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Capitolo 9

"Fermati! Guardami!".

Nelle notti fredde e buie non c'è modo di scappare dagli incubi; sono lupi feroci che ci danno la caccia, belve dalle quali è impossibile fuggire e noi, noi non siamo altro che agnellini indifesi, persi e immersi in un mondo che non è il nostro, dove  valiamo meno di zero, dove siamo lucciole con le ali spezzate, dove a niente serve la ragione, perchè lì, di fronte al vuoto, contano solo le nostre paure.

Olly lo sapeva bene, eccome se lo sapeva, ma non poteva farci nulla.
Continuava a correre, senza mai fermarsi, mentre la pioggia cadeva ininterrottamente, grosse gocce fredde in quel mare di oscurità; il vento soffiava forte, colpendola in viso con schiaffi talmente gelidi da farle mancare il fiato.
Correva e correva, i capelli le pendevano ai lati della testa, le gambe tremavano a causa del freddo e della fatica e, mentre il mondo si faceva sempre più appannato davanti ai suoi occhi, le sue grida squarciavano il silenzio della notte, acute e taglienti come lame di coltelli sfregate sul ferro, uno stridio straziante di dolore e terrore.

La ragazza alzò la testa verso il cielo, le gocce d'acqua si mischiarono alle lacrime riempiendole gli occhi, le borse sul suo viso erano più evidenti che mai e la pelle sembrava un pallido lenzuolo chiazzato di rosso.
Gli edifici erano macchie sfocate lungo il suo percorso, macchie che lei non riusciva a vedere, non vedeva più niente se non il baratro dal quale stava fuggendo; continuava a correre, eppure le sembrava di averlo alle calcagna.
E quando l'ennesimo singhiozzo le tolse il fiato, rallentandola di poco, se ne accorse: stava annegando.
Di nuovo...
Le sembrava di essere caduta in un oceano in tempesta e, prima di essere inghiottita dalle onde scure, non aveva nemmeno fatto in tempo ad assaporare per l'ultima volta l'aria calda e salmastra; e ora, ora stava affondando, più si muoveva più veniva trascinata verso il fondo, sempre più giù, più giù, più giù... 
Attorno a lei, tutto si era spento, la luce era scomparsa da sopra la sua testa e rimaneva soltanto quell'accecante oscurità che la stava facendo soffocare.

-Perchè io? Perchè io?- si chiese la ragazza.
Si fermò per un attimo, piegandosi sulle ginocchia e cercando di immagazzinare più aria possibile; fece un respiro profondo, ma tutto il suo torace si contrasse costringendola ad espirare il poco ossigeno che le era rimasto. Riprovò ancora e ancora, ma alla fine si ritrovò rannicchiata nel fango, annaspando in cerca d'aria e senza anima viva che potesse aiutarla.
Per alcuni secondi non fu altro che una statua di sale che si scioglieva piano travolta dalle onde, le sue mani si aggrapparono all'asfalto diventando un tutt'uno con esso; poi, alzò piano la testa,  tenendola stretta tra le mani fredde per alleviare l'intenso dolore che cominciava a farle vedere doppio; una decina di metri più avanti, c'era il vialetto di casa sua, le luci erano ancora accese in salotto e le sedie a dondolo erano dolcemente sospinte dal vento.
Olly provò a gridare in cerca d'aiuto, ma il suo flebile mormorio fu coperto dal fiatone e dai singhiozzi.

Quando sentì dei passi avvicinarsi a lei, la ragazza mise la testa tra le ginocchia e circondò il suo corpo tremante con le braccia, incapace di alzarsi e di proseguire verso casa, stravolta dalla corsa, dai singhiozzi e dai capogiri.
Rimase ferma lì, mentre le gocce continuavano a cadere sopra di lei, una pioggia di fuoco che le lacerava la pelle, abbattendo le sue difese, aprendosi a forza una strada nella sua storia piena di dolore e oscurità; nella sua mente vide scorrere immagini vecchie di anni: la prima volta che aveva visto una Luce, la pioggia che cadeva tutt'attorno, quel giallo vivo come il sole, l'unico bagliore in quell'inferno fatto di ghiaccio e pietra... 
E poi sentì la sua voce, la sua voce setosa e profonda:
"Guardami, cosa stai aspettando? Parlami!"

Olly scoppiò in un grido di rabbia e frustrazione e, questa volta, la sua voce risuonò forte e chiara nella notte silenziosa.
Si rimise in piedi, le lacrime continuavano a scivolare rapide sul suo volto arrossato e bagnato dalla pioggia, poi, dopo aver puntato gli occhi sull'uomo che aveva davanti a sé, si voltò e ricominciò a correre verso casa.
Dopo la sua sosta, i muscoli dolevano più che mai e tutto il corpo, dalla punta dei piedi alla testa, bruciava per la fatica; le sue scarpe fradice affondarono nell'erba alta e poi, finalmente, superarono gli scalini del portico.
La ragazza si fiondò in casa sbattendo la porta alle sue spalle e lasciandovisi scivolare sopra con la testa tra le mani tremanti e il fiato più corto che mai; l'acqua cominciò a bagnare il pavimento attorno a lei, ma non se ne preoccupò, rimase lì, immobile e spaventata e, per la prima volta, non si preoccupò nemmeno di nascondere ai nonni la sua sofferenza.

«Olly che-», Philip comparve dalla porta del salotto, il telecomando tra le mani e lo sguardo assonnato, ma, non appena vide la nipote, la sua espressione si fece preoccupata e attenta, «che cosa è successo?».
Olly lo guardò appoggiare il telecomando e avvicinarsi a lei spaventato, poi, aggrappandosi alla maniglia della porta, riuscì a mettersi in piedi e si fiondò tra le braccia del nonno, stringendolo in un abbraccio che gli tolse fiato, ma che subito ricambiò.
Le mani secche e rugose di Philip sfregarono sui suoi capelli bagnati e spettinati, poi, si fermarono sulla sua schiena tremante, muovendosi lentamente per cercare di scaldarla.
Fu in quel momento che la ragazza fece l'errore più grave di tutti: si concesse di respirare e si convinse che il problema fosse ormai passato.
Errore, stupido errore...  
Se ne rese conto solo quando, dopo essersi staccata dall'abbraccio del nonno, alzò lo sguardo e vide, tranquillamente appoggiato alla porta chiusa della cucina, l'uomo che l'aveva seguita, con le braccia incrociate sul petto e un sorriso beffardo sul volto.

E alla fine, consapevole di avere perso, la ragazza si allontanò da Philip e, ricominciando a piangere, si rivolse all'uomo con una smorfia supplicante.
«Vattene, lasciami in pace, ti prego. Basta...». Le sue parole furono poco più di un sussurro, ma bastarono per trasformare quell'ombra spaventosa e malvagia in una Luce viva e vibrante.
L'uomo comparve in tutto il suo splendore davanti agli occhi di Philip, i capelli grigi emisero un ultimo bagliore accecante, poi, con un sorriso soddisfatto, si incamminò lentamente verso la porta d'ingresso e la spalancò, uscendo e lasciandosi alle spalle soltanto l'odore della pioggia e un lieve "Buonasera" sussurrato in direzione del nonno.

Philip rimase di sasso davanti a quella scena, alternando lo sguardo confuso tra la porta d'ingresso, la macchia d'acqua che si stava allargando sul pavimento e la nipote, poi, più veloce che potè, si avvicinò ad Olly quando la vide traballare e inciampare sui suoi piedi; circondandole la vita con un braccio l'accompagnò in salotto, dove la fece sedere sul morbido divano e la coprì con una coperta di pile.
«Aspetta un secondo», sussurrò dolcemente alla nipote dopo averle lasciato un caldo bacio sulla guancia e si fiondò in cucina, dove, cercando almeno per una volta di essere serio ed efficiente, si mise a preparare del thè caldo, senza sapere realmente dove mettere le mani, ma ripensando a tutte le volte che lo aveva visto fare alla moglie.

Alcuni minuti più tardi, ricomparve finalmente in salotto con una tazza bollente tra le mani e si accomodò accanto alla ragazza, poggiando la bevanda calda sul tavolino di legno di fronte a loro.
«Grazie», mormorò lei, scostando leggermente la coperta per stringere la mano del nonno.
«Era il minimo che potessi fare, non ho nemmeno bruciato la pentola», le rispose l'uomo sorridendo soddisfatto quanto vide le sue labbra piegarsi in un impercettibile sorriso.

Passarono alcuni minuti in cui nessuno dei due osò parlare, Philip si limitò a tendere le orecchie, per cercare di capire se Karen avesse sentito ciò che era successo e stesse scendendo a dargli una mano; Olly, invece, sorseggiò piano il thè che il nonno le aveva preparato, cercando di scaldarsi e di evitare lo sguardo dell'uomo il più a lungo possibile.
Poi, l'orologio appeso alla parete rintoccò la mezzanotte rompendo il silenzio.

«Olly...», Philip sospirò passandosi una mano sul viso stanco e segnato dal tempo, «Cosa ti sta succedendo?», chiese quindi.
Olly rimase in silenzio, strinse la tazza di ceramica tra le mani, così forte che il disegno in rilievo le rimase impresso nel palmo bagnato; cercò di rallentare il battito incontrollato del suo cuore, lasciandosi cullare dal tepore del thè caldo e dall'abbraccio avvolgente della coperta.
Le sue labbra si schiusero piano, come un bocciolo alle prime luci dell'alba, ma le parole che avrebbe voluto dire per tranquillizzare il nonno le rimasero bloccate in gola, per poi sprofondare come macigni nel suo petto tremante.
«Vorrei aiutarti, tesoro, vorrei poter prendere tutto il tuo dolore, ma non so come fare se tu non mi dici niente. Non so più cosa fare...», mormorò Philip.
La ragazza si sentì morire, il suo petto venne squarciato a metà dallo sguardo disperato del nonno e le lacrime ricominciarono a correre veloci sul suo viso, alcune caddero nella tazza, gocce salate in un mare dolce-amaro, altre sulla coperta.
Poi, finalmente, assieme ai singhiozzi, dalle sue labbra cominciarono a uscire anche parole, lamenti di un cuore straziato dal dolore: «Non ce la faccio, non ce la faccio più. Non so più cosa fare».

La pioggia iniziò a cadere più forte, il silenzio della notte si riempì dell'assordante scroscio di quell'acqua fredda e tetra che le aveva rubato ogni cosa; improvvisamente tutto divenne buio davanti ai suoi occhi, poi si accese una luce, ma non era più quella del lampadario, no, era fuoco; il calore delle fiamme si sostituì a quello del thè bollente, l'abbraccio della coperta divenne stretto e soffocante, l'ululato del vento si trasformò nel lamento di una sirena; lampeggianti blu e rossi comparvero in lontananza, non quelli della pattuglia del paese, ma quelli di un'ambulanza.

«Olly, Olly guardami, tesoro!». Philip si alzò in piedi, spaventato dal colore cinereo che il volto della ragazza aveva assunto, dopodichè la fece sdraiare sul divano, togliendole la tazza dalle mani tremanti e posizionandole dei cuscini sotto le gambe.
«Non ce la faccio», biascicò lei qualche secondo dopo, il volto un po' più colorito, gli occhi gonfi e rossi.
«Sì, che ce la fai. Sei la persona più forte che conosca, sei solo stanca». Il nonno le strinse una mano, mentre con l'altra le allontanò i capelli bagnati dal viso e le accarezzò dolcemente la guancia.
«Sono passati quattro anni, ma ogni volta è come la prima e, da quando sono tornata qua, è ancora peggio. Non sono forte, non lo sono mai stata».

Philip sospirò e, distrattamente, allungò una mano per afferrare la tazza che aveva poggiato a terra e bere un sorso del thè di Olly, ma non appena si accorse di ciò che aveva fatto, la riappoggiò con uno scatto sperando che la nipote non lo avesse visto.
Il suo sguardo si spostò poi malinconico verso una cornice dorata attaccata al muro e sembrò accarezzare con una straziante lentezza le figure sbiadite delle tre persone che vi erano ritratte.
«Non è facile per nessuno Olly, te lo posso giurare e, fidati di me, ci sono ferite che nemmeno il tempo può guarire. Ma se vuoi stare un po' meno male, allora forse è giusto che tu ti lasci travolgere da questo dolore perchè altrimenti resterà lì per sempre, in agguato, pronto a colpirti quando meno te l'aspetti», disse poi rimettendosi a sedere sul divano e poggiando le gambe della nipote sulle sue.
«A volte vorrei solo essere morta anch'io», rispose la ragazza facendo spalancare gli occhi al nonno, disorientato nel vederla pallida e fragile come una bambola di porcellana, e aggiunse: «Mi sarebbe piaciuto rimanere dall'altra parte del muro, capito cosa intendo? Avrei voluto essere io la Luce. Ho pensato tante volte a quanto sarebbe stato semplice sparire, chiudere gli occhi e non doverli riaprire mai più, non dover soffrire mai più. Sarebbe stato... sarebbe stato solo... bianco, bianco e nero, nessuna sfumatura, nessun colore. Non sarebbe stato bello?»
«Non sarebbe stato triste e freddo?», le chiese il nonno, accarezzando, quasi senza accorgersene, il ginocchio della nipote proprio nel punto in cui era attraversato da una lunga cicatrice rosata.
«Ho visto quadri in bianco e nero splendere come niente al mondo e trasmettere una pace tale da far invidia al luogo più calmo».
«E cosa ti ha fatto cambiare idea?», continuò l'uomo cercando di deglutire il groppo che gli si era formato in gola.

Olly alzò la testa verso il soffitto, lasciò che lo sguardo vagasse sulla superficie bianca leggermente ingrigita dal tempo; prese un respiro profondo e rabbrividì quando la maglietta bagnata le si attaccò alla pelle.
C'era qualcosa in quella domanda, qualcosa che l'aveva riportata indietro nel tempo ad un giorno d'estate caldo, avvolto da un'aura dorata; ricordava il colore aranciato del cielo, il sole basso all'orizzonte, il profumo di cioccolata calda e di erba appena tagliata.
E poi ricordava due figure: un ragazzo e una ragazza, entrambi avevano appena sedici anni.
Lui era sdraiato sul prato, la maglietta nera aderiva alla pelle abbronzata e i jeans lunghi erano arrotolati fino alle caviglie; una massa di capelli biondi gli ricadeva sul viso, coprendo in parte il suo sguardo concentrato, e le mani, sporche di vernice, si muovevano veloci disegnando arabeschi colorati.
Lei  era seduta davanti al ragazzo, le gambe nude, coperte solo da un paio di pantaloncini corti,  erano incrociate, e le braccia poggiavano stanche su di esse; i lunghi capelli erano raccolti in due trecce spettinate e gli occhi tristi osservavano con dolcezza i movimenti del ragazzo.

Olly spostò lo sguardo verso la finestra, dove le gocce scivolavano senza sosta sul vetro trasparente e rivide il momento in cui il ragazzo aveva sollevato lentamente gli occhiali da sole appoggiandoli sulla testa, per osservare meglio il modo in cui le lacrime dell'amica, che improvvisamente avevano iniziato a rigarle il viso, scioglievano i disegni che gli aveva tracciato sulle guance chiare; e poi, poi la sua testa fu avvolta dalla nebbia delle immagini delle braccia di lui che si stringevano attorno al corpo tremante di lei; dal ricordo del suo dolce sussurro: "Ci sono io qui con te".
E alla fine divenne tutto un miscuglio: i sorrisi che i due si rivolsero, le voci dei nonni in lontananza, le lacrime colorate che le macchiarono la maglia... 

Fu in quel momento che si decise a rispondere.
«Ho semplicemente capito il bianco e il nero non sono abbastanza, che voglio dipingere i miei quadri con centinaia di sfumature e che recuperare le due persone che avevo perso avrebbe significato abbandonare tutte quelle che mi stavano ancora vicino. Ho capito di essere disposta a soffrire, pur di vedere sorridere Logan, la nonna e te. Ho capito che è con voi che voglio stare, sempre», disse quindi mettendosi a sedere e stringendo il nonno in un abbraccio.

E Philip sorrise, per la prima volta dopo tanto tempo vide una luce in fondo al tunnel e capì che non si trattava di una di quelle che tormentavano la ragazza, no, era una luce di speranza, calda e viva.

Forse c'era ancora speranza.
C'era speranza perchè nonostante Olly non sapesse di essere forte, in realtà continuava a lottare giorno dopo giorno, sempre con più grinta, con più coraggio e con più forza.
C'era speranza perchè non era sola.
C'era speranza perchè la vita le aveva dato un solo motivo per morire, ma mille per vivere.
C'era speranza perchè a volte la speranza non è solo volare alto, a volte la speranza è cadere: cadere, farsi male e sorridere nel rialzarsi perchè ci sono cose che fanno più male, sempre.

E sempre si può andare avanti.

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