono, mi voltai verso Gally e lo fermai, supplicandolo con lo sguardo di restare. Le grida di battaglia vennero ben presto soffocate dall'improvvisa e violenta esplosione che scosse l'intero edificio intorno a noi, ma feci del mio meglio per trattenere il ragazzo che sembrava voler entrare in azione il più presto possibile.
"Ti prego, aiutami a liberare Stephen e Hailie." lo supplicai, tenendo una mano ben ancorata al suo bicipite in modo che il ragazzo non fuggisse dalla mia presa. "Devi solo aprirmi la strada fino all'arco."
"Eli, non credo che tu riesca a..."

"Ti prego." ripetei senza farlo finire. "Ti prego aiutami."
Fissai il ragazzo negli occhi, supplicandolo con lo sguardo e pregando che comprendesse la mia necessità. Stephen aveva rischiato la vita per tornare a prendere il mio stupido arco, non potevo lasciarlo in mano a quei bastardi senza fare nulla.
Non mi importava se riuscivo a stento a camminare. Non mi importava se la mia testa girava all'impazzata, confondendomi e dandomi un senso di nausea. Non mi importava quante frecce avrei dovuto scoccare prima di beccare una guardia. Volevo essere io a uccidere quei bastardi. A tutti i costi.
"Vedi di non farti ammazzare però." mormorò infine Gally, rivolgendomi un piccolo sorriso di soddisfazione misto a preoccupazione. "Perché ti assicuro che sei veramente l'unica cosa che mi rimane."

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