Capitolo 15
"I'm trying, all the time, but it's just too hard"
Unknown.
La mattina dopo, casa Williams era immersa nel silenzio.
Quando Olly si svegliò intorno alle sette, sul suo materasso in salotto, i ricordi sembrarono travolgerla mettendo in pausa quel silenzio assordate; le orecchie le si tapparono quando si alzò troppo in fretta e per un attimo vide solo una miriade di colori vorticare nel buio.
Si portò le mani sul volto stanco e pallido e allontanò dagli occhi i capelli umidi di sudore mentre cercava di respirare a pieni polmoni l'aria pulita che entrava dalle finestre aperte; inspirò una volta, espirò, inspirò di nuovo.
Si mise in piedi, lentamente, le orecchie le ronzavano ancora, ma almeno era in grado di reggersi sulle proprie gambe.
La ragazza avanzò piano verso la cucina, ma non trovò nessuno.
Si chiese dove potessero essere andati i nonni alle sette del mattino, ma non si sforzò troppo per trovare una risposta perché sapeva che, probabilmente, si trattava solo di un tentativo per sfuggire alla sua rabbia distruttrice oppure per farle capire che la sua reazione avrebbe dovuto essere più controllata, e sinceramente non sapeva cosa fosse peggio.
Con un sospiro frustrato, la ragazza lasciò la cucina e decise di approfittare della loro assenza per farsi una doccia.
Tante volte, la nonna aveva ripetuto ad Olly che una delle cose migliori al mondo era fare una bella doccia calda per lavare via tutti i problemi e tutti i pensieri, e tante volte, troppe, lei si era ritrovata a guardare l'acqua scorrere sulla sua pelle pallida in attesa che facesse sparire ogni cicatrice, ma purtroppo non era mai successo.
Quella mattina, quando si ritrovò a fissare la porta socchiusa di camera sua, con i capelli bagnati che le gocciolavano sulle spalle, l'asciugamano avvolto intorno al corpo e i piedi nudi a un solo passo dalla soglia, si convinse definitivamente che tutte le docce del mondo non avrebbero mai potuto lavare via la sua sofferenza, ne sarebbe uscita sempre allo stesso modo: occhi gonfi e rossi, occhiaie, guance scavate, mal di stomaco e un buco tanto grande quanto invisibile nel petto.
Convinta che una sola cosa, anzi, una sola persona avrebbe potuto farla stare meglio, Olly tornò in salotto e, dopo essersi vestita e asciugata di corsa, uscì di casa per dirigersi alla locanda della signora Richards.
Mentre camminava per le piccole strade del paese si sentiva incredibilmente stupida, stupida e codarda a fuggire da casa come aveva fatto tante altre volte; riusciva solo a pensare a tutte le persone che aveva messo in attesa, promettendo loro che un giorno sarebbe stata meglio e sarebbe stata lì per loro; riusciva solo a pensare a come probabilmente aveva deluso tutti: Jean, che aspettava ancora che passasse a ritirare i pennelli, Philip, che aveva fatto dipingere la camera per lei, Karen, che preparava ogni giorno un vassoio di biscotti perché sapeva che era l'unico dolce che riusciva a mangiare da quando sua mamma non aveva più potuto cucinarglieli...
Qualcosa doveva cambiare.
Se ne rese conto per la prima volta quel giorno, quando, appena messo piede nella locanda, vide Molly sorriderle da dietro il pesante bancone di legno della hall.
Le guance della donna si solcarono di rughe profonde quando tese le labbra sottili, ma il suo viso si illuminò di una bellezza senza tempo che scaldò il cuore della ragazza.
«Molly, come stai? Va tutto bene?», domandò Olly avvicinandosi e cercando di dimenticare anche solo per un attimo i suoi problemi.
«Come sempre, cara. Ormai sono vecchia e la mia schiena inizia a fare i capricci».
La vecchia signora Richards strinse la piccola mano di Olly tra le sue e, vedendola allungare lo sguardo verso la sala ristorante, si lasciò scappare una risata divertita prima di fare un cenno con il capo alla ragazza.
«Logan è sceso cinque minuti fa, vai pure».
Olly la salutò un'ultima volta prima di lanciarsi spedita verso il tavolo dell'amico che, non appena la vide arrivare, le rivolse un enorme sorriso da dietro la fetta di torta che stava divorando.
«Ciao, non mi aspettavo di vederti qui. Come va? Vuoi un po' del mio caffè?», domandò dopo essersi accorto dello sguardo stanco e delle occhiaie violacee della ragazza.
«Sì, grazie. E' stata una giornata pesante».
Logan guardò perplesso l'orologio che segnava appena le sette e mezza del mattino, prima di rivolgere uno sguardo preoccupato all'amica.
«Hai visto la tua nuova camera, vero?».
Bastarono quelle parole e Olly si perse nei ricordi della notte precedente: i pianti, le grida, la faccia spaventata della nonna e quella delusa del nonno...
Desiderò poter tornare indietro nel tempo per cambiare le cose, cambiare la sua reazione; desiderò poter dimostrare di essere una ragazza matura, in grado di affrontare i problemi e non solo di lasciarsi travolgere da essi.
Ma chi voleva prendere in giro? Se Logan non le avesse sventolato un biscotto sotto al naso si sarebbe rimessa a piangere.
Eppure, qualcosa doveva cambiare.
«Tu lo sapevi?», gli chiese quindi dando un piccolo morso al biscotto e cercando di ignorare fame e nausea.
«Sì, Philip mi ha telefonato, voleva che tornassi nel caso... sai, nel caso che le cose fossero andate male».
Olly scosse la testa esasperata e, dopo aver ingoiato l'ultimo boccone, sorrise, un sorriso triste e spento che Logan desiderò poter dimenticare.
«Sono così prevedibile, non è vero?», chiese quindi alzando gli occhi al cielo.
«Andiamo, Olly...». L'amico gettò la testa all'indietro con un sospiro, una ciocca bionda gli ricadde sulla fronte quando la guardò dritta negli occhi.
Per Logan era sempre stato difficile farla ragionare, nonostante a guardarli da fuori sembrasse tutto molto più semplice, però c'era qualcosa nella sofferenza di Olly, qualcosa che lui riusciva a capire benissimo e che gli impediva di lasciarla perdere anche quando le cose diventavano più complicate.
«Non c'entra niente l'essere prevedibili, lo sai anche tu. Ma sono passati quattro anni, quattro! E so che odi il fatto che tutti continuino a ripetertelo, ma non puoi continuare così. Prima o poi, tutto il dolore e le sofferenze che ti ostini a portarti dentro usciranno e succederà all'improvviso, ti scoppierà come una bomba tra le mani e non ci sarà più un dopo! Non ci sarà per te, per Philip, per Karen, per me... non ci sarà più per nessuno», continuò lui prima di bere un sorso del suo caffè per riprendere fiato.
«Logan», provò a interromperlo lei.
«No, lasciami finire, perché quando ripartirò, questa volta, potrebbero passare mesi prima che io torni e non ho intenzione di ritrovarti esattamente come ora. Non ce la faccio più a vederti così, non è giusto, un minuto non dovrebbe condizionare anni della tua vita, non può.
E quando vedrai quel disegno, ogni mattina, il dolore tornerà a galla, sarà come farsi una puntura, giorno dopo giorno, e alla fine non sentirai più niente, quel momento non sarà più l'attimo in cui la tua vecchia vita è finito, ma quello in cui è iniziata la tua nuova vita», concluse quindi puntando i suoi occhi chiari in quelli della ragazza e rivolgendole un piccolo sorriso.
Olly incrociò le braccia sul tavolo per poi poggiarci la testa, era veramente troppo stanca, eppure, persino in quel momento, le parole di Logan avevano un senso.
Tutte le volte che stava male sembrava la fine del mondo, scoppiava e distruggeva qualunque cosa avesse intorno, e tutto perché passava il resto dei suoi giorni a fingere che tutto andasse bene; perché scappava come una codarda e non aveva il coraggio di affrontare il suo passato.
Forse era arrivato il momento di abbracciare il dolore, per una volta, e lasciare andare la paura, perché in fondo iniziava a non avere più senso tutta quella sofferenza e Olly sapeva che, un giorno, prima o poi, si sarebbe ritrovata da sola, senza speranza e senza futuro.
In quel momento, su quel tavolo, con il profumo di caffè e biscotti a pizzicarle le narici, si rese conto per la prima volta, che quella nave che era la sua vita, quella nave di cui credeva avere il pieno controllo, stava andando alla deriva e lei, una figura stanca e sbiadita sullo sfondo di un oceano tempestoso, non era più il capitano della nave, ma un qualunque passeggero spaventato dalle onde.
«Dai, bevici su», le disse Logan, questa volta con tono leggero, passandole nuovamente la tazzina quasi vuota.
«Meglio di no, ho lo stomaco sottosopra», brontolò lei prendendosi la testa tra le mani.
«E' successo un casino ieri sera, vero?», chiese allora lui.
«Quando mi sono svegliata, questa mattina, i nonni non erano a casa, per cui non li ho visti, ma credo... credo di aver esagerato: sono scoppiata, come sempre, e Philip ha iniziato ad agitarsi.
Era così felice di mostrarmi ciò che aveva fatto e io ho rovinato tutto».
«Philip ti adora», la rassicurò l'amico, «Sei sua nipote, basta che vai da lui a chiedere scusa, conosceva i rischi a cui andava in contro, ti perdonerà».
«Grazie, Logan».
«Di cosa? Alla fine fai sempre tutto da sola, io ti do solo una leggera spinta», rispose lui sorridendole e riuscendo finalmente a strapparle un sorriso.
«Buongiorno, volete qual-».
Una voce interruppe i due ragazzi che, contemporaneamente, si voltarono verso chi aveva parlato; Olly con occhi sgranati e Logan semplicemente curioso.
«Cal», mormorò la ragazza guardando sorpresa e divertita il curioso grembiule a fiori che la signora Richard gli aveva fatto indossare.
«Ciao, io...», Cal indietreggiò di un passo quasi senza accorgersene, sfregandosi il collo con la mano che non stava reggendo il vassoio, «aiuto Molly, sai... un cameriere in più fa sempre comodo».
«Oh, mh... sì, giusto, me lo hai spiegato ieri». Olly annuì imbarazzata per essersi dimenticata che avrebbe potuto incontrarlo e si voltò rapida verso l'amico che li osservava parlare con un sorriso divertito sul volto.
«Lui è Logan, l'amico di cui ti ho parlato», disse quindi indicando il ragazzo, «Logan, lui è Cal... il... l'amico di cui... effettivamente avrei dovuto parlarti», concluse afferrando la tazza di caffè di Logan e ripetendosi che il mal di stomaco sarebbe stato decisamente meglio dell'imbarazzante presentazione appena fatta.
«Ciao», salutò Logan con tono allegro mentre i suoi occhi chiari scrutavano con attenzione il volto del ragazzo in piedi, «In effetti credo... credo di averti già visto da qualche parte, ci conosciamo già?».
«No, non credo», rispose Cal rafforzando la presa sul vassoio d'argento che teneva in mano e distogliendo in fretta lo sguardo, «Sono qui solo in vacanza, ma forse ci siamo visti nei corridoi questa mattina, però è un piacere conoscerti».
Dopo un attimo di silenzio in cui i tre si guardarono imbarazzati, Cal scrollò le spalle e, dopo aver posato un vassoietto con altri biscotti sul tavolo, rivolse un rapido sorriso a Olly prima di fare un cenno con il capo agli altri tavoli.
« Allora, se non vi serve niente io dovrei...».
«Oh, certo! Non c'è problema, io stavo anche per andare», rispose la ragazza desiderando poter cancellare gli ultimi cinque minuti di quella giornata.
«Ci vediamo, allora».
«Aspetta», intervenne però Logan prima che Cal potesse allontanarsi.
«Domani potremmo fare qualcosa tutti insieme, che ne dici? Resto per poco e mi piacerebbe passare del tempo con qualcuno che non sia Olly, ogni tanto».
«Grazie tante», borbottò lei infastidita.
«In realtà, non credo sia una buona idea», rispose piano Cal attirando su di sé lo sguardo curioso di Olly, «Io... avrò del lavoro da fare per la signora Richards, non so se-».
«Parlo io con Molly, se è solo questo il problema. Ti lascerà venire di certo», continuò Logan.
«Ok, allora», rispose Cal rassegnato mentre le sue nocche sbiancavano sempre di più per la forza con cui teneva il vassoio «Ci vediamo domani, a casa tua?», chiese quindi rivolgendosi a Olly.
«Sì, certo. Ma non scappare questa volta».
«Nemmeno tu», disse il ragazzo lasciandosi finalmente scappare un sorriso, prima di voltarsi e sparire oltre la porta della cucina.
Olly si voltò verso Logan consapevole del fatto che avrebbe dovuto rispondere a un centinaio di domande, eppure, proprio il giorno in cui sarebbe stata felice di distrarsi, per la prima volta Logan sembrò non cogliere quel suo desiderio.
Il ragazzo guardava confuso la porta della cucina, Olly non avrebbe saputo dire perché, aveva le sopracciglia aggrottate e sembrava perso in ricordi lontani, ma quando la guardò, le rivolse solo un sorriso prima di finire il suo caffè, come se non fosse successo nulla.
*****
Quel pomeriggio, dopo aver girovagato un po' in compagnia di un Logan più silenzioso del solito, Olly tornò a casa.
In giardino erano comparsi dei vestiti sul filo per stendere, per cui la ragazza non fu per niente sorpresa quando, entrando in casa, trovò Karen intenta a leggere una rivista.
Con un certo sollievo, Olly venne a sapere che quella mattina i nonni erano dovuti uscire presto perché Philip aveva prenotato da tempo una visita di controllo e la nonna la rassicurò dicendole che non avrebbero mai potuto essere arrabbiati con lei per qualcosa che non poteva controllare, anche se questo non bastò a farla sentire meno in colpa nei confronti di Philip, motivo per cui si costrinse a raggiungerlo nella stalla.
«Ehi, signor Williams», Olly avanzò lentamente verso il fondo della stalla, rivolgendo un piccolo sorriso ad Alonso, intento a mangiare dal secchio che il nonno aveva appena posizionato davanti a lui.
«Prendere un cavallo è stata una pessima idea», brontolò l'uomo lasciandosi cadere su una sedia davanti al suo tavolo da lavoro, «Sono troppo vecchio per occuparmi di tutto da solo».
Olly sospirò e prese posto sulla sedia accanto alla sua mentre cercava, senza successo, di catturare il suo sguardo.
«Dovresti pagare qualcuno e farti aiutare, la nonna te lo dice sempre».
«Tua nonna mi dice sempre tante cose, faccio fatica a starle dietro», rispose lui.
Olly rise e, finalmente, l'uomo la guardò sorridendo a sua volta, con quei suoi occhi piccoli e velati dal tempo, circondati da una raggiera di rughe che la dicevano lunga sui suoi anni e il suo passato.
«Mi dispiace», disse quindi la ragazza approfittando del momento, «Non avrei dovuto reagire in quel modo, so di averti spaventato e non sai quanto mi dispiace».
Il nonno trascinò la sedia più vicina a quella della nipote, i raggi aranciati che entravano dalle finestre gli illuminarono i capelli bianchi accendendogli il viso di una dolcezza incredibile.
«Non devi scusarti, piccola mia», mormorò lui facendo sbuffare la ragazza, «Sapevo che probabilmente non ti sarebbe piaciuta, ma non avevo altra scelta: tu non mi avresti mai detto di sì e nell'ultimo periodo sembravi sempre più stanca e triste, non sapevo cos'altro fare e ho agito di testa mia, come sempre. Sono io quello che dovrebbe scusarsi».
«No, no non è vero. Tu avevi ragione, come sempre. Avevate tutti ragione, tu, la nonna, Logan...».
Olly si alzò e quasi senza accorgersene si avvicinò ad Alonso per accarezzargli piano il muso.
Per la prima volta dopo tanto tempo si sentì veramente a casa, veramente al sicuro; il profumo della paglia, il bagliore dorato del sole, il muggire delle mucche, la riportarono indietro nel tempo a quando passava ore nella stalla a raccontare al nonno cosa aveva fatto e ad aiutarlo a dar da mangiare agli animali.
Si ricordò tutto d'un colpo i bei giorni passati lì dentro, quando ancora era piccola e felice, ma, nonostante tutto, questa volta sorrise perché i brutti ricordi non avrebbero mai potuto cancellare tutti i bei momenti che aveva vissuto.
Lo capiva solo in quel momento.
«Ieri sera, la nonna ha detto che quel giorno non deve essere per forza un brutto ricordo e forse è vero. Quel giorno ci siamo divertiti tanto...», mormorò la ragazza tornando a sedersi al suo posto, «il matrimonio della zia è stato bellissimo, mamma e papà hanno ballato e io e Logan ce ne siamo stati in un angolo a mangiare la torta. Eravamo così felici, papà non vedeva l'ora di raccontarvi tutto».
Il nonno allungò un braccio e fece scorrere piano la mano sulla guancia della ragazza, sorridendo.
«Non mi avevi mai raccontato niente del matrimonio di tua zia».
«Perché credevo non valesse la pena ricordarlo, quel giorno è stato il più brutto della mia vita: Logan mi ha detto che sarebbe partito, mamma e papà sono morti, io ho iniziato a vedere le Luci...
Però, tutto il resto è stato fantastico, avevamo scattato tante foto, ricordo che stavo per mandarne una a te e alla nonna prima che cambiasse tutto», Olly poggiò la testa sulla spalla del nonno mentre continuava a raccontare, quasi senza accorgersene aveva iniziato a piangere e Philip le aveva avvolto un braccio attorno alle spalle, «Sorridevamo, la mamma stringeva un bicchiere di champagne tra le mani e papà cercava di rubarglielo. Io ero in mezzo a loro, mi vergognavo a morte, tutti ci guardavano e volevo farli smettere, ma non riuscivo comunque a non ridere. Poi il bicchiere è caduto, subito dopo che hanno scattato la foto, e la zia si è infuriata perché il vetro si è sparso sulla pista da ballo», una risata le sfuggì dalle labbra e il suo suonò si mischiò singhiozzi.
Non riusciva a immaginare come un giorno avrebbe potuto fare meno male.
«Olly, tesoro», il nonno le prese il volto tra le mani, non sapeva nemmeno lui che cosa dire, voleva solo farla stare meglio, «ti ho detto che ci sono ferite che nemmeno il tempo può guarire, la verità è che le cicatrici rimarranno per sempre, ma almeno un giorno smetteranno di sanguinare. Tu hai il potere di cambiare le cose, ognuno di noi ce l'ha, la differenza sta nel saperlo usare e tu ci riuscirai, ti aiuterò io, a qualunque costo, anche se dovessi morire e tornare apposta per te», disse lui asciugandole gli occhi.
«Non dirlo neanche per scherzo»
«Vieni», continuò Philip alzandosi e tendendole una mano, «Andiamo a sistemare la tua camera, tua nonna ha già appeso le tue gru di carta, noi ci metteremo le tue foto, ti va? Anche quelle del matrimonio della zia, ok?».
Olly guardò la sua mano secca e sporca di terra qua e là prima di stringerla con la sua, chiara e macchiata di inchiostro; per un momento le sembrò di tornare a terra, lontano da tutto il dolore e la rabbia.
Senza di lui sarebbe stata persa, lo sapeva.
Si alzò in piedi, la mascella era serrata mentre cercava di trattenere le lacrime, le pizzicavano gli occhi e il naso, ma non le importava.
Qualcosa doveva cambiare e sarebbe cambiato a partire da quel giorno, sapeva di non essere abbastanza forte, sapeva che sarebbe caduta prima o poi, ma avrebbe imparato a rialzarsi, un passo alla volta.
«Andiamo», disse quindi.
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