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Capitolo 36.

"Tom!" gridai. Mi precipitai verso di lui, ma prima che potessi raggiungerlo mi sentii prendere in vita e qualcuno mi alzò in aria, tenendomi ben stretta e impedendomi di avanzare.
Mi sorpresi quando, girandomi, mi ritrovai il volto di Newt a pochi centimetri dal mio. Il suo sguardo era preoccupato e attento, come se stesse maneggiando un oggetto di porcellana, poi quando vide che lo stavo osservando il suo volto si indurì e mi lanciò un'occhiata indifferente. "In caso non l'avessi visto, Tommy è pieno di elettricità. Se lo tocchi ti trasformerai in una cacchio di fetta di bacon bruciata." spiegò con tono duro.

Annuii e strinsi la mascella per evitare di chiedergli quale diamine fosse il suo problema. Quel ragazzo mi faceva impazzire. Prima minacciava di farmi del male, poi mi dava contro, poi faceva il geloso e dopo ancora non voleva neanche che aiutassi un amico per evitare di finire abbrustolita. Insomma, ce l'aveva con me veramente o stava solo recitando, prendendosi di tanto in tanto una pausa?
Newt annuì a sua volta e mi appoggiò lentamente a terra, per poi prendere le distanze e avvicinarsi a Thomas con cautela. Dopo aver osservato l'amico contorcersi e mugugnare dal dolore, il biondino si voltò per la stanza, alla ricerca di qualcosa. Probabilmente non trovando nulla che gli fosse utile, Newt fece un cenno a Minho che, prontamente, non brontolò.

"Jorge metti questa caspio di Berga in moto. Ora." urlò Minho, nella speranza che il pilota – ora rinchiuso nella cabina di pilotaggio assieme a Brenda – lo sentisse.
Quasi come se Jorge lo avesse letto nel pensiero, si sentì il rombo di un motore accendersi e delle fiamme azzurre uscirono dai propulsori soffiando forte e lanciandoci addosso una vampata di calore.
"Non c'è più tempo, tiriamolo dentro!" urlò Newt cercando di sovrastare il rumore del motore che tremava sotto i nostri piedi.
Senza aspettare che le scariche elettriche si attenuassero ancora, Newt e Minho afferrarono Thomas rispettivamente per le braccia e i piedi, poi grugnendo e cercando di resistere alle scariche elettriche passate anche sui loro corpi, lo trascinarono maldestramente dentro la Berga, permettendo a Jorge di chiudere così il portellone.

Si sentì un forte clic e poi la rampa cominciò a sollevarsi, con i cardini che cigolavano. I propulsori dell'aeromobile ronzavano acquistando potenza, facendo vibrare l'intero affare, compreso il pavimento sottostante. Mi sentii improvvisamente instabile e mi dovetti attaccare al muro, cercando appiglio su qualcosa. Quando mi sentii abbastanza in equilibrio, mi voltai verso il portellone e vidi che mancava ancora molto alla sua completa chiusura.
Vidi Minho e Newt accasciati a terra, non molto distanti dal corpo apparentemente inerme di Thomas. Avanzando cautamente e cercando di non perdere l'equilibrio mentre l'aeromobile si sollevava da terra, arrancai verso i ragazzi e quando fui abbastanza vicina, mi inginocchiai vicino a Thomas.

Il ragazzo emanava puzza di bruciato. Un odore sgradevole e che mi fece da subito venire la nausea. Le scariche bianche incandescenti si erano fatte molto meno forti e frequenti, ma per sicurezza attesi fino a quando queste non cessarono del tutto, poi mi allungai su di lui e lo girai a pancia in su.
Thomas respirava ancora, ma a scatti, come se ogni piccolo movimento – persino quello della gabbia toracica – gli lanciasse fitte di dolore ovunque. Lo vidi incrociare il mio sguardo e muovere impercettibilmente le labbra forse per dirmi qualcosa, ma l'unica cosa che gli uscì dalla bocca fu un grugnito misto a un gorgoglio. Sembrava guaire come un cane ferito.
Lo vidi chiudere gli occhi e sospirare frustrato, poi smise di muoversi completamente, eccetto per il torace che continuò a fare su e giù a ritmo costante. Forse si era addormentato o forse, cosa più probabile, era svenuto.

Rilasciai un forte sospiro, poi feci per allontanarmi dal ragazzo, quando una voce acuta alle mie spalle mi fece voltare di scatto. Vidi Hailie con le guance rigate dalle lacrime correre in modo instabile verso il fratello steso a terra a pochi metri dall'entrata. Pensai che la bambina sarebbe caduta, dato che era difficile per tutti rimanere in equilibrio sopra un pavimento che si muoveva e si inclinava, e per prevenire ciò decisi di chiamarla per nome. Ma proprio quando aprii la bocca per parlare, la Berga ebbe uno scossone, seguito da un vuoto d'aria che ci fece sobbalzare tutti, e la bambina inciampò nei propri piedi, cadendo a terra e iniziando a rotolare pericolosamente verso il portellone che ancora non si era serrato del tutto.

Mancava solo un metro alla chiusura definitiva della cacchio di rampa, ma non si sarebbe mai chiusa così velocemente da sottrarre Hailie dalla brutta caduta nel vuoto.
Spalancai gli occhi terrorizzata e urlai il nome della bambina, poi dando ascolto al mio istinto scattai all'avanti e corsi in direzione della bambina. Nel tentativo di afferrarla mia lanciai a terra, ma prima di riuscire ad afferrarle il lembo della maglietta, la Berga ebbe un altro scossone e la bambina rotolò lontano da me. Quando caddi rovinosamente a terra, l'impatto violento con il pavimento della Berga mi tolse il fiato, facendomi poi mugugnare per il dolore, ma ignorai le fitte e iniziai a strisciare verso la bambina che nel frattempo aveva continuato ad avvicinarsi pericolosamente verso l'uscita.

Mi mossi velocemente a terra, sbattendo e sbucciando ginocchia e gomiti, e quando fui sul punto di afferrare la piccola manina di Hailie, lei venne catapultata fuori dalla Berga, urlando spaventata. Senza dare ascolto all'equilibrio che minacciava di abbandonarmi da un momento all'altro mi diedi un altro slancio all'avanti, finendo con mezzo busto fuori dalla rampa, e afferrai saldamente il braccio della bambina, per poi aggrapparmi a una giuntura sporgente del portellone. Provai a tirarla su con la sola forza di una mano, ma sembrava quasi che Hailie fosse aumentata di peso negli ultimi secondi, rendendomi difficile ogni tentativo di metterla in salvo sollevandola solo con un braccio. 

Così allungai anche l'altro arto, abbandonando l'appiglio a cui mi ero aggrappata, e iniziai a sollevarla, sentendo le mie mani inumidirsi sempre di più per il sudore. Non mi ero mai sentita così instabile e sul punto di cadere in vita mia. Soffrivo di vertigini e quella non era la posizione più sicura e stabile del mondo.
Mi vedevo precipitare nel vuoto e il mio cervello continuava a urlarmi di abbandonare tutto e rintanarmi in un angolo isolato dentro la Berga. Avrei veramente voluto farlo, ma quella bambina era troppo piccola e innocente per morire così. 

Avrei dato la mia stessa vita pur di mantenerla in salvo, soprattutto quando sapevo che Stephen non avrebbe sopportato il dolore della perdita di un'altra delle sue sorelline. Lei era la sua famiglia, l'unica cosa rimasta del suo passato, e io avrei fatto di tutto pur di restituirgliela sana e salva, perché sapevo cosa si provasse a non avere nulla.

Digrignai i denti e quasi ruggendo per lo sforzo, canalizzai la poca forza rimasta nelle braccia. Tirai i muscoli, sentendo ogni parte del mio corpo tremare a scatti e fui quasi sul punto di tirarla completamente in salvo, quando la Berga ebbe un altro forte scossone e senza neanche accorgermene mi ritrovai anche io fuori dall'aeromobile. La terra era improvvisamente venuta a mancare sotto il mio corpo e non potei fare a meno di urlare quando realizzai che se non trovavo un appiglio alla svelta, ci saremmo entrambe spiaccicate al suolo.

Allungai il braccio velocemente contro il bordo del portellone e dopo aver sbattuto violentemente il polso, mi ci aggrappai velocemente, sentendo le mie dita umidicce per il sudore tremare per la fatica. Purtroppo la mia presa resistette solo per pochi secondi perché i miei polpastrelli – ormai colorati di viola e madidi di sudore – si stavano staccando più velocemente del previsto. Cercai di rianimare la presa, ma ogni movimento non fece altro che peggiorare la situazione: non riuscivo a sostenere sia il peso del corpo della bambina che il mio, e per di più non potevo neanche azzardarmi a tentare una mossa per cercare di mettere in salvo almeno la piccola.
Le mie dita avrebbero resistito solo per pochi altri secondi.

Senza sapere cosa altro fare, abbassai lo sguardo verso la bambina e la vidi pallida come un morto, con gli occhi fuori dalle orbite e la bocca aperta in un continuo e agonizzante urlo. "Hailie!" gridai. "Andrà tutto bene, okay?" gridai, sentendomi improvvisamente bugiarda. "Non ti lascio, non ti lascio." le ripetei fingendomi calma e speranzosa.
La bambina serrò la bocca, ma continuò a piangere silenziosamente. Poi la vidi annuire.
"Brava, così Hailie." mormorai tra me e me. "Sii solo coraggiosa e vedrai che tutto finirà presto." le dissi, sorridendole incoraggiante.
Non appena terminai la frase, sentii le mie dita abbandonare la struttura. Serrai la bocca per non urlare e chiusi gli occhi, attendendo l'immanente impatto con il suolo.
Poi improvvisamente sentii una mano afferrare saldamente la mia e dopo pochi secondi, mi sentii sollevare lentamente e a fatica.

Alzai gli occhi e vidi Newt sporgersi oltre il bordo del portellone, con la faccia rossa e le vene del collo visibili a causa dello sforzo. Le sue braccia erano allungate e tese, e per quanta forza il ragazzo stesse impiegando queste continuavano a tremare per la fatica.
"Prendi Hailie prima!" gridai al ragazzo, implorandolo con lo sguardo.
Newt aveva la bocca serrata ed ero sicura che non riuscisse neanche a parlare per lo sforzo eccessivo, ma dal suo sguardo capivo che non era affatto contento della mia richiesta, ma senza brontolare la assecondò velocemente, annuendo impercettibilmente.
Senza attendere oltre, presi un profondo respiro e sforzandomi al massimo, riuscii a tirare la bambina al mio pari, poi lasciando a Newt il resto del lavoro.

Il biondino allungò velocemente una mano vero Hailie e la afferrò al volo, poi la tirò con lui dentro la Berga, senza mai abbandonare la presa su di me. Da quando Newt aveva iniziato a sorreggermi con una sola mano, tutto il mio corpo aveva iniziato a tremare e la mia mente continuava a urlarmi contro 'tanto adesso cadiamo'.
Accantonai i pensieri negativi, ripetendomi più volte che Newt non mi avrebbe mai lasciata cadere nel vuoto, ma quando sentii l'altra mano del ragazzo tornare a sorreggermi, non potei fare a meno di impazzire di sollievo. Ora se non altro aveva più possibilità di salvarmi.
Urlando per la fatica, il biondino iniziò a tirarmi all'indietro, sbattendo i piedi sui cardini ogni volta che indietreggiava e finalmente, dopo diverse spinte, riuscì a mettere almeno la metà del mio corpo sulla rampa.

A quel punto fu semplice per me spingermi da sola. Lanciai uno sguardo all'indietro e mi paralizzai non appena vidi quanto mancasse alla completa chiusura del portellone: se non mi fossi data una mossa, sarei rimasta schiacciata nel mezzo.
Iniziai a scalciare, sentendo i miei vestiti impigliarsi qua e là. Il mio corpo aveva continuato a tremare fortemente e ciò non mi aiutava affatto. Mancavano meno di quaranta centimetri alla chiusura e ancora i miei polpacci erano fuori dalla Berga.
Tirando un forte strattone e scorticandomi la pelle contro le giunture sporgenti, riuscii ad entrare totalmente nell'aeromobile, ma anche dopo che il portellone si chiuse del tutto, continuai a strisciare all'indietro fino a che delle braccia non mi strattonarono di lato.

Mi sentii abbracciare, ma nonostante questo continuai a fissare terrorizzata la rampa ormai chiusa, realizzando solo in quel momento dell'enorme pericolo a cui ero scampata.
"Sei al sicuro, sei al sicuro." sentii una voce sussurrare alle mie orecchie. Ancora scioccata da quello che era appena successo, girai il collo e alzai lo sguardo. Questi perlomeno erano gli unici movimenti che riuscivo a compiere, dato che il resto dei muscoli sembrava essersi staccato all'improvviso dal mio corpo, rimpiazzati da una fastidiosa leggerezza. Era come se fossi sotto anestesia.
"Sei al sicuro." disse per l'ennesima volta. Osservai per qualche secondo il volto che mi stava parlando, senza riconoscerlo, poi quando capii che si trattasse di Newt, sospirai e abbandonai la mia testa sul suo torace, respirando profondamente nel tentativo di calmarmi.

Era come se i miei polmoni si fossero trasformati in cemento, impedendomi di prendere fiato, e li potevo sentire tremare per la fatica di inalare davvero poco ossigeno.
"Ci sono io qui. Sei al sicuro." ripetè Newt, allungando una mano sul mio fianco e l'altra sulla testa, lasciando le dita libere di vagare tra i miei capelli. Il ragazzo iniziò a fare avanti e indietro con il corpo, cullandomi in quella che poteva essere la ninnananna più silenziosa, ma anche più efficace del mondo.

Mi accoccolai a lui e rimasi così per diversi minuti, chiudendo gli occhi e concentrandomi solo sul suo odore, poi all'improvviso mi ricordai di Hailie e scattai rigida a sedere.
"Hailie!" dissi a Newt. "Dov'è?"
"Calmati, io l'ho tirata dentro." mi disse il ragazzo, guardandomi imbronciato per essermi distaccata così bruscamente da lui.
"Scusami Newt." mormorai. "Mi hai salvato la vita e non ti ho nemmeno ringraziato." spiegai portandomi una mano sulla fronte e scuotendo la testa.
"Tranquilla. Ho visto quanto tu ti sia affezionata a quella bambina e capisco la tua preoccupazione." mi rassicurò, togliendo delicatamente la mia mano dal volto. "Noi possiamo stare assieme dopo, quando avrai finito con lei."

Annuii rassicurata e mi alzai in piedi, prima toccando la spalla a Newt e poi raggiungendo la bambina che trovai inginocchiata affianco al fratello ancora privo di sensi.
Mi avvicinai cautamente e mi sedetti al suo fianco. "Hailie." sussurrai.
Lei non si voltò neanche verso di me, rimanendo con lo sguardo fisso verso il fratello. "È morto, vero?" domandò, lasciando uscire una lacrima che si andò ad aggiungere alle altre.
"Oh no, Hailie." mi sbrigai a dire. "È solo svenuto."
"Io voglio che si sveglia." brontolò la bimba, trattenendo a stento un singhiozzo.

"Va bene. Vediamo che posso fare." mormorai avvicinandomi di più al ragazzo e allungando una mano sul suo volto.
Aveva i capelli dritti per aria, il naso e la bocca insanguinati, per non parlare poi della terribile puzza di bruciato, ma a parte quei dettagli sembrava stare bene. "Stephen." lo chiamai, ottenendo nessuna risposta e nessun movimento. "Stephen!" dissi ancora, con voce più forte. Nulla.
Arricciai naso e bocca, poi alzai una mano in aria e lo colpii violentemente sulla guancia, urlando il suo nome. Finalmente il ragazzo balzò a sedere, gli occhi sbarrati che giravano per la stanza e il volto macchiato dal segno rosso di una mano, poi il suo sguardo si posò su di me e mi incenerì. 

"Perché diamine lo hai..."
Non finì neanche la frase che Hailie gli balzò addosso, dandogli una testata sulla bocca e abbracciandolo senza neanche curarsi delle smorfie di dolore del fratello.
"Sono felice di rivederti anche io, Hailie." bisbigliò Stephen, ignorando il dolore e nascondendo il volto tra i capelli della sorellina. Vidi le braccia del ragazzo allungarsi enormi dietro la bambina e poi attorcigliarsi attorno al suo busto, stringendola forte a sé.
Stephen si alzò in piedi senza fatica e solo quando lo vidi in perfetto equilibrio su due gambe, con la sorella in braccio, senza sentire il bisogno di aggrapparsi al muro, mi accorsi che in realtà la Berga si fosse stabilizzata, evitando gli scossoni e i vuoti d'aria che prima erano stati la causa di tutto quel trambusto.

Vidi Stephen abbassare poi gli occhi e rivolgermi lo sguardo. Il ragazzo mi accennò un sorriso strano, poi allungò una mano per aiutarmi ad alzarmi. Sorpresa da quel gesto, decisi di accettare la sua offerta di aiuto, ma non appena le mie dita sfiorarono i suoi polpastrelli, lui ritrasse la mano e mi mostrò il dito medio. "Questo è per lo schiaffo di prima."
Spalancai la bocca sorpresa e scandalizzata, ma non riuscii a evitare la risata spontanea che mi uscì dalla gola. Quel ragazzo non smetteva mai di sorprendermi.

"Cosa vuol dire quel... quella cosa con le mani che hai fatto?" domandò la bambina incerta, cercando di ricreare in modo maldestro il gesto appena compiuto dal fratello, aiutandosi anche con le dita.
"No, no, no, no..." mormorai balzando in piedi e racchiudendo le piccole mani della bambina tra i miei palmi. "Questo è un brutto gesto, non si fa mai."
"In realtà si può fare." mi corresse Stephen, ma dopo aver recepito la mia occhiataccia di fuoco, si corresse: "Voglio dire, la puoi fare solo alle persone che sono cattive con te."

Scossi la testa e trattenni un'altra risata. Stephen era irrecuperabile. Non c'erano speranze.
"In ogni caso, dovresti farti una bella dormita, Caccola." spiegò il ragazzo, rivolgendosi alla sorellina.
"Okay, Capitan Caccone." rispose fiera la bambina, posando una mano sulla guancia del fratello e mostrandogli la linguaccia.
"Io non sono Capitan Caccone." brontolò Stephen, fingendo una bizzarra espressione offesa che fece ridere di gusto la sorellina.
"Allora è lei Capitan Caccona." rispose Hailie indicandomi con la mano.

Aggrottai le sopracciglia e scossi la testa. 'Capitan Caccona' era il nomignolo più strano e ridicolo che mi fosse stato affibbiato fino a quel momento, arrivando persino per primo in classifica e superando il soprannome di 'Pasticcino'.
"Sì, mi sta bene. Pasticcino, sei eletta Capitan Caccona." esclamò Stephen battendo sulla mia spalla come a consolarmi, poi tornò con l'attenzione sulla sorellina. "E ora si va a nanna senza storie. Sarà un viaggio lungo."




Io e Stephen eravamo rimasti a sedere per terra, vicino al divanetto rosso posto nel corridoio centrale della Berga e per tutto il tempo nessuno dei due aveva spiccicato una parola, troppo presi a osservare il visino angelico e dolce di Hailie che si era addormentata non appena era entrata in contatto con il cuscino.
Poi per un attimo mi ritrovai a osservare Stephen con la coda dell'occhio, intenta a godermi la sua espressione pacifica che mostrava solo quando c'era la sorellina in giro: conservava quegli sguardi solo per lei e ora ne capivo il motivo. 

Non lo avevo mai visto così rilassato, sereno, felice e privo di ogni preoccupazione da quando lo avevo conosciuto. Mi era sempre sembrato assente e diffidente, freddo con qualsiasi persona avesse cercato di insinuarsi anche di poco dentro il suo cuore, che una volta credevo essere fatto di ghiaccio. Una volta era quasi come se odiasse il mondo e sé stesso, quasi come se si sentisse talmente incompleto e a pezzi da non riuscire a fare spazio ad altro nella sua vita.
Ora invece era una persona totalmente diversa.

"Perché prima lo hai fatto?" domandò Stephen di punto in bianco, cogliendomi di sorpresa.
"Ehm..." mormorai schiarendomi la gola imbarazzata. "F-Fatto cosa?"
"Ti sei scusata. Lo hai fatto anche quando non avevi colpe." spiegò il ragazzo, incrociando il mio sguardo. "Come facevi a sapere che Teresa fosse importante? È stato Newt ad aver sbagliato."
"L'ho fatto perché Newt non ha bisogno di assumersi più colpe di quante ne abbia già. Il suo comportamento non è colpa sua."
"Mmh..." mormorò lui poco convinto. "Se lo dici tu."
"Lo dico io." spiegai. "E poi senti da quale pulpito arriva la predica."

"Cosa intendi?" mi chiese confuso, aggrottando le sopracciglia.
"Ti ricordi di come mi trattavi nella Zona Bruciata, no? E tu non eri affetto da Eruzione."
"No, infatti. Stavo recitando una parte." si difese lui, nella voce una punta di offesa.
"Lo so. Intendo solo dire che... Per un periodo sei stato bipolare, proprio come lo è Newt adesso, quindi forse dovresti capirlo un po' meglio. Non so cosa giri nella testa di voi ragazzi: insomma, un giorno siete tutti carini e coccolosi, e il giorno dopo offendete e attaccate come belve." spiegai.

"A meno che Newt non ti consideri come una sorella, non posso aiutarti." mormorò sovrappensiero Stephen.
Spalancai la bocca e lo guardai assottigliando gli occhi. "Come hai detto?"
"Nulla." disse sbrigativo Stephen, tossendo e grattandosi la nuca.
"Ormai lo hai detto e io l'ho sentito chiaro e tondo. Fatti avanti e spiegati." ordinai alzando un sopracciglio, curiosa di sentire la sua spiegazione.
"Ecco... Pensavo lo avessi capito, ormai." borbottò lui fingendosi distaccato. "Mi hai sempre ricordato le mie sorelle. Piccole, indifese..."
"Io non sono indifesa!" lo corressi, fingendomi offesa.

"Sta' zitta e fammi parlare." ordinò lui secco, rivolgendomi un volto imbronciato. "Dicevo..." riprese dopo che mi vide serrare la bocca stizzita. "Mi hai sempre ricordato loro in qualche modo e ho iniziato a sentirmi in dovere di proteggerti, sempre. Ma allo stesso tempo non volevo far vedere che mi ero attaccato a te. Sai qual è la filosofia della W.I.C.K.E.D.: 'affezionati a qualcosa e io te la toglierò'. Ecco, avevo paura che potessero farti del male solo perché avevo dimostrato di tenere a te."
Dopo che il ragazzo finì il suo discorso, mi ritrovai a fissarlo con un sorriso spontaneo e il corpo sciolto dalla tenerezza delle sue parole. Per la seconda volta nello stesso giorno, avevo scoperto un altro lato di Stephen. Non solo quel ragazzo era un pozzo senza fine di sorprese, ma era anche l'unico capace di non deludermi mai.

*Angolo scrittrice*
Hey guys!
Come va? State tutti bene in seguito al terremoto?
Volevo rubarvi solo qualche secondo per dirvi che non so tra quanti giorni aggiornerò il prossimo capitolo, perché devo lavorare ad un cosplay che dovrà essere pronto per il 1 novembre, dato che andrò al Lucca Comics.
Qualcuno di voi ci sarà? E se sì, che cosplay portate? Io mi vesto da Lara Croft!
Baci,
Inevitabilmente_Dea ♥

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