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🌹Strana quotidianità🌹

Rebecca si era sistemata con cautela dietro la porta di camera sua, al suo risveglio era stata guidata dalla voce familiare del dottore e della madre che a bassa voce confabulavano nelle vicinanze, convinti che lei stesse ancora dormendo.
La ragazza poggiò l'orecchio sinistro alla porta, voltando il capo in direzione della piccola finestra rettangolare che aveva di fronte.

"Cosa devo fare con lei? Presto si aprirà la stagione estiva e lei deve partecipare, ma in queste condizioni non troverà mai marito. Oggi ha rischiato di affogare nel lago, per fortuna il giardiniere l'ha seguita e, quando ha notato delle vesti sparse sulla neve, si è subito gettato in acqua."-Sospirò la signora Hampton.

"Vostra figlia soffre di un principio di malattia mentale, suppongo sia isteria. Dovrete farla internare, una ragazza del genere non sarà mai adatta a essere una buona moglie." Sentenziò il vecchio dalla schiena curva e i capelli bianchi e lisci.

A quelle parole Rebecca si portò la mano bianca davanti le labbra fine per soffocare un gridolino di stupore. Lei non era pazza, non soffa e non aveva bisogno di cure! Voleva aprire la porta e sfogare tutta la sua oppressione contro quell'uomo esattamente come un uomo avrebbe fatto.
Ma lei non poteva, era una donna.
Quel poco di buon senso che possedeva la trattenne dal farlo; se come una furia si fosse lanciata su quell'uomo, sbattendo la porta e dimostrando di non avere nessun autocontrollo su se stessa, allora l'avrebbero ricoverata senza esitazione. Doveva, seppur a malincuore, dimostrare che si sbagliavano.

"È una misura troppo drastica, per il momento non potete fare altro? Non so, prescriverle qualcosa?"

"Tenete" rispose semplicemente l'uomo, porgendole una boccetta di vetro scuro piena di un liquido trasparente; la donna lo rigirò tra le mani non capendo.

"Queste sono le gocce che le somministro durante il suo periodo impuro."

"Esattamente mia signora, sono gocce di oppio, aumentate la dose di tre gocce al sorgere del sole e cinque quando la luna sarà sorta. La terrà tranquilla ed eviterà altri sbalzi della mente."

La signora Hampton annuì con convinzione mentre, dalla parte opposta della porta che osservava, una lacrima rigava la guancia bollente di sua figlia.

"Arrivederci mia signora, verrò nei prossimi giorni a controllare la salute di lady Rebecca."

L'uomo così si congedò, lasciando dietro di sé una scia di frustrazione maggiore di quella trovata al suo arrivo.

Rebecca frastornata da ciò che aveva udito cercò di raggiungere il letto, camminando a tentoni. Lo sguardo perso nel vuoto mutò velocemente, l'espressione persa si affievolì lasciando spazio a una scintilla di ardore.
Non l'avrebbero sottomessa, mai.
Lasciò cadere la testolina ramata sul grande cuscino bianco, poi si rannicchiò avvolgendo il corpo magro come un fuscello nelle lenzuola di flanella. Pensava al domani e sperava che Dio le donasse la forza per affrontare un altro giorno, ispirò a pieni polmoni e l'odore di pulito, emanato dal manto bianco che la copriva, l'accompagnò fino a che le palpebre divennero pesanti e cadde in un profondo sonno ristoratore.

~°•~°~•~°~•°~

La notte passò tranquilla, la stanchezza emotiva del giorno precedente aveva fatto sì che Rebecca non avesse nemmeno la forza per elaborare degli incubi.
Fu lo scrosciare incessante della pioggia sui vetri a riportarla alla realtà, sbatté le ciglia più volte prima di mettere a fuoco le immagini davanti a sé.
Prudence, la cameriera, scostò le tende di broccato lasciando invadere la stanza da una luce grigiastra, con movimenti sicuri tolse poi le coperte dalla sua signorina per piegarle al capezzale. La donna della servitù era una signora sulla quarantina con dei folti capelli corvini, ormai opachi e crespi, intrecciati ai lati e legati al capo come una corona con delle forcine. La pelle ormai consunta era pallida e il viso ovale aveva dei lineamenti abbastanza delicati, gli occhi grandi e marroni erano espressivi e attenti a ogni movimento, le labbra erano lunghe e rosee sotto il naso dritto. Era di statura media, ma il suo portamento elegante sapeva attirare l'attenzione di chi le stava vicino. Una donna del suo stato sociale solitamente non possedeva tanta beltà, ma Prudence non era nata nella miseria. Semplicemente aveva rifiutato ogni proposta di matrimonio che le veniva fatta, finendo così per accudire la zia che l'aveva ospitata dopo la morte dei genitori e la perdita degli averi per via dei debiti del padre. La piccola lady era a conoscenza di tutto questo per via di tutte le lunghe chiacchierate che da bambina aveva scambiato con la serva; crescendo aveva appreso quanto coraggio quella donna avesse avuto e, soprattutto, ne ammirava la voglia di libertà. Quel rapporto di conoscenza, che avevano intrapreso a ricamare, era stato rotto non appena Rebecca aveva iniziato a rivolgere la parola a Prudence anche durante i ricevimenti e davanti gli ospiti; da quel giorno la signora Hampton aveva ordinato che le distanze con la servitù non venissero mai più accorciate. Ma in Rebecca la storia di Prudence continuava ad alimentare il fuoco che portava dentro.

La fanciulla si destò dai suoi pensieri e, con sua sorpresa, notò che tutto era normale, finché la donna prese un semplice bicchiere di vetro colmo fino all'orlo di pura acqua e lo porse a Rebecca. La ragazza non esitò, tolse dalle mani rovinate dal lavoro l'oggetto e lo portò alle labbra ingoiando d'un fiato tutto il liquido.

La cameriera la guardò dispiaciuta e, se pur esitando, prese una mano della ragazza tra le sue. Era molto affezionata alla piccola lady, da neonata era stata lei stessa ad allattarla, in seguito ad un aborto dovuto a una violenza, per poi vederla crescere così vicina ma allo stesso tempo così distante. Rebecca era per tutti un mistero, aveva delle idee così diverse da ciò che il mondo intorno a lei voleva che spesso aveva finito per esplodere. Correva a piedi nudi sull'erba imperlata di rugiada a maggio e detestava dover ricamare, non le piaceva nemmeno andare in chiesa, l'odore di incenso la disgustava e dover raccontare ogni suo singolo peccato a un uomo lascivo che guardava le donne maritate e non, con desiderio, le dava sui nervi. Nonostante ciò, credeva in Dio, le piaceva l'idea che nel mondo ci fosse di più di ciò che gli occhi potessero osservare e le mani toccare.

Credere in Dio era come sentirsi libera, avere la consapevolezza dell'esistenza di un'altra entità, che fosse di più di mera carne e sangue, la faceva sentire compatibile con l'idea di Dio che si era creata.

"Il medico è stato qui ieri notte my lady."

Rebecca ispirò,

"Lo so, ho sentito cosa ha detto.
Era dentro l'acqua?" Domandò, osservando il bicchiere ormai vuoto.

La cameriera annuì,
"Se lo desiderate, quando la signora si renderà conto che il farmaco non avrà gli effetti desiderati, mi addosserò la colpa."

Inizialmente Rebecca non capì tali parole, restò a fissare Prudence che la guardò con intensità.

"Ci sono molti modi per ingannare chi ci attornia."

Detto ciò, si incamminò verso la porta posando sulla specchiera della toiletta una boccetta di vetro. La signorina osservò i movimenti della cameriera e attese paziente che ella uscisse dalla stanza. Non appena il tonfo della porta le diede il segnale che fosse finalmente sola, corse verso la specchiera, Prudence le aveva lasciato una bottiglietta con del liquido verdognolo all'interno, si fece coraggio e senza esitare lo bevve. Il gusto amaro e viscido risalì presto l'esofago e un conato di vomito l'assalì, l'olio imbottigliato aveva dato l'effetto desiderato.

Rebecca raggiunse velocemente la finestra e, nonostante l'acqua piovana le inzuppò i capelli, mise il viso fuori, rigettando ciò che aveva ingoiato e assaporando ogni lacrima fredda che il cielo versava, rigenerando la sua pelle delicata e allontanando per poco i pensieri che gravavano su di lei.

Quel gesto, indecoroso e rozzo, la fece sorridere, almeno nella sua stranezza non era da sola.
Corse poi a lavarsi la faccia con l'acqua fredda e infine attese nuovamente l'arrivo di Prudence che l'avrebbe vestita per la prima colazione.

La donna arrivò con la biancheria pulita e il vestito da giorno. L'indumento era di cotone color verde scuro. La fantasia ramificata fasciava il corpicino alto e magro, mentre il corsetto stretto evidenziava la vita, resa troppo sottile da tale pressione. Lo scollo a barca molto vistoso metteva in mostra i seni tondi che nonostante fossero piccoli, apparivano pieni per via delle stecche rigide che li comprimevano. La gonna era ampia e grazie ad essa i movimenti delle gambe erano abbastanza liberi, tuttavia stare dritta soffocata da i vari strati di stoffa ingombrante era un'impresa piuttosto ardua.

Dopo che la vestitura fu completa, Prudence la fece accomodare sulla sedia di fronte la specchiera. I lunghi capelli baciati dal sole, ormai intrisi d'acqua, vennero asciugati con un panno, in seguito legati nella parte superiore con un rigonfiamento sul davanti, mentre le ciocche libere furono arricciate sulle punte.

"Siete pronta my lady, vostra madre vi attende nel salotto."

Le parole si dispersero presto nell'aria e uno scricchiolio sinistro annunciò l'entrata in scena della signora, Hampton.

"Puoi andare Prudence."

"Ai suoi ordini cortese signora."

La padrona di casa si avvicinò alla figlia e, con un sorrisetto compiaciuto, iniziò a sciogliere i capelli appena acconciati.

"Dopo anni di servizio quella donna non ha ancora acquisito la maestria giusta per acconciare."
Disse tutta allegra.

"Siete di buon umore, ne sono lieta."

La signora si accostò al viso di Rebecca e le lasciò un sonoro bacio sulla guancia.

"Certo che lo sono figlia mia! La prossima settimana la signora Robinson aprirà la stagione estiva con un ballo nella tenuta di campagna. Sarà il tuo grande debutto mia bella Rebecca".

La fanciulla portò gli occhi al cielo, detestava sentir parlare di tale argomento, ma nonostante ciò tentò di donare alla madre un sorriso forzato.

"Sono felice anche di questo madre".

"So bene che non è vero, ti conosco bambina mia, ma sono certa cara che sarai la fanciulla più corteggiata della tua età e che una volta raggiunta la dimora dei Robinson cambierai idea."

Continuò a spazzolare i lunghissimi capelli finché l'olio della cute non fu ben distribuito in tutta la testa, in questo modo i capelli sarebbero stati al riparo dallo smog e la sporcizia della città, infine li acconciò.

"Adesso metti un abito per uscire, dobbiamo andare a fare altre compere".

Rebecca annuì, anche se desiderava opporsi non avrebbe concluso niente mostrando il suo disinteresse, così sarebbe stata accondiscendente fino al giorno del debutto, poi allontanare o meno i pretendenti sarebbe stato un gioco che avrebbe gestito da sola, nell'ombra.

*Spazio autrice*

"Diagnosi sbrigativa, quella del dottore" penserete voi, cari lettori.
Invece no, nella mia amata epoca vittoriana era uso affibbiare malattie mentali alle giovani donne che avevano un comportamento fuori luogo, spesso ciò avveniva durante il periodo mestruale quando il nervoso e i cambi d'umore venivano presi come "sintomi" di qualche presunta malattia.

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