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3.2 Il pranzo di famiglia

"Eravamo a pezzi, distrutti e mentalmente accecati dal terrore.

Li avevamo cacciati, avevamo ripreso quello che ci apparteneva. O meglio, quello che ci avevano lasciato ancora intatto.

Rinascere per distruggerli? No, non ne siamo capaci. Ma rinascere per riscattarsi... Questo siamo in grado di farlo."

Studente stanza 149, Accademia

«Il pranzo è pronto!» urlano dalla cucina.

Avranno usato ZB per cuocere i cibi, altrimenti non si spiegherebbe questa velocità. Ad ogni modo, ho un certo languorino e non vedo l'ora di mangiare, sperando di non venire risucchiata nuovamente da questi tristi ricordi.

Ci alziamo tutti insieme e raggiungiamo la cucina, dove troviamo la tavola già apparecchiata. Mi siedo a capotavola, come esplicitamente richiesto da Lara, e da lì a breve tutti iniziano a servirsi.

I miei non si sono fatti mancare niente oggi: come primo hanno preparato le lasagne, di cui vado letteralmente pazza. Per dessert invece Lara ha preparato il suo famoso tiramisù, quello che fa solo nelle occasioni importanti e che già so mi mancherà tantissimo.

«Quindi» inizia mio padre, dopo aver preso una generosa porzione di lasagne. «Ora che sei una studentessa dell'Accademia, come dobbiamo rivolgerci a te fino a domani?» domanda, trattenendo a stento un sorriso.

Scoppio a ridere di getto, seguita a ruota da Lara.

«Credo che "figlia adorata" possa bastare» rispondo ironica, intrecciando platealmente le dita all'altezza del cuore.

«Adesso non esageriamo» ribatte, puntandomi la forchetta contro. «Va bene figlia, ma adorata mi sembra fuori luogo. Sopportata suona decisamente meglio, secondo me.»

La battuta rallegra tutta la tavolata, mentre ZB monitora la cucina facendo in modo che tutto resti pulito e in ordine.

«Sappiamo tutti che ti mancherò» ghigno ricomponendomi, guardando mio padre.

«Certo che ci mancherai, però sappiamo dove sarai e quello che stai facendo. E poi sarà qualcun altro a tenerti d'occhio, il che ci toglie un enorme peso dalla coscienza» replica, per poi chiudere il discorso con un sorriso sardonico, tornando in seguito a concentrarsi sul suo piatto.

«Beh, uno studente interessato all'arte è raro di questi giorni» s'inserisce lo zio, trangugiando cibo tra una parola e l'altra. «Specialmente se parliamo di arte antica. Al giorno d'oggi va di moda quella contemporanea, anche perché si sono salvate più opere.»

Ha ragione: l'arte è uno dei settori maggiormente in declino qui. Dopo la guerra, molte opere sono andate perdute, sia per i bombardamenti che per il saccheggio selvaggio degli Esterni. Fa male sapere che uno dei quadri più famosi e preziosi come la "Gioconda" ora si trova nelle mani di quegli sciacalli.

La buona sorte ha voluto che dipinti come quelli di Picasso e di altri artisti contemporanei si siano salvati, grazie anche al fatto che molti di essi fossero ubicati presso collezionisti privati, che hanno a loro volta avuto il buonsenso e la possibilità di metterli per tempo al sicuro. Al contrario dei musei, ai quali non è toccata la stessa fortuna a causa della rapidità degli attacchi. Noi abbiamo quindi "sfruttato" queste opere come base per la sua arte, creando nuovi stili e movimenti mai usati prima, soprattutto in campo digitale, una cultura più facile da salvare in caso di nuove guerre.

«Quindi diventerai una restauratrice» continua mio zio, rivolgendo l'attenzione nuovamente su di me.

Annuisco con la testa mentre mi pulisco la bocca con il tovagliolo.

«Saranno contenti: sono sempre in pochi, una mano in più non può che fargli comodo» conclude infine, per poi raccomandare a Lucia di stare attenta a non sporcarsi, visto che sta per mangiare un pezzo di lasagne più grande di lei.

"Immagino di sì" penso. "Saranno contenti."

Finita la guerra, noi europei dovemmo ripartire daccapo, senza nessun aiuto da parte degli altri Stati. La scelta più semplice fu quella di concentrarci esclusivamente su noi stessi, per permettere allo stato di progredire senza ulteriori conflitti con le altre nazioni. La capitale venne spostata a Est, affianco alla Zona Nera, dove vennero costruiti il Palazzo di Cristallo e la città limitrofa, mentre sui Carpazi veniva edificata l'Accademia.

Il conflitto privò l'Europa dei propri confini, riducendola a un unico blocco. Persino la Svizzera entrò a far parte della Nuova Europa, dopo che gli Esterni l'ebbero rasa al suolo senza fare distinzione alcuna. Gli stati del nord e le isole, che scamparono agli attacchi, conseguirono invece il permesso di uscire dalla vecchia Unione e di costruirsi un loro dominio.

Per risollevarsi, la Nuova Europa decise di usare come sistema economico il monopolio: ad oggi, per ogni cosa esiste un'unica azienda che se ne occupa e tutti lavorano per essa. Fu una delle scelte più azzeccate: ognuno contribuisce per il suo paese guadagnando bene. Non ci sono conflitti d'interesse e non vi sono norme restrittive. Non esistono accordi commerciali con gli altri stati e noi siamo lentamente riusciti a crescere e a prosperare.

Non è un caso quindi che i restauratori siano tutti riuniti in un'unica organizzazione, così come che esista un'unica azienda che produce carne, la MeatProduction, e una che si occupa esclusivamente di abbigliamento, la CottonFactory. Tutti lavorano, tutti guadagnano bene e il paese cresce: più semplice di così!

«Tornerai, vero?» domanda Lucia, riportandomi nuovamente alla realtà. Oggi la mia mente si perde facilmente, forse a causa dell'euforia dell'annuncio.

Mi sta guardando corrucciata, con la bocca sporca di pomodoro e la forchetta, sulla quale è già infilzato un pezzo di lasagna, in mano.

«Lucia, perché glielo domandi?» la rimprovera lo zio. «Sai come funzionano le cose: sarà lei a decidere se tornare qui o cambiare città.»

«Ma poi non la vedrò più!» piagnucola sbuffando la bambina, lasciando cadere la forchetta nel piatto, per poi mettere il broncio.

«Potrai sentirla tramite computer» le ricorda la madre affettuosamente. «La rivedrai ancora.»

«Non è la stessa cosa» borbotta in risposta, abbassando lo sguardo.

ZB prova a farle tornare il buonumore porgendole il peluche che lei aveva lasciato sul divano, ma la bambina non lo degna di uno sguardo, facendolo deprimere. Purtroppo ZB si rattrista quando le persone mettono il muso e non riesce a stare con le mani in mano a guardarle.

«Ora come ora intendo tornare» rispondo, guardando Lucia negli occhi, cercando di usare un tono rassicurante per le mie parole. «Spero che ci sia del lavoro qui vicino, così da avere la possibilità di restare con voi. Se le cose dovessero andare diversamente, allora cercherò almeno di annunciarvelo fisicamente e non tramite un computer. D'accordo?»

La bambina mi osserva per qualche secondo in silenzio, cercando nel mio sguardo un accenno di menzogna, ma quello che le ho detto lo penso davvero e lei lo capisce. Infatti dopo poco si calma.

«Promettimelo!» esclama seria.

Porto la mano al cuore e faccio il segno della croce. «Promesso» rispondo convintissima.

A quel punto Lucia si arrende e come nulla fosse riprende a mangiare, facendo tirare un sospiro di sollievo anche a ZB.

Ora che la discussione sembra finita posso pensare esclusivamente al cibo e ne approfitto per rimpinzarmi con l'ultima fetta di lasagne, visto che per tre anni dovrò fare a meno della cucina di mia madre. Non mi dispiace abbandonarli, considerando l'onore che ho appena ricevuto, però sicuramente mi mancheranno, quindi voglio vivere questo pranzo nel migliore dei modi, gustandomi, nel vero senso della parola, ogni secondo.

Tra una chiacchierata con la mia famiglia e l'altra, ci siamo divorati tutte le portate del pranzo... e non è passata nemmeno mezz'ora! Mai mangiato niente di così buono in vita mia, anche se credo che tutto sia dovuto alla gioia della mia ammissione all'Accademia. Devo comunque ammettere che Lara è stata veramente brava stavolta nel preparare il dessert, aggiungendoci parecchio cioccolato.

Sono ancora seduta al tavolo, aspettando che sia pronto il caffè, quando il ring-phone al mio indice sinistro si illumina, emettendo una sottile vibrazione. La pietra al centro dell'anello diventa azzurra, il che significa che si tratta di una videochiamata. Mi alzo dalla sedia e in silenzio raggiungo il salotto, sotto lo sguardo compiaciuto di Lara: immagino che abbia già capito chi sia il mittente.

«Inizializzazione ring-phone» dico avvicinando l'indice alle labbra.

Nel giro di una manciata di secondi, dall'anello compare un grande schermo digitale ad altissima definizione, dove lampeggia il nome di Sarah: accetto la chiamata e subito la sua faccia felice lo riempie completamente.

«Ciao, Leila!» esclama subito, salutandomi con euforia.

Sorrido a quello sprizzo di gioia, anche se non ci metto molto a notare la forzatura nel tono della voce e a capirne il motivo.

La verità è che anche lei sperava di risultare tra le candidate, ma il suo nome non è stato tra quelli pronunciati da Rain stamattina: la sconfitta si vede fin troppo bene nei suoi occhi, ma sta cercando in tutti i modi di non farmela pesare.

Mi dispiace per lei, talmente tanto che terminato l'annuncio l'ho cercata tra la folla senza però trovarla... e mi ritrovo a pensare al periodo appena trascorso. Ogni sera ci telefonavamo per aggiornarci sulle materie, ripetendo le ultime cose ad alta voce, scambiandoci il sostegno necessario per continuare a sperarci. Ha ancora la possibilità di riprovarci l'anno prossimo, ma immagino che per lei ora sarà più dura.

«Volevo sapere se intendi passare al campo oggi, per... un'ultima partita» mi domanda, mantenendo un tono calmo e pacato.

«Ma certo che sì, che domande!» esclamo, riuscendo a farle scappare un sorriso più naturale di quello che ha ostentato finora sul viso. «Per niente al mondo potrei perdermi l'ultima partita con te!»

«Perfetto!» riprende con un'enfasi più gioiosa nella voce. «Allora ci troviamo per le quattro?»

«D'accordo» confermo, già elettrizzata all'idea.

Dalla cucina sento il caffè salire nella moka, e Lara che mi chiama per tornare a tavola. "Non sapevo di avere i minuti contati" sbuffo, alzando gli occhi al cielo. Sarah sorride subito a quell'espressione.

«Scusa, devo andare» le dico, dispiaciuta per averle dedicato così poco tempo.

«Tranquilla, anzi scusami per averti chiamato a quest'ora» replica Sarah, quasi si sentisse in colpa per averlo fatto. «Era solo per sapere. Allora ti aspetto all'entrata della palestra. Buon pranzo e a dopo!»

La saluto frettolosamente, prima che lei chiuda la chiamata. La sconfitta all'ammissione non le ha fatto per niente bene e mi dispiace veramente tanto.

"Vedremo di risollevarle il morale tra un canestro e l'altro" mi dico mentalmente, ritornando in cucina.

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