Di nuovo a casa
Simon era sdraiato sul prato perso tra i fiori e guardava il cielo azzurro di quella mattina fresca. Il vento giocava a nascondino tra gli alberi, si infilava nelle gole e saliva fino in alto, più in alto delle nuvole e lui volava guidando quel misero e leggerissimo aereo di carta, lo spingeva su tra le nuvole e poi giù in picchiata. Era l'unica parte divertente del suo potere: la telecinesi. L'altra parte era solo una gran noia, per dire un eufemismo. Tra i mal di testa lancinanti, la nausea perenne, l'insonnia gli sembrava di vivere in un incubo. Aveva già distrutto tre volte camera sua. Alla fine avevano montato semplicemente una foglio di plexiglas sulla vetrata del balcone.
Era un mutante, ora, un mutante LWF B, il gene più subdolo, il più instabile degli LWF. Roxy lo stava aiutando a controllare le sue onde, con risultati per ora scarsi. Quando Roxy si sentiva meglio e scendeva in giardino si mettevano seduti insieme e cercava di guidarlo in quella che gli sembrava un'impresa titanica. Una volta era riuscito a tenere ferma quella sfera blu tra le mani. Quella di Roxy era una palla da calcio, la sua una misera biglia e gli era esplosa in mano pochi secondi dopo riducendo in cenere un vaso di fiori. Ora avevano anche rivestito la sua camera con gomma piuma. Nessun blu era stato spinto tanto in là prima di lui, ma non poteva che sentirsi come un dinosauro o un rettile scampato al cretaceo: un'anomalia della natura.
Quelle quattro siringe di siero l'avevano quasi ucciso. Era grato a Tom di averlo salvato, ma era difficile fare pace con questa nuova vita. Doveva essere sempre calmo, zen, pacato o le sue onde si scatenavano esplodendo ad ogni ora del giorno. Preferiva stare solo e non rischiare di fare male a nessuno. Imparare a controllare quell'energia, a incanalarla, era necessario per vivere, ma era complicato. Davvero non si capacitava di come avesse fatto Roxy negli anni, non solo a mangiare o dormire o lavarsi i denti senza far esplodere il dentifricio. Roxy aveva fatto l'addestramento, sapeva sparare, aveva recuperato molti ragazzi e non ultimo, parlando con lei, aveva scoperto che sapeva pilotare un jet. Si sentiva molto scorato. Per le ragazze bianche nella sua situazione gli sembrava meno complicato, avevano quasi del tutto smaltito il siero e non generavano onde distruttive. Erano sempre insieme, parlavano tra di loro senza aprire bocca e avevano Angela che le aiutava a non impazzire per via di tutti i pensieri che si affollavano nelle loro menti. Lui si sentiva davvero solo, erano rimasti solo una decina tra blu e rossi, in mezzo a una folla di bianchi.
Gli mancava sua sorella, gli mancava Liv e anche Kathy. Era l'unico sopravvissuto della sua annata. Tom cercava di tirarlo su, ma l'atmosfera della scuola al sito B non era così allegra. Non c'era niente da fare in quel luogo sperduto a 2000 metri in una baita sopra al monte Rosa. Non c'era internet, niente lezioni, non avevano più i loro tablet, né i loro vestiti. Erano fuggiti così, molti come lui erano stati portati via incoscienti e in pericolo di vita. Erano vivi per miracolo, ma ora? Gli sembrava che quella situazione temporanea si sarebbe protratta in eterno.
La lista sarebbe decaduta al 1° di Settembre: cancellata per sempre. Come faceva a tornare indietro in quello stato? Avrebbe distrutto casa sua... e poi tornare senza sua sorella, per quanto lei fosse insopportabile, non era la stessa cosa. Erano gemelli, erano stati insieme gran parte della loro vita. Senza di lei si sentiva come se gli avessero strappato un braccio o una gamba.
Una fitta alla testa lo fece piegare in due dal dolore. Sarebbe davvero mai guarito? Si prese la testa tra le mani e chiuse gli occhi cercando di non andare in apnea, ma era davvero difficile. Durava solo qualche minuto, ma era frequente: il suo cervello stava soffocando nel siero e finché non l'avesse espulso avrebbe continuato ad avere quelle emicranie pazzesche. Dormiva solo poche ore e sotto farmaci, era sempre stanco e stravolto. Gli sembrava di essere tornato bambino, quando da prematuro era entrato e uscito dagli ospedali per i primi tre anni della sua vita.
Forse per lui la caduta della lista non contava molto, forse semplicemente non poteva tornare indietro. Ariel aveva spiegato loro che alcuni filmati di sorveglianza della biblioteca erano finiti sul canale video della scuola ed erano diventati virali. Si era chiesto spesso se per caso l'avevano inquadrato a terra, immobile. Chissà cosa stavano pensando i suoi genitori? Capiva perché David l'aveva fatto, ma era dura da accettare. In ogni caso aveva funzionato: la Humans Holding era sotto indagine per crimini contro l'umanità, commissariata, ogni sede sotto sequestro. Dei ragazzi rapiti o della dottoressa Wolfe o di Michael Lorenz nessuno aveva trovato la benché minima traccia. Dopo aver visto David, qualche notte prima, aveva tentennato molto se parlarne a qualcuno, si sentiva un pazzo. I fantasmi non esistono eppure era certo di aver sentito la sua presenza e le ragazze si erano svegliate dal coma la mattina dopo: non poteva essere una coincidenza. Roxy l'avrebbe giudicato? E Tom?
Quando finalmente la fitta passò si accorse che il suo aeroplanino di carta era caduto oltre i primi alberi al limitare della foresta. Si alzò lentamente, inspirò a fondo e andò a cercarlo. Si immerse nel bosco. Non voleva nemmeno provare a pensare cosa stava succedendo a Liv o a sua sorella. Era troppo spaventoso, avrebbe scatenato subito la sua onda incendiando e sradicando alberi. Inspirò, si asciugò le lacrime dagli occhi. Camminò per circa cinque minuti in tondo prima di individuare l'aeroplanino. Si era infilato nella corteccia vuota di un tronco, quando riemerse da quel buco oscuro guardò incuriosito quello che a prima vista gli sembrò un folletto. Era una piccola personcina che saliva lungo il sentiero, appariva e scompariva con la sua testa di capelli blu e biancastri. Chi poteva essere? Poi i suoi occhi lentamente misero a fuoco le due figure e cominciò a correre.
- Sono stanca, non possiamo fermarci un attimo? - stava protestando la ragazza. L'uomo che era con lei scosse solo la testa sorridendo.
- Ti ho detto che siamo quasi arrivati, sai che sei peggio delle mie bimbe di quattro anni! - si lamentò lui. Quando videro la sagoma di Simon in piedi su un tronco a sbracciarsi verso di loro si fermarono stupiti e gli sorrisero rispondendo al saluto. Il ragazzo puntò dritto verso di loro. Era davvero contento di vederli. Si bloccò a pochi passi da loro. David era molto diverso dalla sua forma etera: la sua pelle era di un colore marrone dorato e i suoi capelli rossastri, sembrava quasi più giovane. E Kathy? Aveva i capelli azzurri, gli occhi viola e luminosi e le braccia coperte di striature rosse. Tra le mani aveva un groviglio di fulmini che scoppiettavano lanciando scariche. Simon si avvicinò lentamente e le osservò.
- Lo so, è un gran casino adesso - annuì Kathy mandando indietro le lacrime.
- Siamo tutti un gran casino qui, finalmente siete a casa - aggiunse Simon incoraggiante. David annuì. Inspirò a fondo guardando la vecchia struttura in legno ricoperta di pannelli solari che sembrava sparire tra il bosco e la vetta della montagna. Non era come la Lotus Academy, ma almeno poteva dare a quei ragazzi un tetto sulla testa e la possibilità di riprendersi da ciò che gli era accaduto. In un certo senso gli sembrava di essere tornato all'inizio della scuola, quando tutti i ragazzi erano appena stati recuperati da quel posto orrendo. Sarebbe stata dura: avevano tutti molti cicatrici da cui guarire, gli adulti come i ragazzi. Simon li precedette lungo il sentiero urlando: - sono tornati! -.
Ariel era in veranda con le bimbe intente a colorare, si alzò e li salutò commossa, poi prese una bimba in braccio e l'altra per mano e le guidò a conoscere la nuova versione del loro papà. Un quarto livello oro come non ne esistevano altri al mondo. Ariel studiò gli occhi del marito, poi gli volò tra le braccia. David inspirò a fondo e strinse a sé sua moglie e le sue bambine. Era davvero a casa.
Simon intanto fece entrare Kathy facendo gli onori di casa. Roxy stava scendendo le scale faticosamente con le stampelle. La vide entrare dalla porta, sorrise e chiuse gli occhi inspirando a fondo e trattenendo le lacrime. Era davvero contenta che David avesse avuto ragione, le sembrava impossibile vederla lì, in piedi. Anche Jacob si era rialzato, ma nessuno gli aveva tranciato la colonna vertebrale. Forse in fondo al suo cuore aveva finito per sommare tutto l'affetto e il senso di perdita che aveva avuto per Jacob , con la solidarietà per quella coraggiosa peste che si trovava davanti. Se aggiungeva a questo la gravidanza e gli ormoni impazziti, le ci volle veramente molto autocontrollo per non scoppiare a piangere. Sapeva come si sentiva Kathy, malissimo, e sapeva altrettanto che non aveva bisogno di scenate patetiche, ma di calma e comprensione e questo si sarebbe sforzata di darle, come tutto l'aiuto che le era possibile, date le sue condizioni.
- Grazie - mimò verso di lei con le labbra. In ogni caso Kathy l'avrebbe sentita forte e chiaro. La ragazza le sorrise commossa, così Roxy le si avvicinò. Kathy però si ritrasse. Le osservò colpita le mani: il braccio era completamente ricoperto di ustioni, le dovevano fare un gran male, ma finché non avessero trovato modo di bloccarle, l'area sarebbe solo peggiorata.
- Va tutto bene, Kathy, troveremo una soluzione, ok? Sarà temporaneo...- le promise, quindi le accarezzò la faccia e le tolse una lacrima dagli occhi. Kathy si fece coraggio e annuì. Roxy le sollevò lentamente la maglia dietro la schiena e rimase senza fiato. Dove Michael le aveva reciso la colonna vertebrale, la pelle era ricresciuta a fino a disegnare un fiore di loto dorato: come un tatuaggio.
- E' successo un miracolo, Roxy, guarda ...- le disse Kathy e fece un'ampia circonduzione delle braccia. Roxy fece un passo indietro per non essere colpita dalle nuvole elettriche e la guardò stupita muovere le braccia. Kathy per lei era un miracolo tutta intera.
- E il ginocchio è come se fosse tornato come prima, posso correre - disse Kathy saltellando su se stessa. Avrebbe tanto voluto prenderla tra le braccia e stringerla e accarezzarle i capelli. Quella mutazione era davvero ingiusta: non poter toccare qualcuno senza dargli una scarica di scossa. A Jacob non era rimasta questa scarica, tanto che spesso gli teneva la mano attraverso il condotto dell'aria. Toglierle anche quella misera forma di contatto le sembrava oltremodo crudele da parte del destino, ma lei sospettava che l'onda di Kathy fosse stata terribilmente più forte di quella di Jacob e ne portava ancora le cicatrici addosso.
- Tom come sta?- fece Kathy poi incerta.
- Più o meno come me. Credo sarà contento di vederti, si è preso tutto il sotterraneo, non ho idea di cosa stia facendo. Non esce mai da lì - Roxy alzò le spalle e poi le indicò la scala che puntava verso il basso.
Kathy la salutò, prese coraggio e iniziò a percorrere la scala. Scese i gradini guardandosi mesta quelle mani. Le dava davvero fastidio non poterle usare, soprattutto ora che era tornata in una parvenza di civiltà. La porta era socchiusa, la spostò col piede. Nel sotterraneo regnava la penombra. Le sue mani rischiaravano di viola la stanza piuttosto spoglia e il pavimento. In fondo alla sala vide una piccola luce. Kathy si avvicinò: Tom era seduto su una sedia a trespolo e stava lavorando con una specie di piccola saldatrice.
Kathy si pulì gli occhi con la manica della maglia e rimase un attimo a guardarlo nella penombra. Aveva appoggiato una stampella alla scrivania, l'intera gamba era racchiusa in un gesso e aveva tutte le braccia fasciate, ma almeno era vivo. Tom alzò gli occhi su di lei attirato dall'aurea violacea che le disegnavano attorno quelle mani e rimase senza fiato. Spense la saldatrice e la appoggiò sul tavolo. Gli tremavano le mani. Quello era davvero il più grande, immenso regalo che il destino potesse mai fargli, per la seconda volta. Si avvicinò a lei con la stampella tremando.
- Non puoi... io non voglio... attento - disse Kathy facendo un passo indietro.
- Metti le braccia dietro la schiena- sussurrò lui.
- E se ti faccio male?- lei indietreggiò ancora tremando.
- Vivere senza di te è la sola cosa che mi può uccidere - disse lui respingendo le lacrime in gola. Kathy incrociò le braccia dietro la schiena e rimase immobile. Lentamente Tom le mise una mano sulla vita e quindi la tirò verso di sé. Kathy chiuse gli occhi e si fece travolgere dalle emozioni. Aveva patito così male, aveva accettato il prezzo più grande pur di salvargli la vita. Kathy alzò le braccia e indietreggiarono lentamente contro il muro. Non riusciva a staccarsi da lui. Tom la baciò di nuovo e in quel bacio che sapeva un po' delle loro lacrime era come scoppiasse davanti a lei tutto quello che era stato e che sarebbe sempre stato Tom per lei e tutta la paura che aveva avuto di perderlo. Il fulmine partì senza preavviso rimbalzando sul soffitto della stanza. Kathy si ritrasse trattenendo il fiato e maledicendosi. Tom scoppiò a ridere.
- Sei stato molto stupido a metterti contro Micheal, romantico, ma stupido, poteva ucciderti!- sospirò Kathy facendo qualche passo indietro da lui, per sicurezza.
- So che quello che hai fatto ti costerà tantissimo, ma non mi spaventa, Kathy. Voglio solo stare con te, accada quello che deve accadere, io non me ne vado. E se dovrò aspettare un anno o dieci per poterti sfiorare non fa niente, troveremo un modo per stare insieme, te lo prometto - disse lui serio. Kathy non sapeva cosa dirgli, aveva come un magone in gola. Non riusciva a parlare.
- Cosa stai facendo, qui giù? - fece solo curiosa per togliersi dall'impiccio. Tom la guidò verso il piano di lavoro.
- Sto provando a fondere il ferro col saldatore, finora ho fatto già 3 soldatini, guarda! - disse orgoglioso facendole vedere. Kathy si trattenne a stento dal ridere: erano poco più di alberi storti per lei.
- Se riesco a farne una decina dopo io e Simon potremmo giocare a ... non so ancora a cosa, ma ci faremo venire un'idea. Era l'unica cosa che mi distraesse dal pensiero di averti persa per sempre- confessò Tom.
- Un soldatino scheletrico? - lo provocò Kathy. Tom rise in imbarazzo.
- Ehi, ma quello è il mio tablet!- fece stupita Kathy.
Quante volte l'aveva guardato negli ultimi giorni! In realtà era per leggerlo lontano da occhi indiscreti che si era rintanato in quel posto, poi aveva trovato il fil di ferro e aveva alternato gli hobby.
- Sbirciare nel tablet della tua ragazza non è un hobby- puntualizzò Kathy. Tom arrossì: si era dimenticato per un attimo che poteva leggergli la mente.
- Tranquillo, non sono arrabbiata. In ogni caso io lo farei saltare in aria al momento: dai, ti lascio ai tuoi soldatini e vado a cercare Liv - propose Kathy. Tom la fermò per un braccio, poi ritrasse la mano sentendola rigida. La luce che saettava dai suoi occhi viola lo lasciava senza fiato. Avrebbe amato Kathy in qualsiasi forma si fosse presentata, gli bastava che fosse viva, ma quella caratteristica di lei lo attirava come un faro nella notte. Non poterla abbracciare però era più dura del previsto.
- Kathy, non so davvero come dirtelo, Liv non è con noi- aggiunse Tom con un filo di voce.
- Cosa vuoi dire? È morta? - fece Kathy sconvolta.
- Non lo sappiamo, ma la Wolfe ha caricato quasi tutti i blu e rossi su un elicottero e sono spariti nel nulla - raccontò Tom.
Kathy franò in ginocchio e cominciò a piangere. Tra loro si erano lasciate nel peggiore dei modi. La sera del Freedom Party era scappata via a causa di quello stupido potenziale e ora la dottoressa Wolfe l'aveva portata via per sempre. Non era riuscita a salvarla! Era stato troppo distratta da Michael e adesso era troppo tardi. Tom si sedette lentamente dietro di lei appoggiando la gamba dolorante al pavimento, poi con cautela le prese la schiena tra le braccia stringendola a sé. Sentiva il suo respiro rotto. Le accarezzava lentamente i capelli celesti cercando di calmarla.
- Li troveremo- sussurrò al suo orecchio sperando di non illudersi.
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