Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo 8

La sera arrivava tutti i giorni, era qualcosa che non potevi evitare.
Un'ombra strisciante che si insinuava nei vicoli più stretti e scuri, che si avvolgeva sugli edifici più alti, un miscuglio di tristezza e malinconia per alcuni, un caldo e quieto rifugio per altri; ma la sera non era solo questo, no, era molto di più: le tremule luci dei lampadari, i brividi di freddo, lo scalpiccio di piedi nudi di bambini che correvano verso il loro letto, il caldo abbraccio delle coperte, la stretta forte di mani rosee e piccole attorno ai peluche, i sospiri, le lacrime, i baci...

Il buio. Buio.
Un suono così stridente, eppure allo stesso tempo così dolce: buio.
Era un contrasto totale, un contrasto che Olly odiava e che temeva con ogni parte della sua mente e del suo cuore; era l'incubo da cui non poteva fuggire.

Quella sera, però, mentre lasciava il negozio di Jean per raggiungere il Mounty cafè, si sentì perfettamente in sintonia con il tramonto che le illuminò gli occhi stanchi e il suo cuore si riempì piano del piacevole calore degli ultimi raggi di sole.
Per tutto il tragitto, tenne lo sguardo rivolto all'orizzonte, là dove non c'era l'azzurro, né il blu, né il bianco, là dove si vedeva solo la delicata sfumatura del turchese che piano piano si allontanava, accogliendo sprazzi di giallo e accendendosi di un arancione lieve che diventava sempre più scuro, sempre più brillante; là dove c'era soltanto oro, oro che luccicava illuminato dai primi baluginii delle stelle, immerse in un oceano nero come l'inchiostro.
Là, dove la notte diventava soltanto un sinonimo di meraviglia.

Olly fece un respiro profondo, fu avvolta dall'aroma pungente proveniente da uno degli appartamenti che si affacciavano sulla strada; alzò la testa, facendo scorrere lentamente lo sguardo sulla facciata color mattone del condominio che stava oltrepassando e vide un gatto appollaiato tranquillo sul davanzale di una finestra aperta, più in là, un uomo sulla settantina stendeva sorridente un accappatoio rosso mentre ascoltava la moglie che, probabilmente intenta a preparare qualcosa da mangiare, gli raccontava con voce acuta degli splendidi pomodori che aveva comprato al mercato quella mattina.
L'uomo rise quando la donna fece una battuta, poi, salutò Olly con un cenno del capo e scomparve chiudendo la portafinestra dietro di sé.

La ragazza proseguì, imboccò il sentiero che conduceva al bar e si passò una mano sulla fronte per asciugare le gocce di sudore.
Le nuvole grigie sopra la sua testa rimbombarono scontrandosi e il cielo lampeggiò, passarono uno, due, tre... cinque... sette secondi, la tempesta era ancora lontana, troppo perchè Olly potesse preoccuparsene.

Finalmente, pochi minuti dopo, spuntò davanti al locale che stava cercando; si fermò per alcuni secondi sul vialetto d'ingresso, una strana sensazione le attanagliava lo stomaco, paura forse o ansia, ma di cosa? Non sapeva dirlo.
Si guardò attorno, l'aria le fece volare i capelli scuri sul viso, ma quello fu l'unico movimento che vide: non c'era nessuno.
Avanzò quindi verso la porta, la testa sempre rivolta verso il sentiero che si stava lasciando alle spalle: era tutto tranquillo, ma, all'improvviso, la ragazza si scontrò con qualcosa, o meglio, qualcuno, e una sensazione di caldo ustionante le esplose nel petto.

«Scusa, scusa, scusa! Sono un idiota, un total-».
«E' colpa mia, non stavo guardando davanti, ero dis-». Olly si interruppe, alzando finalmente lo sguardo sulla persona a cui era andata addosso e le parole le rimasero bloccate in gola, tanto che deglutì a fatica.
Il ragazzo davanti a lei la guardava mortificato, i capelli scuri scompigliati dal vento, la bocca socchiusa per lo stupore, la pelle leggermente arrossata sugli zigomi e due tempestosi occhi color indaco completamente spalancati.
«Tu... tu sei il ragazzo dell'altro giorno, vero? Quello che è scappato», disse Olly guardandolo con un sorrisetto impertinente e dimenticandosi del fatto che una delle sue magliette preferite fosse macchiata di caffè.
«Io non... », il ragazzo si grattò il collo con una mano mentre le dita dell'altra tamburellavano velocemente sul bicchiere di carta che stringeva con forza, «... non direi che sono scappato», concluse quindi sorridendo debolmente.
«Ah, no?».
«Mh... senti... senti, che ne dici se ti offro una pizza? Giusto per farmi perdonare». I suoi occhi si posarono un secondo sulla macchia marrone che ricopriva il tessuto chiaro della maglia della ragazza e poi su tutto ciò che si trovava nelle vicinanze, ma non incrociarono mai lo sguardo di lei che, perplessa e curiosa, rimase senza parole di fronte alla sua richiesta.

Per alcuni secondi non rispose, lasciò che quella domanda si trasformasse in un silenzio imbarazzante; i colori sembrarono scivolare via da ogni cosa, davanti ai suoi occhi esplosero solo sprazzi di oro e giallo, di luce viva come quella del sole.
Si fece trascinare negli abissi da quella sensazione di incertezza che continuava a pizzicarle la colonna vertebrale, nel caos silenzioso e vibrante che era la sua mente, poi, con un sospiro tornò alla realtà e si ritrovò a fissare imbarazzata la faccia confusa del ragazzo davanti a lei.
Sorrise e, con un'alzata di spalle, annuì: che cos'aveva da perdere?

«D'accordo», disse quindi facendo un passo in avanti, provocando un impercettibile tremito nel ragazzo che abbassò lo sguardo verso le punte delle loro scarpe, vicine.
Così vicine...
«Ma non credere-», continuò poi, «che mi sia dimenticata della tua fuga».
La tensione abbandonò il petto di lui che, finalmente, si concesse di rilasciare un lieve sospiro prima di voltarsi verso l'entrata con un enorme sorriso stampato in faccia.

I cardini della porta cigolarono al loro ingresso attirando l'attenzione di Sam, la cameriera, che li guardò curiosa mentre prendevano posto ad un tavolino accanto alla vetrata, proprio quello dove si sedeva sempre Olly.
Lasciò che i due si accomodassero e che, imbarazzati, allungassero le mani verso l'unico menù posto al centro del tavolino; rise quando l'amica porse velocemente la pagina plastificata al ragazzo, dimostrando per la prima volta un'insicurezza che Sam non aveva mai visto: sembrava così tesa, quasi come se avesse avuto paura che sarebbe potuto scomparire davanti ai suoi occhi; dondolava le gambe sfregando la punta delle scarpe nere sul pavimento, i lacci colorati erano un groviglio unico che dondolava a destra e sinistra; le braccia erano poggiate sul tavolo con una certa disinvoltura, ma le mani giocherellavano nervose con il braccialetto di corda che portava al polso sinistro.

Quando Sam si avvicinò a loro per prendere le ordinazioni, Olly alzò la testa di scatto per rivolgerle un sorriso di gratitudine: quel silenzio la stava facendo impazzire.
«Buonasera, ragazzi!», esclamò la cameriera facendo un occhiolino all'amica e sorridendo, «Cosa vi porto?».
«Pizza margherita per entrambi e dell'acqua, grazie». Il ragazzo le passò il menù, un angolo delle labbra leggermente sollevato in segno di cortesia, dopodichè si voltò verso la finestra, tamburellando con le dita sulla superficie di legno del tavolo, cosa che probabilmente era un vizio, e scrutando con sguardo cupo il cielo ormai scuro.
Sam si allontanò, voltandosi solo per rivolgere un cenno confuso all'amica, poi, sparì oltre la porta della cucina.

Il locale era quasi vuoto, soltanto uno dei posti al bancone era occupato da un uomo sulla cinquantina che guardava la replica di una vecchia partita di baseball sul monitor posto sulla parete di fronte a lui; il silenzio riempiva ogni angolo del bar, interrotto di tanto in tanto solo dagli schiamazzi dei tifosi di una o dell'altra squadra.

Olly, con un sospiro, distolse lo sguardo dallo schermo e osservò il profilo del ragazzo davanti a lei, la mascella tesa, i capelli scuri, il naso dritto...
«Hai intenzione di avere quella faccia mortificata per tutto il tempo?», chiese poi, convinta di essersi cacciata in una situazione poco piacevole per entrambi, «Guarda che non mi importa della maglia, davvero. La laverò, andrà via».

Un angolo delle labbra del ragazzo si piegò verso l'alto, in un sorrisetto ironico e malinconico che confuse Olly, ma, subito, la sua espressione cambiò e tornò spensierata e sorridente.
Un tuono fece tremare i tavoli proprio nel momento in cui si decise a parlare, usando il tovagliolo per tenere occupate le mani e fare quello che aveva tutta l'aria di essere un aereoplanino un pò storto.
«Scusa, ero solo... distratto», concluse inumidendosi le labbra e assaporando ogni singola lettera di quella parola, dall'iniziale sibilo fino alla secca conclusione, dalla mezza verità fino alla totale bugia.

«E qual è il tuo nome, signor distratto?». Olly si portò una ciocca scura dietro l'orecchio, la pietra posta sul suo anello proiettò un debole riflesso sul tavolo scuro e le sue labbra si distesero in dolce sorriso cancellando, seppur solo in parte, il nervosismo.
«Cal», mormorò il ragazzo lanciando verso di lei l'aereoplanino che, inevitabilmente, finì per disfarsi e cadere tra le sue braccia.
«Mai sentito. Di dove sei?».
«E' un'abbreviazione in realtà», rispose Cal sorvolando sulla domanda di Olly, poi, quando la vide aprire la bocca per chiedere altro, si voltò di scatto verso il bancone e sospirò sollevato nel vedere arrivare Sam con due piatti fumanti.

I due ringraziarono la ragazza e iniziarono a mangiare, rivolgendosi solo un lieve "buon appetito". Nessuno parlo più.
Rimasero entrambi in silenzio, concentrati sul piatto posto davanti a loro; da un lato del tavolo, Olly cercava qualcosa da dire per porre fine a quell'imbarazzante situazione, mangiucchiava la sua pizza a piccoli bocconi, soffiando di tanto in tanto per raffreddarla; i capelli scuri le ricadevano sulle spalle un po' gonfi a causa dell'umidità, i dolci e avvolgenti occhi scuri erano concentrati sulla vernice scrostata della sedia verde del ragazzo e le labbra sottili erano coperte qua e là da piccoli granelli bianchi.
Dall'altro lato, invece, Cal guardava fuori dalla finestra, i suoi occhi osservavano inebriati la tempesta che stava travolgendo il paese, l'indaco era perso nel nero freddo e vuoto della notte e il suo sguardo rifletteva la stessa malinconia che caratterizza i giorni di pioggia.
Di tanto in tanto, lanciava fugaci occhiate alla ragazza davanti a sè, ma poi era costretto a guardare altrove, sopraffatto dalla paura e dalla tristezza, dalla rabbia e dall'impotenza che gli ricadevano addosso l'una dopo l'altra: un macigno di consapevolezza.

Eppure, a guardarli da lontano, sembravano perfettamente a proprio agio: rinchiusi nella propria bolla di tranquillità, soli e in sintonia, totalmente in pace con se stessi; erano foglie tremanti colpite dalla pioggia dei loro problemi e dalla loro assoluta incapacità di affrontare gli altri, ma erano anche e soprattutto alleati, guerrieri che combattevano schiena contro schiena nella stessa battaglia e si sentivano incredibilmente soddisfatti, soddisfatti di aver trovato qualcuno immerso nella loro stessa solitudine.

E alla fine, le parole non servirono nemmeno, perchè quando Cal, con le mani sporche di sugo, si guardò attorno in cerca del proprio tovagliolo e Olly gli lanciò indietro l'aereoplanino, il sorriso che si rivolsero riscaldò il cuore freddo di entrambi.
«Allora? Ti è piaciuta la pizza?», domandò il ragazzo dopo aver piegato il tovagliolo appiattendo le ali dell'aereo.
«Sì, soprattutto perchè me l'hai offerta», rispose Olly ridendo e prendendo il bicchiere per bere un sorso d'acqua, poi, vedendo che l'altro stava per chiudersi a riccio per l'ennesima volta, continuò, «Me lo dirai mai il tuo vero nome, Cal?».
«Non lo so, dipende». Il ragazzo allungò le braccia sul tavolo facendosi più vicino e le rivolse un sorriso furbo.
«Da cosa?».
«Mi sono fatto una promessa tempo fa, ho promesso a me stesso che lo avrei rivelato solo alla persona che sarebbe stata con me alla fine, la vera fine». Un lieve sorriso increspò le sue labbra, quasi come se stesse scherzando, ma il suo sguardo era estremamente serio, talmente serio che, per un attimo, Olly si sentì schiacciata dal peso di quella confessione.

«Ma è ingiusto», mormorò poi facendo scorrere le dita lungo le venature di legno del tavolo.
«Perchè Olly? Perchè è ingiusto?».
«Perché... perché è assurdo e senza senso», borbottò Olly facendolo scoppiare in una risata che riuscì a distogliere l'attenzione dell'uomo al bancone dalla partita.
«Non è poi così assurdo, se ci pensi: non sono molte le cose che sono solo nostre, nostre e di nessun altro. Il mio nome è solo mio e lo condividerò con chi voglio».
«Ok, ma-».
«Non c'è un "ma". La vita non è giusta, non puoi aspettarti che tutto ti sia dovuto. Fino ad ora non ho ricevuto niente dagli altri, quindi perchè dovrei dare loro qualcosa di me?». Cal scrollò le spalle di fronte al silenzio della ragazza e, dopo averle rivolto un cenno di scuse, si allontanò per andare a pagare.

Olly lo osservò allontanarsi, osservò il cappuccio della felpa sobbalzare ad ogni suo passo, il modo in cui si appoggiò al bancone mentre Sam prendeva il resto dalla cassa, la battuta che rivolse all'uomo accanto a lui quando il giocatore sul monte di lancio fece un pessimo tiro, il suo atteggiamento leggero, il sorriso divertito, lo sguardo malinconico e velato di chi nasconde qualcosa per paura di essere ferito...   
Per un momento le sembrò di non sentire più niente se non la voce lenta e ammaliante di Cal: "non ho ricevuto niente dagli altri, quindi perchè dovrei dar loro qualcosa di me?". Avrebbe voluto fargli altre domande, chiedergli del suo lavoro, della scuola; avrebbe voluto rimanere ad osservarlo fino ad imprimersi nella mente ogni singolo dettaglio del suo viso; avrebbe voluto parlare, sentire di nuovo la sua voce, ma, quando lo vide tornare indietro, si avvicinò all'uscita e, una volta che le fu vicino,  riuscì soltanto a sorridergli prima di aprire la porta ed essere travolta dall'aria gelida.

I due rimasero per qualche secondo fermi sotto la tettoia del locale, poi, dopo essersi lanciati uno sguardo divertito, rivolsero la testa in direzione della pioggia scrosciante che cadeva davanti a loro e, entrambi, cominciarono a correre verso il lato opposto della strada, dove trovarono riparo sotto al tetto di una pensilina dell'autobus.

Si sedettero sulla panchina rovinata; Olly si portò le gambe al petto per ripararsi dal vento freddo che quella tempesta aveva trascinato con sé, i capelli scuri le ricaddero sul volto e fu costretta ad allontanarli scrollando il capo.
Cal, invece, respirò a pieni polmoni il profumo di erba e terra bagnata, allungando le gambe in modo che, sporgendo di poco al di fuori del riparo, la pioggia potesse bagnarle.

«Una settimana fa si moriva di caldo, ora non fa altro che piovere», disse la ragazza scrutando attentamente il percorso delle grosse gocce d'acqua che scorrevano lungo il vetro della pensilina.
«Adoro la pioggia, l'ho sempre amata». Cal ruotò leggermente la testa in modo da guardare la ragazza e le sue labbra si incurvarono in un piccolo sorriso, poi, chiuse gli occhi lasciandosi cullare dal dolce e ritmico suono della pioggia che cadeva.

«Cosa ci fai qui, Cal?», chiese improvvisamente Olly mettendosi a sedere più comoda e allungando un braccio sulla spalliera della panchina così da essere rivolta verso il ragazzo.
«Una vacanza», mormorò lui riaprendo gli occhi e scrutandola confuso.
«Questo non è un posto per gli amanti della pioggia, né per una persona della nostra età, a meno che tu non abbia dei parenti che vivono qui. Non c'è motivo per venire in vacanza a Mountyborough».
«Forse c'è, ma non tutti lo vedono».
Le parole del ragazzo risuonarono come note lente ed incredibilmente dolci completando la melodia ritmica delle gocce che colpivano l'asfalto. 

Cal si alzò dalla panchina proprio nel momento in cui la pioggia cominciò a diminuire d'intensità; per un secondo, Olly lo vide fissare qualcosa davanti a sé, forse le strade bagnate, forse il gatto che stava attraversando il prato proprio in quel momento, non avrebbe saputo dirlo, poi, lui scosse le spalle e fece un passo sotto la pioggia.
«Dove stai andando?», gli domandò confusa vedendolo allontanarsi.
«E' tardi, sarà meglio tornare a casa».
«Giusto... sì... sì, hai ragione».

Le luci all'interno delle case si erano ormai spente e tutti i negozi avevano chiuso; perfino Jean probabilmente aveva messo da parte gli acquisti di Olly ed era tornato a casa.
La ragazza seguì Cal sotto la pioggia, rimproverandosi per non essersi accorta dell'ora tarda, e cominciò a zigzagare lungo la strada per evitare le pozzanghere; i suoi passi erano rapidi e decisi, mentre quelli del ragazzo erano più lunghi e lenti, come se la pioggia che cadeva su di loro non fosse un problema, come se non ci fosse stata la possibilità di risvegliarsi la mattina dopo con la febbre, come se nulla lo scalfisse oltre ai propri ricordi.

Olly stava per chiedergli qualcosa, si erano avvicinati, le loro mani si sfioravano ad ogni passo e i loro respiri erano nuvole chiare nella notte buia, ma, all'improvviso, qualcosa fece bloccare la ragazza sul posto, tanto che Cal le urtò spalla, colto alla sprovvista dal suo gesto.

La serata si concluse, o meglio, non si concluse, in un incrocio di sguardi.
Mentre il ragazzo scrutava perplesso e, anche se cercava di nasconderlo, nervoso il punto verso il quale stava guardando Olly, lei respirava a fatica.
Le sembrava che l'aria non arrivasse più ai suoi polmoni. Il cuore batteva all'impazzata e l'intera serata sembrava un ricordo lontano, una luce fioca a confronto con quella viva e vibrante che aveva davanti.

Cadde, cadde sempre più in basso, sentì che qualcosa dentro di sè si stava lacerando, avrebbe voluto chiedere a Cal di portarla via da lì, di distrarla, ma non riusciva a parlare e, quando finalmente il suo cervello tornò a funzionare, l'unica cosa che fece fu scappare.
Cominciò a correre verso casa, affondando fino alle caviglie nelle pozzaghere gelide e scure come l'inchiostro; provò a fuggire dall'incubo che la stava inseguendo, ma era come correre lontani dalla propria ombra, più ti allontanavi, più lei ti seguiva.

E quando si voltò indietro, i suoi occhi non riuscirono a vedere Cal, la sua faccia spaventata e confusa, no, videro solo il sorriso beffardo dell'uomo che la seguiva e allora le lacrime cominciarono a rigare il suo viso; i suoi singhiozzi sovrastarono il silenzio della notte e tutto sfumò, tutto si perse in quel dolore.

-Aiuto! Aiuto!- avrebbe voluto gridare, ma sapeva che nessuno avrebbe potuto aiutarla, non a scappare dalla Luce, non a fuggire alle ombre.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro