2.1 Il raduno
"La partenza da casa è sempre una tortura, più dell'annuncio del preside.
Il momento della verità si avvicina. È questione di qualche minuto, poi il risultato sarà lampante di fronte ai tuoi occhi."
Studente stanza 176, Accademia
«Sei pronta? Possiamo andare?» domanda spazientita Lara, dopo avermi lanciato un'ultima occhiata.
Con indosso la mia ex divisa delle superiori, finalmente raggiungo mia sorella, ferma davanti all'ingresso con le mani sui fianchi.
Dover rimettere questi abiti incute in me un profondo senso di disagio, forse perché, quando è successo l'ultima volta, non è andata poi così bene. La camicetta rossa mi sta un po' stretta, soprattutto sul seno, e il pantalone nero rimane troppo aderente sulle gambe, ma considerando che si tratta della divisa di due anni fa credo sia abbastanza normale.
«Sì, possiamo andare» sospiro, agitata per l'imminente presentazione.
Lara mi sistema un ciuffo ribelle sulla fronte e poi stacca MC dal caricabatterie, porgendomi uno dei due orecchini d'acciaio che ha in mano. Lo sistemo con dita tremanti all'orecchio destro e infilo gli stivali neri ai piedi.
«Noi usciamo!» esclama Lara dopo aver aperto la porta d'ingresso, rivolgendosi a ZB mentre anche lei indossa il gioiello elettronico. «Non far diventare questa casa una cristalleria, per favore!» aggiunge ridendo.
Sorrido a quella battuta: l'ultima volta che abbiamo lasciato la casa vuota, ZB si è messo a pulire tutte le stanze con meticolosa cura, tanto che al ritorno risplendevano persino le maniglie delle porte. È un robot casalingo: decisamente maniaco della pulizia.
La mano robotica ci raggiunge e ci saluta dall'ingresso con un gioioso beep, subito dopo aver alzato l'indice e il medio in segno di vittoria verso di me. Io replico con lo stesso gesto e chiudo la porta sorridendo. Ho dimenticato di aggiungere che, tra le altre cose, ZB è anche un robot piuttosto affettivo.
Attraversiamo in silenzio il giardino, raggiungendo la strada. Mentre cammino osservo le varie piante, orgoglio di mia madre, che si preparano ad affrontare ancora una volta il rigido inverno. I roseti, ora appassiti e potati con cura, sembrano scheletri di una futura vita, fermi e immobili in attesa che nuova energia li ravvivi. Il rampicante sulla facciata ha assunto una tonalità giallastra e svetta sul muro dell'edificio nell'impaziente attesa che il sole sopraggiunga per riscaldarlo.
Ho sempre amato il nostro giardino: mia madre dedica molto tempo a curarlo, a mantenerlo rigoglioso e i risultati si vedono ogni giorno dell'anno.
«Allora, ricordati le mie parole» ricomincia Lara, riportando tutta la mia attenzione su di lei.
Abbiamo superato il vialetto e ora si è girata verso di me, con MC in mano, pronta a usarlo: lo sguardo fiero fisso sul mio viso.
«Non puoi aspettarti di essere tra i soggetti Uno, ma questo lo sai già. Pensa agli sforzi che hai fatto quest'anno e vedrai che tutto filerà liscio. D'accordo?»
Non distoglie i suoi occhi dai miei nemmeno per un secondo, aspettando in silenzio la mia risposta. Io sbuffo esasperata.
«Lo so! Serve ancora che me lo ripeti? Smettila, sennò mi agito di nuovo!» replico secca.
«Prova a farlo e te ne pentirai amaramente» ribatte, col sorriso sulle labbra.
Alzo gli occhi al cielo e sbuffo nuovamente. Quando fa così è insopportabile! "Lei e la sua premura da sorella!"
«Muoviti, sennò arriviamo in ritardo» ringhio a denti stretti.
Soddisfatta della mia reazione irritata, si volta verso la strada annuendo compiaciuta e avvicina al viso MC.
«Inizializzazione moto» ordina al cubo, prima di gettarlo con decisione sul marciapiede.
MC, che altro non è che un cubo di Rubik tecnologico, inizia a muoversi meccanicamente sull'asfalto, ruotando i suoi quadrati in modo che ogni faccia assuma un unico colore. L'operazione non dura molto, giusto un paio di secondi, e una volta riordinati tutti e sei i lati riprende a muoversi, crescendo pian piano di dimensioni. I quadrati colorati si espandono e si trasformano in lamine d'acciaio. Alcune parti formano la sella di cuoio e il manubrio, mentre i restanti quadratini diventano il motore.
MC può diventare qualsiasi mezzo di trasporto privato si voglia, dal monopattino al camper. Ha un caricatore elettrico come batteria e un'autonomia duratura anche con poche ore di carica. Non si può negare che i nostri ingegneri siano dei veri e propri portenti, considerando che con la tecnologia, come con altre innumerevoli cose, abbiamo dovuto ripartire da zero.
«Casco!» ordiniamo io e mia sorella, quasi all'unisono, mentre aspettiamo vicine che la moto sia pronta.
Gli orecchini d'acciaio rispondono all'ordine e all'istante creano sul nostro volto una spessa lamina di metallo, che ci copre completamente la testa. Una visiera di policarbonato esce da sopra il mio orecchio destro, percorrendo tutta la zona degli occhi, fino a ricongiungersi con la lamina sopra quello sinistro.
«Ok, possiamo partire» afferma Lara, salendo sulla moto.
Entrambe abbiamo la patente, ma mia sorella trova molto più divertente sfrecciare sulle strade con la nostra motocicletta bianca. Per lei è quasi... liberatorio e, constatando la mia ansia al momento, non ho dubbi sul motivo per cui abbia scelto questo veicolo.
Mi sistemo dietro di lei cingendole i fianchi e Lara accende il motore. Il rombo della moto è carico, elettrizzato ed è un suono che mi ha sempre rilassato, anche se non so spiegarne il motivo: forse perché riesce a trasmettermi la sua energia e adesso... è proprio quello di cui ho bisogno.
Lara accelera e partiamo così alla volta della piazza centrale. Non parliamo lungo il tragitto, ma francamente la cosa non mi pesa. Almeno per un paio di minuti, non sarò costretta ad ascoltarla mentre mi ripete di stare calma.
La città scorre veloce intorno a noi e mi ritrovo ad osservare la gente in strada. Inizialmente se ne vede poca in giro, ma più ci avviciniamo alla piazza e più la calca aumenta.
Tutti i cittadini si stanno dirigendo all'annuncio, compresi quelli che vivono nei paesi limitrofi, tanto che Lara è costretta a rallentare per il traffico che si è creato a un certo punto del percorso.
È un evento importante e nessuno ha intenzione di perderselo.
Qui noi tutti viviamo per questo unico momento. Il giorno in cui un europeo riesce a elevarsi, a raggiungere un obiettivo considerato a tratti divino e a diventare qualcuno che potrà far risorgere la nazione. Non che gli altri non possano farlo, ovviamente, però essere uno studente dell'Accademia significa conoscere più cose ed essere poi in grado di usare la propria mente e la propria fantasia oltre il normale limite. Persino le attività manuali raggiungono apici mai sperati dagli studenti. Non è un caso se i migliori ingegneri, architetti, scienziati e artisti escono da lì, pronti a offrire il loro potenziale per il paese.
La conoscenza è un onore: questo è il motto della Nuova Europa e non esiste ideale più grande e nobile. Conoscere ci dà l'onore di sollevare la nostra nazione, di migliorarla, di farla brillare come un diamante.
E un giorno ci permetterà di cicatrizzare la ferita inflittaci in passato, mostrando al resto del mondo tutto il nostro potenziale: lo stesso che ci è stato deturpato decine di anni fa.
Lara curva a destra, verso la strada principale che ci porterà alla piazza, e lungo la via alberata vedo molte famiglie che accompagnano i loro figli all'annuncio. È evidente quanto tutti siano entusiasti e nervosi allo stesso tempo: il nostro destino, che tanto abbiamo cercato di afferrare con il sudore e la fatica, potrebbe realizzarsi fra poco.
Vedendo i volti di quei ragazzi, mi torna alla mente il giorno in cui ho affrontato il test d'ingresso, nella scuola superiore della città. In particolare, il momento in cui il computer si è acceso, mostrandomi il fatidico questionario di dieci pagine. Domande chiuse, aperte, problemi: c'era di tutto in quell'esame. Tutta la nostra conoscenza veniva valutata in quel semplice modulo d'ammissione.
Non posso sperare nel punteggio pieno, poiché, solitamente, viene dato a quelli che lo passano al primo colpo, ma sono più che convinta di meritarmi il privilegio di entrare. Ho risposto a ogni domanda con decisione e convinzione, ponderando bene le risposte e dando ampio risalto alle mie capacità.
In fondo al questionario c'era una pagina con una serie di domande più personali: motivazioni per cui si vuole entrare, futuro lavoro, materie che si vorrebbero seguire e cose simili.
Questa è probabilmente la pagina più importante del test. In base alle nostre risposte, il preside deciderà se siamo o meno idonei, valuterà cosa in effetti saremmo in grado di offrire all'Accademia e quanto, in futuro, saremo disposti a donare di noi stessi per la causa. In sostanza, ha ragione mio nonno: all'Accademia dai anche l'anima.
«Siamo arrivati» dice Lara, raggiungendo la fine della strada principale.
Spento il motore, scendiamo dalla moto. La folla sta già entrando nella piazza centrale, creando un'enorme onda umana che si accalca per prendere parte allo spettacolo.
«Raggiungiamo i parenti» mi incalza Lara, dopo aver raccolto MC una volta ritornato cubo. «Dovrebbero essere già qui ad aspettarci.»
Premo sull'orecchino per far sparire il casco e mi dirigo con lei verso la calca, che aspetta impaziente l'inizio della cerimonia.
La piazza è immensa e affollata mai come oggi. In lontananza posso distinguere il megaschermo digitale centrale, quello, per così dire, "ufficiale", riservato agli studenti. Ai lati, invece, sono stati piazzati due schermi più piccoli, che mostreranno la cerimonia ai parenti dei ragazzi, rimasti in fondo allo spiazzo. La zona, come ogni anno, è stata suddivisa in due parti proprio per far sì che l'annuncio sia il più possibile ordinato e che non nascano problemi di alcun tipo.
Da vuota, la piazza è imponente: uno slargo bianco, circondato da colonne di marmo e dagli edifici storici che sono sopravvissuti alla guerra passata. Stessa sorte non è toccata al grande duomo, che un tempo ne occupava il centro: i bombardamenti lo hanno completamente distrutto, recandogli danni irreparabili, e per questo in seguito è stato definitivamente demolito.
La zona è stata ricostruita da zero, subito dopo la fine della guerra, trasformandosi nel grande piazzale odierno. Dalle foto che mio nonno mi ha mostrato, doveva essere splendido ai suoi tempi, ma l'arte non è l'unica cosa che gli Esterni ci hanno portato via e, per fortuna o purtroppo, non abbiamo avuto tempo per concentrarci su questo aspetto.
Ci facciamo strada tra la massa di famiglie scalpitanti, cercando in ogni direzione uno dei nostri parenti. Se ci avessero mandato un messaggio sarebbe stato meglio, ma, d'altronde, è comprensibile che in una giornata del genere si siano dimenticati di avvisarci della loro posizione.
«Leila!» sento urlare alla mia sinistra. Dal tono della voce sembra una bambina e non ci metto molto a capire di chi si tratti.
Volgo lo sguardo verso quel suono così melodico e vedo a pochi metri da me Lucia, la mia cuginetta, che agita le braccia sorridendo. Anche Lara l'ha notata e insieme ci avviciniamo alla bambina e a nostra zia Giulia, la quale non perde tempo per stritolarmi tra le sue braccia.
«Tesoro, ci siamo!» esclama emozionata, aumentando la stretta e iniziando a piangere. «Sono sicura che ti farai valere stavolta!»
«Zia, mi manca il respiro» rantolo, cercando di allentare la sua presa, ma lei capisce l'esatto contrario e la rafforza.
«Respira, tesoro! Non agitarti per quei burocrati!» replica, piangendo sulla mia spalla.
Lara sta trattenendo una risata, con Lucia sulle sue spalle che ci osserva divertita.
«No zia, mi stai soffocando» ripeto e, stavolta, lei mi lascia andare da quella presa così energica.
«Oddio, scusa!» si giustifica subito, allarmata all'idea di avermi fatto male. «Sono emozionata, non posso farci niente!»
Si asciuga le lacrime col dorso della mano e non smette di sorridermi. Posso anche capire il suo entusiasmo, ma stritolarmi come se fossi carta mi sembra un po' esagerato.
«Nonno?» domando, massaggiandomi il collo e guardando la folla entusiasta.
«Ha detto che ti aspetta fuori una volta finito» mi risponde, prendendo un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni per tamponare il torrente di lacrime che non smette di cadere dai suoi occhi. «Tutta questa accozzaglia di gente lo innervosisce, lo sai.»
Giusto, il nonno non ama gli spazi affollati, avrei dovuto ricordarmelo. Poco male, lo vedrò alla fine di questa giornata.
«Ciao Leila» mi saluta James, mio zio, dopo avermi abbracciata in maniera meno violenta rispetto a sua moglie. «Andrà tutto bene, vedrai» mi rassicura.
«Lo spero» rispondo sincera, sorridendo. Il fatto di essere di nuovo qui, in questa piazza, per assistere all'annuncio m'innervosisce non poco.
"Prima comincia e prima potrò tirare il fiato" penso concisa.
«Vi stanno aspettando» continua James, riferendosi ai miei genitori. «Tua madre sta seriamente per avere un infarto e credo sia meglio che voi la raggiungiate subito.»
La mia fortuna è che mamma è meno emotiva di sua sorella... e soprattutto meno stritolatrice. Sarà più facile starle vicino, piuttosto che restare qui con Giulia.
«Posso venire anch'io?» domanda tutta emozionata Lucia, agitando le mani sulla testa di Lara. «Per favore!» insiste, facendo gli occhi da cucciolo.
In realtà, non è vietato assistere alla cerimonia con i parenti al completo accanto: è solo una semplice precauzione per mantenere l'ordine. Però dubito che una bambina di cinque anni possa causare gravi danni alle persone vicine e finché resterà sulle spalle di Lara rimarrà tranquilla.
«Per me puoi venire» la rassicuro sorridendo.
«Sì!» urla felice la bambina, battendo le manine sulla testa di Lara, che cerca di ripararsi il capo da quella cascata di colpi.
«D'accordo, elefante, però vedi di stare calma lassù!» le ribatte scherzosamente, facendomi ridere. È indubbio che l'indole energica l'ha presa da sua madre Giulia.
Salutiamo gli zii e ci dirigiamo verso la parte superiore della piazza. Ci guardiamo intorno per cercare i nostri genitori, con Lucia che ci aiuta a trovarli facendo da vedetta: i suoi occhi azzurri perlustrano la zona adempiendo con particolare entusiasmo al suo nuovo compito, anche se qualche volta è costretta a togliersi la chioma riccia che le cade ribelle sul viso, facendola sbuffare.
Con lei è facile rendere tutto un gioco: è sempre solare e gioiosa e ha già detto che da grande vuole fare la maestra. «Dell'Accademia, ovviamente!» aggiunge sempre alla fine. Non si può dire che non punti in alto, la piccola.
Lo schermo centrale viene acceso mentre noi cerchiamo ancora tra la folla, ma il discorso non inizierà se non tra qualche minuto. Probabilmente stanno preparando il collegamento tra l'Accademia e le varie città della Nuova Europa.
In questo preciso momento infatti tutte le piazze delle città europee sono gremite di famiglie e di giovani. Migliaia di spiazzi pullulano di gente in festa, tutti sono pronti a contemplare con indescrivibile attesa un nuovo pezzo del loro futuro. E stavolta sono certa che anch'io ne farò parte.
Non andrà come l'anno scorso, quando l'ansia della novità per il test mi aveva fatto tremare le mani e il momento dell'annuncio mi aveva quasi uccisa. Questa volta so di aver dato il massimo e di avere avuto più famigliarità con quello che ho dovuto affrontare. La prima volta è stata molto istintiva, mentre questa è stata molto più calibrata e ponderata. Per questo motivo devono prendermi.
«Eccoli lì!» esclama Lucia, tutta contenta per aver portato a termine la sua missione di vedetta.
Davanti a noi, dopo una decina di studenti attorniati dalle loro famiglie, scorgiamo i nostri genitori, che mi abbracciano appena mi avvicino loro. Mamma sta cercando di trattenere le lacrime, mentre papà sorride e mi cinge fiero con un braccio.
«Hai promesso che non avresti pianto fino alla conclusione della cerimonia» dico sorridendo a mia madre Verdiana, la mia mano stretta alla sua per darle forza.
«Ci sto provando.» Il suono che esce dalle sue labbra è a malapena udibile, la voce strozzata nel difficile tentativo di non piangere.
Léonard, mio padre, le si avvicina stampandole un bacio sulla guancia, circondandola col braccio libero. «Andrà tutto bene, vedrai» la rincuora, accarezzandole con dolcezza la spalla.
Ho sempre invidiato la loro unione: si vede che sono ancora molto affiatati, nonostante i quasi trent'anni di matrimonio e i vari problemi che hanno dovuto affrontare, incluse me e mia sorella, che da piccole eravamo delle vere e proprie pesti.
Spero che il destino mi riservi una vita come la loro, in cui anch'io incontrerò qualcuno con cui poter rimanere me stessa e avere una relazione così stabile. Non chiedo poi molto, ma per ora questo desiderio non si è ancora realizzato. Magari dopo l'Accademia succederà qualcosa, chi lo sa.
Sullo schermo centrale compare il cervo, simbolo della Nuova Europa: ci siamo, sta per cominciare.
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