4.2 La partita
"Molti sviluppi nel campo tecnologico li dobbiamo al mondo ludico.
Sport, svago, intrattenimento: un insieme di attività che noi abbiamo usato per rinnovarci ed evolverci nuovamente.
Ma in fondo il divertimento è sempre stato una fonte d'ispirazione per le nuove invenzioni."
Studente stanza 167, Accademia
«Forza, cominciamo questa partita» m'incita Sarah, entrando per prima nella sala.
La seguo a ruota, chiudendo la porta alle nostre spalle e respirando a pieni polmoni l'aria satura della palestra. Diamine, se mi è mancato questo posto!
Il campo di basket è deserto a quest'ora e l'unico suono che lo riempie di vita è quello dei nostri passi sul pavimento. Fin dal primo giorno in cui vi ho messo piede mi ha ricordato un guscio inabitato, all'apparenza vuoto. Ma solo in apparenza.
Appena Sarah avvicina la mano al comando a muro, la sala digitale si riattiva, facendo comparire all'istante i due canestri e la pedana per far iniziare la partita. Tutto è pronto: manchiamo solo noi due.
«Sul serio non veniamo qui da più di sei mesi?» domando incantata a Sarah, senza riuscire a distogliere gli occhi dal campo.
«A quanto pare» risponde sognante, con un tono forse più entusiasta del mio. «Più che altro, mi chiedo come tu abbia fatto a sopravvivere fin adesso.»
Questa provocazione mi fa volgere lo sguardo verso di lei, che trattiene a stento una risata per la mia espressione sorpresa: «Cosa vorresti insinuare?» chiedo, con una sottile vena di sarcasmo.
«Oh, niente» sminuisce restando al gioco, mentre si toglie la felpa nera, gettandola come viene sugli spalti. «Solo che non mi aspettavo un autocontrollo così forte da parte tua. La tua dipendenza dal basket me la immaginavo più... incontenibile.»
"La mia dipendenza dal basket?" penso stupita. "Ma tu senti da che pulpito!"
«Vuoi per caso essere stracciata al primo periodo, carina?» la sfido, sapendo che dopo una frecciatina del genere non resisterà al fascino della competizione.
Sarah finisce di allacciarsi le scarpe e alza il viso per squadrarmi dal basso verso l'alto: «Oh, dunque è così che la mettiamo.»
Si alza dallo spalto e si avvicina al centro della pedana, per poi girarsi nella mia direzione: «Avanti, vediamo se riuscirai a stare al passo, visto che in questi mesi avrai sicuramente messo su qualche chilo» mi schernisce, con gli occhi carichi di sfida.
"La mettiamo sul personale, eh?" Sorrido beffarda alla frase, ben conscia che l'ha detta solo per provocarmi. Tolgo la felpa e la lancio anch'io sugli spalti, vicino a quella di Sarah, poi mi avvicino a lei e alla pedana.
Siamo entrambe cariche e pronte a giocare. Posso sentire l'adrenalina scorrere nelle vene e i nervi tendersi al ritmo della concentrazione mentale. Sarà la partita del secolo, già lo so.
[Benvenute, Leila e Sarah] gracchia il computer centrale, con l'ormai familiare voce femminile apatica e senza emozioni. [Partita classica?]
«Sì, partita classica» conferma Sarah, senza distogliere gli occhi dai miei.
[Inizializzazione partita uno contro uno. Caricamento...]
La pedana sparisce sotto i nostri piedi e dal soffitto dei piccoli fasci di luce iniziano a vorticare velocemente sopra le nostre teste. Dal nulla si materializzano otto ragazzi in carne e ossa, creati dal computer per collaborare con noi durante la partita. Quattro hanno la divisa rossa e sono nella mia zona di campo, mentre i restanti hanno la casacca blu.
Osservare queste meraviglie digitali mi fa tornare in mente il cavallo che poco fa ha effettuato quel salto mozzafiato. Lui e questi giocatori sono la stessa cosa.
Sono citogrammi, ovvero programmi creati grazie a una sofisticata tecnologia di ultima generazione attraverso lo sviluppo istantaneo di cellule organiche. Hanno lo stesso principio degli ologrammi, solo che invece di creare un materiale intoccabile generano tessuti veri e propri.
L'idea è nata per superare il limite imposto dagli ologrammi, che essendo un prodotto degli Esterni furono immediatamente banditi dagli europei quasi all'unanimità. I citogrammi vengono usati solamente nelle attività ludiche, poiché possono esistere unicamente nella loro cella di creazione e non possiedono un'attività celebrale come gli esseri viventi. Compaiono solo se richiesti e alla fine del loro utilizzo si sciolgono come se fossero immateriali.
Gli altri stati possono dire quello che vogliono, ma questa tecnologia è unica nel suo genere. E l'abbiamo creata noi europei.
[Completamento al 90%. Inizializzazione partita in dieci... nove...] Il computer inizia il conto alla rovescia e tutti noi giocatori alziamo lo sguardo verso il soffitto, da dove scenderà la palla. I fasci stanno già definendo le strisce chiare, segno che non ci vorrà molto perché la lascino cadere al suolo.
«Buona fortuna» mi augura Sarah. Senza staccare lo sguardo dal soffitto, ringrazio e le auguro lo stesso: tanto so che nemmeno lei riesce a distogliere la vista dalla palla.
L'ultima partita prima dell'Accademia. L'ultima volta che giocherò con Sarah quest'anno. "Diamoci da fare."
[Tre... Due... Uno.]
I fasci luminosi si spengono e la palla cade per effetto della gravità. Sarah e io saltiamo in aria contemporaneamente per riuscire a prenderla, ma per mia sfortuna lei arriva più in alto di me. La afferra con la sinistra, spostandola lo stretto necessario per cominciare il palleggio senza che io possa sottrargliela.
Appena tocco nuovamente terra mi giro per inseguirla, assistita dai miei compagni per difendere la zona del campo. Sarah palleggia velocemente, scartando i due avversari che cercano di fermarla. È sempre stata veloce nelle manovre di avvicinamento al canestro e sebbene il livello sia per esperti, persino i citogrammi fanno fatica a starle dietro. Forse dovrebbero aggiornare il database usando lei come parametro di difficoltà.
Sarah raggiunge l'area da tre punti e lì si ferma, continuando a palleggiare e valutando a quale giocatore lanciare la palla. Due sono ancora alle mie spalle, mentre un altro, raggiunta l'area, viene immediatamente marcato stretto da un mio compagno. Il quarto invece si muove veloce ed è libero, quindi mi precipito subito nella sua direzione, intenzionata a fermare il passaggio.
Sarah gli passa la palla proprio come avevo dedotto e l'arco che lo spicchio crea non è particolarmente alto: riesco a rubarla senza alcun problema.
Mi giro di centottanta gradi senza nemmeno pensare e palleggio fino all'area centrale. Tutti gli altri giocatori salgono nell'altra metà campo, ma appena raggiungo il cerchio al centro mi blocco e tiro direttamente al canestro, facendo un salto per dare più slancio.
La palla compie il suo arco perfetto, finendo nel canestro con un colpo secco.
I tiri all'esterno dell'area sono sempre stati il mio forte e francamente non so spiegare come mi riescano: è una cosa totalmente naturale per me, come se il mio corpo sapesse esattamente come muoversi per fare canestro. Questo sport è sempre stato la mia passione fin da bambina, ma è stata una sorpresa quando ho scoperto questa mia dote nascosta e non riesco ancora a capacitarmene.
Il mio punteggio sale a tre punti, mentre i giocatori avversari prendono nuovamente possesso della sfera, ricominciando a correre verso la nostra area. Li imito, cominciando già a sentire la fatica dell'azione appena compiuta, e con la coda dell'occhio vedo Sarah guardarmi per un secondo scuotendo la testa. Rido tra un respiro e l'altro: «Te l'avevo detto che ti avrei stracciata!» grido perché possa sentirmi.
L'avversario raggiunge la nostra metà campo e, come Sarah prima di lui, si ferma due secondi per valutare a chi passare la palla. Io sono in mezzo all'area interna, in procinto di bloccare un suo compagno, ma non mi accorgo che la mia amica si smarca dall'avversario e corre veloce sotto il canestro.
Il suo compagno di squadra non ci mette molto a capire le sue intenzioni, passandole la sfera con un tiro alto, per avvicinarla il più possibile al tabellone. Sebbene due giocatori tentino di stoppare il passaggio, Sarah riesce con un salto ad afferrare la palla e ad appoggiarla infine direttamente a canestro.
Beh, se prima avevo dei dubbi sul suo stato mentale, ora so che la determinazione è tornata a scorrerle a fiumi nelle vene: lo dicevo io che bastava una partita per farle tornare la carica necessaria a superare l'esclusione dall'Accademia.
Sarah resta aggrappata al canestro per due secondi, per poi scendere prima che il computer la punisca per l'infrazione. Appena tocca nuovamente terra si gira a guardarmi e con tono di scherno misto a sarcasmo esclama: «Non cantare vittoria troppo presto, carina! Hai visto che alley-oop, eh?»
«Tutto spettacolo e nessuna sostanza, direi» ribatto punzecchiandola, anche se sa che trovo questa giocata assolutamente stupenda. Fare un alley-oop così sincronizzato è sempre uno spettacolo per gli occhi.
Raggiungiamo i citogrammi, che nel frattempo hanno continuato la partita senza preoccuparsi del nostro botta e risposta competitivo. I rossi palleggiano passandosi la palla sotto il canestro avversario, cercando uno spazio libero per tirare. Purtroppo, i blu marcano bene l'area dei tre secondi e quindi optano per passarla a me e permettermi di fare un tiro lungo. Sono a pochi centimetri dall'area dei tre punti, quindi non ci metto molto a prendere la palla, saltare e tirarla. Le mani e le gambe rilasciano tutta la loro tensione nella sfera, che perfetta s'inserisce nello spazio della rete digitale senza alcuna sbavatura.
Ormai la fatica si fa sentire, considerando che è da sei mesi che non gioco, però quel senso adrenalinico di azzeccare il tiro ogni volta è semplicemente sublime. E, che lo voglia o no, persino Sarah ne resta sempre stupita.
Il resto della partita è un continuo correre: su nella zona avversaria ad attaccare e guadagnare punti; giù alla base a difendere il canestro e a marcare gli altri giocatori. I palleggi, i passaggi, i tiri, diventano una danza agile e rapida, per portare a casa due o tre punti a canestro riuscito. I citogrammi riescono a stare ai nostri livelli senza alcuno sforzo, incapaci di provare fatica o di sentire i muscoli intorpiditi delle gambe: sono delle vere macchine da sport.
Più i minuti passano, più Sarah riacquista la sua caratteristica determinazione. La sua corsa si fa sempre più scattante, i suoi passaggi più fluidi, come se il basket fosse un gene iscritto nel suo DNA. La tensione che aveva quando siamo entrate, quel leggero senso di smarrimento per non essere riuscita a passare, l'angoscia per lo sforzo che dovrà fare per rimanere concentrata sull'obiettivo, ora sono stati diluiti nella precisione del tiro e nella spinta dei suoi muscoli verso un punto presente e concreto. Probabilmente, se a pranzo non mi avesse chiamata o se una delle due non fosse stata disponibile a giocare, a quest'ora sarebbe sul divano in preda al totale sconforto.
Sono davvero felice di aver avuto modo di incontrarla considerando la mia futura assenza. Sono certa che riuscirà a superare il test l'anno prossimo: non ho alcun dubbio su questo aspetto. Mi dispiace soltanto di non poterla sentire per i successivi dodici mesi.
Il primo periodo di dieci minuti termina prima ancora che noi possiamo rendercene conto e ne approfitto per riprendere fiato e asciugarmi il sudore dalle spalle. "Forse ha ragione Sarah: qualche chilo devo averlo messo su" penso ironica, visto il fiatone che mi ritrovo. Anche se tutti questi movimenti, in fondo, non possono che farmi bene.
«Dicevi che mi avresti stracciato» la sento schernirmi tra un respiro e l'altro, avvicinandosi a me e prendendo il suo asciugamano dal borsone. Il display mostra in leggero vantaggio la sua squadra, ma solo di un paio di punti. «Che succede? Troppi muffin di Lara?» mi chiede beffarda.
Ridacchio alla battuta: «Vorrei vedere te dopo lasagne e tiramisù! È già qualcosa se ho digerito tutta quella montagna di cibo!»
Anche lei ride, appoggiandosi l'asciugamano sulla spalla. «Anche da me hanno festeggiato, sebbene non ci fosse motivo per farlo...» aggiunge con un tono leggermente più basso.
«Ce la farai, ne sono sicura» la rincuoro. «Tu hai un carattere più forte del mio e so che alla fine arriverai all'Accademia.»
Sarah osserva il pavimento con un sorriso appena accennato. Espira a fondo un paio di volte per riprendersi dalla fatica e poi si gira a guardarmi: «Sarà più dura senza di te a farmi da maestrina la sera.»
«Non hai bisogno della maestrina per passare quel test. Ci siamo fatte una promessa alle medie, ricordi? Entrambe saremmo riuscite a entrare. Quella promessa è ancora valida, no?»
Ricordo ancora quel giorno: è stato subito dopo il Giorno della Rivelazione, quando la maestra ci ha messo davanti alla verità nuda e cruda sulla guerra. Noi studenti eravamo usciti da quell'aula sconvolti, me compresa. Da alcuni mesi giravano delle voci tra i corridoi della scuola, verità che gli alunni più grandi bisbigliavano tra di loro su una sciagura passata, ma nessuno di noi, fino ad allora, aveva capito la reale gravità di quei racconti.
Sarah era forse l'unica che non mostrava apertamente la sua angoscia, mentre io ero letteralmente a pezzi. Mi sentivo debole, impotente, incapace di reagire a una notizia così macabra e violenta. Ma lei si era da subito mostrata più razionale, promettendo di dare un senso a quanto accaduto e alla sua vita, entrando all'Accademia. Le sue parole mi avevano colpito, ancora annebbiata alla vista di quell'orrore: avevo finito per giurare con lei.
Sarah osserva un punto imprecisato della sala, tornando anche lei con la mente a quel giorno: «Nessuno dovrebbe mai conoscere né tanto meno vivere così tanta sofferenza» sussurra.
Anche io soffermo lo sguardo sul campo da basket e sui citogrammi, che restano nell'area di gioco in assoluto silenzio. Ripenso a Lucia e al momento in cui verrà a conoscenza del nostro passato, il momento in cui vedrà e sentirà tutto quanto. È un passaggio inevitabile, che tutti i ragazzini prima o poi devono affrontare, e dovrà farsi forza. Anche se temo che ciò che i suoi occhi innocenti vedranno possa incrinare la sua innata felicità.
«Sì, quella promessa vale ancora» riprende Sarah, girandosi verso di me. «Cercherò di mettermi d'impegno e vedrò di raggiungerti. Però ti chiedo un'ultima cosa: se non dovessi passare – no, Leila, potrebbe capitare» aggiunge bloccandomi con un gesto secco della mano per evitare una mia possibile obiezione a quell'assurda possibilità, «dicevo: se non dovessi passare, voglio che tu mantenga il patto preso. So che non mollerai, ma ricorda perché lo stai facendo. Non si tratta di me o di te: si tratta di risanare una ferita ancora aperta, quindi vedi di proseguire per la strada che ti sei scelta e aiutaci a riaggiustare le cose.»
Lo sguardo che mi rivolge è deciso, fiero e determinato. Sebbene questa richiesta non sia delle più allegre, so che ha perfettamente ragione. Solo i migliori passano e a volte i migliori non sono quelli che ci si aspetta.
Conosco storie di ragazzi prodigio, motivati al limite delle loro capacità, che non sono stati presi. È un fatto, quasi al limite del paradosso, ma a volte succede. È successo.
Con Sarah non ho mai avuto dubbi e quando sentivo queste storie mi ripetevo che a lei non sarebbe mai accaduto. Eppure, questa volta sono passata io, mentre lei deve ritentare. E se nemmeno la prossima fosse quella buona?
A differenza mia, lei ha pensato anche a questo aspetto e ha preparato un piano B nel caso l'altro non si dovesse avverare. Se l'abbia ideato prima che io arrivassi qui o durante la partita non lo saprei dire, ma sta di fatto che ora mi sembra più motivata di quando è entrata. Se ritiene che una richiesta simile debba essere fatta, ha sicuramente ponderato prima tutte le possibili alternative.
Le sorrido e sincera annuisco: «D'accordo, lo farò. Però tu cerca di fare la tua parte.»
«Tranquilla: non intendo mollare adesso» dichiara alzandosi. «Allora, continuiamo la partita?»
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro