11000 geni
Le ragazze sparirono tutte da quella porta a vetri, una dopo l'altra e tornarono tutte ammutolite e pallide come Liv. Susanna non tornò proprio e Josephine non faceva che sentirsi in colpa. La nausea era troppo forte per mangiare quello che le portarono e la notte non riuscì a chiudere occhio. Un po' invidiava Liv che era crollata sul suo materasso sfinita: l'angoscia di non sapere cosa le aspettava era quasi peggio. Josephine aveva troppa paura di chiedere e continuava a far girare quel fermaglio per la stanza su e giù. Era come se attraverso quel piccolo oggetto potesse fingere ancora di essere libera. Si addormentò poco prima di veder sorgere il sole. Le svegliarono le guardie, in modo piuttosto brusco. Le divisero a gruppi e le portarono in un vagone poco lontano: uno stanzone con docce e asciugamani. Quindi diedero loro una tuta col logo della Humans. La indossò senza fare una piega, contenta di mettersi qualcosa di pulito addosso, quindi si ripresentò alla guardia. Liv invece era chiusa in quel camerino e non usciva. La guardia alla fine si spazientì e cominciò a bussare alla cabina, Josephine la sentì scoppiare a piangere. Si avvicinò e bussò.
- Liv, fammi entrare, sono io - urlò. Dall'altra parte Liv non rispose.
- Liv, andiamo, non puoi stare chiusa lì per sempre - insistette sbuffando. Per un attimo si chiese se non stesse cercando di scappare dal finestrino, ma poi la porta si aprì con uno schiocco. Josephine entrò senza troppe cerimonie. La trovò seduta sulla panca con i pantaloni di quella tuta nera addosso, la felpa in grembo e lo sguardo fisso su quel logo verde. Tremava come una foglia coi capelli ancora bagnati sciolti sulle spalle nude.
- Liv, è solo un disegno. Non cambia nulla. Metti quella tuta e basta, con quest'aria condizionata ti ammalerai - disse solo Josephine prendendo la tuta e forzandola ad indossare una manica. Liv teneva gli occhi bassi. Josephine si chinò fino a guardarla negli occhi.
- Kathy non la indosserebbe mai - sussurrò.
- Kathy non è qui, non deve sopravvivere qui, non pensare a lei, non ne vale la pena. Credimi - aggiunse Josephine convinta. Liv alla fine si fece convincere ed uscì. Le riportarono nel loro vagone. Liv continuava a guardarsi quel logo così Josephine per distrarla le mise davanti il fermaglio.
- Avanti fallo sollevare - aggiunse Josephine. Liv scosse la testa.
- So che ne sei capace - insistette Josephine. Liv alzò le spalle, ma non si mosse di un centimetro. Josephine allora cominciò a farlo girare lei stessa. Si interruppe all'improvviso quando una guardia si presentò sulla porta.
- Josephine, tocca a te - disse semplicemente l'uomo.
- Ottimo - Josephine scattò in piedi nel silenzio generale e si fece largo tra le compagne. Recuperò il fermaglio e se lo mise tra i capelli sistemandosi alcune ciocche ribelli. L'uomo le fece segno di uscire. Non osava nemmeno toccarla, come se fosse un'appestata. Era abbastanza certa che l'effetto di quella polvere fosse trascurabile su un essere non LWF e che comunque non fosse possibile per lei infettare quell'uomo, questo rendeva il suo atteggiamento ancora più offensivo. Quando si aprì la porta scorrevole e vide il laboratorio entrò decisa senza aspettare che la guardia la spingesse all'interno.
- Josephine, accomodati - le disse una figura femminile in camice in fondo alla stanza. Una parte di lei era quasi curiosa, bramava il fatto di doverla affrontare in prima persona. Si trovava davanti la temibile Dottoressa Wolfe. Josephine obbedì senza protestare e si sedette sulla seggiola.
- Ti lego le mani e i piedi solo per tua sicurezza, qualora dovessi avere reazioni ... violente alla polvere. - disse tranquillamente la dottoressa.
- Da piccola soffrivo abbastanza spesso di attacchi epilettici, conosco la procedura - confessò Josephine.
- Questo non c'era nella tua scheda della Lotus - disse perplessa la dottoressa.
- Non amo pubblicizzarlo in giro, lo dico solo se c'è un motivo - disse decisa la ragazza. Helene sorrise stupita: aveva mentito a Mrs. Lorenz? Il pensiero la divertì. Helene si sedette e si perse un attimo a fissarla.
- Ho visto che ti diverti ad usare la telecinesi - aggiunse quindi.
- È rilassante - ammise Josephine.
- Non c'è nulla di male, anzi. Io penso che se uno ha un dono, deve usarlo, non nasconderlo. Tu cosa ne pensi? - fece curiosa Helene.
- Penso che abbia fatto un grosso passo falso a rapirci con l'attenzione mediatica che c'è ora su di noi e penso che la pagherà cara. - sibilò Josephine cercando di non farle vedere che stava tremando.
- Forse... ma io ho le mie contromisure e sono lì da molti anni, da molto prima che voi sapeste scrivere. Vedi, Josephine, nella vita è tutta una questione di alleanze. Un'alleanza giusta e diventi sempre più potente, una sbagliata e sprofondi nella nullità e penso che tu sappia bene come funziona. Per questo sei entrata da quella porta di tua spontanea volontà. Quindi parliamoci chiaro: se io ti faccio quello che ho fatto alle altre, tu non durerai molto, ma se accetti di donarmi il tuo patrimonio genetico, potrei considerare la tua situazione in maniera diversa... - propose la dottoressa.
- Che io accetti o meno non fa differenza, lei se lo prenderà lo stesso - disse scontrosa Josephine.
- Tesoro, io non voglio farti del male inutilmente. So che questa procedura con te non funzionerà, lo so è basta, sono una scienziata, una ricercatrice stimata, conosco bene il mio lavoro e sono la migliore in questo. Sei già stata fortunata a non avere un attacco epilettico la prima volta che ti ho sottoposta alla polvere - disse Helene Wolfe piccata.
- E a lei cosa interessa se io muoio? In ogni caso avete già ucciso mio fratello davanti ai miei occhi e non mi sembra che nessuno di voi abbia nemmeno cercato di aiutarlo! - tuonò Josephine.
- Se tuo fratello fosse qui ti direbbe di accettare e di non sfidarmi. So cosa pensi di me, so come mi ha dipinto quell'infida ragazzina, ero addirittura arrivata all'idea di perdonarla, ma evidentemente non ce ne sarà bisogno. In ogni caso io non sono come lei o Roxanne mi hanno dipinto e credo che in fondo tu non ti sia mai fidata del tutto di loro, ma se vuoi condividere questo infausto destino con le tue compagne, non ti fermerò, però sia chiaro che la responsabilità è la tua e non la mia. Non pagherò per il tuo sangue o per la tua arroganza! - disse scontrosa Helene.
- perfetto, faccia quello che deve e non parliamone più - terminò decisa Josephine.
Helene sospirò, avrebbe voluto schiaffeggiare quella ragazzina. Detestava l'idea che per dimostrare di essere superiore a lei, più coraggiosa delle sue compagne si facesse ammazzare. Chissà perché Michael sceglieva sempre lo stesso tipo di ragazze: bionde e insopportabilmente sicure di loro stesse fino alla imbecillità. Legò stretta quella ragazza e lasciò arrabbiata la stanza quindi si avvicinò al computer per azionare il comando. Le tremava la mano. La sua mente continuava a dirle: "avrà un attacco epilettico, tu lo sai, non farlo!". Odiava essere messa in quella situazione, ma non poteva permettere che una ragazzina le mettesse i piedi in testa. Lei non era un'assassina e non voleva diventarlo ora, ma se non le faceva quel trattamento tutto il terrore che provavano e per il quale le obbedivano senza fare troppe obiezioni sarebbe evaporato. D'altronde se la ammazzava Feltman le avrebbe fatto interrompere quella lunga e dispendiosa sperimentazione per passare a qualcosa di più definitivo. Lui non aveva il comando, certo, ma controllava i finanziatori da tempo immemore. Diede un pugno sul tavolo e si mise a sedere inspirando a fondo. Quella ragazzina stava giocando col fuoco! Per insegnarle qualcosa doveva far sì che si bruciasse, almeno quanto bastava perché le cicatrici in futuro le ricordassero cosa avviene quanto ti avvicini troppo alle fiamme. Lo faceva per il suo bene. Diminuì il tempo di esposizione a 30 secondi, prese una borsa dei medicinali e sistemò sul tavolo cinque boccette, prese altrettante siringhe e ne preparò una di ogni tipo: Lamotrigina, Levetiracetam, Topiramato, Valproato, Zonisamide. Rilesse i nomi controllandoli nella sua memoria.
- Sto aspettando, dottoressa! - la provocò Josephine. Helene strinse il pugno, lo batté sul tavolo e le lanciò un'occhiata truce. Poi si impose di calmarsi e schiacciò quel tasto. Quando il gas si azionò su di lei e la polvere cominciò a calare Josephine si bloccò atterrita. Liv non aveva mai parlato di quelle sedute e ne aveva già fatte più di una, ma una ragazza più grande della loro scuola aveva detto "se apri la bocca e la lasci entrare, svieni quasi sul colpo". Respinse le lacrime in gola e aprì la bocca decisa. Sentì quell'orribile saporaccio che entrava dentro di lei: la gola si strinse, iniziò a tossire respingendo in automatico quella sostanza. Poi ruotò gli occhi all'indietro e lo vide di nuovo: Simon era lì di fianco al suo lettino che la guardava preoccupato. Era più piccolo, poco più di un bambino. Ricordava bene quel pigiamino con le balene. La chiamava insistentemente, ma lei non riusciva a rispondergli. Vedeva lo spavento sul suo volto, il terrore nei suoi occhi. Si sentiva come un terremoto dentro che la squassava dal profondo dell'animo. Il giorno che era nata era rimasta in apnea a lungo, tanto che i medici avevano dovuto rianimarla. Quei venti/trenta secondi in cui il suo cervello era rimasto senza ossigeno erano il motivo per cui aveva avuto quelle crisi per tutta l'infanzia e ogni tanto capitava ancora.
La dottoressa vide i legacci fremere e la ragazza cominciare a tremare su stessa, bloccò immediatamente il gas ed entrò nel laboratorio cercando di impedirle di cadere a terra. L'allarme che aveva premuto risuonava ancora attorno a lei, incessante. Non appena un paio di infermiere accorsero ad aiutarla, lasciò loro la presa e cominciò a fare le iniezioni. La prima non ebbe effetto, la seconda neppure, ma alla terza le convulsioni si attenuarono. Helene inspirò profondamente. Rientrò nello studio e si segnò il nome del medicinale che aveva funzionato quindi fece un lungo e profondo respiro. Le asciugarono la bava dalla bocca e portarono una barella. Helene le mise una mascherina di ossigeno sulla bocca e poi rimase lì a guardarla prendere fiato, con gli occhi colmi di lacrime. Le prese il polso e poi iniziò a contare i suoi battiti che calavano lentamente. Le infermiere le infilarono una flebo della stessa sostanza e la lasciarono di nuovo sola con la ragazza come da ordini precedenti. Josephine cercò di togliersi la mascherina, ma la dottoressa glielo impedì e la rimise a posto. Josephine la abbassò leggermente e poi sussultò cercando aria. - Faccia quello che deve, ma non mi gasi mai più- riuscì a dire con voce rotta alla fine.
- Non oggi, lo farò quando starai meglio, avresti dovuto ascoltarmi. Io non sono Roxanne, ma credimi non ti voglio morta, non voglio nessun LWF morto... prima ti fiderai di me e prima ci sarà qualche probabilità che tu sopravviva - aggiunse severa la dottoressa. Le sistemò la mascherina sul viso e poi lasciò la stanza. Aspettò di uscire dalla porta prima di crollare a sedere. Aveva le mani che le tremavano e la fronte sudata. Vide una guardia giungere in quel momento e si ricompose e si alzò in piedi sistemandosi il camice.
- Josephine rimarrà in osservazione sedata almeno 24h, per oggi abbiamo concluso- tuonò verso la guardia che si impettì e la salutò prima di svanire. Erano solo le 11 del mattino e si sentiva esausta. Corse verso la sua carrozza e si rifugiò nel bagno adiacente il piccolo letto. Si guardò allo specchio nella profonda luce del led bianco, si lavò la faccia e inspirò a lungo. Aveva vinto la sfida, ma non si sentiva affatto una vincente.
Lavorare con Feltman era sempre stato complicato, al limite del lecito, con Lorenz non era così. Era un brav'uomo, un padre premuroso, rispettoso delle regole e dei protocolli. Non avevano vinto quel Nobel per il manuale di Feltman, ma Lorenz si era fermato lì. Lei aveva scelto di non fermarsi e di guardare al futuro, di sognare in grande. La scalata aveva il suo prezzo. Tornò in camera sua, si sdraiò sul materassino bianco e sbloccò il tablet. Il video dell'attacco alla scuola aveva fatto milioni di visualizzazioni. Si vedeva Simon, il fratello di Josephine rovesciare gli occhi e franare a terra allo stesso modo della sorella. Chiuse il video e rimase a guardare il soffitto bianco. Il treno sbandò leggermente: fuori dal finestrino stavano scorrendo sempre le solite conifere. Il suo smartphone trasparente squillò: era il gruppo di ricognizione in Svizzera.
- Abbiamo trovato la squadra, nessun superstite- disse l'uomo senza mezzi termini. Helene chiuse gli occhi e distese le spalle sul cuscino: che pessima giornata!
- C'era il cadavere di Kathy Richardson? - chiese con un brutto presentimento. L'uomo negò.
- Mi spiega come fa una tromba d'aria ad uccidere 30 uomini di un commando d'assalto? - fece trattenendo la rabbia. Non era il suo lavoro, ma davvero non capiva cosa potesse essere andato storto. Era solo il corpo di una ragazzina, immobile per giunta, forse morta, forse solo paralizzata, ma comunque con la colonna vertebrale tagliata a metà non poteva certo andarsene in giro per la valle!
- non lo so, dottoressa, mi dispiace. La tromba d'aria deve averli sorpresi, non era prevista - aggiunse l'uomo con voce incerta. Era un fenomeno strano e piuttosto isolato. Cercò online alcune foto e le salvò.
- E quella ragazzina dove diavolo è? Non può essersi volatilizzata- protestò Helene.
- La troveremo- aggiunse deciso.
- Sarà meglio- chiuse Helene. Non sapeva se essere felice o irritata. Cercò uno dei tantissimi articoli sulla vicenda e lesse con attenzione l'elenco dei ragazzi rinvenuti morti. Non aveva lanciato lei l'ordine di sparare: la sua idea era quella di mutare quei ragazzi al sicuro, in ambiente sterile, come aveva sempre fatto. Sei vite sprecate così: tre ragazzi blu, un ragazzo oro e una ragazza rossa. Feltman era stato troppo impulsivo, per fortuna Michael li aveva fermati. In quella lista comunque non c'era traccia di Kathy, ma nemmeno di Simon, il fratello di Josephine. Michael le aveva detto di aver lasciato Roxy quasi morta sotto una trave di cemento, anche se fosse riuscita a liberarsi non era certo in grado di portare via tutti quei ragazzi. Allora chi? Il vecchio direttore era stato già dato per morto, forse era stata Mrs. Lorenz? Sospirò e si perse a guardare le foto della tromba d'aria. Avevano qualcosa di strano, come se ci fosse un punto di origine, ma quale mutante mai poteva averlo fatto? Kathy no di certo, conosceva la sua mutazione, avrebbe incendiato la foresta forse, ma non questo, non radere gli alberi al suolo. Qualsiasi onda fosse, era stata davvero potente e in grado di canalizzare l'aria verso terra. Si alzò e raggiunse Feltman nel suo vagone per mostrargli le immagini ed avere un suo parere. Non c'era traccia di lui, ma sullo schermo c'era ancora un risultato visualizzato. Susanna e Micheal condividevano 11000 geni codificati per proteine. C'era solo una spiegazione possibile: erano davvero fratelli da parte di padre e quegli 11000 geni appartenevano al soggetto zero, capace di generare un'intera stirpe di mutanti oro. Se avessero completato la sua sequenza,avrebbero acceduto al più grande segreto della loro ricerca e avrebbero potuto pensare di creare un'intera generazione di mutanti oro. Un sorriso le si fece largo sul viso. Era ora di mutare al quarto stadio anche Jamson, l 'ultimo oro a loro disposizione. Passò in laboratorio e avvertì le guardie. Non aveva sbagliato parte su cui scommettere: per quanto insopportabile fosse, Feltman era sempre stato un vero genio ed era terribilmente vicino a trovare la chiave delle loro ricerche.
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