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Ombre e polvere

Liv schiuse gli occhi lentamente cercando di abituarsi alla luce abbagliante puntata dritta contro di lei. La testa le batteva in maniera insistente e si sentiva lo stomaco tutto sotto sopra. Era come trovarsi in una sorta di limbo, c'era e non c'era. Tutti i suoi sensi erano ovattati, la vista periferica alterata, sentiva i rumori rimbombare attorno a lei, ma soprattutto non riusciva a muoversi. La stanza in cui si trovava era quasi tutta bianca e asettica, una specie di laboratorio, con molti strani macchinari che era certa di non avere mai visto. Provò a tirare il braccio destro che tra i due le formicolava meno: solo allora si accorse di essere legata mani e piedi ad una poltrona simile a quelle dei dentisti. Colta dal panico provò ad allentare i legacci col solo risultato che si fece male.

Vide due ombre avvicinarsi a lei. In prima battuta fu  solo in grado di riconoscere il volto severo della dottoressa Wolfe, ma non era sola: c'era un uomo con lei. Vedendolo da più vicino Liv non ebbe più dubbi: si trattava di Feltman. Il neon riverberava riflettendosi sopra la sua pelata. C'era qualcosa di glaciale nel suo sguardo, una luce come diabolica che la faceva rabbrividire. Certamente non sembrava essere lì contro la sua volontà. Poteva aver finto volontariamente la propria morte? Che cosa ci guadagnava a farlo? Avrebbe voluto poterlo dire a Kathy o a chiunque in realtà, ma era sola e non aveva più via d'uscita. L'uomo si sporse verso di lei, si aggiustò gli occhiali sul viso e la squadrò da capo a piedi. Si comportavano come se Liv non fosse un essere umano, come se non potesse sentirli o rispondere. Forse in effetti non poteva farlo, sentiva la gola rigida e faticava a deglutire. Cosa le avevano fatto?

- Perché vuoi iniziare da lei?- chiese Feltman scettico.

- Ha un buon potenziale e caratteristiche fisiche simili a Roxenne, rischiamo meno che con altri - spiegò la dottoressa senza scomporsi.

- Non capisco cosa ti aspetti che succeda, davvero credi che così il processo abbia più probabilità di successo. Mi sembra una perdita di tempo, mutiamoli tutti e vediamo se qualcuno sopravvive - propose l'uomo. Rimase congelata a quelle parole, terrorizzata. Tanto valeva puntarle una pistola alla testa, anzi in tutta onestà avrebbe decisamente preferito. Roxy era stata malissimo e aveva ancora moltissimi problemi, l'idea di andare incontro al suo stesso destino la terrorizzava. Quell'uomo non aveva un minimo di pietà!

- Non funzionerà, Roxenne è l'unica che è sopravvissuta, ma con la polvere possiamo far crescere la percentuale di siero lentamente permettendo al loro corpo di abituarsi. - suggerì la dottoressa. Parlavano della polvere che avevano gettato loro in aereo? Era la stessa per cui Roxy aveva continuato a vomitare per giorni?

- Non mi fido di quel ragazzino, tanto meno del suo lavoro: è solo un moccioso viziato - rispose l'uomo severo. Liv capì che parlava di Michael.

- E' pur sempre il figlio di Lorenz - gli ricordò la dottoressa.

- Non lo è affatto e tu lo sai meglio di me. Quell'uomo è sempre stato sterile. Se piuttosto che perdere tempo con questi esperimenti inutili, tu ti concentrassi sull'estrarre il DNA completo del soggetto zero. E' per questo che siamo qui... - le ricordò Feltman. La mente di Liv registrava quelle parole sconcertata. In quel momento ebbe la certezza che non sarebbe mai uscita viva da quel posto. Le tremavano le mani e sentiva freddo costantemente.

- Lo farò, sta tranquillo, abbiamo altri due oro, oltre a Michael troveremo quella sequenza - gli promise la dottoressa.

- Con tre soggetti non sarà facile: ognuno porta solo un frammento del DNA del padre. Hai lasciato là l'unico mutante interessante. Finire gli esperimenti che non abbiamo potuto fare a Jacob sarebbe stato il massimo, ma mi accontenterei anche solo di poter fare la sua autopsia.- sibilò Feltman.  Liv ebbe un sussulto. Era possibile che Kathy fosse riuscita a scappare? Era viva? Sembravano non esserne certi nemmeno loro. L'idea che quell'uomo freddo, col camice e la pelata aprisse in due il cadavere di Kathy tutto soddisfatto su un tavolo operatorio la lasciò senza fiato.

- Con la nuvola elettrica non era trasportabile, lo sai meglio di me, hai visto quella mutazione coi tuoi occhi - gli ricordò la dottoressa. Kathy mutata? Al quarto livello?

- Ci sono notizie della squadra? - sbuffò l'uomo. 

- Non ancora. La scuola era vuota, nell'ultimo messaggio che abbiamo avuto dicevano che stavano cercando nella valle sottostante, poi la squadra è sparita. Sappiamo solo che c'è stata una forte tromba d'aria in zona. Adesso è pieno di soccorritori, quando avranno finito, manderemo una squadra di soccorso a controllare. Non sottovalutare questa ricerca però: hai visto anche tu cosa ha fatto Roxenne coi jet. Se potessi avere 20 ragazzi che possono fare la stessa cosa? Non ti piacerebbe poter vedere come si crea scientificamente la bolla e poterla spiegare?- chiese la dottoressa. L'uomo sembrò indeciso. Liv non voleva affatto diventare come Roxy: già essere un mutante di terzo livello le sembrava assurdo, non voleva mutare ancora.

- Nel video non si vedeva la bolla era solo un'onda di infrarossi, comunque non riuscirai mai a tenerli in vita tutti e venti - ribatté l'uomo disfattista. Il cuore di Liv saltò un battito.

- Fidati di me - disse Helene a Feltman che lasciò la stanza contrariato. Poi si avvicinò a Liv, le accarezzò la fronte e le sorrise.

- Andrà tutto bene, sta tranquilla, farò di te una dea - aggiunse la dottoressa quando si accorse che era cosciente. Liv tentò nuovamente di liberarsi, ma senza riuscirci. La dottoressa le iniettò un'altra sostanza e uscì dalla sala. I sensi di Liv tornarono lentamente normali, riuscì perfino a lanciare un urlo quando vide di nuovo quella polvere scendere dal soffitto.

Si dimenava con tutte le sue forze per sottrarsi a quella cascata di materiale, ma senza riuscirci. I rumori attorno a lei si attutirono, non riusciva a sentire la sua stessa voce. La testa le girava vorticosamente. La lasciò andare sul fianco. Allora vide Simon nel riflesso del vetro, rantolava, esanime, legato ad una poltrona uguale alla sua, spaventato, con quei suoi bellissimi occhi blu e il volto rigato di lacrime. Liv smise di dimenarsi e rimase lì ferma a guardarlo. Era come se l'idea di averlo lì rendesse tutto quello che le stava capitando più sopportabile, come se questo la facesse sentire meno sola. In fondo al suo cuore sapeva che era un'allucinazione: Simon era morto, non sarebbe tornato, sapeva di averlo perso per sempre e non si sentiva nemmeno in potere di essere la persona più disperata per questo: Josephine aveva perso il suo gemello. Davanti a lei non poteva crollare, ma lì Josephine non c'era.  Era sola con la sua paura e col suo dolore e poteva lasciarlo uscire tutto, non si doveva più trattenere. Aprì la bocca come per chiamarlo, fu lì che la polvere le chiuse la gola e svenne.

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