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9.2 Primi minuti all'Accademia

"I primi minuti qui sono stati... alquanto strani.

Mi sembrava di essere sulla cima di una vetta inesplorata.

Anche adesso mi risulta difficile credere di essere davvero all'Accademia."

Studente stanza 121, Accademia

Quando bussano alla porta, sono ancora sdraiata sul letto. L'euforia del momento mi ha estraniato per qualche istante dal mondo esterno, lasciandomi in un piacevole stato di realizzazione. Forse avrei dovuto spendere meglio questi pochi minuti, magari togliendo le mie cose dalla valigia e sistemandole nell'armadio, ma in fondo da oggi avrò tutto il tempo che voglio per farlo e immagino di potermelo anche meritare, un giorno libero.

Invito il visitatore a entrare, alzandomi dal letto e sistemando alla bell'è meglio i capelli. Come a un segnale convenuto, la porta automatica si apre all'istante, permettendo a Katia di accedere alla camera. Lei però resta immobile di fronte all'ingresso, quasi non mi avesse sentita.

«Ehi, non mordo mica» ironizzo, per niente colpita dalla sua reazione. È una ragazza timida, ho avuto modo di capirlo sul treno e di certo, per ora, non mi aspetto da lei un comportamento diverso da questo.

Lei sorride visibilmente imbarazzata, muovendo qualche passo incerto dentro la stanza per darle una veloce occhiata: «È davvero splendida.»

«Sì, non c'è male» concordo con lei, gettando un rapido sguardo alle pareti rossastre della mia nuova casa prima di posare nuovamente gli occhi su di lei. «Mark e Mathias?»

Katia scuote la testa, non avendo alcuna idea di dove possano essere i ragazzi. Probabilmente saranno ancora nelle loro stanze.

«Allora direi che è un buon momento per andarli a cercare» affermo sorridendo, invitandola a seguirmi nel corridoio con un cordiale cenno della mano. «Non ho certo intenzione di spendere la mia prima giornata all'Accademia chiusa in camera!»

Un po' più rilassata, Katia sorride a sua volta, affiancandomi nella ricerca dei ragazzi. Nonostante la sua timidezza, che a tratti la può far sembrare insicura e impacciata, devo ammettere che sono contenta di averla conosciuta. Dimostra di essere comunque una persona solare, una di quelle che non sembra mai avere problemi o momenti di negatività, e la cosa più bella è che riesce con facilità a diffondere quest'aura di benessere nelle altre persone. Non dubito che ci vorrà un bel po' di tempo prima che io possa guadagnarmi la sua fiducia e considerarla – e farmi considerare – "amica" a tutti gli effetti, ma sono sicura che quando quel momento arriverà, sarà valsa la pena dell'attesa.

Attraversiamo i corridoi degli alloggi, controllando con attenzione i numeri presenti sulle varie porte che man mano superiamo. Con sommo piacere, scopriamo che sui pannelli elettronici vengono visualizzati sia il numero sia il nome dello studente alloggiante, rendendo in questo modo meno difficile la nostra ricerca, visto che nessuna delle due ricorda la cifra esatta delle loro camere.

Dopo una breve camminata, dove abbiamo avuto modo d'incontrare e salutare alcuni nostri colleghi, finalmente raggiungiamo la stanza di Mathias, la "159". Sperando che non sia già andato da qualche altra parte, bussiamo, ma veniamo colte letteralmente alla sprovvista.

«Sorridete!» esclama Mathias spalancando la porta, poi un bagliore improvviso ci acceca. L'effetto dura giusto qualche secondo, ma è sufficiente perché lui possa burlarsi di noi, divertito dalla nostra reazione.

«Che diamine!» Mi copro gli occhi con la mano, infastidita dalle migliaia di stelline che vagano sulle mie rètine. Mi ero completamente dimenticata della sua passione per la fotografia.

Quando la vista torna normale, lui sta ancora ridacchiando di fronte a noi, i FlashGlass ancora indosso: «Ehi, siete venute bene!»

«Intendi indossare quegli affari per i prossimi tre anni a venire?» gli domando sbuffando. Non sono mai stata un tipo da fotografie e sicuramente non ho intenzione di diventarlo grazie a questi sotterfugi.

Mathias fa finta di essersi offeso, portandosi teatralmente una mano sul cuore: «Sentire queste parole mi addolora tantissimo, Leila. Non è colpa mia se avete bussato proprio quando li avevo in mano.» Poi passa a un tono più derisorio: «Però devo ammettere che sono contento non ci sia Mark con voi, o la foto sarebbe venuta malissimo.»

Alzo gli occhi al cielo, mordendomi le labbra per trattenere un sorriso. "In fondo non fa male a nessuno" penso osservandolo, "anche se mi chiedo come abbiano fatto i suoi genitori a sopportarlo per tutto questo tempo."

«Parlando di Mark» s'intromette Katia, stropicciandosi ancora gli occhi accecati dal flash, «sai in quale stanza si trova?»

Dal suo tono concitato, deduco che nemmeno a lei sia piaciuto molto quel gesto, ma preferisce cambiare discorso e dimenticare l'accaduto.

Mathias ci pensa un paio di secondi: «Se non sbaglio, era la 148 o qualcosa di simile.»

La sua risposta ci spiazza: basta una rapida occhiata tra me e Katia per capire che abbiamo avuto la stessa identica reazione.

In realtà, abbiamo già percorso il corridoio con le camere dal centoquaranta in poi. Se Mark si trova effettivamente lì, l'abbiamo saltato senza nemmeno accorgercene.

Mi nascondo la fronte con la mano, sospirando. "Oggi ci comportiamo tutti come degli ebeti!"

«Dalle vostre facce, immagino che ci siate passate davanti» commenta ironico Mathias.

Deve essere successo quando quel gruppo di studenti ci ha salutate, pochi secondi prima di raggiungere la 159. Probabilmente ci siamo distratte e non abbiamo controllato le porte cui stavamo passando accanto in quel momento, oltrepassandole senza badare ai nomi sui pannelli.

Fatto sta che questa disattenzione, per quanto insulsa possa essere stata, ci è appena valsa la nostra prima, orrida figura all'Accademia.

«Ragazze, vi facevo più sveglie» continua spietato Mathias, scuotendo la testa.

«Parla quello che fino a poco fa rischiava di finire addosso a un palo» lo punzecchio, cercando di ridarmi un contegno. È stato un errore stupido, non serve farci un dramma.

«Di cosa stai parlando?» chiede incuriosita Katia, all'oscuro dei fatti ad Arcadia.

Vorrei risponderle per tormentare un altro po' Mathias, ma il ragazzo esce dalla stanza in fretta e furia, spingendoci con le mani per seguirlo: «Ehm... Dai, andiamo a cercare Mark, prima che decida di farsi un giretto per l'Accademia senza di noi.»

Ci supera di qualche passo, così da non farci notare la sua espressione a metà tra l'imbarazzo e il disagio, proseguendo impettito lungo il corridoio. A malapena mi trattengo dal ridere: a quanto pare, non vuole che Katia conosca quella parte del viaggio. "Sì, in effetti la sua figura è sicuramente più memorabile della nostra" ironizzo tra me scuotendo la testa. Faccio un cenno a Katia, che nel frattempo ha alzato confusa un sopracciglio, e proseguiamo la nostra ricerca.

Raggiungiamo in poco tempo la stanza di Mark, alla fine della stradina secondaria. Mathias bussa subito alla sua porta, togliendosi i FlashGlass dal viso.

«Entrate pure» sentiamo esclamare dall'altra parte dell'ingresso. Appena l'uscio si apre, ci accomodiamo in fretta nella stanza, dove possiamo notare con enorme stupore il grande cambiamento che Mark vi ha in pochissimo tempo già apportato.

La sua camera è uguale alla mia, fatta eccezione per le pareti verde chiaro, ma oltre all'arredamento standard, troviamo una lunga serie di cavi e spinotti che percorrono il pavimento, collegando tra di loro varie macchine di piccole dimensioni posizionate in alcuni punti del locale. Sulla scrivania spicca il computer, acceso su un qualche programma a me sconosciuto. In tutto questo Mark si trova sotto il tavolo, alle prese con un lungo cavo da sistemare.

Almeno ora capisco il perché di quelle pesanti valigie.

«Hai per caso svaligiato il negozio di elettronica, prima di venire qui?» domanda Mathias a bocca aperta, osservando sbalordito la serie di fili elettrici che occupano quasi tutto il pavimento. Più che la stanza di uno studente accademico, sembra una base di controllo aerospaziale.

«Beh, non potevo di certo lasciarli a casa, no?» gli risponde Mark da sotto il tavolo. Dal tono della voce, sembra particolarmente fiero di poterceli mostrare.

«Li hai costruiti tu?» domando, stando attenta a non toccare i cavi con le scarpe.

Mark si rialza soddisfatto e ci viene incontro: «Qualcosina. Non mi reputo un bravo ingegnere, ma se non altro funzionano» asserisce con falsa modestia. «Ora devo solo collegarli al Wi-Fi dell'Accademia» conclude con una nota più nervosa nella voce.

«Immagino che la cosa non ti faccia molto piacere.»

Sbuffa contrariato, alzando gli occhi al cielo: «Valli a capire quelli! Tutto per la paranoia che tornino gli Esterni e comincino a spiare la Nazione. "Per proteggere gli studenti e le nostre conoscenze", dicono. Ma intanto io sarò probabilmente costretto a lavorare con un Wi-Fi lento come una lumaca!»

Si vede che la cosa non gli va per niente a genio, anche se la sua reazione mi sembra un po' esagerata. Capisco che ha bisogno di una connessione stabile per lavorare, ma credo sia un problema comune a tutti qui.

«Ehi, Mark, vedi di calmarti» gli consiglia Mathias, cercando di alleggerire un po' i toni. «È la prassi, la devono seguire tutti.

Diamine, è da quando ti abbiamo conosciuto che parli dell'Accademia come se non te ne importasse niente. Non ti piace nemmeno un po' essere qui?»

In effetti, Mathias non ha tutti i torti: Mark finora non ha mai parlato dell'Accademia con entusiasmo o euforia, ma ha soltanto elencato apaticamente quello che gli ha detto suo cugino. Sembra quasi che si trovi qui perché obbligato e non per volontà propria.

Mark respira a fondo, abbassando lo sguardo: «Sì, certo che sono felice di essere qui, non è questo il punto. È solo che...» Si prende qualche secondo per trovare le parole adatte, poi il suo tono si addolcisce un po'. «Non amo ricevere imposizioni da altre persone. Stare qui senza poter parlare con l'esterno, obbligato a seguire delle stupide regole come quella del Wi-Fi, non mi fa sentire a mio agio. Ho deciso di venire all'Accademia perché era l'unico luogo dove potevo tranquillamente lavorare alle mie macchine, dove migliorarmi come ingegnere, ma ciò non significa che abbia accettato con entusiasmo tutte queste imposizioni.»

In un certo qual modo, mi ritrovo a capirlo: anch'io trovo ingiusto questo isolamento forzato e vorrei essere più libera di parlare con la mia famiglia, ma purtroppo sono costretta, come tutte le altre matricole, a dover accettare queste regole senza battere ciglio. Prima me ne faccio una ragione, meglio sarà per me.

«Beh, ma credo che tutti, qui dentro, la pensino come te» gli risponde soave Katia. «Non piace neanche a me, ma è la prassi. È così da decenni, in fondo. Sarà dura, ma vedila in questo modo: sarà anche un motivo in più per maturare, diventare adulti. E poi, possiamo sempre socializzare tra di noi.»

Mi ritrovo a sorridere alle sue parole: sarà il tono delicato con cui le ha dette, oppure saranno i termini in sé che ha usato, non saprei spiegarlo con esattezza. Ma riesco distintamente a percepire il sollievo che esse riescono a instillare nel mio animo.

Non basteranno a farmi accettare completamente la situazione in cui mi trovo adesso, ma saranno utili per costruire qualcosa di stabile, in grado di rendermi meno dolorosa l'assenza di Lara e dei miei genitori.

«Sì, forse hai ragione» concorda Mark, respirando a fondo. «Sono solo tre anni, devo iniziare a prenderla con più leggerezza.»

Katia annuisce, contenta di aver risollevato il morale, e per qualche secondo la stanza piomba in un assoluto silenzio.

«Cambiando discorso» s'intromette Mathias, «lì sotto cosa c'è?»

Con la mano, indica un misterioso oggetto in un angolo della stanza, coperto interamente da un drappo bianco, di cui riusciamo a scorgere soltanto un piccolo ingranaggio meccanico, a malapena visibile da sotto il telo. Come altezza, il macchinario raggiunge di poco il cuscino del letto.

«Quello è un robot» spiega Mark, incrociando le braccia, «ed è top secret. So che muori dalla voglia di vederlo, ma non ho alcuna intenzione di mostrartelo.»

"Che sia il robot che ha nominato sul treno?" mi ritrovo a pensare.

«Sempre per la questione delle imposizioni, giusto?» lo incita speranzoso il ragazzo.

Mark sorride: «No, semplicemente perché ci tengo al mio copyright e non voglio che qualche fotografo di mia conoscenza mostri in giro la mia creazione» ribatte, puntando gli occhi sui FlashGlass che Mathias tiene in mano.

«Ehi, io sono un professionista!» esclama lui, fingendosi offeso. «Non mi permetterei mai.»

"Parla quello che poco fa ci ha scattato una foto senza preavviso" ribatto mentalmente, scuotendo la testa. Vorrei poterlo dire a voce alta, ma preferisco trattenermi dal punzecchiarlo di nuovo.

Anch'io in realtà sono curiosa di vedere che genere di robot sta costruendo, ma decido di rispettare la sua privacy, almeno per il momento. Non voglio che finisca come quando gli ho rivelato di averlo visto parlare con Qub.

«Bene, adesso che facciamo?» chiede ancora Katia.

«Ovvio, andiamo in Biblioteca!» esclama subito Mathias, euforico all'idea di entrarvi.

«Meglio di no» ribatto, scuotendo la testa, «tutti i nuovi iscritti andranno a vederla oggi.»

«Ha ragione» concorda Mark, «è la meta più ambita, sarà affollata. Sarà meglio andarci domani, quando le acque si saranno un po' calmate.»

Mathias sospira deluso, ma alla fine acconsente ad attendere ancora per qualche ora.

Così però rimaniamo senza una meta. Potremmo sempre fare un giro generale della struttura, ma a essere sincera non mi va di sprecare la mia prima giornata all'Accademia a girovagare in lungo e in largo per l'edificio.

«Potremmo andare alla serra» sussurra Katia, più rivolta a se stessa che a noi tre.

Da lei non potevo aspettarmi un'alternativa migliore, visto l'interesse che aveva mostrato quando ci siamo passati davanti. L'idea in sé non è male e l'approvo senza esitazione.

Anche i ragazzi accettano subito la proposta, facendo arrossire Katia: a quanto pare, non si aspettava una reazione simile.

Usciamo tutti insieme dalla stanza di Mark e percorriamo velocemente il corridoio principale degli alloggi, chiacchierando del più e del meno. La maggior parte dei nostri discorsi riguardano l'ingresso in Accademia oppure il Palazzo di Cristallo, soprattutto per quanto concerne Katia, che non era con noi tre durante la cerimonia ufficiale. Ma riusciamo anche a svelare qualcosa in più sulla nostra vita "pre-accademica", come iniziamo a chiamarla.

Scopro che Mark e Katia sono figli unici, mentre Mathias ha due fratelli: uno più grande di lui, che non è riuscito a passare le selezioni, e l'altro più piccolo, che vuole a tutti i costi diventare avvocato penalista, perché, come cita Mathias con affettuosa ironia, "a detta sua s'incontra molta gente interessante."

Anch'io mi ritrovo a nominare di tanto in tanto mia sorella, sebbene il suo ricordo mi crei ogni volta una sorta di vuoto nel petto. Anche se oggi è stata la giornata più bella della mia vita, ammetto che inizia già a mancarmi: visto quello che ho vissuto finora, mi dispiace che anche lei non abbia potuto godere di quest'opportunità, anni fa.

Per fortuna Mark cambia nuovamente discorso, dandomi l'opportunità di ripetermi nella mente la frase detta poco fa da Katia e riprendermi dal momentaneo sconforto.

Scendiamo al pianterreno, dirigendoci a passo svelto verso la serra. Passiamo davanti alla Biblioteca, come previsto gremita di gente fino alle porte in vetro. Se si esclude un piccolo spazio nell'angolo studio, dove alcuni studenti più grandi cercano di portarsi avanti con le lezioni, il resto della sala è occupato dalle matricole, desiderose di mettere le mani sui saperi lì racchiusi.

«Meno male che abbiamo cambiato subito idea» ironizza Mathias, voltando la testa nella mia direzione.

In realtà, non siamo proprio gli unici ad aver scelto un'altra meta: altri studenti del nostro anno passeggiano tranquilli nei corridoi laterali, visitando le palestre, il giardino esterno o altri luoghi differenti dalla Biblioteca, posticipando di qualche ora la visita a quest'ultima.

Quando siamo a pochi metri dalla serra, Katia accelera il passo e si avvicina alle porte di vetro, completamente folgorata dal paradiso terrestre di fronte a lei. Sembra davvero attratta da questo luogo e, sebbene la sua reazione possa sembrare alquanto bizzarra per un occhio esterno, ammetto di esserne un pochino invidiosa: per lei sarà molto più facile ambientarsi qui.

Lasciamo che entri per prima nel giardinetto, permettendole di godere tranquillamente di questo breve attimo, mentre noi tre osserviamo con calma le varie piante europee e tropicali che troneggiano intorno a noi.

Nel complesso, la serra è un'esperienza magnifica: il suono dell'acqua che scorre dalle fontane disseminate qua e là, delle quali la più stupenda è quella centrale, rende il luogo un mondo isolato all'interno dell'Accademia, dove il rumore dei corridoi e il vociare degli studenti scompaiono all'improvviso, permettendo alla mente di rilassarsi completamente. In tutto qui ci saranno una decina di studenti, ma nessuno di loro parla a voce alta: l'unica cosa che percepisco è il loro rispettoso bisbigliare, quasi temessero di rovinare la quiete di questo luogo con il suono delle loro voci.

Nel frattempo, Katia è arrivata di fronte alla fontana centrale, una grande vasca circolare al centro della quale è stato scolpito un cervo maschio mentre cammina su una roccia, il muso rivolto verso l'alto. Sotto gli zoccoli di pietra zampilla l'acqua, mentre il corpo è decorato da un'edera verdeggiante e da un altro fiore rampicante dai piccoli e profumati boccioli bianchi. Basta dargli una sfuggevole occhiata per rimanere folgorati dalla sua bellezza.

Raggiungiamo la nostra amica, ora seduta su una panchina di fianco alla fontana, e aspettiamo che sia lei la prima a parlare. Mathias osserva con vivo interesse la zona circostante, mentre Mark volge lo sguardo sul giardino esterno, visibile dalle grandi vetrati laterali.

Quando Katia riprende contatto con la realtà, si accorge della nostra presenza e sorride imbarazzata: «Scusate, mi sono lasciata trasportare.»

«Nessun problema» le risponde Mark. «Immagino che seguirai le lezioni di Botanica.»

«In realtà sono ancora indecisa. Vorrei diventare medico, è il sogno di una vita, ma al contempo vorrei approfittarne per seguire dei corsi specifici di Botanica, visto che qui si trovano delle piante tropicali. Però non so se gli orari si accavalleranno, se riuscirò a superare entrambe le cose, quindi... diciamo che al momento sono un po' in alto mare.»

«Potresti sempre fare come me» le consiglia Mathias, sedendosi al suo fianco, «seguirle entrambe. Oppure puoi semplicemente frequentarle all'inizio e poi decidere quale delle due vuoi continuare. Sta a te la scelta, qui nessuno ti mette fretta.»

Katia gli sorride riconoscente, per poi respirare profondamente e rivolgere lo sguardo alla fontana centrale.

«Infine, ci siamo» riprende Mark, esponendo ad alta voce un suo pensiero. «Venti anni passati a programmare questo momento e ora finalmente possiamo dire di farne parte.»

«Sarà dura» aggiunge in risposta Mathias, sistemandosi i capelli, «ma ehi, siamo arrivati sin qui, cosa volete che sia?»

«E una volta usciti potremo dare una mano concreta alla Nazione» continua Katia. «Chi lo sa, magari uno di noi troverà una soluzione per la Zona Nera, o qualcosa che ci aiuti a evolvere tecnologicamente. L'importante è continuare a crederci.»

«Senza dimenticare che le nostre famiglie sono molto orgogliose di noi» concludo, pensando a Lara e ai miei genitori. «Qualunque cosa noi decidiamo di fare, qualunque percorso decideremo di percorrere, loro saranno fiere del nostro lavoro.»

«...E allora facciamo vedere all'Accademia di che pasta siamo fatti» conclude Mark, la voce che sprizza energia.

Annuiamo all'unisono. È ora di far vedere all'Accademia il nostro vero potenziale.

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