Capitolo 16
"We live and breathe words. It was books that kept me from taking my own life after I thought I could never love anyone, never be loved again. It was books that made me feel that perhaps I was not completely alone. They could be honest with me, and I with them".
Cassandra Clare, Clockwork Prince
Olly si affacciò alla finestra della sua camera e guardò i grossi nuvoloni neri all'orizzonte, chiedendosi come fosse possibile che, quell'anno, l'estate a Mountyborough fosse così piovosa.
Aprì le finestre per respirare a pieni polmoni l'aria fresca che precedeva sempre le tempeste, poi, sorridendo, si voltò verso la sua stanza e si mise a osservare il lavoro di una notte.
La sua bella libreria bianca era tornata al suo posto contro la parete, proprio di fronte all'armadio e allo specchio; la piccola scrivania, piena di fogli svolazzanti, pennelli e gessetti, e il cavalletto con un dipinto non finito stavano invece davanti al letto disfatto, sovrastato da una cascata di gru di carta che pendevano dal soffitto e posto esattamente di fronte alla parete con la macchina rossa.
La ragazza si lasciò cadere sul morbido letto e sentì subito le coperte stropicciate aggrovigliarsi attorno alle caviglie.
Osservò per un momento le sfumature azzurre delle gru appese sopra di lei e strinse in un forte abbraccio la sua piccola renna di peluche.
Era a casa.
Si sentiva davvero a casa.
Quel giorno non riusciva ad essere triste, forse non era esattamente felice, ma col tempo avrebbe potuto esserlo. In quel momento riusciva solo a ricordare la serata precedente, la cena con i nonni, Philip che l'aiutava a sistemare la camera, lei che lo colpiva con il cuscino ogni volta che rischiava di combinare qualcosa, le mille volte che lo aveva chiamato signor Williams e tutte le comparse della nonna con tazze di cioccolata calda e biscotti profumati.
Un tuono risuonò lontano nell'aria e la finestra si chiuse leggermente.
Olly ruotò a pancia in giù e si prese il volto tra le mani per osservare il piccolo pezzo di parete al di sopra del letto, proprio dove il nonno l'aveva convinta ad attaccare molte delle foto che prima teneva chiuse nella sua scatola dei ricordi.
Fece scorrere piano lo sguardo su ogni fotografia: vide Logan, più biondo che mai, con gli occhiali da sole appollaiati sul naso e un sorriso smagliante; vide Chloe, il sorriso dolce che andava da un orecchio all'altro e una grossa fetta di torta di mele tra le mani.
Poi, proprio al centro, vide quella che aveva cercato di non appendere, ma che il nonno aveva posizionato al suo posto. La vide e si sentì un po' morire dentro.
C'era Richard, suo padre, con un buffo cappellino colorato e, accanto a lui, c'era Anna, sua madre, con un regalo in mano; al centro c'era Olly, quattro anni prima, che sorrideva con il volto illuminato dalla luce delle candeline.
Il numero quindici, sulla torta, indicava l'ultimo compleanno che la ragazza aveva festeggiato con i suoi genitori, l'ultimo, a suo parere, che valesse la pena ricordare.
Olly osservò il sorriso amorevole dei suoi genitori e per un attimo riuscì a sentire il calore del fuoco pizzicarle il viso e l'eco lontana della canzone "Buon compleanno", poi, la voce della nonna sembrò strattonarla con forza lontano dai ricordi.
«Olly, Chloe è arrivata!».
Quando guardò nuovamente la foto, i volti non le sembrarono più gli stessi, ma solo lo sfocato ritratto di quelle che una volta erano state le due persone che più di tutte aveva amato.
Il suo sorriso si spense e si ritrovò da sola, nella sua stanza, nella casa dei nonni e con una Luce che l'aspettava per dirle addio.
Si alzò, sgranchendosi le gambe e cercando di sistemare al meglio le trecce scure, poi, prima di scendere, afferrò al volo un'enorme felpa bianca per ripararsi dall'aria frizzante di quella giornata che di estivo non aveva proprio niente.
Scese di corsa le scale, saltando come sempre l'ultimo gradino e cercando di non cadere mentre si infilava la felpa.
Rivolse un rapido cenno di ringraziamento alla nonna per averla chiamata e uscì.
Chloe l'aspettava nel vialetto, la sua pelle sembrava ancora più scura senza il sole a illuminarla e i lunghi capelli le coprivano il viso, mossi dal vento.
«Ehi». Olly si avvicinò per stringerla in un abbraccio che l'altra ricambiò prontamente.
«Ciao».
Per un momento, le due rimasero ferme senza parlare, le mani strette le une alle altre e gli occhi vaganti che sembravano voler memorizzare ogni dettaglio della persona davanti a loro: la curva dolce del naso di Chloe, i suoi occhi scuri, il sorriso dispiaciuto; le labbra sottili di Olly, le sue occhiaie violacee, il naso piccolo e affilato.
Poi, Chloe scoppiò a ridere, riempiendo l'aria con il caldo suono della sua risata e coinvolgendo anche Olly che, per la prima volta, non sapeva come agire nel dire addio a una persona che conosceva da poche settimane e che non avrebbe più rivisto.
«E' tutto così strano», disse quindi la ragazza dalla pelle scura.
«Lo so», mormorò piano Olly stringendole ancora di più la mano, «Fino a qualche settimana fa non ci conoscevamo e ora mi sembra assurdo pensare di non poterti più vedere o anche solo parlare».
«Vorrei non dover andare, ma è meglio così, per entrambe. Tu hai una vita intera da vivere e io devo usare quel poco che resta della mia per assicurarmi che i miei genitori stiano bene».
Olly annuì e lanciò un'occhiata dispiaciuta all'auto accostata fuori dal suo giardino; non era tranquilla nel sapere Chloe là fuori con una macchina usata, senza documenti, senza patente e dopo aver re-imparato a guidare nel parcheggio di un supermercato.
«Stai attenta, ti prego. Vai piano e cerca di non farti fermare da nessuno, se ti serve qualcosa chiamami».
«Non ti preoccupare», rispose Chloe abbracciandola, «Presto non sarò più un tuo problema e non dovrai più stare in pensiero per me».
Olly le lanciò un'occhiata offesa, avrebbe voluto dirle che non era mai stata un peso per lei e che l'avrebbe fatta restare per sempre se fosse dipeso da lei, ma lo sguardo di Chloe si spostò verso il cancello, dove due ragazzi fecero il loro ingresso in silenzio, scambiandosi qualche sguardo e qualche parola di tanto in tanto.
Il primo a salutare fu Logan, si sistemò gli occhiali da sole, quel giorno inutili, tra i capelli e rivolse un sorriso a quella ragazza che non aveva mai visto, ma di cui aveva tanto sentito parlare.
Poi fu il turno di Cal che, dopo averle rivolto un semplice "Ciao, Chloe", distolse lo sguardo e si sistemò distrattamente il cappuccio della felpa blu.
Chloe rivolse loro un sorriso, soffermandosi curiosa sul volto di quel ragazzo che aveva visto solo una volta, sfocato e anche sdoppiato a causa dell'alcool; si morse il labbro, quasi come per trattenere delle parole che avrebbero potuto scivolarle dalle labbra, e tornò a osservare la sua amica.
«E' arrivato il momento di andare. Allora arrivederci, Cal, Logan...», sorrise prima di continuare, cercando di trattenere lacrime che non avrebbero fatto altro che pesare sul cuore dell'amica, «Promettimi che starai meglio, Olly, fallo per me. Goditi questa vita finché puoi, non puoi mai sapere cosa accadrà in futuro. E ricordati di me, per favore, qualcuno deve farlo... ricordati che le Luci non devono essere per forza una maledizione, alcune hanno un cuore d'oro».
Chloe tirò Olly in ultimo abbraccio, alzò lo sguardo verso i ragazzi e rivolse loro un occhiolino.
Cal le sorrise, quasi senza accorgersene, mentre Logan sillabò un "buona fortuna".
«Te lo prometto», disse Olly, dopodiché, non poté far altro che restare ad osservarla mentre si allontanava, voltandosi un'ultima volta solo per rivolgere loro un cenno di saluto.
Quando la macchina partì, fu Logan il primo ad avvicinarsi per farla rientrare.
*****
«Direi che ha iniziato a piovere», disse Logan che, dopo essersi arrampicato su una montagna di fieno per guardare fuori dalla finestra della stalla, era finalmente riuscito a vedere qualcosa.
«Possiamo restare qui, oggi Philip non c'è».
«Giornata di pesca?», chiese Logan.
«Oh, no. Non con questo tempo. E' in paese a giocare a carte con Jean e il signor Morrison».
I ragazzi si accomodarono in un angolo della stalla, accanto al recinto di Alonso; il pavimento di legno, in quel punto, era caldo e privo di paglia e c'era abbastanza spazio per stare seduti comodamente.
«Che tempo! Quest'anno a Mountyborough non fa altro che piovere», disse Olly ascoltando la pioggia battere sul tetto, «Mi sembra di non essermene mai andata da Boston».
«Vivi a Boston?», domandò Cal curioso, parlando per la prima volta da quando Chloe se n'era andata.
Olly annuì sorridente, tirò le maniche della felpa per ripararsi dal freddo e indicò la scritta che aveva sul petto, «Studio ad Harvard, vorrei diventare un'insegnante, almeno credo».
«E tu, Cal? Cosa studi?». Logan si sistemò meglio appoggiandosi alla parete, quasi come se non volesse perdersi la risposta alla sua domanda.
«Al momento non sto frequentando nessun corso, mi sono preso... una pausa, diciamo, dagli studi, da casa, un po' da tutto. E' per questo che sono venuto a Mountyborough».
«E hai intenzione di studiare qualcosa dopo questa pausa?».
«Logan!».
Olly gli lanciò un'occhiata per intimargli di non continuare, ma, fortunatamente, Cal non sembrava essersi offeso e, di fronte alle continue domande di Logan, rideva come avrebbe fatto chiunque con un vecchio amico.
«Non c'è problema», disse quindi rivolgendo un sorriso alla ragazza, «In realtà ancora non lo so, ma ho sempre desiderato andare al college, mi piacerebbe studiare lettere».
«Lettere, mh?», domandò Logan guardandolo pensieroso, per un attimo sembrò perso in un mondo che solo lui poteva vedere, poi tornò a sorridere, «Mi sembri un tipo da Shakespeare: innovativo, ma allo stesso tempo classico. Ho indovinato?»
Cal rise, ancora una volta, e Olly si sentì scaldare il cuore da quella risata leggera e al tempo stesso avvolgente, che aveva rivolto all'amico.
Il giorno prima, Cal non era sembrato molto contento di uscire con loro, e anche quel pomeriggio, appena arrivato, le era apparso nervoso e triste come qualcuno che era stato costretto a fare qualcosa, eppure in quel momento sembrava perfettamente a suo agio, lì, seduto sul pavimento, con i capelli spettinati e il volto illuminato da un sorriso vero, sincero.
Per gran parte del pomeriggio, i tre non fecero altro che parlare e ridere fino a non sentirsi più il viso.
Olly prese "in prestito" alcuni dolcetti dalla riserva segreta di Philip e li offrì ai suoi ospiti; Logan scoprì che Cal, in realtà, non amava poi così tanto Shakespeare, ma preferiva poeti come Keats e Byron, o almeno così diceva lui.
E Cal, lui si sentì più vivo che mai.
Logan era come una boccata d'aria fresca, accanto a lui il ragazzo era stato costretto a dimenticare il dolore, la nostalgia, la rabbia; accanto a lui riusciva solo a sentirsi grato per l'incredibile presente che quei giorni gli stavano offrendo.
«Logan di certo sarà d'accordo, vero?», domandò Cal a un certo punto, dopo che Olly gli aveva domandato cosa ne pensasse di un racconto che l'amico l'aveva costretta a leggere.
«Si è addormentato», fu però la risposta divertita della ragazza quando vide Logan con la testa penzolante e il sorriso ancora acceso sul volto, «Vieni con me, lasciamolo riposare qualche minuto».
Olly e Cal si alzarono facendo attenzione a non svegliare il ragazzo e si incamminarono verso l'entrata della stalla.
«Sembra che ci toccherà correre nella tempesta».
Si lanciarono uno sguardo d'intesa prima di cominciare a correre sotto la pioggia.
Cal lasciò che la ragazza lo superasse per fargli strada e si godette il tocco gelido delle grosse gocce sulla testa, sul collo, sulla schiena; le sentiva ovunque e percepiva la loro traiettoria sulla pelle come fuoco.
Non si ricordava di essere mai stato così vivo come quel pomeriggio, prima con Logan e ora con Olly, avrebbe solo voluto che lei lo vedesse dentro, che lo guardasse negli occhi, lì, sotto la pioggia e capisse ciò che provava.
Quando la ragazza gli fece cenno di entrare nel capannone che la famiglia WIlliams usava come garage, gli sembrò troppo presto e provò l'intenso desiderio di tornare là fuori, sotto la pioggia, a vivere.
«Prego, sarai uno dei primi a provare i comodissimi sedili della mia auto», gli disse Olly aprendogli la portiera lato passeggero e invitandolo a entrare per poi sedersi a sua volta dalla parte del guidatore.
«Niente male, sembra comodo. Funziona?», domandò lui fissandola con sguardo accesso e le labbra piegate in un dolce sorriso.
«Certo, devo solo sistemare la vernice. Ho finito da poco di controllare il resto, non era messa poi così male».
Cal annuì contento, osservando con attenzione ogni particolare dell'auto, dal vetro leggermente scheggiato al comodo sedile in pelle, e, per un momento, nessuno dei due parlò, rimasero fermi ai loro posti, come immortalati in una vecchia foto.
Il profumatore alla lavanda che Olly non aveva mai tolto emanava una fragranza forte, ma piacevole; il lento ticchettio della pioggia risuonava sulla lamiera del capannone con una malinconica melodia e l'aria fresca che entrava dai finestrini abbassati si portava dietro il buon odore di terra e erba bagnata.
Cal guardava disinteressato il modo in cui gli alberi all'esterno si muovevano trascinati dal vento e picchiettava con le dita sul tessuto di jeans che gli copriva le gambe.
«E così... ti piace la letteratura, giusto?», chiese Olly guardando incuriosita il modo in cui le labbra del ragazzo si curvarono verso l'alto sentendo le sue parole, coinvolgendo in un buffo movimento la punta del suo naso.
«Sì, molto. Credo sia l'unica cosa che mi abbia permesso di andare avanti dopo la morte di mia madre, finché non sono stato in grado di superarla, i libri mi hanno offerto un'alternativa, sai... altri mondi, altre storie, altro a cui pensare».
I suoi occhi si illuminarono di una luce così viva e vibrante, da far venir voglia a Olly di avvicinarglisi, di guardarlo parlare ancora e ancora delle cose che gli piacevano, della sua vita, del vero Cal.
Osservò le sue mani, che avevano smesso di muoversi ed erano ora rilassate, il ricciolo che gli ricadeva sugli occhi, ma che non sembrava infastidirlo, la semplicità con cui sembrava comunicare anche le cose che a lei sembravano più lontane e difficili, e desiderò poterlo avere al suo fianco per sempre.
Era qualcosa di stupido, forse, e insensato, dato il poco tempo che avevano passato insieme, ma c'era qualcosa in lui, qualcosa in Cal, nel suo carattere riservato, nel suo volto, nella sua storia, qualcosa che combaciava esattamente con ciò di cui Olly aveva bisogno.
Nemmeno lei avrebbe saputo spiegare di cosa si trattasse, era così e basta: Cal era una di quelle persone che ti colpivano fin dal primo momento, dal primo "Ciao" sussurrato, dal primo sorriso, e non potevi farci niente, solo... volerlo.
«E tu? Vuoi diventare un'insegnante? Credevo, ti piacesse altro», mormorò lui indicando l'auto e gli attrezzi con un cenno del capo.
«L'arte e la meccanica sono solo dei passatempi, li amo e non voglio rischiare di rovinarli. Ho sempre voluto aiutare gli altri, come faceva mia madre con i bambini dell'orfanotrofio.
Vorrei insegnare loro, ma non solo la matematica o la storia, vorrei insegnare loro com'è la vita e come uscirne vivi, anche se forse dovrei impararlo prima io».
Olly guardò Cal e accennò un piccolo sorriso che fece schiudere le sue labbra rosee, lui ricambiò e si sistemò meglio sul sedile così da poterla guardare negli occhi; i suoi erano azzurri e profondi come non mai, scorrevano dolcemente dal volto della ragazza alla pioggia che cadeva dalla tettoia, percorsi da un misto di dolore e qualcos'altro che Olly non riusciva a identificare.
«Sono sicuro che ce la farai. Non ti conosco molto, ma so per certo che qualsiasi problema può essere affrontato. Tutto prima o poi sbiadisce, i ricordi, la gioia e così anche la sofferenza. E poi...», aggiunse ridendo, «Logan mi sembra intenzionato a far funzionare le cose, no?».
Il fragore della pioggia che si trasformava in grandine coprì il suono delle loro risate e, per un momento, Olly si sentì in colpa per aver lasciato Logan a dormire sul pavimento della stalla.
Cal aprì la portiera della macchina invitando la ragazza a fare lo stesso e si avvicinò alla soglia del garage, dove l'acqua poteva bagnargli la punta delle scarpe e l'aria fresca riempirgli i polmoni.
I ricordi preferiti di Cal erano tutti bagnati dalla pioggia nonostante fosse cresciuto in uno stato assolato come la Louisiana; faticava a ricordare tutto il resto, i momenti senza felpe o senza ombrello, il sole cocente.
La pioggia ce l'aveva dentro, i tuoni sembravano seguire il ritmo dei battiti del suo cuore e una scintilla gli illuminava gli occhi quando guardava i fulmini cadere in lontananza.
«Scusa per Logan», proruppe Olly posizionandosi accanto a lui, «non voleva giudicarti o essere invadente, è solo curioso, gli piace capire chi ha intorno».
«Lo so», disse quindi Cal facendo ondeggiare una mano sotto quella che era tornata a essere semplice pioggia, «Cioè, l'ho capito. Ma non mi ha dato fastidio».
«Davvero? Ieri non sembravi molto contento di uscire con noi».
Cal sospirò, perché la verità era che nel momento in cui Logan lo aveva invitato si sarebbe volentieri messo a fare salti di gioia.
Non desiderava altro che passare del tempo con Olly, non riusciva a ignorare la leggerezza che gli riempiva il petto stando con lei, parlando con lei di cose che la sapeva in grado di capire, ma che nessun altro avrebbe potuto vedere nel suo stesso modo.
E Logan, Logan era stato un piacevole effetto collaterale.
«Ero solo sorpreso, tutto qua. Logan mi piace davvero, avrei sempre voluto avere un amico come lui».
«E non ce l'hai?», domandò Olly curiosa.
«Non ho mai avuto molti amici, e poi sai...».
«Ti sei preso una pausa da tutto e da tutti», concluse la ragazza facendolo annuire.
Era pronta a chiedere di più, voleva sapere di più, ma lui non gliene diede la possibilità, ricominciò a parlare con quella maschera di indifferenza che usava sempre quando chiedeva qualcosa che non aveva niente a che fare con lui, quasi come se si fosse trattato di un semplice modo per fare due chiacchiere e non di qualcosa che desiderasse sapere.
«Olly, Logan non vive qui?».
«E' complicato... ricordi... ricordi quando ti ho detto che da piccolo è stato in orfanotrofio? I suoi genitori non sono morti, ma non erano esattamente il tipo di persone che potevano permettersi di mantenere un figlio e così lo hanno abbandonato. In paese tutti li conoscevano e Logan non vuole vivere qua, non vuole che tutti lo guardino solo come il ragazzino abbandonato».
«E dove vive?», mormorò a bassa voce scrutando le nuvole con quel suo sguardo malinconico.
«Un po' qui, un po' là. Li sta cercando, i suoi genitori intendo. Vuole solo trovarli e poi continuare con la sua vita, dice che non si fermerà finché non li avrà visti, non riesco a fargli cambiare idea, ma se c'è una cosa che ho capito è che a volte bisogna lasciare che ognuno affronti i propri problemi come preferisce».
«Ed è felice?».
«Cosa?», domandò Olly confusa.
«Scusa, lascia perdere, non mi riguarda».
Cal uscì allo scoperto, ormai la tempesta si era placata, ma una leggera pioggerella continuava a cadere pigramente sulle loro teste.
Olly, sorpresa dal suo scatto inaspettato, rimase imbambolata a fissare la sua schiena coperta dalla felpa blu mentre si allontanava, passo dopo passo, come se avesse deciso di andarsene, così, senza salutare, senza una spiegazione.
Quasi senza accorgersene, lo seguì, sentì l'acqua fredda colpire la sua calda pelle e tirò ancora di più le maniche della felpa per coprire le mani.
«Cal», lo chiamò.
Il ragazzo si fermò in mezzo al giardino, ma non si voltò, costringendola a farsi più vicina e a poggiargli una mano sulla spalla per farlo voltare.
«Cal, va tutto bene?».
Quando lui si girò, la pioggia sembrò creare una bolla attorno a loro, cadeva attorno ai loro corpi e nella fessura tra i due volti. Quando la guardò, Cal aveva lo sguardo perso, lo stesso di quando lo aveva abbracciato pochi giorni prima, eppure quella volta non sembrava intenzionato a nasconderlo.
Sollevò il cappuccio della felpa e, subito, fece lo stesso con quello della ragazza, soffermandosi anche su una guancia, che sfiorò delicatamente mentre le scostava una ciocca bagnata dal viso, arrotolandogliela intorno alle trecce in un modo così impacciato e buffo, che, nonostante tutto, fece ridere i due.
«Cal, va tutto bene?», domandò di nuovo Olly.
«Tutto bene, davvero. Meglio di quanto potessi sperare».
Olly, non sapendo bene il perchè, si ritrovò a sorridere e, guardandolo negli occhi, si sorprese a pensare a come sarebbe stato allungare una mano e sfiorare la sua pelle, seguire la cicatrice alla base della gola, seguire il percorso che le gocce avevano tracciato su di lui.
«Mi dispiace che oggi non sia andata come speravamo», disse poi scuotendo la testa, «Ma possiamo rivederci un altro giorno, cioè... sempre se ti va».
«Certo che mi va, ma...», Cal vide la speranza morire negli occhi della ragazza e una gioia incontrollata lo percorse quando si accorse che avrebbe davvero voluto vederlo di nuovo, «questa volta ti porto io in un posto, se per te va bene».
«Si, va benissimo».
«E dovremo usare la tua macchina».
«Sarà pronta per la partenza, signore», rispose Olly accennando un buffo inchino che lo fece sorridere.
«Bene, allora ci vediamo... domani? Che ne dici? Troppo presto?».
«No, domani è perfetto».
Dopo che Olly ebbe risposto, Cal si allontanò di qualche passo, incerto, prima di rifarsi avanti e abbracciarla, ringraziandola per quello che, nonostante tutto, era stato un bel pomeriggio.
Quando si voltò, la ragazza rimase ferma al suo posto, aprì la bocca come per dire ancora qualcosa, ma subito la richiuse; poco dopo, però, si ritrovò ad avanzare sotto la pioggerella, al suo seguito.
«Cal!».
«Sì?», domandò il ragazzo voltandosi confuso.
«Logan è felice, lo è davvero, non permetterei il contrario. E un giorno, forse, riuscirò anche a farlo tornare a casa. Però è felice, te lo assicuro. Stare lontani da casa a volte fa bene».
Olly sorrise dopo aver pronunciato quelle parole, non sapeva nemmeno perchè avesse deciso di dirglielo, ma Cal sembrava aver davvero bisogno di una risposta e chi più di lei poteva sapere cosa si provasse a vivere senza risposte?
Per una volta, forse, poteva mettere da parte la sua curiosità e le sue incertezze per far felice qualcuno.
«Grazie», disse lui.
Quando si voltò, di nuovo, la sua camminata sembrava più leggera e, se Olly avesse potuto vederlo in viso, di certo si sarebbe sentita scaldare il cuore dal suo sorriso.
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