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Lago Winnipeg

Michael si svegliò di soprassalto nella sua cabina letto. Il sole era alto nel cielo e le conifere avevano finalmente lasciato il posto ad un lago immenso che si disperdeva per chilometri accanto alla ferrovia. Era stata una notte orribile: piena di sogni, di rimorsi, di angosce. Sentiva le mani tremare ed era davvero sul punto di esplodere, ma sul treno non poteva farlo; aveva bisogno di qualcosa che placasse un po' il suo mal di testa e che gli togliesse da davanti gli occhi l'immagine di Kathy che franava al suolo coprendo il pavimento di sangue. Si lavò la faccia nel bagno più volte e controllò le varie boccette che Helene gli aveva lasciato prendere dal laboratorio: le benzodiazepine erano finite, gli ansiolitici classici per lui ormai erano fuori discussione dopo anni di abusi, gli antipsicotici gli erano stati vietati categoricamente dalla zia Helene. Non intendeva contraddirla: l'aveva praticamente resuscitato. Unica soluzione era andare in laboratorio e cercare altre benzodiazepine sperando che facessero effetto. Oppure avrebbe dovuto chiedere una sosta di emergenza e andare abbastanza lontano per non fare danni.

All'inizio del loro viaggio era capitato spesso, poi meno, ma ora, dopo essere tornato dalla svizzera era tutto molto complicato. Il viaggio che avrebbe dovuto liberarlo aveva finito per ucciderlo dentro e ciò che gli dava più fastidio era che Tom aveva cercato di avvertirlo, aveva tentato di fermarlo fino all'ultimo. Respinse il pensiero del volto dell'amico esanime sotto la trave. Era stato così arrabbiato con lui, così geloso. Si era sentito escluso e ora aveva perso tutto per sempre. Era solo, senza alcun posto dove andare, né idea di cosa fare della sua vita o anche solo di dove vivere. Si asciugò la faccia e si diresse deciso verso il laboratorio. Entrò guardando il lettino degli esperimenti, ma non vide nessuno. Era stato fortunato. Trotterellò verso gli armadietti pregustando già il sapore sintetico della pastiglia sotto la lingua. Trovò finalmente le benzodiazepine, ne presa una subito e se ne infilò una decina nella tasca della tuta per riempire il contenitore che aveva nella sua cuccetta. Quindi si voltò e quasi fece un salto su se stesso per lo spavento.

Non era solo lì: Josephine dormiva profondamente con l'ossigeno in bocca e una flebo al braccio. Si avvicinò curioso: era la prima volta che la vedeva da vicino. Era una bellezza molto classica, niente a che vedere con l'estro di Kathy o con le sue labbra fantastiche, ma aveva il suo perché. Così addormentata Josephine sembrava diversa. Normalmente faceva molte smorfie, vederla col volto placido e disteso mostrava più decisamente l'armonia e la simmetria perfetta del suo volto. Il corpo nervoso scompariva in quella tuta decisamente troppo grande. Era quasi troppo magra per i suoi standard, non sembrava fosse così sportiva come Kathy. Era a pochi centimetri dal suo volto quando la ragazza spalancò gli occhi all'improvviso. Gridarono entrambi. Michael indietreggiò incespicando nella flebo, ma fu abbastanza svelto dal prenderla al volo e riportare l'asta in posizione verticale.

- Mi dispiace, pensavo dormissi - disse Michael arrossendo. Josephine si tolse la maschera e lo studiò perplessa. Era come se l'avesse già visto, ma non ricordava dove.

- Ci conosciamo? - fece lei perplessa. Non si ricordava affatto di averlo visto a scuola; eppure, era chiaramente un LWF e chiaramente era stato mutato.

- Non credo proprio, mi ricorderei di una come te... Michael Lorenz - disse facendo un cenno di saluto imbarazzato.

- Lorenz? Quindi siamo qui per causa tua in sostanza? - aggiunse Josephine piccata.

- È così - confermò lui.

- Perché hai fatto questo? Tu eri uno di noi! - disse piccata Josephine.

- Lo so e mi dispiace, non pensavo che finisse così, non avrei mai voluto che uccidessero qualcuno - disse solo Michael. Josephine faticava a credergli, si alzò a sedere punta sul vivo, ma poi quasi cadde dal lettino. Il ragazzo la aiutò sostenendola.

- Piano, piano, stai seduta, che ti è successo? - disse Michael tenendola per le spalle.

- Avrei dovuto ascoltare quella megera, ma pensavo mi stesse ingannando, pensavo fosse una sorta di prova. Non sapeva dei miei attacchi epilettici. Mi aveva detto che sarei stata male, non pensavo ne fosse certa - sbuffò Josephine aspettando che la sua testa scendesse dalla giostra su cui era salita.

- È ovvio, con la componente oppioide della mia polvere se hai questi problemi era un suicidio, perché te l'ha fatto lo stesso? - fece irritato Michael. Pensare che aveva chiesto a zia Helene di andarci piano con lei!

- Non lo so, io di certo l'ho provocata, ma ... Immagino che penserai che me lo meriti - fece lei piccata.

- No, figurati, il medico è lei, doveva spiegarsi meglio. Mi dispiace che la mia polvere ti abbia fatto stare così male - disse Michael mortificato. Josephine stava per rispondere, ma le mancò di nuovo il fiato per cui avvicinò di nuovo la mascherina alla faccia.

- Mi ha bruciato un pezzo di un polmone. Poteva pungermi un dito o tagliarmi una mano, se voleva darmi una lezione, avrei preferito - aggiunse adirata Josephine cercando di scendere dal lettino.

- Non sono sicuro che dovresti alzarti - disse Michael.

- Voglio tornare di là come le altre, non voglio un trattamento di favore, già la promessa che mi ha strappato quella dottoressa agghiacciante le farebbe infuriare se solo sapessero - sospirò Josephine.

- Sei molto coraggiosa - fece stupito Michael.

- Odio essere trattata come una povera malata con crisi epilettiche, odio quello sguardo, il tuo sguardo! - gli disse severa tenendosi al lettino e cercando di fissare un punto fisso sul muro per abituarsi alla posizione eretta.

- Conosco la sensazione, ho passato metà della mia infanzia fuori e dentro dagli ospedali. Se zia Helene non mi avesse mutato probabilmente sarei già sottoterra - ammise Michael.

- Se vuoi ti accompagno, non penso tu riesca ad andare da sola - aggiunse prendendola sottobraccio. Le benzodiazepine stavano facendo effetto e l'incontro inaspettato l'aveva distratto dai suoi demoni. Improvvisamente si sentiva di buon umore.

- Come ti pare - alzò le spalle Josephine. Si avviarono per lo stretto corridoio.

- Ti piacerebbe andare in un altro posto prima? - chiese Michael all'improvviso.

- Solo se non è lontano, mi gira la testa - disse solo Josephine.

- Tranquilla, non ti lascio - sorrise Michael.

- Dove siamo adesso? - chiese Josephine perdendosi a fissare il lago fuori dai finestrini del corridoio.

- Lago Winnipeg, abbiamo lasciato il North Dakota ieri e ci stiamo inoltrando nel territorio canadese - spiegò Michael. Josephine rimase per un attimo a studiarlo poi annuì senza dare segni evidenti, come se non le importasse. In realtà aveva appena capito che la sua unica possibilità di fuga era quel ragazzo e tanto valeva dargli corda e cercare di farselo amico. Era brava nel piacere alle persone: era un talento che aveva fin dalla nascita. Gli faceva solo specie che quel ventunenne parlasse della dottoressa Wolfe come di una di famiglia. Era certa non fossero affatto parenti, in più la Wolfe aveva tradito Lorenz nel peggiore dei modi: le sembrò strano, ma curioso anche. Sbucarono nell'ultima carrozza del treno, giusto in coda. C'era un'ampia zona con divanetti e una semisfera che dava una ampia veduta del paesaggio circostante.

- Bello, vero? Non ero mai stato su un HyperLoop prima di questo. Quando la Humans mi ha portato via la prima volta non li avevano ancora inaugurati - aggiunse Michael. Aiutò Josephine a sedersi su un divanetto. Il lago scorreva placido attorno a loro riflettendo la luce del sole.

- Questa è la terza generazione, ovviamente a lievitazione magnetica, zia Helene mi ha detto che hanno moduli fantastici e puoi decidere quali acquistare per comporre il tuo treno come lo vuoi - continuò a raccontare Michael.

- Quindi questo treno è della Humans? L'intero treno? - fece stupita Josephine.

- All'incirca. Non è intestato a loro e hanno mascherato il logo anni fa, con quello di una controllata. L'idea è geniale. Passano indisturbati per tutto il continente americano senza che nessuno possa mai scoprirli. Quando io sono salito, eravamo in Messico. Un paesaggio fantastico, avresti dovuto vederlo! -disse Michael eccitato. Più che fantastico a Josephine sembrava diabolico e per nulla incoraggiante. Erano queste le contromisure di cui aveva parlato la dottoressa?

- Quindi ti sei pentito di avergli detto della scuola? - non poté che chiedere infine: non sapeva nulla di lui, non sapeva come altro intrattenere un discorso e non le sembrava una buona idea parlare del tempo. Michael sospirò.

- Si, penso di sì. Non riesco più a dormire dal giorno dell'assalto e non faccio che vederla e rivederla nella mia testa- inspirò a fondo sentendo il cuore che ripartiva a mille allora. Josephine lo guardò perplessa.

- Kathy... intendo. Davvero, io non volevo farlo, non volevo ucciderla- Michael fece sparire la testa tra le mani scoppiando a piangere come un bambino. La reazione lasciò Josephine quasi interdetta. Decise di buttarla sul ridere, anche se non c'era proprio nulla da ridere: quello che aveva fatto rimaneva orribile.

- Kathy mi detestava, lo sai? – disse quindi Josephine. Michael la guardò stupito. Gli sembrava strano, Josephine non gli sembrava affatto una persona scontrosa.

- A me non dava da fare, un po' noiosa forse quando parlava delle sue cospirazioni mondiali...- dovette ammettere Josephine. Michael sorrise al ricordo.

- È che ho visto Liv stare così male dopo aver litigato con lei, così ho preso le sue parti. Non so proprio cosa dirle adesso... Intendo se dirle la verità sul fatto che Kathy è morta- sospirò Josephine.

- Dai pure la colpa a me, se vuoi: a me non importa, ma se fossi in te non glielo direi affatto- dissentì Michael. Josefine chiese il motivo sorpresa.

- Penso che la tua amica mi odi già, mi ha sputato addosso mentre salivate in aereo e zia Helene sta puntando molto su di lei. Ha un grande potenziale, pensa possa diventare quasi come Roxy, un giorno, ma ci impiegherà settimane. La polvere è molto lenta a far alzare il potenziale - sospirò Michael. Josephine lo guardò allibita senza riuscire più a mascherare le sue emozioni. Sapere che l'amica avrebbe continuato ad essere sottoposta a quei trattamenti per finire come Roxy era orribile. Doveva trovare un modo di fuggire prima che fosse troppo tardi.

- Se vuoi un consiglio, dà a zia Helene quello che ti ha chiesto e lei ti tratterà bene, potrei convincerla a farti uscire da quella cella o anche a stare in una camera da un'altra parte- la tentò Michael.

- Ho paura di cosa potrebbero pensare le altre, per ora preferisco rimanere lì. Finché giro con l'ossigeno avranno pietà di me e non faranno domande, ma ti immagini se dovessero scoprire che ho fatto un accordo con la dottoressa e che mi sono risparmiata tutto il loro calvario? Anche Liv non mi parlerebbe più: direbbe che sono una venduta! - confessò in tensione.

- Tu non sei affatto una venduta! Farti ammazzare per loro non ha senso. Non sai quanti anni ho passato io in quella scuola a sopportare le occhiate degli altri che mi guardavano dall'alto in basso, sparlavano di me perché ero mutante, perché ero il figlio del capo ... - ricordò Michael con un brivido.

- È una gran rottura – disse Josephine accomodante. Michael si perse a guardare il lago. Il silenzio prese posto nella stanza. Josefine non poté impedirsi di fissare i suoi occhi azzurri, i capelli rossi e sbarazzini. Era un tipo. Certamente più interessante del padre, d'altro canto Mrs. Lorenz era una bella cinquantenne.

- Mi puoi fare vedere il tuo potere? - disse lei dopo un attimo questa volta con viva e sincera curiosità. Liv le aveva raccontato grandi storie sui quarti livelli LWF negli ultimi giorni, soprattutto nei momenti di noia. Voleva vedere se erano verità. Un po' le dispiaceva non poter arrivare a tanto, le dispiaceva essere lei l'LWF rotto. Era stata la ragazza malata così tanto e ora anche tra gli LWF veniva bollata come l'essere in estinzione da proteggere, ma se avesse trovato il modo di salvare i suoi compagni, avrebbe pareggiato i conti e Michael poteva aiutarla in questo.

- Oggi non è il caso: sono troppo nervoso, è sempre così quando dormo male. Credimi farei precipitare il treno dal cavalcavia, magari la prossima volta- propose Michael tentennante. Una parte di lui bramava di vedere la sua reazione, ma dopo Kathy aveva paura di non riuscire a controllarsi.

- Va bene, forse è meglio che mi riporti in cella allora- propose Josephine cercando di alzarsi. Si sentiva veramente debole e aveva bisogno di sdraiarsi.

- Quando arriviamo puoi fingere di buttarmi dentro di forza, magari un po' schifato, come fanno le guardie? - chiese Josephine voltandosi verso di lui. Michael scoppiò a ridere.

- E perché dovrei farlo? Non voglio farti male, la mia polvere ti ha già fatto abbastanza- sospirò Michael. E certamente Josefine non gli causava ribrezzo.

- Non mi farai male, è solo per finta, perché le altre mi credano e si impietosiscano. Fidati di me - insistette lei.

- E va bene- Michael accettò infine, poi l'afferrò per il polso del braccio libero da flebo. Josephine non poté che trattenere il fiato e rimase a guardarlo dritto negli occhi.

- Kathy è una ragazza stupida se ti ha respinto - lo disse senza pensare, stupita delle sue stesse parole, come se le fossero sfuggite di bocca: non stava mentendo.

- Posso tornare a prenderti per finta con la forza e andiamo a fare un giro insieme? - propose allora Michael recuperando il suo sorriso sornione.

- Mi piace parlare con te - aggiunse poi il ragazzo.

Josephine accettò alzando le spalle e mascherando un sorriso di pura soddisfazione. Così dicendo aprì senza preavviso la porta del vagone dove c'era la loro cella. Michael si ricompose cercando di non ridere, s'irrigidì e la spinse svogliatamente verso la porta. Impose la sua impronta sul lettore. Kathy gli sfiorò la mano, togliendo il polso dalla sua presa. Michael venne colpito da un fremito. La ragazza franò a terra e le sue compagne vennero ad aiutarla. Solo Liv si alzò sull'attenti e rimase ferma come una statua di sale a guardarlo, con la mascella contratta e il volto rigido. Michael inspirò a fondo e batté in ritirata velocemente. Liv si fece largo tra le altre ragazze fino ad arrivare a Josephine che stava piangendo e in mezzo alle lacrime prendeva grossi respiri nella mascherina. Diceva che le avevano bruciato mezzo polmone come era successo a Roxy.

- È stato lui? - chiese Liv soltanto.

- No, la dottoressa Wolfe, se lui non fosse arrivato, non so cosa sarebbe successo- aggiunse Josephine. Liv aggrottò la fronte: quella frase le aveva fatto male, soprattutto pronunciata dalla bocca dell'amica. Michael Lorenz non era un salvatore: lui era il diavolo, il male puro, il vero carnefice di quella insulsa storia.




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