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4.1 Il Palasport

"There's no sensation to compare with this

Suspended animation, a state of bliss."

(Pink Floyd, "Learning to Fly")

Raggiungo il centro sportivo in perfetto orario non avendo trovato traffico lungo la strada, e subito scorgo Sarah davanti all'ingresso con le braccia incrociate e lo sguardo puntato verso il piazzale limitrofo, in attesa del mio arrivo. È sempre stato un suo punto forte arrivare "elegantemente in anticipo", come dice lei, tanto che persino il tempo farebbe fatica a batterla. Non che io sia una ritardataria, però in questo frangente è sempre stata una persona inappuntabile.

Scendo dalla moto e tolgo il casco, salutandola con la mano mentre aspetto che MC ritorni alla sua forma di cubo. Lei risponde al saluto accennando un timido sorriso. È ancora amareggiata per l'annuncio di questa mattina, ma spero che qualche tiro al canestro riesca a distoglierla da quell'amara sconfitta.

La raggiungo a passo svelto, abbracciandola e sorridendole con calore. Restiamo chiuse in quell'abbraccio per una decina di secondi, senza parlare. Sento la tensione che l'avvolge nei leggeri sussulti che le scuotono le spalle e il suo respiro farsi sempre più corto. Vorrebbe piangere, ma il suo carattere forte, ancora più del mio, le impedisce di farlo, pur sapendo che io non ci vedrei assolutamente nulla di male.

«Mi dispiace tantissimo» sussurro, cercando di darle un po' di conforto. «Non ho proprio idea del perché non ti abbiano preso.»

Lei scioglie l'abbraccio e abbozza un sorriso, nel vano tentativo di sminuire la cosa per tranquillizzarmi. Anche se indossa gli occhiali da sole, so che ha gli occhi lucidi e che sta cercando di contenere il suo sconforto. Scosta una ciocca di capelli castani che le è scivolata sul viso e con voce bassa risponde: «Vorrei saperlo anch'io. Forse nella tua motivazione hanno trovato più determinazione, o magari ho sbagliato qualche domanda nel test. Difficile a dirsi se non sai nemmeno il tuo punteggio finale.»

«Sì, in effetti questo non aiuta molto» replico annuendo. Purtroppo non dicono mai gli errori che hai commesso nel test e molti si deprimono pensando di aver sbagliato tutte le risposte.

«Ad ogni modo» riprende il discorso, «sono contenta che tu sia riuscita a passare. Congratulazioni.»

Con la mano cerco di bloccarla: non ho bisogno di altri complimenti, specie se provengono dalla mia migliore amica che purtroppo non sarà con me quando entrerò all'Accademia.

«Forza, vediamo di risollevarti un po' il morale» la incito con una sottile nota incoraggiante.

«Ma...» balbetta, mentre raccogliamo da terra i nostri rispettivi borsoni. «La partita era stata organizzata per la tua ammissione, non per me.»

«Oh, avanti. Delle due quella che ha più bisogno di giocare sei tu, non io. E non ho alcuna intenzione di andarmene da qui domani lasciandoti soffocare dai tuoi piagnucolii trattenuti» ribatto ironica.

Sarah abbassa lo sguardo, imbarazzata dal fatto che abbia notato il suo stato emotivo. La conosco da quando eravamo bambine e sappiamo ogni aspetto della vita dell'altra. Non esistono segreti per noi due: basta un semplice sguardo per capirci e sarebbe stato impossibile per me non accorgermi che stava soffrendo. Non siamo ai livelli di Aquila Lara, ma poco ci manca.

«Si nota così tanto?» mi domanda mentre si avvicina alla porta della palestra, togliendosi gli occhiali da sole e asciugandosi con il pollice l'occhio sinistro da una lacrima sfuggita al suo controllo.

«Giusto un pochino» le rispondo, enfatizzando il concetto con l'indice e il pollice.

Il gesto la fa sorridere, mentre con la mano destra apre la porta d'ingresso e con la sinistra mi tira un pugnetto sulla spalla, come monito a non oltrepassare il limite consentito. Se non altro, sta già mostrando un atteggiamento più positivo: forse riuscirò a farla uscire di qui con più autostima di quando è arrivata.

So che Sarah supererà anche questo piccolo, grande ostacolo e tenterà di risistemare la questione, però l'idea di affrontarlo da sola non deve essere per lei molto incoraggiante, e io devo riuscire a farglielo accettare, per quanto il tempo che ci rimane per stare insieme non sia moltissimo. Non posso lasciarla qui senza averle almeno dimostrato che credo ancora in lei.

Entriamo nella grande hall del polo sportivo, un'enorme semisfera bianca col soffitto intarsiato da numerose vetrate colorate. Varcare questa soglia sembra quasi una magia: quando il sole raggiunge il centro esatto della cupola, le vetrate rilasciano i loro colori, creando sulle pareti e sul pavimento una miriade di sfumature e di giochi luminosi che lasciano letteralmente senza fiato. Ora solo la parete alla nostra destra è decorata dal turbinio di colori, quindi lo spettacolo è meno entusiasmante, ma l'effetto che si voleva creare si manifesta comunque in tutta la sua magnificenza.

Sulle poltroncine di velluto disposte ai lati dell'ingresso, alcune persone chiacchierano tra di loro del più e del meno, mentre altre cercano di far volare il tempo ascoltando musica dal loro ring-phone. Davanti alla reception troviamo un paio di clienti che aspettano pazientemente il loro turno per parlare con Karla, la direttrice del centro, dei vari abbonamenti e delle attività sportive offerte dalla struttura.

La palestra di Milano, costruita vent'anni fa sulle macerie di un polo sportivo precedente alla guerra e completamente digitalizzata, è uno dei posti che più adoro della città. Ho passato qui quindici anni della mia vita e ormai la conosco come le mie tasche. Saprei percorrere i suoi innumerevoli corridoi a occhi bendati, riconoscendo al volo le varie stanze semplicemente dal profumo che emanano o dai suoni che la riempiono. Questo posto non ha segreti per me.

Fa uno strano effetto sapere che è da quasi sei mesi che non ci metto piede, sebbene la mia assenza sia giustificata dalle ore passate a studiare. Immagino che la stessa reazione la stia avendo anche Sarah, considerando il suo sguardo più rilassato: sembra quasi di tornare a casa.

O forse è semplicemente questa giornata a rendermi il tutto più speciale.

Ci avviciniamo a passi lenti alla reception, per raggiungere il corridoio interno e da lì proseguire verso il campo di basket. Con la coda dell'occhio osservo Karla ascoltare svogliatamente un signore intento a spiegarle a voce bassa qualcosa che da qui non riesco a capire.

Dall'atteggiamento annoiato della direttrice, deduco che la conversazione sia tutt'altro che interessante: solitamente non si lima le unghie davanti ai clienti, a meno che l'argomento non sia parecchio noioso per lei. Il che capita raramente.

L'uomo non sembra però preoccupato più di tanto da quel trattamento inappropriato e continua imperterrito a parlare delle sue faccende, nella speranza che alla fine lei possa perlomeno rispondergli con grazia e pacatezza.

Anche Sarah osserva la scena e si gira verso di me con una vena d'ironia in viso. Guardare Karla in momenti come questo è uno spettacolo alquanto surreale e umoristico, sebbene lo sia solo per chi osserva la scena e non per chi si trova a doverla affrontare direttamente.

Continuiamo a camminare fianco a fianco e superiamo la reception salutando la direttrice con un cenno del capo non appena alza lo sguardo verso di noi. Al solo vederci si illumina, alzandosi di scatto dalla sedia per avvicinarsi, senza nessun riguardo verso il cliente che le sta di fronte, che blocca il discorso a metà con un'espressione tra lo stupito e l'indignato.

«Ragazze, siete tornate! Era anche ora, diamine!» esclama con la sua voce acuta, in modo che tutti alla reception la sentano. «Abbiamo quella cosa importantissima da risolvere, quindi vediamo di darci una mossa!» aggiunge prendendoci sottobraccio e facendoci accelerare il passo, senza mai voltarsi verso il bancone. «Vi prego, salvatemi, quello lì è insopportabile!» ci sussurra poi, tirando un sospiro liberatorio.

«Mai pensato che questo tuo modo di fare sia inappropriato?» le domanda Sarah, con un accenno d'ironia in volto.

«Inappropriato è il loro modo di fare!» ribatte piccata, sistemandosi alla bell'e meglio tra noi due e lisciandosi il vestito rosa, che le aderisce con assoluta perfezione al corpo formoso. «Gli ho ben spiegato all'inizio che c'è tutto sul nostro sito e che non servivano ulteriori spiegazioni, ma lui ha insistito e ha iniziato a blaterare assurdità. E io non sono una donna paziente, lo sapete.»

«No, in effetti non lo sei» conferma Sarah, ridacchiando allegramente.

Io trattengo un sorriso e lascio che Karla ci accompagni fino al campo di basket, incurante degli sguardi curiosi a noi rivolti alle nostre spalle. Da Karla, in situazioni come queste, non potrei aspettarmi altro.

«Mamma mia, non si può essere così noiosi!» esclama sospirando nuovamente, mentre percorriamo il corridoio, riempito dalla sua voce acuta e dal ticchettio dei suoi tacchi viola. «Se quando torno è ancora lì, giuro che fingo uno svenimento!» dichiara risoluta.

Sorrido divertita da quella frase, schiacciata tra il borsone e Karla, ancora avvinghiata al braccio come un koala. Sarah ride al ricordo di tre anni fa, quando la direttrice qui presente ha dato prova di essere una fantastica attrice svenendo in piena hall. È finita all'ospedale con una profonda ferita alla testa, facendoci pensare che ci lasciasse le penne per davvero. Però, chissà come, per fortuna se l'è cavata. Il difficile è stato nascondere agli infermieri che quel mancamento era stato voluto e non era successo per caso.

In realtà lei adora il suo lavoro e non riesce a stare lontana dalla sua palestra nemmeno quando ha la febbre. Semplicemente, non ha grande simpatia per le persone soporifere, tutto qui.

«Ad ogni modo» riprende, mentre superiamo due ragazzi usciti dalla piscina. «Leila, hai davvero intenzione di tornare qui, dopo vari mesi di assenza, per poi sparire dalla circolazione per tre anni? Dov'è finita la tua educazione, mi domando!»

«Dai, sai che avevamo da fare. E poi, non ho intenzione di sparire per sempre» ribatto, rincuorandola.

Raggiungiamo il campo di equitazione, da dove provengono svariati suoni che mi distolgono per qualche secondo dalla predica di Karla. Nella sala, tre fantini stanno gareggiando tra di loro, mentre sugli spalti una decina di persone, probabilmente loro conoscenti, fanno il tifo. Nell'esatto momento in cui poso lo sguardo sulla gara, uno dei tre cavalli, nero come la pece, salta uno dei vari ostacoli, per poi atterrare con eleganza nella pozza d'acqua appena sottostante. In quel piccolo frammento, noto tutta la potenza di quel salto: i muscoli delle zampe vengono percorsi da una forte tensione; il corpo dell'equino accompagna l'agilità di quel movimento con una naturalezza e una leggiadria impareggiabile.

E per poco riesco a dimenticare che di naturale, quel cavallo, non ha nulla.

«Lo so, ma tre anni sono tanti!» esclama con tono amareggiato, distogliendomi da quel momento di pura estasi. «Potresti anche cambiare idea e non tornare più qui.»

«Quando Leila promette una cosa la mantiene sempre, lo sai bene» mi difende Sarah, facendomi l'occhiolino.

Rispondo con un sorriso, mentre giriamo l'angolo e percorriamo l'ultimo corridoio prima della nostra stanza.

«Sì, immagino di sì» sospira per l'ennesima volta Karla, stavolta con malinconia. Con la coda dell'occhio nota il mio sguardo confuso e tenta di sistemare la faccenda: «Scusami, dovrei essere felice per te e tutto il resto, però non posso di certo dire che non mi mancherai. Insomma, non capita tutti i giorni d'incontrare persone tranquille e pazienti come te.»

«Non preoccuparti, immagino sia così anche per i miei genitori e per Lara» la rincuoro. «Qualunque cosa io decida di fare una volta uscita, passerò sicuramente di qui. Almeno un saluto mi sento in dovere di fartelo.»

Le sorrido di getto, sebbene le sue parole mi abbiano lasciato in corpo un lieve senso di tristezza. Posso capirla, come posso capire tutti i miei parenti e amici: tre anni sono lunghi e può succedere di tutto. Saremo divisi e nessuno saprà nulla dell'altro.

Non è sicuramente una prospettiva facile da digerire, ma è superabile. Tre anni sono un battito di ciglia in confronto all'intera esistenza umana.

Karla risponde con un sorriso e scioglie la stretta intorno alle nostre braccia, lasciandoci davanti all'entrata del campo di basket.

«Sì, hai ragione» risponde, annuendo con la testa. «Devo essere più ottimista, d'altronde stai per andare all'Accademia, dove chiunque pagherebbe oro per entrarci. Quindi divertiti e fatti valere, mi raccomando.»

«Quando mai non l'ho fatto?» le rispondo ironica, facendo ridere sia lei che Sarah. In campo hanno avuto modo di notare quanto sappia farmi valere.

«Bene ragazze, il dovere mi chiama. Speriamo che quel simpaticone se ne sia andato» conclude Karla, alzando gli occhi al cielo.

«Vedi di non combinare guai in nostra assenza» ribatte divertita Sarah.

«Oh, tranquille, quello succederà quasi sicuramente» ironizza la direttrice, girandosi di schiena. «Buon divertimento.»

Ci saluta con la mano e s'incammina verso la reception, seguita dal caratteristico suono dei suoi tacchi.

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