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Capitolo 18

"You always know what to say"
Anonymous.

Quando Karen entrò nella stanza della nipote, quella mattina, il cuore iniziò a batterle forte di una gioia che non provava da tempo.
Si avvicinò piano al letto e si sedette in un angolo, voltando la testa verso l'altro lato del materasso, dove Olly dormiva tranquilla con le mani e le guance sporche di vernice, e con la piccola renna di peluche tra le braccia.
Il cavalletto per dipingere, sistemato in un angolo della camera, era circondato da tubetti di acrilici e colori a olio, pennelli ancora sporchi e bicchieri d'acqua di tutti i colori.
Karen alzò lo sguardo sulla tela e sorrise, si immaginò la nipote seduta lì davanti, con un pennello in mano, la luce della luna a illuminare il bianco che aveva sparso su mezza tela e le tenebre che inghiottivano il blu che chiazzava il lato opposto; poi, la vide prendere un pennellino ancora più sottile, schizzare di azzurro quel blu senza fine e poi una tonalità ancora più chiara e così via, finché quella macchia uniforme si era trasformata in un oceano cristallino, illuminato da una luce viva e vibrante che non si vedeva, ma di cui la donna poteva benissimo immaginare l'origine.

Erano ormai le dieci e trenta del mattino, il sole era alto nel cielo eppure Olly dormiva, aveva un sorriso beato e, nonostante indossasse ancora la camicia hawaiana e avesse i capelli gonfi per l'umidità e l'aria di mare, sembrava la persona più riposata al mondo; sembrava quasi fosse stata sempre così, come se fossero passati anni da quel giorno in cui si era addormentata tardi, con l'odore di vomito ancora nelle narici e la testa che girava.
Karen sorrise e accarezzò piano la testa della nipote prima di aprire le finestre, così da lasciar entrare l'aria calda e profumata di Mountyborough in quella stanza che odorava di vernice e mare.
Proprio mentre si affacciava alla finestra, vide due ragazzi incamminarsi lungo il vialetto di casa e salutare Philip con un cenno della mano mentre questo, come al solito, era intento a far oscillare le braccia di un vecchio spaventapasseri per allontanare alcuni merli dal suo orto.
La donna rise piano, attenta a non svegliare Olly, e si incamminò poi al piano di sotto, decisa a scoprire cosa stesse succedendo.

«Forza, accomodatevi pure».
Philip spalancò la porta invitando Logan e Cal ad accomodarsi in salotto e sorrise innocente alla moglie che lo guardò interrogativa.
«Cara, spero non ti dispiaccia, ma ho invitato i ragazzi per pranzo. Li ho incontrati in paese, in realtà è una storia molto buffa, io cred-».
«Oh, Philip», lo interruppe Karen togliendogli il cappello di mano e appendendolo al suo posto, «per una volta che Olly dorme e non pensa a uscire, tu inviti i ragazzi. Non credi debba starsene un po' tranquilla solo con noi almeno per una volta?».
«Forse hai ragione, ma Olly è più felice da quando ci sono Logan e Cal. Forse è proprio il momento che esca e si distragga, se avesse trovato qualcuno prima, forse non starebbe ancora così».
Karen non rispose, non ce n'era bisogno, sapeva che anche il marito stava pensando a ciò che pensava lei; rivide Olly, anni prima all'aeroporto, salutare Logan con il sorriso sulle labbra e poi la rivide salire in macchina e piangere, piangere come mai aveva fatto, perchè il suo migliore amico se n'era andato, perchè Logan aveva avuto bisogno di andarsene, ma lei aveva bisogno che lui rimanesse.
Pensò al poco tempo che la ragazza aveva passato con Chloe, al sorriso stanco, ma vivo che aveva avuto nelle ultime settimane e pensò alle tante domeniche passate con loro a giocare a scarabeo, a dipingere, ai mesi passati da sola a Boston.
Forse Philip aveva ragione, forse Olly aveva solo bisogno di distrarsi.
La donna accennò un sorriso e lasciò andare la mano del marito per poi rifugiarsi in cucina, dove prese a sfogliare i suoi libri di ricette sperando di poter trasformare quella domenica tutti insieme nella prima di tante altre.

Philip lanciò un'ultima occhiata alla moglie prima di unirsi ai ragazzi in salotto. Si sedette sulla piccola poltrona accanto al divano sgualcito e accese la televisione sul suo canale sportivo preferito.
I ragazzi chiacchieravano tra loro, Logan vivace come sempre, sentendosi ormai a casa in quel piccolo salotto segnato dal tempo, Cal invece sorrideva, intervenendo solo di tanto in tanto per rispondere all'altro.
Il nonno li osservò per un istante, chiedendosi cos'avessero quei ragazzi in più di lui, come fosse possibile che un diciannovenne comparso dal nulla riuscisse a rimettere lentamente a posto tutti i pezzi di un puzzle che lui per anni aveva cercato di riordinare senza successo.
Chinò la testa sui suoi jeans logori e macchiati di vernice, sulle sue mani secche e rovinate dal tanto lavoro, forse il problema era solo uno, forse era solo troppo vecchio per riuscire a ricordarsi cosa significasse vivere con la massima intensità ogni momento, bello o brutto, forse era solo troppo Philip per capire il vero problema.

«Philip», lo richiamò Logan a un certo punto, «Tutto bene?».
«Oh, sì, certo. Lo sai come sono, quando guardo il baseball non sento più nessuno», rispose lui rialzando lo sguardo e sorridendo al ragazzo, «Che ne dici di andare a svegliare Olly? Salirei io, ma non mi sembra il caso di tentare la sorte salendo quegli scalini dopo aver faticato tutta la mattina in giardino».
Il salotto si riempì della risata calda di Logan che, annuendo, si avviò di corsa su per le scale, sparendo oltre la prima rampa, diretto verso la camera dell'amica.

Per un momento Cal desiderò poter essere al suo posto, non capiva bene il perchè, eppure l'idea di poter salire quelle scale, entrare nel mondo di Olly e rivederla il prima possibile, prima che tutti loro potessero farlo, gli dava alla testa.
I suoi piedi iniziarono a tamburellare piano sul tappetto e Philip dovette interpretarlo come nervosismo perchè gli rivolse un sorriso.
«Siete tornati tardi ieri, vi siete divertiti?», chiese.
«Oh, sì certo», Cal scosse la testa, distogliendo lo sguardo dalle scale, «Mi dispiace, non ci eravamo accorti che fosse così tardi».
«Non preoccuparti, non era poi così tardi e siamo felici che Olly esca un po'».
Cal annuì imbarazzato, sentiva lo sguardo caldo di Philip puntato su di lui e, all'improvviso, quel dolce vecchietto, che lo aveva abbracciato la prima volta che lo aveva visto, iniziò a fargli un po' paura.
«E tu cosa ci fai qui, Cal?», domandò il nonno genuinamente curioso, non sapendo che il ragazzo non amava rispondere a quel genere di domande.
«Solo una vacanza in realtà, niente di che».
«Sei qui con i tuoi genitori?».
Philip capì di aver toccato il tasto sbagliato e, per un attimo, desiderò mandarlo via, dirgli che Olly avrebbe passato il pomeriggio con loro e con Logan forse, dirgli che poteva continuare la sua vacanza altrove.
Odiava dover scoprire proprio in quel momento quella parte di sé, quella che non credeva nemmeno di avere: egoista, protettiva, paranoica; eppure non gli sembrava così egoista desiderare che gli amici di Olly non avessero "tasti sbagliati", lei ne aveva già abbastanza per conto suo.
Quando però Cal alzò lo sguardo e Karen ricomparve dalla cucina, invitando il marito a cambiare discorso e rivolgendo al ragazzo uno sguardo pieno d'affetto, gli sembrò di tornare al presente, tornare in sé.
E quando Cal disse: «Sono cresciuto in un orfanotrofio, mia mamma è morta quando ero piccolo», gli sembrò di rivedere un altro Logan, un altro bambino solo e spaventato, un altro mucchio di giochi in una stanza colorata che però non sarebbe mai stata la "sua cameretta".

«Vediamo un po' di baseball, che ne dici?», chiese allora.
«Non l'ho mai guardato, ma mi piacciono i cappellini», rispose Cal fermando il tamburellare delle gambe e lasciandosi un po' scivolare sul divano.
«Anche a me».
E i loro sguardi si puntarono sulla televisione.

Logan entrò nella stanza di Olly giusto in tempo per vederla guardare con un sorriso la foto dei genitori appesa alla parete.
Si avvicinò piano e si sedette sul letto accanto a lei.
«Cosa ci fai qui?», chiese la ragazza, la voce di chi si è appena svegliato e la sfumatura dolce che riservava solo a Logan, senza però distogliere lo sguardo dalla foto.
«Tuo nonno mi ha mandato a svegliarti».
«Intendevo qui, a casa, all'ora di pranzo», domandò poi voltandosi verso di lui sempre sorridendo.
«Mi ha invitato Philip, anzi, ci ha invitato: Cal è giù che ci aspetta, sarà un pranzo interessante».
Olly lo guardò seccata e si alzò dal letto per poter cambiare la maglia del giorno prima, chiese a Logan di aspettarla mentre andava in bagno a lavarsi e quando tornò lo trovò intento a sfogliare una rivista di auto, come facevano sempre quando lui passava un po' di tempo a Mountyborough.
«Eccomi qua», disse risedendosi al suo posto sul letto disfatto «Allora, sputa il rospo, che succede?», domandò poi facendo stranire l'amico.
«Scusa?»
«Dico solo che sono grata che tu prenda parte a questo pranzo imbarazzante, ma cosa ci fai ancora qui? Perchè non te ne sei ancora andato?»
Il ragazzo si avvicinò al dipinto della ragazza cercando di ignorarla; nel guardarlo, per un attimo, gli sembrò di respirare aria di mare, forse era impazzito o forse la risposta che Olly voleva sentire e che lui faticava a dare gli stava facendo venire le allucinazioni.
«E tu cosa vuoi saperne?», chiese poi sorridendo, «Fino a poco fa dormivi, non sai di cosa stai parlando».
«In realtà vi ho visti entrare, Karen ha fatto rumore uscendo e mi ha svegliata, e poi ti osservo Logan, ti osservo e ti conosco da tempo».
«Ascolta, non c'è nie-».

«Ehi, scusate se vi disturbo, ma Philip dice che se non mette qualcosa sotto i denti immediatamente potrebbe svenire, mi ha mandato a cercarvi».
La testa di Cal comparve dalla porta e Logan ne approfittò per scappare.
«Lo raggiungo, vedo se riesco a distrarlo mentre Olly finisce di sistemare questo porcile», disse quindi facendo infuriare la ragazza e correndo giù dalle scale prima che lei potesse fermarlo.
La sentì mormorare qualcosa a Cal, forse "Logan sa essere un vero idiota a volte", ma non se ne preoccupò, avrebbero avuto tempo per parlarne d'ora in poi.
Tutto il tempo del mondo.

«E così... questa è la tua stanza... carina» , Cal gironzolò curioso per la piccola camera, i suoi occhi sembrarono cercare di leggere ogni singolo titolo dei libri poggiati sulla piccola libreria di Olly e, quando finalmente si fermò, sedendosi sul letto, il suo sguardo cadde inevitabilmente sul dipinto posto sul cavalletto.
Olly lo vide sorridere, non uno di quei sorrisi tirati che faceva solo per gli altri e nemmeno uno di quelli grandi e luminosi che ti miglioravano la giornata; no, Cal fece un sorriso piccolo, tremolante, soddisfatto quasi, come se sapesse che quella tela parlava di lui, che c'erano le sue parole nelle onde mosse dal vento e il suo calore nella sabbia arsa dal sole.
Abbassò la testa, quasi per nasconderlo e, per un momento, Olly desiderò poter prendere un'altra tela e dei colori per dipingere il modo in cui i caldi raggi del sole di mezzogiorno gli accarezzavano i capelli, illuminandoli di una tonalità più chiara; avrebbe potuto prendere un grande pennello e colorare la maglia, larga, scura e di una band che non aveva l'aria di conoscere; infine, le sarebbe bastato pochissimo blu e magari un po' di grigio per coronare quel sorriso con occhi malinconici, ma felici, almeno per una volta.

«Non sapevo dipingessi». Cal interruppe i suoi pensieri indicando con un cenno del capo il dipinto e i vari disegni sparsi accanto al cavalletto.
«Mi piace molto, mi aiuta a sfogarmi quando ho bisogno di esprimere qualcosa che non potrei spiegare a parole», rispose lei sedendoglisi accanto.
«Vorrei poter capire, sai? Capire cosa dicono quelle onde e il blu illuminato dal sole, capire come capisco i miei libri». Cal si abbandonò sul materasso poggiando anche la schiena e lasciando solo le gambe a penzolare oltre il bordo e quando Olly lo imitò desiderò poter fermare quel momento.
Loro.
Solo loro due e il sole caldo a illuminare il dipinto.
«Tu puoi capirlo», gli rispose Olly dolcemente, «Sei forse l'unico che può farlo, se guardi dentro di te puoi intuire il significato di ogni singola pennellata».
Le costò tanto ammetterlo, pensare alla sera prima, quando senza nemmeno accorgersi si era ritrovata con una tavolozza in mano  e aveva steso ogni colore pensando a lui, alle sue parole trasportate dal vento, al colore dei suoi occhi che si confondeva con l'oceano, ai suoi capelli illuminati dal sole.
Dovette persino trattenersi dal rivelargli che dopo tanto tempo, finalmente aveva dipinto qualcosa che l'aveva fatta stare bene e che avrebbe potuto continuare a farlo ogni volta che il suo sguardo si fosse posato su quella tela.

«Olly», la richiamò lui a un certo punto, «Cosa è successo ai tuoi genitori?».
Le parole sembrarono rimanere sospese in aria e i loro cuori smisero quasi di battere, nessuno dei due voleva far rumore, per paura che quel silenzio si infrangesse.
La ragazza puntò lo sguardo sul soffitto, la domanda gli risuonava nelle orecchie come un'eco, come se l'avesse immaginata.
Ma in fondo aveva senso.
Cal era così, era deciso, non girava troppo intorno alle cose che voleva sapere e andava dritto al punto; lo aveva fatto al loro primo picnic, quando le aveva raccontato della madre, lo aveva fatto quando le aveva chiesto di Logan ed ora aveva colpito nel segno.
E per qualche strano motivo, Olly non sentì il bisogno di scappare, lì, con la spalla premuta contro la sua, circondata da quelle pareti che avrebbero potuto raccontare a Cal tutta la storia, senza che lei parlasse; decise che glielo doveva, o meglio, lo doveva a se stessa: doveva pronunciare quelle parole che per tanto tempo aveva tenuto dentro, quelle che aveva detto solo a Logan e ai suoi nonni, quelle che ora premevano per uscire, lì, di fronte a un ragazzo di cui sapeva tutto e al tempo stesso niente.

«Sono morti», disse, «quattro anni fa. Eravamo in Alaska, per il matrimonio di mia zia, tornavamo in hotel. Mio padre e mia madre cantavano sui sedili davanti, avevano bevuto qualche bicchiere di champagne, come tutti quella sera; io scattavo una foto, sul sedile posteriore. E poi c'è stato un incidente.
Non posso dire che sia stato come nei film, non posso dire che ci sia qualcuno da incolpare; per tanto tempo ho desiderato che quel giorno qualcuno ci fosse venuto addosso, almeno avrei avuto qualcuno con cui prendermela, ma non è andata così. Sono stati il ghiaccio e la neve, e forse i riflessi di mio padre non erano pronti come avrebbero dovuto essere, era buio ed eravamo stanchi. E' stato tutto incredibilmente semplice e veloce».
«Mi dispiace», mormorò Cal, allungando piano il mignolo sul materasso e prendendo quello di Olly, che aveva appoggiato la mano proprio accanto alla sua.
«Per cosa?».
«Vorrei risponderti per i tuoi genitori, ma so che non servirebbe a niente. Mi dispiace che tu fossi lì e, anche se ora ne sono incredibilmente grato, mi dispiace che tu sia qui, oggi».
Per quanto quelle parole potessero sembrare orribili, ad occhi esterni, Olly non potè fare a meno di girare il volto verso il ragazzo.
Vide che lui la stava già guardando e gli sorrise, nonostante le lacrime agli occhi. Per tanto tempo aveva aspettato che qualcuno la capisse, anche se i suoi pensieri potevano essere sbagliati, anche se le sue idee potessero sembrare folli, per tanto tempo aveva cercato qualcuno che potesse comprendere come la cosa più brutta per lei, dopo aver perso i suoi genitori, fosse stata perdere se stessa, i propri sogni e la propria voglia di andare avanti, qualcuno in grado di capire che avrebbe solo voluto non riaprire gli occhi quella sera, per restare con loro.
Averlo trovato, ora, sembrava la conquista più grande dopo anni di sofferenza.

Si sentì sbagliata, perchè per tanto tempo tutti avevano provato a farla stare meglio: Logan, i suoi nonni, la Signora Richards, Jean...
Eppure nessuno di loro avrebbe mai potuto rinunciare a lei, nessuno di loro aveva mai pensato di dire quelle parole, sbagliate, ma così giuste alle sue orecchie.
Olly strinse la presa, intrecciando le dita a quelle di Cal e sorrise vedendolo sorridere. Quella stanza, quelle pareti che raccontavano la sua storia sembravano fare un po' meno paura illuminate dalla luce del sole e dalla consapevolezza di avere un peso in meno sulle spalle.

«Andiamo ora o Philip mangerà Logan».

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