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La luce del coraggio

Toccò lo schermo, quasi per assicurarsi che fosse reale, perché se quello lo era, molta della sua vita, del suo passato non lo erano affatto. Alla tenue luce dei led che sfarfallavano mentre l'HyperLoop correva, Michael vide finalmente dopo anni, la sua verità. Gettò tutti i campioni organici nel trita rifiuti, ma stampò un foglio del risultato e rimase come anestetizzato a fissarlo. Quegli 11000 geni erano la sua condanna. Il suo padre biologico e quello di Susanna coincidevano: Liv non aveva mentito. E chiunque fosse il padre di entrambi, doveva possedere tutti i geni LWF B e R e W. Suo padre ne possedeva solo uno e il padre di Susanna nessuno. Lui e Susanna non erano stati uno sfortunatissimo caso su migliaia di possibilità per aver intrecciato due geni LWF remissivi. Erano stati predestinati a questo, ma da chi? Chi era così pazzo da accettare un LWF oro come donatore di sperma?

Per quanto le persone che ci vogliono bene cerchino di proteggerci dalla verità, prima o poi questa verrà a galla comunque. Non c'era un modo o un momento giusto. Quella verità bruciava troppo e non era la rivelazione in sé il problema: in fondo quello che più gli bruciava era la menzogna. Era non sapere chi realmente lui fosse. La stanza girava, la sua testa cominciò a pulsare, il respiro si fece molto più corto.

Doveva uscire, doveva andarsene da quel treno, se non voleva ammazzare tutti, come aveva già fatto con Kathy... sua... sorella. Dirlo, ammetterlo ad alta voce, era ancora più orribile. Eppure, per quanto pazzesco fosse e anche se non poteva averne la conferma scientifica era come se dentro di lui l'avesse sempre saputo. Per un attimo vide di nuovo il suo esile corpicino esanime a terra nella stanza 412. Gettò a terra il mini-PCR e cominciò a correre verso la fine del treno. I finestrini scorrevano al suo fianco. Senza fiato vide infine la leva rossa del freno d'emergenza, la premette con tutta la sua forza senza riflettere.

Venne sbattuto contro la parete e poi a terra; il foglio gli cadde dalle mani. Si rialzò ignorando il sangue che gli colava di fianco alla bocca e cominciò a pigiare il tasto della porta in maniera frenetica finché un lieve stantuffo lo avvisò dell'apertura imminente. Si gettò nella foresta buia a piedi nudi: la luna lo guardava indifferente e immobile. Correva a perdi fiato per allontanarsi dal treno, dritto davanti a sé, sentiva il vento fischiare nelle orecchie e l'erba graffiargli le gambe, ma doveva correre e questo fece con assoluta determinazione finché un tronco non lo frenò facendolo cadere a terra in ginocchio. Allora urlò con quanto fiato aveva in gola e lasciò andare la sua onda. Sentì le fronde degli alberi sbattere, gli uccelli fuggire, diversi animali spaventati guaire nell'ombra. Si lasciò scivolare in mezzo al terriccio, immobile, raspando la terra coi pugni. Aveva le lacrime agli occhi, il respiro strozzato, la gola stretta.

Sentirsi rifiutato era terribilmente difficile. Una parte di lui in fondo l'aveva sempre sentito: ora capiva perché suo padre era scappato lontano da lui. E anche lui, alla fine, stava ancora scappando. In quel momento, per la prima volta si sentì esattamente come lui: fragile, rancoroso, oppresso, spaventato. Proprio ora che sapeva di non avere nemmeno ricevuto un solo gene da parte sua, sentiva di assomigliargli più di quanto non fosse mai riuscito ad ammettere. Quel cognome fin troppo ingombrante, che era sempre piovuto su di lui...Le aspettative infinite per il suo futuro, disattese dai suoi problemi di carattere e dalle sue malattie. Niente di ciò che aveva, era mai stato suo. Ora tutto aveva più senso! Era una bugia, tutta la sua vita, era una bugia!

- Non lasciate scendere nessun'altro, ci penso io - la voce di Helene Wolfe giunse a lui in lontananza. Respirava a pochi centimetri dalla terra, guardandosi attorno come un animale selvatico. Lei non era migliore degli altri: aveva sempre saputo. Aveva fatto milioni di esami sul DNA di suo padre, sul suo. E gli aveva sempre mentito, non era certo migliore dei suoi genitori. E se gli aveva mentito su quello, su cos'altro gli aveva mentito? Improvvisamente i suoi sensi si acuirono era come se sentisse ogni singolo adito di quella foresta.

La dottoressa venne verso di lui di corsa. Aveva il fiatone e la vestaglia azzurra addosso, le ciabatte sporche di terra. Lo chiamava implorante. Per la prima volta nella sua vita alzò gli occhi e gli sembrò un'estranea. Si mise lentamente a sedere fissandola con quegli occhi rossi. Sembrava un lupo nella notte, un animale pronto ad uccidere.

- Michael, che cosa è successo? Perché hai fermato il treno? - disse la dottoressa riprendendo fiato a pochi passi da lui. Michael si asciugò le lacrime da sotto gli occhi e la guardò intensamente. Avrebbe davvero voluto leggerle la mente come Susanna o come Kathy e capire la verità, molto prima. Avrebbe voluto averla affrontata, avere avuto il coraggio di sbatterla contro un muro e stringerle quel suo sottilissimo collo elegante con la sua forza da rosso fino a sentire la sua gola contrarsi e invece... Invece l'aveva fatto con Kathy. Scoppiò a piangere come un bambino.

- Michael, è stato un brutto sogno? Michael puoi parlarne con me, lo sai! - insistette la dottoressa.

L'unica cosa a cui riusciva a pensare era il volto di Kathy che lo guardava con odio e le parole di Tom: "se c'è rimasto qualcosa in te di quello che conoscevo, che ammiravo una volta, questa è la tua ultima possibilità. Se uccidi Roxy e me, non c'è più nulla che potrà salvarti. E Kathy ti detesterà per sempre: così non avrai mai il suo cuore".

- Michael, ti prego, parlami, mi spaventi così - insistette la dottoressa.

"Mi dispiace tanto per te, perché potevi essere come noi ed avere una vita normale, ma la dottoressa Wolfe ti ha spinto troppo oltre e ora tu devi pagare le conseguenze per qualcosa che non hai scelto e questo non è giusto. Ma non è uccidendo me o Roxy o portando via Kathy che riavrai la tua vita. È solo ponendo fine alla Humans e tu lo sai meglio di chiunque altro, meglio di Kathy e meglio di me" diceva Tom nella sua testa. Michael si batté la testa per scacciare quelle parole, ma non ci riusciva più. Voleva la verità. Alzò gli occhi contro la dottoressa Wolfe, si alzò e fece un passo verso di lei. La dottoressa Wolfe indietreggiò.

- Dov'è Kathy? Voglio vedere il suo cadavere! Non cercare di mentirmi ora o finisce male! - tuonò Michael. La dottoressa rabbrividì.

- Michael non c'erano altri corpi a parte quelli di cui parlano i giornali, se sapessi cosa è successo realmente te lo direi, non avrei problemi a farlo. Senti, so che Feltman ha esagerato dando quell'ordine, non devi sentirti tu in colpa per lui. È stato un increscioso incidente...- disse la dottoressa cercando di mantenere la calma.

"Tu sei un LWF, Michael, non può starti bene quello che fanno solo perché lo fanno ad altri! Non è possibile, tu non sei questo... tu giochi in squadra, l'hai sempre fatto" continuava la voce a torturarlo. Lui non era più in quella squadra, ma in realtà questo non importava. Non più. Avrebbe tanto voluto che Kathy fossi lì, che lo prendesse tra le braccia e che ascoltasse quella verità che non aveva fatto in tempo a dirle. Avrebbe tanto voluto chiederle scusa. Avrebbe tanto voluto tornare indietro, ma non poteva più farlo. Non era più in nessuna squadra. Era solo al mondo. L'unica cosa che gli importava ora era ritrovare suo padre, il suo vero padre.

- Ok, Michael ora ti lascio qui una puntura di benzodiazepina, tu ti calmi. Noi ti lasciamo tutto il tempo e ti aspettiamo sul treno. Se non ti sentirai meglio, ti lasciamo alla prima stazione, dove vuoi tu, ma ora vieni dentro. Sei a piedi nudi, sei tutto sporco e bagnato, non puoi stare qui così. Siamo dispersi nel nulla al confine tra Canada e Stati Uniti. Ti prego! - disse Helene cercando di risultare calma e comprensiva.

Non poteva aspettare di arrivare alla prossima stazione, non voleva più salire su quel treno o far finta che nulla fosse cambiato con Josephine. Era cambiato tutto, in meno di un'ora, era cambiato tutto. Doveva trovare la clinica dove sua madre aveva fatto la scelta del donatore e doveva farsi dire chi era: aveva il diritto di sapere chi era suo padre, Il suo vero padre. Si sedette su quel tronco di fianco alla siringa. La guardò cupo. Era stanco di non sentire, di anestetizzare la sua vita, ora era pronto: la voleva sentire tutta, fino all'ultimo respiro. Si alzò in piedi ed iniziò a camminare e poi a correre e ogni passo che faceva, a piedi nudi, in mezzo alla terra umida, sentiva di doverne fare un altro, lasciandosi alle spalle tutto a partire da quel treno.

Helene arrivò alla carrozza. Feltman era sulla porta e scrutava la notte dietro di lei.

- Non tornerà - disse solo Feltman, poi le passò il foglio dell'analisi stropicciato che aveva trovato sul pavimento. Helene si voltò sconvolta verso il bosco. Vide solo il riflesso della luna su quella siringa abbandonata. Feltman rientrò scuotendo la testa e tornando verso la sua camera. Helene chiuse la porta dietro di sé e rimase a guardare il cielo scuro. Dentro di sé sapeva di averlo perso per sempre. Non era così che avrebbe dovuto scoprirlo, ma ormai cambiava poco pensare cosa avevano sbagliato. Josephine la vide comparire in corridoio.

- Dov'è Michael? - chiese soltanto.

- Se n'è andato, torna a letto - disse severa la donna.

- Ma no, è impossibile, mi aveva promesso di andare via insieme, io devo raggiungerlo - protestò Josephine. Helene l'afferrò per il polso.

- Tu non andrai da nessuna parte, signorina, noi abbiamo un accordo e finché io avrò bisogno di te, non ti muoverai da questo treno, sono stata chiara? - tuonò Helene arrabbiata. Quindi la spinse in camera. La porta automatica si chiuse.Chiuse la porta col codice di sicurezza, sentiva la ragazza battere incessantemente urlando, ma non aveva tempo per lei in quel momento.

Continuò diretta al suo laboratorio. Aprì un congelatore criogenico in un angolo ed estrasse una provetta. Quindi inspirò a fondo e scoppiò a piangere nel silenzio del laboratorio deserto. Non poteva riportare Michael indietro da lei, ma avrebbe avuto il suo perfetto bambino LWF, in un modo o nell'altro. Avrebbe cresciuto il capostipite di una nuova stirpe. Studiò gli altri campioni di ovuli a sua disposizione. Non aveva campioni di Liv ancora, ma aveva quelli di Josephine. Il suo potenziale non era granché, ma il suo cervello, era quasi altrettanto interessante di una bolla di energia ed era comunque un mutante. Mentre la notte scendeva e Michael correva, lei si concentrò sul suo microscopio e iniettò lo sperma di Michael in dieci ovuli di Josephine. Quindi mise il risultato in una provetta e la ripose soddisfatta. Sapeva bene dove doveva portarla e non le importava quanti soldi avrebbe speso o quanto pericoloso fosse. Avrebbe avuto quel bambino, il bambino che non aveva mai avuto: un bimbo eccezionale, come Michael. E questa volta sarebbe stato solo suo.

Nella cella in fondo al treno che aveva ripreso la sua marcia, Susanna dormiva tranquilla. Liv manipolava la sua palla blu e assaporava la vittoria. Quell'urlo nella foresta voleva dire una cosa soltanto: Michael Lorenz non era più un suo problema. La vittoria sapeva davvero di buono.

- Sai, hai gli occhi di una guerriera questa sera, come Roxy- sospirò l'uomo nel buio studiando l'immagine di quella piccola ragazza.

- I miei occhi non sono rossi, sono blu- tagliò Liv.

- Non è il colore, è la luce del coraggio- disse Jason perdendosi a guardare la luna.

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