Capitolo 14
"What's done cannot be undone".
William Shakespeare
«No...», disse Philip passandosi piano una mano sul viso, «non sei terribile, ma non puoi continuare così».
Il nonno guardò Olly dritto negli occhi, vide le lacrime che ancora solcavano le sue guance chiare ed ebbe voglia di abbracciarla, anche se, fino a quel momento, gli abbracci non erano serviti a nulla; forse era lui il problema, si disse, forse era troppo vecchio per potersi occupare nel modo giusto di una ragazza come lei, forse, semplicemente non era la persona giusta per prendersi cura di qualcuno.
«Io ci sto provando, davvero! Ci provo ogni giorno e mi dispiace rendervi la vita così difficile, ma non ci riesco! Perché credete che abbia scelto di andare a Boston?».
Olly si avvicinò al tavolo, asciugandosi rapidamente le lacrime con una mano, e guardò i nonni con quei suoi occhioni scuri e tristi che sembravano sempre implorarli.
Karen poggiò il muffin che ancora stringeva tra le mani davanti al marito e, quasi senza accorgersene, ne prese anche un altro per metterlo al posto di Olly.
«Siediti un momento», le disse mentre si sporgeva verso il tavolo per spingere in fuori la sedia della ragazza.
«Lo so che per voi non è facile, che il nonno ha bisogno di stare tranquillo e non di problemi su problemi, ma voi insistete sempre perché io torni a Mountyborough per le vacanze e questo... questo... io non ce la faccio», concluse la ragazza guardandoli dispiaciuta.
Avrebbe davvero voluto poter dire che stava bene e che era tutto a posto, ma ormai quelle parole sembravano non avere più senso, niente ce l'aveva.
La verità era che l'amicizia con Chloe era stata come buttarsi in un dirupo, così, all'improvviso, senza nemmeno pensarci; e per quanto questo avesse permesso al loro legame di rafforzarsi in poco tempo, il poco tempo che avevano a disposizione non sarebbe mai stato abbastanza, per nessuna delle due.
Legarsi a una Luce era impensabile, assolutamente assurdo, e la sola idea di poter dare vita ai morti, portava Olly sull'orlo della nausea: non era giusto, non era così che doveva funzionare.
Chi era Olly Williams? Chi era lei per aver diritto a qualcosa di simile?
Una ragazza, così le dicevano i nonni, una ragazza qualunque a cui era capitato qualcosa che non sarebbe dovuto succedere.
Eppure lei si sentiva un mostro, perché dentro di sé sapeva che tutto quello era un enorme sbaglio, era contro natura.
«Tesoro», cominciò a dire la nonna, che aveva allungato la mano sul tavolo per prendere quella della nipote, «ascolta, a me non interessa che tu faccia finta di stare bene per me, credi che io non sappia come ti senti davvero? Lo so, e il fatto che tu preferisca affrontare tutto da sola e raccontarci bugie non mi fa stare meglio».
La donna accarezzò piano la guancia della ragazza, i suoi polpastrelli secchi scivolarono con delicatezza sulle tracce quasi asciutte delle lacrime, e, quando incrociò lo sguardo del marito, gli fece un debole cenno con il capo.
«A proposito di questo», intervenne allora Philip rigirandosi il muffin mezzo mangiucchiato tra le mani, «Ho pensato molto ai tuoi incubi, da quando sei arrivata. So bene che la notte fatichi a dormire; anche se non ce ne hai mai parlato, sei sempre stanca e poi, se devo dirla tutta, dovresti spegnere anche la lampada se vuoi farci credere che stai dormendo, altrimenti si vede la luce dallo spiraglio della porta e-».
«Philip! Sto cercando di aiutarla ad affrontare il problema, non voglio darle un suggerimento su come mentirci meglio», intervenne furiosa la nonna, prima di lasciare la mano della ragazza per tirare il tovagliolo in faccia al marito.
Quella piccola scenetta familiare riuscì a far scaldare il cuore a Olly che, quasi senza rendersene conto, si ritrovò a sorridere pensando al nonno che, fuori dalla porta di camera sua, controllava che la luce fosse spenta.
«Va bene, stavo solo dicendo», riprese lui, non prima di aver rivolto un occhiolino alla nipote e una smorfia infastidita alla moglie, «che forse passeranno anni prima che gli incubi spariscano, prima che tu possa stare di nuovo bene, e forse le Luci ti tormenteranno per il resto della vita. Se solo potessi fare qualcosa lo farei, lo giuro, ma sono vecchio e stanco, e faccio solo danni».
«Non è vero, tu... anzi voi siete tutto per me, è solo grazie a voi e a Logan se sono ancora qui», replicò la ragazza, gli occhi scuri colmi di malinconia e di affetto, le labbra tremanti, il viso stanco e pallido.
«Ma noi vorremmo che tu fossi più che viva, vorremmo vederti felice! Vorrei litigare con mia nipote per impedirle di rientrare alle due di notte, vorrei disapprovare il suo ragazzo-».
«Molto rassicurante, caro», mormorò la nonna con un sorriso stanco ed esasperato, ma allo stesso tempo divertito, «arriva al punto, non abbiamo tutta la vita».
«Ebbene», disse allora l'uomo, lo sguardo di qualcuno il cui orgoglio è stato ferito, ma il sorriso folle di chi ha ingerito troppi zuccheri, «Ho pensato che potrebbe esserci un modo per cambiare le cose, non tutte, ma una parte almeno. E così, ho creato, anzi ho pagato qualcuno, per creare una cosa che di sicuro non ti piacerà all'inizio, e forse mi odierai, ma io credo che sia una buona soluzione per metterti di fronte al problema».
«Letteralmente», aggiunse Karen, la fronte corrucciata e l'espressione preoccupata.
«Di cosa si tratta?».
Quasi senza rendersene conto, Olly si ritrovò in piedi, al centro della sua camera, con gli occhi fissi sulla parete e la mente persa in ricordi di anni passati.
Il nonno non aveva trovato un modo migliore per rispondere alla sua domanda se non mostrarglielo, le aveva sussurrato piano che si trattava del suo regalo di compleanno e poi aveva spalancato la porta della sua camera e l'aveva fatta entrare.
La ragazza girò su se stessa, le gambe le tremavano mentre si muoveva e per poco non inciampò sui suoi stessi piedi; lo sguardo era fisso sulle pareti, su quei dipinti dai colori talmente chiari, da rendere impossibile capire se si trattasse di veri disegni o se la sua mente le stesse giocando un brutto scherzo.
Il dipinto che Olly aveva fatto sul soffitto, il cielo stellato, era stato leggermente sfumato man mano che si procedeva dal centro verso i muri e ora si abbinava alla perfezione con le pareti, decorate da una strada tortuosa che correva rapida in mezzo a un immenso bosco di conifere, su una montagna spigolosa e imbiancata dalla neve.
Sulla strada, illuminata dal debole bagliore di alcuni lampioni sottili, una macchina, piccola e quasi invisibile in quel dipinto immenso, ma di un rosso accesso che spiccava rispetto agli altri colori, facendo apparire ogni cosa come se fosse stata coperta da un fitto strato di nebbia.
Olly si portò le mani sul ventre, le dita strinsero il sottile tessuto della maglia che indossava così forte che il nonno temette di vederla bucarsi; i suoi occhi vedevano quel dipinto, eppure la sua mente viaggiava verso ricordi lontani milioni di secondi e centinaia di miglia da quella stanza.
All'improvviso, la lunga strada grigia sembrò muoversi, iniziò a scorrere tra gli alberi, sinuosa e rapida come un serpente; le ombre dei pini divennero scure e soffocanti e il respiro della ragazza si fece sempre più rapido e pesante.
Poi, la stanza si riempì di suoni che le vibravano forti nelle orecchie: il rumore dei fuochi d'artificio in lontananza, un fragore di vetri rotti, le grida di qualcuno, forse le sue; si portò le mani alle orecchie, mentre Philip provava a chiamarla dalla soglia della porta.
Gli occhi le si riempirono di lacrime, tutto divenne sfocato, vide solo la macchina, rossa come il sangue, e ricordò le luci di un'ambulanza, ricordò un viso, qualcuno che la sollevava; vide rosso, poi non vide più nulla.
Quando riaprì gli occhi, era china sul water, intenta a tenersi i capelli con le mani tremanti, mentre la cena le risaliva dallo stomaco, lasciandosi dietro solo bruciore e un senso ancora maggiore di nausea.
Il suo stomaco si contorse una, due, tre volte, fino a quando si sentì talmente vuota che si accasciò a terra, incurante delle condizioni in cui versava; si portò le ginocchia al petto, dondolando piano mentre cercava di calmare il respiro.
L'aria le rimase bloccata in gola più di una volta e le lacrime le solcarono le guance mentre tentava di buttarla fuori; provò a contare, come le aveva insegnato Logan, per regolare l'alternarsi di espirazione e inspirazione, e a poco a poco riuscì a calmarsi.
Il ritmo del cuore e i suoi respiri iniziarono a rallentare e, quando i battiti smisero di rimbombarle nelle orecchie, si accorse che qualcuno la stava chiamando dall'altro lato della porta, stranamente chiusa a chiave, come se fosse riuscita a barricarsi in bagno prima di crollare.
«Olly, apri la porta! Tesoro per favore. Dannazione, Philip! Smettila di agitarti, vai di sotto, ti devi calmare. Olly, ti prego!».
La ragazza sentì il rumore dei passi di qualcuno che scendeva le scale, probabilmente il nonno, e, se non fosse stata a terra, con il fiato corto e una guancia sporca di vomito, si sarebbe sicuramente sentita in colpa per averlo fatto agitare; in quel momento, però, era solo assente, sconnessa dal mondo che la circondava, e riuscì a malapena a trascinarsi verso la porta per girare la chiave, così da lasciar entrare Karen.
«Ehi, cosa... cosa è successo?», la nonna, nonostante l'agitazione, entrò piano in bagno, lanciando uno sguardo dispiaciuto alla nipote, seduta con la schiena al muro e le gambe al petto, la guancia sporca e gli occhi rossi e gonfi.
Prese un respiro, per calmarsi, ma se ne pentì quasi subito quando l'odore di vomito le pizzicò le narici; tirò l'acqua del water e, mentre con una mano apriva la piccola finestrella presente in bagno, con l'altra bagnò una salvietta e la porse a Olly, che si ripulì il viso rivolgendole uno sguardo stanco, ma grato.
«Forza», disse poi, più a se stessa che alla nipote, stringendosi meglio il grembiule in vita e porgendo una mano alla ragazza, «Riesci ad alzarti? Torniamo in camera».
Olly la guardò spaesata, aveva ricominciato a ragionare lucidamente, ma la testa le faceva un male assurdo e, in quel momento, l'unica cosa che l'avrebbe fatta sentire meglio sarebbe stata dare fuoco alla sua stanza.
La nonna però non sembrava in vena di scherzi e nemmeno disposta ad assecondare il suo malessere, aveva lo sguardo ardente e l'espressione severa che Olly aveva visto solo poche volte sul suo viso.
La ragazza afferrò la sua mano, rialzandosi a fatica, e si lasciò portare in camera sua, si sedette a terra e osservò Karen mentre prendeva un piccolo sgabello di legno per mettersi di fronte a lei.
«Come ti senti?», le chiese la donna.
«Vorrei poter aver mangiato di più, per vomitare ancora», rispose la ragazza; la sua voce roca e spezzata, lo sguardo spento e assente, la semplice espressione con cui pronunciò quelle parole, con le labbra piegate in una smorfia di disprezzo e disgusto, colpirono la donna dritta al cuore, ma Olly non sembrò pentirsi di una sola sillaba.
«Lo so cosa pensi, che è stata una mossa meschina sbatterti in faccia quello che è successo, metterlo nella stanza dove dormi ogni notte, nella stanza che una volta era di tuo padre.
Ma era l'unico modo, era l'unic-».
«L'unico modo per cosa?», domandò la ragazza, ormai così stanca che faticava anche solo a parlare, «Come pensate che possa andare avanti se ogni mattina mi sveglierò ricordando il momento in cui ho perso tutto? Come possiamo andare avanti, tutti, se ogni giorno entrando in questa camera ricorderete il momento in cui avete perso vostro figlio?».
«Superare non è dimenticare, Olly», rispose Karen.
Le labbra le tremarono leggermente quando la nipote nominò il padre, ma allontanò il pensiero, consapevole che quella non era la vera Olly, quella Olly voleva solo farla sentire in colpa e torturarla fino a che non avesse acconsentito a far tornare le cose come prima, le pareti bianche, i sorrisi al posto delle lacrime e le bugie come pane quotidiano.
«Guardami», le disse quindi con tono severo, «Se continui a ignorare quello che è successo, non andrai da nessuna parte e continuerai a ricaderci. Io e tuo nonno non possiamo fare niente per risolvere il problema delle Luci, ma possiamo fare qualcosa per questo e lo stiamo facendo.
Devi smetterla di pensare a cosa è andato storto, devi allontanare i brutti ricordi e tenere solo quelli belli.»
«E questo sarebbe un bel ricordo?», domandò la ragazza indicando con un gesto della mano le pareti.
«Può esserlo, ma devi volerlo. Devi voler ricordare il sorriso sui loro volti, la musica che ascoltavate, la bella giornata che avevate passato; devi voler ricordare e, sinceramente, non capisco perché tu non lo abbia già fatto da tempo, non capisco perché continui a torturati in questo modo».
«E' più facile ricordare il momento in cui la mia vita si è catastroficamente distrutta, piuttosto che pensare a come tutto sia sfumato in un secondo, come se fosse giusto così, come se fosse giusto che loro non siano più qui», mormorò Olly, prima di sdraiarsi a terra, lo sguardo fisso sul soffitto e le braccia spalancate ai lati.
Guardò un'ultima volta il cielo stellato prima di chiudere gli occhi e provò a seguire il consiglio della nonna.
Il bagliore delle stelle la riportò indietro nel tempo.
La notte in cui tutto andò a rotoli brillavano proprio come in quel momento, l'aria era gelida, ma lei era al caldo nel suo cappotto, sui sedili posteriori della macchina del padre; era felice, era stata un splendida giornata.
Stava cantando, stonata come una campana, ma non se ne preoccupava, la madre cantava insieme a lei, con la sua voce calda e dolce, e il padre rideva.
Ricordò il profumo dei sedili in pelle e quello della colonia del papà, vide due occhi scuri sorridergli dallo specchietto e per un momento il cuore le si riempì di gioia; una mano si allungò verso i sedili posteriori per farle una rapida carezza.
Olly lo sapeva, sapeva che avrebbe dovuto fermarsi lì, ma non ci riuscì e, presto, il profumo di colonia venne sostituito dall'odore di terra bagnata e fumo; il tocco delicato di una carezza divenne il dolore lancinante di un pezzo di vetro conficcato nella carne.
Gli occhi sorridenti del padre divennero vacui e Olly si contorse nuovamente per i conati di vomito, questa volta, però, il peso le rimase sullo stomaco.
«Smetterà mai di fare male?», domandò alla nonna.
La donna guardò la nipote, distesa a terra, con gli occhi chiusi e le mani sul petto e, per quanto avrebbe voluto rispondere di sì, che sarebbe stata bene un giorno e che avrebbe ricordato solo i momenti belli, non poté far altro che dire la verità.
«Forse un po', se ci provi, ma non smetterà mai per davvero, troverai uno spazio per il dolore e imparerai a conviverci».
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