Capitolo 17
"All of this is my fault, and when the time will come, I'll pay for my actions".
Unknown
Il mondo non era lo stesso quando non c'era il sole, Cal lo sapeva.
Guardava le strade impolverate di Mountyborough scintillare davanti a lui, quasi come fossero ricoperte d'oro, guardava le gocce di rugiada ammiccare al suo passaggio riflettendo i raggi caldi di quella giornata di piena estate, e gli riusciva difficile pensare come fossero state fino a pochi mesi prima, quando ancora non aveva incontrato Olly, quando la sua vita era vuota, fredda e inutile.
Una parte di lui, a dire il vero, lo pensava ancora; la notte, quando non riusciva a dormire, una vocetta gli sussurrava che le cose sarebbero tornate a essere come avrebbero dovuto, che avrebbe perso tutto, che la felicità non dura mai.
Eppure, quel poco che aveva in quel momento gli sembrava tutto ciò che avrebbe mai potuto desiderare.
Svoltò a destra, sistemandosi meglio lo zaino mentre si avvicinava sempre di più al vialetto di casa Williams.
Aveva promesso a Olly che l'avrebbe portata in un bel posto, ma non era più molto sicuro della sua scelta, sentiva il peso di ciò che portava nello zaino e avrebbe solo voluto girarsi e tornare indietro, ma era troppo tardi.
Vide la nonna di Olly salutarlo dal portico e indicare la stalla, le sorrise ringraziandola e si incamminò in quella direzione sospirando, non poteva tirarsi indietro, era stato lui a volerlo.
Quando Cal entrò nella stalla, Olly lo vide subito e sorrise, quasi senza accorgersi che anche il nonno, accanto a lei, avevo sorriso accorgendosi della sua reazione.
I due stavano dando gli ultimi ritocchi alle statuette del carillon per la nonna e avevano sistemato tutti i pezzi che, proprio quella mattina, il corriere aveva finalmente consegnato.
La ragazza si tolse il grembiule rivelando la buffa camicia a fiori che aveva indossato quella mattina e, dopo averlo appeso a uno spigolo del tavolo da lavoro, fece un passo avanti.
«Ciao», disse, «Questo è Philip, mio nonno».
Cal si avvicinò all'anziano signore tendendogli una mano, ma si ritrovò stretto in un abbraccio che sapeva di legno, dopobarba e, per qualche assurdo motivo, di casa.
«E' un piacere conoscerti, Cal», proruppe il nonno lasciando andare il ragazzo e sistemandosi un asciugamano sulle spalle, «Olly mi ha detto che andrete in esplorazione oggi», concluse poi facendo roteare gli occhi alla nipote.
«Sì, avevo in mente di fare un picnic, un altro», aggiunse rivolgendo uno sguardo di conferma alla ragazza.
«Certo, beh... allora noi andiamo», Olly afferrò le chiavi della macchina che aveva appeso al tavolo da lavoro e, dopo essersi messa lo zaino in spalla, si sporse per lasciare un bacio sulla guancia rugosa del nonno, «Ci vediamo più tardi, aiuta la nonna e non fare disastri».
Philip la scacciò con una mano facendo uno sbuffo divertito e, salutato Cal, si rimise al lavoro borbottando qualcosa su una vite che gli era caduta mesi prima e che ancora non era riuscito a ritrovare.
«Andiamo?», domandò quindi Olly avviandosi verso la porta e sistemandosi una ciocca di capelli dietro le orecchie.
Cal osservò il suo sorriso raggiante, le mani graffiate che sfiorarono il collo, il vecchio anello e il modo in cui la camicia la faceva sembrare più piccola di quanto non fosse, sorrise a sua volta e annuì, uscendo dalla porta e tuffandosi con lei in quel mare d'oro che li aspettava all'esterno.
*****
«Wow».
Olly si slacciò gli anfibi e li sistemò sui sedili posteriori prima di chiudere la macchina e correre eccitata verso la spiaggia, invitando Cal a fare lo stesso.
«Ti piace?»
«La adoro», rispose la ragazza muovendo le dita dei piedi nella sabbia e fissando lo sguardo sul blu dell'oceano, «Era da tempo che non vedevo il mare, mi ero quasi dimenticata che fosse così... infinito».
Avanzò ancora di qualche metro, lasciandosi Cal alle spalle e fece cadere lo zaino sulla sabbia con un tonfo.
«E a te?», chiese poi voltandosi, «A te piace?»
Il ragazzo si prese un attimo per rispondere, si perse nell'osservare quello che da sempre era il suo posto preferito: una distesa di sabbia dorata e fine che luccicava illuminata dal sole e un mare increspato da dolci onde blu, blu come non erano mai state e bordate da un pizzo di schiuma bianca.
Fece scorrere lo sguardo dall'oceano alla strada, alla sabbia e poi di nuovo all'oceano; respirò a pieni polmoni l'odore della salsedine, la sentì attaccarsi alla pelle delle braccia scoperte e per un momento fu inebriato da quella sensazione di libertà e di vita che lo travolse.
Poi guardò lei, Olly, che improvvisamente sembrava essere diventata la sua persona preferita; provò a osservare il modo in cui la sua figura e la sua camicia hawaiana si armonizzavano perfettamente con quel posto, ma non ci riuscì, si perse nei dettagli: notò il suo sorriso estatico, i capelli neri come il petrolio, quasi blu nei punti illuminati da sole, la cicatrice sotto al ginocchio...
Lo sfondo sembrò sfocarsi e, senza nemmeno accorgersene, Cal avanzò sulla sabbia e fece cadere lo zaino esattamente accanto a quello della ragazza, sorrise prima di fissare lo sguardo nel suo: «Tantissimo», disse, «Mi piace tantissimo».
Il ragazzo si chinò per prendere dallo zaino i teli che aveva comprato quella mattina, il suo viso, per un momento, fu così vicino a quello della ragazza che, se fosse andato a rallentatore, avrebbe potuto notare ogni singola sfumatura delle sue iridi.
Quando si rialzò, porgendo a Olly il suo asciugamano, si accorse che la ragazza non aveva mai smesso di osservare il punto in cui era stata la sua testa, i suoi occhi, le sue labbra; le lesse la confusione in volto e, quando lei afferrò il telo, sfiorando con la punta delle dita la sua mano, fu lui a rimanere immobile con il fiato sospeso e il desiderio di fare qualcosa di cui si sarebbe immediatamente pentito.
La osservò sistemarsi sulla sabbia e, scrollando la testa per riprendersi, stese il salviettone vicino al suo e si sedette.
«La signora Richards mi ha dato una torta e dei panini per il pranzo», mormorò poi non sapendo cosa dire, «mi ha detto che era ora che la lasciassi lavorare in pace e uscissi con una ragazza», concluse finendo di estrarre alcuni contenitori dallo zaino.
«Più che altro, sarà contenta di avere qualcosa di cui parlare con Karen e Philip alla prossima festa d'estate», rispose Olly immaginandosi la vecchia signora seduta a un tavolo con la nonna a spettegolare sul ragazzo comparso dal nulla che era improvvisamente diventato amico di sua nipote.
«Già, immagino sia così», disse Cal sorridendo alle parole della ragazza.
I due, imbarazzati come sempre, si sdraiarono per scaldarsi alla luce del caldo sole estivo.
Cal si mise gli occhiali da sole per nascondere lo sguardo disperato che aveva in quel momento; odiava con tutto se stesso quei momenti di silenzio che si creavano tra loro, ma non poteva dire nulla perchè sapeva che in fondo era colpa sua, era consapevole che il suo tenersi tutto per sé non sarebbe stato il modo migliore per cambiare le cose tra lui e Olly, eppure non riusciva a fare altrimenti: per quanto si sentisse bene con lei, sentiva sempre il bisogno di misurare ogni parola e controllare ogni emozione.
Crescendo da solo, aveva sempre allontanato chiunque avesse provato a sorridergli o a trascinarlo nel suo mondo; si era sempre isolato da tutti e da tutto e ora, ora che voleva avvicinare qualcuno, non ricordava più come fare e gli sembrava così triste essere incapace di compiere un gesto così semplice e umano.
Più di una volta si era ritrovato a domandarsi se fosse rimasto qualcosa di umano in lui e, tutte le volte, la risposta lo aveva fatto sentire sempre più vicino al suo nome.
«Senti, posso dirti una cosa?», domandò Olly a un certo punto alzandosi e avvicinandosi al ragazzo.
Cal sollevò gli occhiali da sole sulla testa, lentamente, come per riprendersi dai suoi pensieri, e la invitò a continuare.
«Mi prometti che non mi prenderai in giro e non la prenderai male, perc-»
«Olly», la interruppe Cal mettendosi a sedere di fronte a lei e sorridendo, con quel suo sorriso dolce che avrebbe fatto sciogliere chiunque, soprattutto accompagnato dal ricciolo che gli ricadeva sulla fronte sfuggendo alla montatura degli occhiali e dagli splendidi occhi azzurri.
«Va bene. E' solo che... mi piace stare con te», mormorò Olly distogliendo lo sguardo e mettendosi a giocare con il suo anello, perdendosi così il sorriso del ragazzo, «Voglio dire... mi sembra di potermi fidare di te, mi sembra di poter essere la vera me, in ogni momento. Non so spiegarti perchè, ma è come se tu capissi una cosa ancora prima che io te la spieghi e a me basta guardare te per sapere cosa stai pensando.
Eppure certe volte sembri così lontano», disse lanciandogli una rapida occhiata per assicurarsi che la stesse ancora ascoltando, «e mi chiedevo... mi domandavo soltanto dove vai o cosa pensi quando hai quello sguardo distante, quando rispondi senza farlo davvero, perchè... quello non riesco a capirlo, ma vorrei poterlo fare».
Olly alzò lo sguardo per un momento e le sue guance si tinsero di rosa.
Si sentì una stupida per aver pronunciato quelle parole e si convinse di esserlo nel momento in cui vide il sorriso di Cal trasformarsi nella sua solita espressione malinconica; lo vide scivolargli via piano, ritirarsi come la marea, e le sembrò quasi che persino il sole avesse smesso di brillare come prima.
Cal si sdraiò, rimettendosi gli occhiali, e Olly lo vide rilasciare un sospiro, non riuscì a capire se fosse rabbia, delusione o altro, ma capì che era stata colpa sua.
«Ho capito, scusa», disse quindi mordendosi il labbro nervosa, sentendo che, mentre una parte di lei era veramente dispiaciuta, l'altra era indignata di quella sua arrendevolezza, «Non sono affari miei, non avr-».
«Non chiedermi scusa per qualcosa che io ho sbagliato», disse il ragazzo muovendo piano la testa su e giù, picchiandola delicatamente contro la sabbia, quasi come se sperasse di riordinare i suoi pensieri così facendo.
«Ma tu non hai sbagliato niente, non dovresti sentirti obbligato a raccontare nulla, perciò se non vuoi farlo significa che sono stata io a chiedere troppo».
«Non c'è niente che non ti direi», mormorò piano Cal maledicendosi per essersi lasciato scappare una simile frase, «Ma ci sono cose che nemmeno io riesco a comprendere e che ormai non possono essere risolte; non mi sembra il caso di scaricarne il peso su di te».
Olly si sdraiò, appoggiando la testa sul petto del ragazzo e fissando il suo sguardo nel blu del cielo; sentiva il battito accelerato del cuore di lui farle vibrare le ossa e percepì la sua mano infilarsi tra i suoi capelli e attorcigliarsene una ciocca attorno al dito.
«Quindi, non mi dirai mai perchè sei scappato la prima volta che ti ho visto? O perchè sei sempre così... così strano?»
«Forse potrei farlo se tu mi dicessi perchè sei corsa via quella notte».
Olly sorrise e si accorse che anche lui doveva aver riso perchè sentì il suo petto vibrare.
«Credo che ci terremo per sempre i nostri segreti», disse poi voltando la testa verso di lui.
«No, non credo per sempre», la corresse lui, «credo che verranno a galla prima o poi, le cose si scoprono sempre prima di quanto si possa immaginare».
Per alcuni minuti nessuno dei due parlò, sembravano aver raggiunto l'equilibrio perfetto, lì, in quel luogo paradisiaco, vicini, ma allo stesso tempo lontani.
A guardarli sembravano due giovani innamorati andati al mare per godersi una giornata insieme, ma c'erano talmente tanti segreti, parole non dette e bugie tra di loro, che avrebbero potuto parlare per ore l'uno dell'altro, ma senza mai sapere se la loro descrizione avrebbe combaciato con la realtà.
«Cal», lo chiamò poi Olly interrompendo il silenzio.
«Sì?»
«Perchè sei triste?»
La mano del ragazzo per un momento si bloccò, smettendo di giocare con i capelli di lei, poi riprese con indifferenza, come se non si fosse mai fermata.
La domanda di Olly era talmente semplice e al tempo stesso talmente schietta che ce la si sarebbe aspettati da un bambino, eppure quante risposte vennero in mente a Cal, quante risposte avrebbe potuto dare a quella semplice domanda.
Il ragazzo si mise a sedere e Olly si ritrovò con la testa poggiata sulle sue gambe incrociate, in una posizione talmente scomoda che si sarebbe spostata se non avesse avuto paura di interrompere Cal nel formulare una risposta che era certa stesse per arrivare.
«In realtà, credo che potrei andare avanti per ore, ma principalmente... principalmente credo perchè ci sono delle cose che mi fanno paura», disse poi abbassando lo sguardo per incontrare quello di Olly e togliendo dei capelli dal suo volto pallido.
«Che cosa?»
«Tu di cosa hai paura?»
«Così non vale», si lamentò Olly alzandosi di scatto e mettendosi a sedere di fronte a lui, «dovresti rispondere alle mie domande, una volta tanto».
«Prima tu, ti prometto che risponderò», ribatté lui, formando con le dita una croce che si portò alle labbra e sorridendo proprio come un bambino.
«Io ho paura del buio», confessò quindi la ragazza con uno sbuffo.
«Davvero?», domandò Cal sorpreso, ricordandosi la notte in cui era scappata da lui, sotto la pioggia, lasciandosi inghiottire dalle tenebre; capì quanto dovesse essere stata determinata quella sera e una parte di lui tremò.
«Sì, lo so che può sembrare infantile, ma è così. Mi sono sempre piaciuti il silenzio della notte e la luce argentea della luna, ma ora quando il Sole inizia a tramontare, mi sento soffocare. La notte è tutto così buio, non riesci più a distinguere i contorni e le figure. Mi sembra tutto così indeterminato e soffocante, e...», Olly fece una pausa per prendere aria e si accorse della comprensione e della compassione nello sguardo del ragazzo, « e allo stesso tempo così infinito. Mi sembra di essere circondata da centinaia di ombre che vogliono prendersi gioco di me, è come, come se solo io riuscissi a vederle muoversi nel buio», terminò, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio e sperando di non aver detto troppo.
Cal annuì, abbassò la testa mettendosi a disegnare qualcosa nella sabbia e il suo sguardo, per un momento, si fece ancora vacuo.
Olly decise di approfittarne per cambiare discorso e spostò l'attenzione su di lui: «E tu? Di cosa hai paura?», chiese.
«Del tempo», rispose Cal pensieroso «E beh... dei ragni», aggiunse poi facendo ridere la ragazza.
«Dai, dico sul serio».
«Anche io. Davvero. Io penso che l'eternità sia sopravvalutata, si può avere tutto quello che si vuole nel tempo in cui si vuole, basta lavorarci sopra. Eppure, una parte di me, quella che è cresciuta in quell'orfanotrofio, forse, desidera poter avere più tempo, per capire chi sono, per capire come ottenere quello che voglio senza ferire le persone che mi stanno intorno».
«Hai tutta la vita davanti».
«Ma la mia vita non è abbastanza, capisci? L'età non importa, potrei uscire di casa domani e non tornarci mai più. E una volta che hai perso il tuo tempo non lo riavrai più indietro, mai più.»
«Lo so ma... non capisco, hai detto che secondo te si può avere quello che si vuole, basta lavorarci sopra». Olly lo guardò, vide il labbro inferiore tremargli, stava per dire qualcosa, ma si trattenne; poi, finalmente sembrò aver riordinato i suoi pensieri e parlò.
«E se io volessi più tempo? Se fosse questo quello che io desidero più di ogni altra cosa? Non è qualcosa su cui posso lavorare. Non so quanto tempo mi resta... nessuno lo sa, nemmeno tu e mi uccide l'idea di potermi svegliare una mattina e accorgermi di non essere davvero sveglio.
Vorrei solo morire sapendo di aver fatto qualcosa e di aver avuto qualcuno; per tutta la mia vita, se solo avessi avuto più tempo, tante cose sarebbero potute andare diversamente», concluse poi Cal, guardandola negli occhi con una sincerità che, per la prima volta, Olly credette di vederlo davvero, lì, seduto sulla sabbia, vero come non lo era mai stato.
La ragazza desiderò poter dire qualcosa di intelligente, di confortante magari, ma prima che potesse anche solo pensare fu proprio Cal a parlare di nuovo.
«E poi insomma, chi non ha paura dei ragni? Con tutte quelle zampe e quegli occhi spaventosi». Rise e Olly rise con lui, nonostante tutto, nonostante non le avesse detto quello che avrebbe voluto sapere, sentì di aver fatto un passo avanti e non potè fare a meno di gioirne.
Quel giorno fu l'inizio di qualcosa di speciale, Cal non lo sapeva e Olly nemmeno, ma lo avrebbero capito, un passo alla volta.
Lo capirono quando Cal aprì lo zaino e tirò fuori una foto, così leggera, ma che gli era sembrata pesare così tanto quando quella mattina l'aveva portata con sè.
La foto ritraeva lui, piccolo, con i capelli spettinati e una carta di Risiko in mano; accanto a lui, con un piccolo carrarmato tra le dita, un buffo cappello arancione e un sorriso stanco, ma contento, c'era una donna, sua madre. Era uno dei pochi ricordi rimasti a Cal, non sapeva nemmeno come faceva ad avere ancora quella foto, eppure quella mattina l'aveva trovata sul fondo di un cassetto nella camera d'albergo in cui dormiva, dietro alle due felpe e le tre magliette che possedeva, quasi come fosse stato un segno del destino: Olly doveva vederla, se non altro, almeno per conoscere qualcosa di lui.
E lo capirono quando quel pomeriggio, dopo aver pranzato, Olly gli cedette il posto d'onore sulla sua macchina scrostata e, convincendolo che avrebbe sempre potuto ripararla, gli diede le chiavi e gli fece fare qualche giro di prova nel parcheggio.
Lo capirono la sera, quando si abbracciarono per salutarsi ed entrambi si strinsero forte e, per parecchi minuti, rimasero immobili al buio, dove nessuno avrebbe potuto vederli, illuminati solo dalle stelle, senza mai lasciarsi andare.
E per la prima volta, quando Olly lo guardò allontanarsi lungo il vialetto di casa, desiderò potergli chiedere di restare o di portarla con sè per bere un caffè, per parlare, per giocare a carte, qualsiasi cosa pur di restare insieme.
E infine, soli, stanchi, ma felici, lo capirono la notte.
Olly quando sfidando le ombre si sedette davanti al cavalletto, illuminato dalla luce argentea della luna, e iniziò un nuovo dipinto, uno che non riusciva nemmeno a vedere bene, ma che sembrò alleggerirla di un peso che per tanto tempo aveva portato sulle spalle senza nemmeno rendersene conto.
Cal quando sdraiatosi a letto, con lo sguardo fisso sul soffitto bianco, vide le parole scorrergli davanti agli occhi e rimanere incise sull'intonaco, proprio come quando da bambino inventava storie per scappare alla realtà. Quel giorno però, la sua storia gli riempì il cuore e lo portò ancora e ancora alla realtà, finchè sfinito, si addormentò con quel racconto in testa, immagini di spensieratezza, colori caldi, lettere eleganti...
E le parole lo tormentarono tutta la notte.
Oro, infinito, occhi, Olly, mare, bugie, Olly, lieve, caldo, dolce, Olly, Olly, Olly...
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