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Dopo il fatidico giorno dell'incontro con il bel marinaio, Ariel aveva perso sonno ed energie. La notte non dormiva essendo impegnato ad andare sulla superficie del mare, anche quando era mosso da un vento gelido invernale, per osservare le stelle. Aveva presto compreso che quelle gli ricordavano gli occhi dell'uomo, i quali luccicavano come migliaia di stelle che splendevano nel cielo grazie alla loro vivacità. Ogni volta che faceva pensieri del genere, il tritone si portava una mano all'altezza del cuore mentre le sue guance si tingevano di una tonalità simile al rosso dei suoi capelli.
Spesso era costretto a tornare subito a casa. Il suo fidato pesciolino lo avvertiva quando arrivava il padre ma quella volta fu diverso. L'acqua cominciò a ribollire e da esso uscì un enorme tritone dalla lunga barba bianca con un tridente grande quanto il giovane, il re del mare. Ariel fu tentato dal pensiero di fuggire ma la sua coda era bloccata dal terrore. Il padre non sapeva nulla di quelle "visite notturne dell'esterno" e non aveva idea di chi potesse avergli detto ciò.
«P-padre io...», cercò di parlare Ariel ma le parole gli morirono in gola quando vide lo sguardo infuriato del re.
«Io mi fidavo di te! Sei il futuro del regno e vengo a sapere che passi notti insonni per stare qui? Esposto ai rischi di questo sporco mondo terrestre?!»
«Padre posso spiegare! Questo non è un mondo cattivo... qui-», fu interrotto.
«Tu dici? Non hai capito che per tutti gli esseri con le gambe siamo cibo? Molti abitanti del mio regno ogni giorno vengono serviti agli umani per il diletto del loro palato. Non si accontentano più dei prodotti delle loro terre». Il padre sembrò calmare i toni quando vide il figlio tremare. Gli mise una mano sulla spalla e lo sospinse a tornare sotto l'acqua cristallina.
«Non tutti sono così... vero?», una luce di speranza si accese negli occhi del tritone ma questa venne smorzata dal cenno negativo del padre.
Ariel venne sospinto in acqua e si ritrovò costretto a nuotare verso il castello. Nonostante ciò che gli aveva detto il padre, nella mente del tritone continuava a ronzare l'idea di voler vedere e toccare davvero la terra. Non gli importava di ciò che sarebbe successo a lui o al suo futuro trono. Doveva far esaudire il proprio sogno e rincontrare quell'uomo dai capelli scuri.
Appena fu letteralmente lanciato in camera, il tritone sguazzò ovunque per trovare un'altra borsa dove mettere oggetti che potessero risultare utili. L'altra l'aveva sequestrata il padre, ritenendola piena di oggetti inutili.
Insomma una forchetta per i capelli è inutile? Scherziamo?!
Il giovane si perse improvvisamente d'animo quando ricordò che la persona dalla quale voleva andare voleva una ricompensa... sempre. La sua stanza era troppo spoglia e per nessuna ragione al mondo avrebbe accettato cianfrusaglie umane per un suo sortilegio.
Stringendo con forza la borsa decise comunque di provare. Anche se non possedeva materialmente nulla era pur sempre il principe del mare, qualcosa doveva pur contare!
Un sorriso spuntò sul suo viso e aspettò pazientemente che calasse la successiva sera prima di potersi avventurare nell'antro dello stregone Orsolo. Quel posto era circondato da lunghe e minacciose murene che al suo passaggio si allontanarono, probabilmente solo perché dall'entrata cominciarono ad uscire getti di luce verde intenso che poteva riuscire ad allontanare chiunque, specialmente per il cattivo odore di zolfo che essi emanavano. Ariel esitò un istante ma, stando attento a chiudersi bene il naso con le dita, nuotò deciso verso il centro della caverna sottomarina, la fonte del tanfo. Un largo pentolone si ergeva al centro del grande spazio e attorno ad esso vi erano scaffali ricolmi di intrugli colorati. Il tritone si fermò in un punto e si strinse spaventato nelle spalle finché queste non furono improvvisamente prese da due forti e fredde mani blu. Fu costretto a voltarsi nella direzione della "persona" alla quale appartenevano quelle forti mani. Con grande meraviglia e paura si ritrovò davanti alla piovra più pericolosa dell'oceano. Nessuno osava andare contro di lui e chiunque ci avesse provato si era tramutato in una delle orrende piante che adornavano l'entrata di quel buio antro in cui abitava Orsolo.
Ariel strinse le mani tra di loro e fece profondi respiri tremanti prima di parlare. Appena socchiuse la bocca, un tentacolo della piovra si poggiò sulle sue labbra come per ammonirlo di stare in silenzio.
«Il principino del mare, che fantastica sorpresa», scoppiò in una sonora risata e cominciò a nuotare in modo lento ed estenuante attorno al tritone. «Come mai qui? Vuoi prendere subito la corona di tuo padre?»
«No! Io-», la bocca gli fu nuovamente chiusa dal tentacolo mentre l'altro tentava di staccarlo con tutte le sue forze.
«So ovviamente per cosa sei venuto... lo stesso motivo degli altri dopotutto. Pene d'amore», la piovra nuotò fino al calderone centrale e versò al suo interno il contenuto non identificato di alcune ampolle.
«Anche... in realtà vorrei avere delle gambe. Quelle che gli umani usano per camminare sulle, come si dice? Strade! O per saltare, ballare! Vorrei tanto ballare o camminare sulla riva del mare con lui....», il tritone non si rese conto di stare volteggiando mentre parlava con aria sognante e non notò neanche il sorrisetto che si era formato sul giovane volto da stregone che aveva la piovra. Infatti, appena lo guardò, si bloccò dov'era e si smosse solo pochi secondi dopo, sguizzando velocemente verso il calderone.
«Mi piaci, principino. Ti farò una proposta che non puoi rifiutare... Io ti offrirò due bellissime gambe umane ma solo per tre giorni», Orsolo si affrettò a prendere un lungo foglio completamente scritto a mano. «E se le vuoi per sempre dovrai far innamorare di te quell'uomo, rubandogli quindi un bacio. Se non lo farai tornerai ad essere un piccolo e infelice tritone completamente al mio servizio». A questo punto gli porse il foglio con una e una penna con un ghigno. Lo guardò insistentemente finché non si riscosse e strappò il foglio dalle mani del tritone che già aveva poggiato senza esitazioni la penna su di esso.
«Non vuole più aiutarmi?!»
«Certo! Ma dobbiamo discutere del pagamento», una lieve risata uscì dalle sue labbra mentre si avvicinava al giovane.
«Pensavo che il pagamento sarei stato io!»
«Solo se non riuscirai a farlo innamorare di te, stupido! Ma, per questa pozione, voglio in cambio una sciocchezza, qualcosa che non ti servirà...»
«Sarebbe?»
Orsolo gli prese il mento con due dita e con un tentacolo gli accarezzò delicatamente la gola.
«Voglio la tua voce»
«Cosa?» per non strozzarsi fu costretto a scostarsi e si toccò la zona accarezzata. «Senza parlare come posso farlo innamorare? Già sarà difficile perché sono un ragazzo...»
«Principino, sei un maschio. Dovresti sapere che ai maschi non piacciono troppe parole e non ti preoccupare, hai un faccino così gradevole che nessuno, e dico nessuno, sarebbe in grado di resisterti». Quelle parole furono accompagnate da un ghigno e lo stregone prese saldamente la mano del ragazzo con un tentacolo, costringendolo a stringere la penna.
«Allora, accetti?».
Ariel non sapeva cosa fare. Si guardava attorno, indeciso, pensando alle gravi conseguenze che la firma avrebbe portato. Avrebbe dovuto abbandonare suo padre, le sue sorelle, il suo futuro trono e, soprattutto, ciò che era davvero. Tutto ciò per un uomo e la propria curiosità.
Spinse i denti contro il labbro inferiore e fece un lungo respiro.
«Si vive una volta sola... giusto?», il tritone avvicinò la penna al foglio che fluttuava davanti a lui, cominciando a scrivere lentamente e con timore il proprio nome.
«Ben detto!», Orsolo, appena fu sicuro che l'altro avesse scritto il nome per intero, tirò a sè il foglio con uno scatto dei tentacoli e fece un ironico inchino. «È bello fare affari con i disperati».
Lo stregone battè due volte le mani e attorno ad Ariel generando una bolla attorno a lui. Il tritone, sentendo l'ossigeno mancare, agitò la pinna, dando numerose spallate alla parete troppo spessa di quel che sembrava. La sua lotta durò poco. Dopo qualche minuto si accasciò nella bolla e solo a quel punto lo stregone lo fece portare dalle proprie fidate murene verso la riva della spiaggia vicina.
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