Il fermaglio
Josephine guardava fuori da quel piccolo finestrino con le sbarre: il mondo passava veloce e loro erano chiuse in quel piccolo vagone di acciaio. In un angolo erano stati ammassati dei materassini uno sull'altro, un bagno chimico stipato nell'angolo opposto. In fondo al vagone c'era un vetro traforato. L'unica via d'uscita sembrava essere quella sagoma rettangolare disegnata al centro della vetrata, ma era chiusa ermeticamente dall'esterno. Aveva guardato Susanna cercare di aprirla urlando per più di venti minuti. Alla fine, l'aveva strattonata fino a gettarla a terra pur di farla smettere. Gli occhi cerulei della ragazza LFW ORO l'avevano guardata intrisi di odio e paura. Mai nessuno prima le aveva rivolto uno sguardo simile.
Si era allontanata in silenzio, rifugiandosi davanti a quella finestra: sentiva la testa che batteva, il fiato corto e cercava invano di normalizzare il respiro. In quel piccolo ambiente si sentiva soffocare e stritolare l'anima insieme. Susanna non era affatto l'unica a soffrire di claustrofobia. Liv era sparita da ore e nessuna delle altre dieci ragazze l'aveva vista una volta ripreso conoscenza. Dentro di lei sentiva in bocca ancora il sapore disgustoso di quella polvere e aveva una nausea fortissima, la fronte le sudava freddo. Quando sentì un rumore si drizzò in tensione indietreggiando di qualche passo. Le due guardie della Humans, ancora in tenuta da assalto aprirono la porta poggiando la loro impronta su un lettore ottico che prima non aveva notato. Uno di loro puntava contro di loro una pistola di quelle che si usavano negli zoo per sparare agli animali. Immaginava cosa contenessero quelle maledette fiale.
- State indietro, una puntura e siete morte - disse l'uomo con la voce agitata. Scaricarono il corpo inerme di Liv in un angolo e ripiegarono velocemente, chiudendo la porta dietro di loro. Le ragazze erano tutte tremanti schiacciate alle pareti. Nessuno che si degnasse nemmeno di andarla ad aiutare, avevano tutte paura. Josephine aspettò che chiudessero la porta dietro di loro e si avvicinò a Liv. La prese per le braccia e la trascinò vicino ad una parete fino a farla sedere. Le mise una mano sulla fronte: era coperta di sudore, eppure era gelida. Lentamente Liv cominciò a tossire e aprì gli occhi.
- Liv, come ti senti? Cosa ti hanno fatto Liv? Rispondi, Liv! - fece Josephine agitata scuotendola. La sua amica aveva le lacrime agli occhi e quando li fissò contro i suoi capì che non avevano scampo, nessuna di loro. Si sedette accanto a lei, la prese tra le braccia e la cullò finché il suo respiro non ritornò normale. C'era uno strano silenzio in quella cella, coperto solo dal ronzio del treno che si spostava sui binari a lievitazione magnetica, sbandando leggermente di tanto in tanto. L'atmosfera asettica di quel vano merci sembrava far davvero a pugni con le loro tute sporche e i graffi che ognuna di loro si portava addosso. La ferita più grossa però se la portavano nell'anima perché non c'era una sola tra loro che alla fine non avesse letto attentamente il forum e la petizione. Sapevano cosa aveva fatto la Humans Holding in passato e ora non avevano idea di cosa le aspettasse. Ora non era più un articolo di cui sparlare a scuola o una notizia che rimbalzava su internet. Ora erano loro Jacob Finnegan. Ognuna di loro.
Liv le mise una mano sulla sua distraendola dai suoi pensieri. Josephine le fece segno di parlare piano posandole un dito sulla bocca: voleva evitare un'altra crisi isterica di Susanna o di qualcuna dell'altre. Lei era la più piccola lì in mezzo, ma quelle ragazze le sembravano tutte vili e spaventate. Era abituata alla leadership, nella sua vecchia scuola, ma in qualche modo questa volta avrebbe volentieri passato il testimone, anche se sapeva che senza un capo lì dentro ci sarebbero stati solo casini. Liv si asciugò le lacrime con una manica e osò chiederle infine: - hai capito dove siamo? -. Era una domanda da cento milioni di dollari.
- Stiamo andando a Nord est, ma non so nemmeno dove siamo atterrate; è impossibile cercare di orientarsi. Ho guardato per ore fuori dal finestrino senza vedere altro che conifere - alzò le spalle nervosa. Liv la guardò perplessa.
- Liv siamo su un treno! - le rivelò Josephine.
- Perché non portarci in aereo fino al laboratorio? - fece Liv confusa.
- Io credo sia il treno il laboratorio Liv e in quale continente siamo in realtà non fa alcuna differenza, chi mai riuscirebbe a trovare un posto che non si ferma mai? - sospirò Josephine.
- Ma l'altra volta c'era un laboratorio, con le guardie, le celle di vetro, le mura e i filmati e tutto il resto...- cercò di ricordare Liv rivedendo il video nella sua testa.
- Questa volta non c'è e per uscire di qui uno si deve buttare dal treno, ti sembra una prospettiva incoraggiante? - la provocò Josephine. Le sembrava inutile quel discorso, non era ciò che le interessava: in ogni caso non potevano scappare. Voleva sapere invece cosa avevano fatto a Liv e perché. E se sarebbe toccato a tutte loro.
Una guardia si presentò alla porta e aprì seguita dalla Dottoressa Wolfe. Tutte ammutolirono. Quella donna le dava i brividi, aveva una luce diabolica negli occhi: sembrava ci godesse a vedere il terrore che causava in loro.
- Susanna, cara, mi hanno detto che sei molto agitata, perché non vieni con me che ti spiego tutto e ti do qualcosa per tranquillizzarti. Non c'è niente di cui avere paura, ci prenderemo cura di voi, di tutte voi. Non dovete avere paura... - ripetè con voce conciliante, quindi prese Susanna per mano e l'aiutò ad alzarsi da terra. La ragazza la guardò spaventata. Era in parte bianca, tutte lo sapevano. Cominciò a fare segno di no con la testa, ma quando la dottoressa l'afferrò per qualche motivo non pose resistenza. Era bloccata dal panico probabilmente. Liv aspettò che sparisse dietro la porta e poi si avvicinò all'orecchio di Josephine.
- Lei è quasi come Kathy, lei sa cosa le farà - sospirò affranta.
- Intendi che ha letto la mente della dottoressa Wolfe? - chiese stupita Josephine.
- Si, è al terzo livello ora e temo che non lo sarà per molto, ma la transizione al quarto è oscena, pensa a Jacob - ricordò Liv con un brivido.
- Noi a che livello siamo ora? - chiese Josephine.
- Il terzo. Non hai mai letto il manuale? - chiese poi stupita. Allora si ricordò della conversazione che aveva avuto con Simon. Josephine scosse la testa. Liv era pentita di non aver chiesto di più su quel potenziale a Kathy, anche la dottoressa ne aveva parlato. Si era fatta una sua idea, ma non poteva avere certezze.
- Cosa facciamo al terzo livello? - chiese curiosa Josephine.
- Noi blu, intendi? Facciamo canestro senza mani - sospirò Liv ricordando Tom al torneo di basket.
- Tutti qui? Mi sembra inutile - rispose delusa Josephine.
- Le telecinesi non è inutile, ma non è nemmeno semplice. Tom ci ha messo anni a diventarne capace; dipende dalle persone, immagino - sospirò Liv.
- Al diavolo, io voglio provarci - disse sicura Josephine cercando di alzarsi.
- Sei pazza? No! Non devi far vedere a loro che hai del potere o ti faranno tantissimi esperimenti, l'unica maniera per salvarsi è che pensino che sei un LWF debole, che non funziona. - disse Liv decisa bloccandola. Si ricordava bene l'esperienza di Tom.
- Loro non vedono - disse Josephine sorridendo, mentre si toglieva un fermaglio dai capelli e lo appoggiava a terra davanti a lei.
- Ci sono le telecamere, Josephine! - le ricordò Liv, prendendo il fermaglio e nascondendolo.
- Dammelo, non fare la bambina - disse Josephine. Era lei la bambina se davvero non capiva in che situazione si trovavano e quanto stava rischiando. Forse Liv non aveva il coraggio di dirle la verità. Forse semplicemente Josephine era troppo spaventata per sentirla. Liv lasciò il fermaglio a terra e la guardò preoccupata.
- È solo un fermaglio, non lo vedranno - aggiunse Josephine alzando le spalle. Fece un profondo respiro e chiuse i suoi occhi azzurri. I capelli biondi le cadevano selvaggi sulle spalle. Respirò a fondo e lentamente il fermaglio iniziò a muoversi. Tutte le altre ragazze nel vano si avvicinarono. Troppi occhi puntati: Liv si sentiva sotto osservazione costante. Il fermaglio prese a roteare come se fosse mosso da un vento invisibile; le altre ragazze non poterono trattenere un sussulto. Liv chiuse gli occhi. Ovviamente lei c'era riuscita al primo tentativo: era Josephine! Cosa non le riusciva al primo tentativo? Le parve di vedere la telecamera che lentamente si girava ad inquadrare Josephine e pensò che si stesse facendo troppo notare, aveva un bruttissimo presentimento.
Di là dalle telecamere un paio di occhi azzurri squadrava il sorriso di quella ragazza e sorrideva di rimando. La dottoressa Wolfe rientrò nella stanza sospirando e gettando la siringa nell'immondizia.
- Hai già fatto? - chiese Michael perplesso.
- Sussana è LWF W e R, fa solo una gran luce - sospirò la donna.
- Ora però si sta facendo un bel trip! - aggiunse Michael con un mezzo sorriso. La dottoressa Wolfe sorrise e si mise seduta accanto a lui.
- Chi è lei? Non la conosco... - chiese Michael indicando la telecamera.
- Josephine Swift, grande testa, credo abbiate più o meno lo stesso QI. Ho preso la sua scheda alla Lotus. In realtà come potenziale è abbastanza deludente, la tratterò per ultima, ha già avuto diversi problemi al primo trattamento in aereo. Ha fatto tutto il volo col respiratore - sospirò la dottoressa. Perdere uno dei suoi preziosi mutanti prima ancora di aver toccato terra le seccava molto.
- È brava a far ballare il fermaglio, devi ammettere che, potenziale a parte, ha fegato... - sospirò.
- O non è così intelligente come dice il suo QI. Le va bene che conduco io gli esperimenti e non Feltman o non durerebbe una settimana. Aspetta non dirmi che hai in mente una donatrice alternativa alla tua Kathy con cui incrociare il DNA? - lo provocò la dottoressa.
- Ti ho già dato i miei girini, quello che ne fai è affar tuo - disse decise Michael.
- Sarebbe un figlio bellissimo, il vostro, nessun dubbio su questo e una testa da capogiro, ma prima devo farla arrivare vicina il suo potenziale...- disse solleticata la dottoressa.
- Se ha il potenziale basso, non farà mai l'onda come Roxy. Lei aveva il potenziale quasi di un oro - ricordò Michael.
- Ricordo il potenziale di Roxy. Non ne troverò mai più uno uguale, ma forse non serve, grazie alla tua polvere. Allora hai cambiato idea, non scendi a Toronto? - fece poi la dottoressa accarezzando il volto di Michael.
- Non lo so ancora, queste ustioni mi uccidono e qui ho libero accesso a qualsiasi cosa che fa sparire il dolore - confessò Michael.
- Senza esagerare, sta attento! Sei pulito solo da un paio di mesi. Per il resto prenditi il tempo che ti serve, lo sai che qui sei sempre il benvenuto. - gli rispose Helene.
- Tieni, per la mappatura, così siamo a posto? - chiese il ragazzo. Le passò una boccetta di liquido spinale.
- A posto, Feltman sarà felice come una pasqua, due DNA ORO da analizzare domani- commentò acida Helene.
- Quell'uomo non ha una vita- sbuffò Michael.
- Vi ha rinunciato per la ricerca: è un principio nobile, se ci pensi, visto nell'ottica dello scienziato- ripose con dolcezza Helene.
- È una cosa stupida. Alla fine da una parte o dall'altra, nessuno di voi tre ha una vita decente. Un Nobel non vale tutto questo- ribatté Michael.
- So come la pensi, ma io non sono tuo padre, ho fatto la mia scelta libera e sono contenta di quello che ho ottenuto nella vita. Qualunque cosa tu decida per la tua vita, comunque, anche se intendi chiuderti in una fattoria ad allevare i cavalli, ricordati che sarò sempre fiera di te- sospirò Helene.
- Una fattoria di cavalli? Ma in che secolo vivi? Poi io odio la puzza- Michael la fece ridere. Helene annuì lentamente.
- Vacci piano con Josephine, ok? - disse Michael alzandosi.
- Promesso - annuì la dottoressa. Lasciò la carrozza diretto verso il vagone letto. Si prese un paio di pasticche dal laboratorio e le ingoiò senza troppe cerimonie. Si fermò a guardare Susanna che dormiva sul lettino, legata coi legacci, sotto morfina. Il colore della sua pelle gli ricordava quello Kathy, ma non i capelli, mossi e rossicci. Sospirò ricacciando in gola le lacrime e sperando che quelle pastiglie facessero effetto il prima possibile. Si stese sul materassino candido e rimase a guardare il bosco che scorreva a 400 Km/h fuori dal finestrino: laghi, sentieri, ponti e strade. Sembrava tutto così piccolo, così insignificante visto da lì. Ripensò alla ragazza che sollevava il fermaglio in volo e sospirò chiudendo gli occhi. La poesia è ovunque nel mondo, nel dolore come nel riposo, nella speranza come nella disperazione.
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