Vivi
Era l'alba quando qualcuno bussò insistentemente alla porta della camera di Kathy entrando senza troppe cerimonie. Già dormire con la finestra senza tende era abbastanza traumatico al sorgere del sole, poi ci si mettevano i suoi sogni orribili. Eppure, quel mattino si svegliò di soprassalto e si accorse che il ghiaccio attorno ai polsi era sciolto, ma non aveva fatto alcuna onda. Guardò Ariel perplessa.
- Dormito bene, vedo - aggiunse la donna.
- Che ci fai qui? Non devo più fare fisioterapia...- le ricordò Kathy.
- Roxy mi ha detto che ti piace correre - sorrise Ariel. Kathy si lasciò andare disperata sul materassino ancora mezzo bruciacchiato dal giorno precedente.
- Su lavati la faccia, cambia il ghiaccio e partiamo - la spinse Ariel.
Dieci minuti dopo, Kathy si strinse nella giacca della tuta mentre uscivano dalla baita al sorgere del sole. - Ghiacciaio? - chiese Ariel. Kathy annuì e partirono insieme nella penombra del mattino.
Ariel la guardava procedere e davvero non credeva ai suoi occhi. Da fisioterapista non poteva essere che completamente meravigliata da ciò che il quarto stadio aveva cambiato in Kathy. Aveva ricreato una porzione di muscolo e riparato la colonna vertebrale in poco meno di una settimana, aveva aggiustato quel ginocchio malandato senza medicinali o protesi anche in minor tempo. Una certa parte di lei aveva sempre capito la dottoressa Wolfe, anche se i suoi metodi erano veramente agghiaccianti. Un medico, un ricercatore dovrebbero sapere quando fermarsi, ma capiva la sua meraviglia davanti a qualcosa che sfugge così prepotentemente ad una spiegazione logica scientifica. Il corpo umano era un vero miracolo.
- Direi che sei decisamente il più grande successo della mia breve carriera da fisioterapista - disse Ariel quando si fermarono a metà del percorso per rifiatare.
-... o sono semplicemente un altro passo dell'evoluzione umana - aggiunse Kathy scattando su per il sentiero. Ariel sorrise, forse non l'avrebbero mai ammessa alle olimpiadi, ma Kathy ora volava. Forse in effetti se avesse voluto, avrebbe potuto fare anche quello. Respirò l'aria pura del mattino e sperò che quella giornata portasse anche un altro miracolo.
Un 'ora più tardi Tom sbadigliando e stirandosi la schiena entrò in sala da pranzo guardandosi attorno. Non aveva visto tracce di Kathy in camera sua e la cercava nella stanza.
- Sono a fare una corsetta, nottata tranquilla? - gli disse Liam.
- Sì, ogni volta che l'ho controllata dormiva come un angelo - sospirò Tom. Una parte di lui si sentiva molto in colpa per essere scappato il giorno precedente. Aveva fatto grandi promesse a Kathy appena tornata, ma ora il dubbio lo attanagliava: e se non fosse stato in grado di aiutarla coi suoi bracciali? Liam gli sorrise e gli fece segno di sedersi al suo tavolo quindi gli versò una tazza abbondante di caffè.
- So che è dura... Non è facile amare qualcuno che non sai come aiutare a stare meglio e il fatto che possa ucciderti in ogni momento se la fai arrabbiare non semplifica le cose - sospirò lui.
- Roxy è sempre stata bravissima a controllarsi - disse sovrappensiero Tom. Liam quasi sputò il caffè che aveva in bocca.
- Se vuoi fare un giro nel boschetto, voci di corridoio mi hanno detto che c'è una buca di un metro e mezzo di diametro. O ieri notte è caduto un meteorite o è stata Roxy. La settimana scorsa ha fatto un buco nel soffitto della nostra camera. Ho dovuto rifare il pavimento della camera sopra alla nostra cercando di non farmi vedere da David. Non è sempre bravissima, ma non è quello che conta. Io so che ce la sta mettendo tutta. All'inizio, se ti ricordi, era veramente irascibile, ogni minimo scherzo mio o di Michael scattava come una molla. Con gli anni ho imparato quando lasciarle i suoi spazi e quando ha bisogno di me. Non è facile, ma l'alternativa qual è? Girarmi dall'altra parte e andarmene? Non ce la faccio, Tom, al di là del fatto che ora porta mio figlio in grembo, c'è qualcosa che non posso ignorare. Con lei sento di poter essere la migliore versione di me stesso e penso che non ci sia qualcosa di meglio che un uomo possa sperare. Sei davvero sicuro che il tuo dispositivo non possa essere in qualche modo adattato per Roxy? - chiese sottovoce quasi vergognandosi.
- Non penso, è un bracciale. - tagliò Tom addentando il pane con la marmellata.
- E se il materiale che assorbe le onde si potesse installare in qualche dispositivo vicino al cuore, come quello di Ironman? - tentò Liam.
- Tu hai visto troppi fumetti... anche ammettendo di trovare qualcosa del genere per le onde ad infrarossi, poi non potremmo essere sicuri delle interferenze e io ci penserei un attimo prima di metterlo vicino al cuore della donna che amo, non ché futura madre dei miei figli - rise Tom. Liam lo guardò implorante. Tom sbuffò.
- Prometto che ci penserò, ok? - concesse Tom infine.
- Posso darti un consiglio da amico...- aggiunse Liam. Tom gli fece segno di proseguire.
- Falli carini, pensali come se fossero un regalo che le fai, vedrai che li accetterà meglio. - suggerì Liam.
- I bracciali sono stati pensati come un dispositivo medico... - obbiettò Tom.
- Kathy ha 16 anni! Non vuole un dispositivo medico, ma se le regalassi due braccialetti fantastici, con una scritta smielata all'interno, li metterebbe e penserebbe anche a te mentre li guarda - suggerì Liam con l'occhiolino.
- Le ragazze sono strane - sospirò Tom.
- Non proprio, è che ti hanno portato via prima che scoprissi come sono fatte, saranno anche mutanti, ma sono sempre giovani donne- alzò le spalle Liam.
- Uhm, sta arrivando l'elicottero, scusa, devo andare ad aiutarli nell'atterraggio - Liam si alzò di fretta, si pulì col tovagliolo ed uscì in gran carriera dalla baita con una borsa contenente i segnalatori. Tom si alzò e rimase inebetito a guardare l'elicottero che si avvicinava.
- Non mollare, amico - sospirò. Quindi prese due panini alla marmellata dal buffet e si ritirò nel suo laboratorio di costruzione.
Simon non sentiva le pale d'elicottero in avvicinamento, non sentiva la coperta ruvida e colorata sotto di lui, non sentiva nemmeno l'elastico della mascherina che gli avevano calato sul viso dal giorno prima, non sentiva l'odore di disinfettante nella stanza o il tepore del sole che giocava tra la polvere infilandosi nella stanza. Non sentiva le grida dei suoi amici due piani più sotto, non poteva vedere Kathy correre in mezzo alla neve del ghiacciaio aprendo le braccia al vento e certamente non avrebbe udito il rombo basso dal saldatore di Tom che continuava a lavorare pur di non pensare a cosa sarebbe accaduto di lì a poche ore.
Eppure, Simon volava ed era stato così stanco di quei giorni, di quel bruciore, di quei mal di testa che si era semplicemente lasciato andare, si era lasciato trasportare lontano dalla sua mente seguendo quell'aeroplanino di carta che attraversava il vento e sprofondava in mezzo alle nuvole. Non voleva nemmeno chiedersi dove stesse andando o se quel posto esistesse o meno, voleva solo continuare a volare sopra chilometri di oceano, al di là del mare. Voleva solo svanire nella nebbia, diventare gocce di pioggia e ricongiungersi con l'universo.
La sua vita non era mai stata una vita normale, era sempre stata un regalo, un miracolo. Era nato prematuro a sette mesi scarsi, attaccato alle macchine, rimasto in quell'incubatrice, protetto da pareti di plastica, con sporadici contatti con la sorella e i genitori per così tanto tempo. In fondo gli sembrava quasi di averci creduto troppo, di essersi sempre aspettato che prima o poi qualcuno gli avrebbe chiesto quel dono indietro. Lui l'aveva vissuto come un regalo e si era divertito moltissimo, nonostante tutto. Perché la vita è un regalo, in qualsiasi forma si presenti, nel coraggio dei suoi genitori, nello sforzo degli infermieri e dei dottori, nelle preghiere dei nonni. È tutto un castello sopra la follia ed è bellissimo stare a guardarlo: non ha senso perdere tempo a chiedersi quando crollerà. Dovesse essere quello l'ultimo secondo della sua vita, il solo rimpianto che aveva era di essere troppo lontano da casa e dalla sua famiglia caotica e sgangherata.
C'era stato un anno davvero duro nella loro vita, per sua sorella, ma anche per tutti loro. L'anno in cui avevano dovuto operarla al cervello per le continue crisi di epilessia. Due mesi prima dell'operazione, avevano avuto il via libera a fare una vacanza, con un volo speciale a bassa quota, con un piccolo aereo, grazie ad una organizzazione di volontari erano volati nel mar dei caraibi, per una settimana di vacanza, tutti insieme. Sua sorella girava col respiratore, ma non importava a nessuno. Giocavano a rincorrersi nella sabbia, si tuffavano nel mare cristallino fino a cadere senza fiato sotto le palme. Col padre rimanevano ore a guardare gli scoiattoli arrampicarsi, avevano dato un nome ad ognuno di loro, li riconoscevano dalle macchie sul pelo. Era stato lì che aveva cominciato a guardare gli uccelli: bellissimi, rarissimi.
Una volta tornato aveva coltivato quella passione. Il giorno dell'operazione di sua sorella aveva passato tutto il tempo in sala d'aspetto guardando sul tablet del padre uno dopo l'altro tutti gli uccelli della sua zona e delle zone limitrofe. Volare era il suo sogno da sempre, mettere piede su quell'aereo, pur a bassa quota era stato un sogno. Era il primo volo e il primo non si scorda mai. Josephine era un impertinente tenacissima bambina e non solo si era svegliata da quella operazione, ma i medici avevano detto che aveva anche migliorato alcune delle sue capacità cognitive, perché prima alcune aeree della sua testa erano in sofferenza, ora invece erano meglio vascolarizzate.
Josephine era la ragazza dei miracoli, dovunque andava, aveva come una luce, tutti si voltavano, tutti capivano che era una presenza troppo ingombrante, troppo speciale, unica per essere ignorata. A lui non importava essere il primo, a lui importava vivere, importava divertirsi, gli importava sorridere e non avere rimpianti e l'aveva fatto. Quando era arrivata la mail con l'esito dell'esame genetico sua madre aveva pianto. Sua sorella era scappata in camera sua sbattendo la porta, arrabbiata per il fatto che l'avrebbero esclusa dagli sport scolastici. Lui si era avvicinato alla madre e le aveva sorriso: - Tranquilla, l'hai sempre saputo che siamo speciali. Essere normali è noioso, a me va bene così-.
Poi era arrivata la Lotus Academy e, con le polemiche che già c'erano dopo la petizione e la storia di Jacob Finnegan che rimbalzava su tutti i giornali, avevano deciso entrambi di prendere quel volo e di farlo con la convinzione di fare la cosa giusta per poter tornare a lista cancellata. Non si era mai rimangiato nulla della sua esistenza, non avrebbe cominciato ora a farlo. Quello che la Lotus aveva fatto per anni, nel silenzio, quello che avevano rischiato per mettersi contro la Humans e le altre ditte farmaceutiche, l'aveva reso fiero di essere un LWF e non avrebbe smesso ora. Non era mai stato tipo da dare la colpa a qualcuno di qualcosa, si faceva una ragione di tutto, ma aveva odiato quella dottoressa con tutto sé stesso.
L'aveva odiata sapendo che aveva rubato la vita a Tom: un ventunenne che nemmeno sapeva guidare, che aveva una laurea che non aveva mai usato, che giocava ancora sotto falso nome come il sedicenne di allora, che era costretto a vivere attraverso un videogioco, che non era mai stato con una ragazza in vita sua prima di Kathy, che aveva passato gli ultimi anni nascosto tra i server di una scuola. Aveva odiato Helene Wolfe guardando Roxy girare per la scuola col respiratore, pallida come la morte. I medici gli avevano salvato la vita, più volte. Quella donna aveva sporcato con l'infamia il lavoro onesto di migliaia di persone e diviso la società in due: i normali e i diversi, per legge. Da LWF non avrebbe mai potuto pilotare un jet, l'avrebbero escluso a priori; invece, Roxy l'aveva fatto e se l'aveva fatto lei, poteva imparare anche lui. Quello era sempre stato il suo sogno: volare insieme agli uccelli. Alla Lotus Academy aveva creduto possibile realizzarlo.
Puoi perdere la tua vita, ma i tuoi sogni non devi farteli rubare da nessuno, perché sono la parte migliore di te, sono quelli che ti fanno battere il tuo cuore e che ti fanno aprire gli occhi ogni mattina, nonostante tutta la disperazione e il dolore che vedi attorno a te in questo mondo, che tu sia in un ospedale, in una cameretta o in una scuola arrampicata su un monte, non importa. Ed era fiero di aver aiutato Kathy, di aver ballato e gridato inneggiando alla libertà, di aver riso e giocato con ognuno di quei ragazzi a cui il mondo continuava a rubare i sogni e invece loro se ne fregavano e continuavano ad inseguirli. Non si era mai sentito così a casa come alla Lotus Academy. Mentre era lì seduto sotto una palma a vedere il suo aeroplanino che volava nel cielo, fregandosene del fatto che probabilmente lo avevano anestetizzato con una droga molte forte e gli stavano trapanando la testa, pensò a quel manuale e cominciò a capire che quello che avevano preso per un grande manuale scientifico era come un uomo che entra in una caverna con una torcia e tenta di farne una piantina. Gli LWF erano molto di più di quel manuale, erano la caverna intera, il prossimo passo dell'evoluzione umana. E se c'era qualcosa che aveva imparato dalla sua osservazione degli uccelli è che la natura vince sempre. Non c'è modo di fermarla, ma quando l'uomo si mette in mezzo crea soltanto problemi. La domanda fondamentale, perciò, non era se Feltman era vivo o chi ci fosse dietro quel manuale. La vera impellente questione era smettere di forzare la naturale storia di evoluzione del mondo, fermare la Humans e impedire loro di seminare per il mondo mutanti.
Se gli LWF erano un altro passo della evoluzione umana o invece solo una minoranza sfortunata doveva essere la storia a dirlo, la naturale evoluzione del mondo. In quel siero non c'era nulla di naturale: era l'uomo che si sostituiva a Dio. Andava bene se curava la vista, ma la medicina deve fermarsi ad un certo punto, non può permettersi di varcare quella soglia, perché una volta varcata non si torna indietro. E questo per la prima volta gli fu chiaro su quella spiaggia. La Lotus poteva distruggere la Humans, ma i danni che aveva già fatto sarebbero vissuti e avrebbero cambiato per sempre la storia del mondo. Bimbi mutanti erano già nati: le figlie di David, quelle due bellissime bambine che giocavano sul prato parlandosi con la mente. Erano figlie di un oro e non potevano avere solo quei poteri. Altri bimbi mutanti sarebbero nati presto: il figlio di Roxy. Non bastava condannare la Humans, mandare in carcere la senatrice Wolfe per pareggiare i conti, bisognava anche gestire la pesante eredità che i loro disperati tentativi di capire qualcosa di così grande e ancora lontano dall'essere realmente comprensibile per la scienza avrebbe lasciato nel mondo.
Per quanto quel posto fosse bellissimo, non poteva rimanere lì per sempre. Doveva decidere se essere parte del problema o parte della soluzione. Era un mutante ora e questo non sarebbe cambiato, anche se quel siero se ne fosse andato. Una mutazione è per sempre. Poteva essere una delle altre vittime dell'assalto della Humans o poteva trovare la forza di rialzarsi e lottare per sistemare il macello che avevano lasciato dietro di loro. La Lotus Academy non era grandi pareti di vetro, non era una scuola, era un'idea. Erano 70 ragazzi che si alzavano in piedi e dicevano davanti al mondo: noi siamo qui. Non potete fingere che non ci siamo. Non ce ne andremo. Il mondo è anche nostro. Non potete rapirci e portarci via alle nostre famiglie. Prima di andarsene doveva trovare sua sorella, viva o morta che fosse, e doveva tornare a casa sua.
Quando lentamente aprì gli occhi c'era di nuovo luce attorno a lui. Tantissima luce, eppure fuori dalla finestra c'era la luna. Simon sorrise debolmente davanti agli occhi stanchi di David.
- Guarda che ci sto facendo l'abitudine- sussurrò quindi. David gli sorrise e gli accarezzò la fronte.
- Questa volta sono qui davvero- disse quindi David.
- Loro lo sanno che fai questa cosa con la luce? - chiese Simon.
- Non serve che sappiano tutto- gli sussurrò facendolo ridere. Simon tossì, si sistemò meglio sul fianco e fece segno a David di avvicinarsi.
- Hai mai fatto il test col cerotto alle tue figlie? - aggiunse quindi.
- Ariel non me l'hai mai permesso, sappiamo solo che hanno ereditato i suoi poteri da mutante bianco perchè lei le sente parlare con la mente tra loro. So cosa pensi e lo penso anche io. Non possono essere solo bianche... - sospirò David. Era ciò che lo spaventava molto, da sempre.
- Prima che torniamo in America fai loro quel test... o potresti disegnare loro un mirino sulla testa - sussurrò Simon.
- Come sai che sto pensando di tornare in America? - chiese David stupito.
- Me l'hai promesso tu. Il 1° settembre la lista cadrà e tu sei l'unico mutante che può rintracciare gli altri, quindi andrai laggiù a cercarli, a cercare mia sorella... Ma dobbiamo stare attenti: la Humans sta cercando gli oro per incrociare i loro Dna e dare il via ad una generazione di bambini che nascono già mutanti. Le tue figlie sono già qui... sono già il risultato di un esperimento simile. Se sono oro, avranno un mirino sulla testa... anche senza essere nella lista... e il bambino di Roxy altrettanto - disse faticosamente Simon.
- Prima di partire farò loro quel test, promesso. Posso chiederti come hai capito tutte queste cose mentre eri in coma? - gli promise David.
- Anche il cervello muta e il mio era immerso nel siero, ci hai mai pensato? - questa precisazione di Simon gelò David.
- Forse ora sono più intelligente di mia sorella- gongolò Simon.
- Dormi o Mrs. Lorenz si accorgerà che ti ho dato una mano a svegliarti dal coma - disse David.
Simon annuì, rimase a guardare quella luce finché non la vide svanire nel buio della notte. David era lì, forse, ma in realtà non era nella sua stanza: aleggiava come un fantasma su di loro. Simon sorrise e guardò Mrs. Lorenz che dormiva su una sedia a fianco del suo letto. Loro erano davvero molto più di un manuale: erano vivi.
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