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Capitolo 10

«D'accordo, ora tu mi ascolterai e poi risponderai positivamente a ciò che sto per dirti», borbottò il nonno camminando avanti e indietro per il salotto.
«Non funziona esattamente così», rispose Olly sorridendo e alzando gli occhi al cielo in un'espressione rassegnata.

Erano le sei del mattino, finalmente aveva smesso di piovere e un'afa soffocante aveva investito il paese; la luna era ormai una sfocata macchia bianca velata da nuvole vaporose, mentre il sole illuminava le ultime striature rosa che si mescolavano all'azzurro limpido del cielo.
Olly e Philip si erano svegliati poco prima che il sole sorgesse, con il collo e le gambe indolenzite a causa della scomoda posizione in cui si erano addormentati; la sera prima, infatti, dopo aver parlato, affidando le loro parole al silenzio della notte e lasciandosi cullare dal dolce ticchettio della pioggia, si erano addormentati l'uno accanto all'altra, il nonno seduto con un braccio avvolto intorno alle spalle di Olly e lei con la testa poggiata al suo petto e le gambe rannicchiate sotto la coperta.
Erano rimasti lì per tutta la notte, stretti in un abbraccio pieno di sogni infranti, parole non dette e promesse; si erano lasciati trasportare ognuno dal lento ritmo del cuore dell'altro, combattendo i propri incubi in una battaglia straziante e senza fine, fingendo che le loro guance non fossero state bagnate dalle lacrime e dalla pioggia, fingendo che in quel caldo abbraccio non ci fosse anche il gelo di un cuore spezzato e di uno stanco.

E quando il nonno si era svegliato, quella mattina, era rimasto ad osservare la nipote in silenzio, il suo profilo sottile, le labbra arrossate e screpolate, i capelli scompigliati, le occhiaie violacee... e poi aveva guardato la sua mano piena di cicatrici argentee, alcune più vecchie alcune più nuove, posata sul suo petto, all'altezza del cuore e, per un momento, gli era sembrato di tornare indietro nel tempo, a quei giorni in cui la schiena non gli faceva male, i suoi capelli erano decisamente meno bianchi e non aveva una diciannovenne inseguita dalle ombre di cui occuparsi.
Aveva ricordato i pomeriggi trascorsi al parco, nella fresca ombra del pomeriggio, a saltare con la corda e a giocare a palla; aveva ricordato le corse per arrivare in tempo a scuola; aveva ricordato le due trecce perennemente scompigliate di una bambina dalle guance arrotondate e il sorriso sghembo a cui mancavano alcuni dentini, e si era chiesto come, come avesse potuto lasciare che quella bambina si trasformasse nella stessa ragazza triste e spenta che ora dormiva accanto a lui.
E allora l'aveva guardata, ancora una volta, uscendo dalla galleria dei ricordi, e aveva faticato a riconoscere in quel guscio pallido e delicato, la stessa ragazza che giorni prima aveva parcheggiato in giardino una macchina da risistemare da capo a piedi, indossando come corazza nient'altro se non i suoi anfibi consumati e il suo sorriso smagliante.

E anche ora, mentre la vedeva seduta sul divano, intenta a mangiare la frittata che le aveva preparato, gli sembrava di essere stato catapultato in un'altra vita, come se quella precedente fosse stata dipinta con le tempere, come se la pioggia avesse lavato via ogni colore, lasciando solo una tela in bianco e nero,

«Nonno? Tutto bene?», domandò Olly poggiando sul tavolino di legno il piatto che teneva tra le mani e guardando preoccupata l'espressione improvvisamente vacua del nonno.
«Sì, certo... dicevamo?», l'uomo si sedette accanto a lei sul divano, cercando di ignorare i pensieri che gli avevano invaso la mente, e tornò a sorridere quando si ricordò di cosa stavano parlando, «Ah, giusto! Ho un regalo per te, consideralo un regalo di compleanno anticipato».
«Mh... la cosa inizia a piacermi, sentiamo». La ragazza si portò le gambe al petto per poi circondarle con le braccia e rivolse al nonno uno sguardo a metà tra il divertito e il curioso.
«E' una sorpresa, non posso dirti troppo, ma mi devi lasciare la tua stanza per tre o quattro giorni».
«Non vorrai mica buttarmi fuori di casa, vero? So che ieri sera è stato un disastro, ma-».
«Olly...», la interruppe Philip dandole una leggera spintarella, «andiamo, sai che non è quello che intendo, dimmi solo una cosa: mi prometti che non sbircerai fino a quando non avrò finito?», le chiese quindi prendendo il piatto che la nipote aveva poggiato sul tavolo e mangiando la metà avanzata della frittata che le aveva preparato.
«Prometto, basta che non distruggi la mia stanza e-», Olly scoppiò a ridere nel vedere l'espressione schifata che fece l'uomo dopo aver mangiato la prima forchettata di frittata.
«Gesù! Sono un pessimo cuoco, come...  come hai fatto a mangiare questa...  roba?».

La ragazza si alzò dal divano continuando a ridere, stiracchiò gambe e braccia, indolenzite dalla notte trascorsa sul divano, dopodiché, si chinò verso il nonno per lasciargli un bacio sulla guancia secca e rugosa.
«L'ho mangiata perchè apprezzo il tuo impegno, ti voglio bene e ti sono grata per non aver detto nulla alla nonna», disse poi prima di incamminarsi verso le scale rivolgendo un ultimo cenno di ringraziamento a Philip.

L'uomo rimase fermo al suo posto sul divano, ascoltando i passi della ragazza che si interruppero appena entrò nella sua stanza; rimase lì, immobile, prendendo solo, di tanto in tanto, piccoli pezzi di quella disgustosa frittata per calmare il brontolio della sua pancia.
Ad un certo punto, la sua mano si mosse in un gesto meccanico per afferrare il telecomando e accendere la televisione sul canale delle notizie, ma la sua attenzione non si concentrò mai sulla voce della giornalista, che era solo una dolce melodia sullo sfondo; nella sua mente continuavano a passare immagini di quel lieve sorriso che aveva visto per alcuni secondi  sul volto della nipote, vero, sincero, talmente dolce e privo di maschere da provocargli un forte dolore nel petto, da fargli capire quanto erano stati falsi quelli che gli aveva rivolto fino ad allora. 
Sperava che quel momento, quel sorriso, sarebbe stato l'inizio di un nuovo capitolo della loro vita, di un libro che potesse essere riempito di immagini, di giornate trascorse in compagnia, scherzando, sorridendo; l'inizio di una rinascita, forse, di una vita totalmente nuova.

Il suo sguardo vagò quindi per tutta la stanza, fino a trovare quella stessa foto incorniciata che aveva osservato attentamente la sera prima; guardò la bambina sorridente che stava al centro, la donna alla sua destra, che teneva tra le mani un cupcake colorato, l'uomo sulla sinistra, i suoi capelli scuri, i lineamenti marcati, ma gentili, e vide, nello sguardo che gli stava rivolgendo in quel momento, tanta dolcezza.
Sentì il naso pizzicare e tutto divenne sfocato davanti ai suoi occhi, avrebbe voluto dirgli che andava tutto bene, avrebbe voluto dirgli che era riuscito a prendersi cura del suo angioletto, avrebbe voluto dirgli che era stato forte per lui, ma non poteva, l'unica cosa che poteva fare era promettergli che da quel momento in poi sarebbe andato tutto diversamente e che il suo piccolo angelo avrebbe sorriso di nuovo.

Quando riportò lo sguardo sul televisore, le notizie erano incredibilmente più nitide, più chiare; una parte della sua sofferenza era sparita, si portava nel cuore l'immagine appesa in quella cornice, le lacrime versate, quelle da versare, i sorrisi, le giornate di sole e quelle di pioggia, ma era tutto incredibilmente più leggero, perchè ora, lì, in un angolino buio e freddo del suo cuore, c'era una nuova consapevolezza: la consapevolezza che da quel giorno in poi, si sarebbe impegnato davvero, e lo avrebbe fatto per lui.

Lo avrebbe fatto per Richard.

*****

«Nonna, sto uscendo!».

Era ormai sera, quella giornata era passata in un battito di ciglia: Olly era stata impegnata a togliere ogni cosa dalla sua stanza e a portarla in salotto, come il nonno le aveva ordinato, con tanto di mani sui fianchi ed espressione severa, per quanto severo potesse essere Philip.
L'azzurro del cielo aveva lentamente lasciato spazio alle sfumature di blu e arancione e l'aria, fortunatamente, era diventata un po' più fresca.

Chloe aveva scritto ad Olly per chiederle se volesse andare con lei al Mounty Cafè e la ragazza aveva accettato di buon grado, doveva assolutamente uscire da quella casa prima che i ricordi della sera prima tornassero a sommergerla, prima che tutto sparisse per lasciare spazio solo alla disperazione.
Aveva condiviso una piccola parte del suo dolore con Philip, ma non si sentiva per niente più leggera, credeva solo di aver dato al nonno una preoccupazione in più, un nuovo problema di cui occuparsi; forse, vedere Chloe, parlarne con lei, avrebbe alleggerito il suo cuore e l'avrebbe aiutata a perdonarsi per essersi mostrata così debole e terrorizzata la sera precedente.

«Nonna!». La ragazza salì le scale che portavano al piano superiore per capire dove si fossero cacciati la nonna e il nonno; per alcuni secondi rimase ferma in mezzo al corridoio, poi, finalmente, sentì le loro voci provenire dalla sua stanza e si avvicinò alla porta socchiusa.

-Gesù, Philip! Ti giuro che se fai qualche disastro è la volta buona che chiedo il divorzio-, stava dicendo Karen con la voce tremante per l'esasperazione.
-Hai così poca fiducia in tuo marito?-.
-E' che ti conosco troppo bene, so di cosa sei capace-.

Olly scoppiò a ridere e bussò delicatamente alla porta, non sapendo se entrare o rimanere fuori, onde evitare di scoprire la sorpresa che il nonno le stava preparando, dato che diventava particolarmente nervoso quando qualcuno scombussolava i suoi piani.
«Ehi, io sto uscendo», disse quindi concentrandosi per cercare di capire cosa stessero facendo. 
«Oh, credevo che saresti rimasta a casa, oggi». La testa della nonna spuntò dallo spiraglio tra la porta e lo stipite, le guance rugate erano leggermente arrossate e i capelli rossi erano raccolti in una crocchia disordinata, con un aureola di ciuffi bianchi vicino all'attaccatura.
La donna rivolse un piccolo sorriso interrogativo alla nipote e poi continuò, «Avevo preparato l'impasto per la pizza, speravo che mi aiutassi a stenderla».
«Mi dispiace, davvero», Olly sospirò sentendo il senso di colpa colmarle il cuore e gettò la testa all'indietro cercando di deglutire il groppo che le si era formato in gola, «Mi ha scritto Chloe, dovevamo vederci già l'altro giorno, ma poi c'è stato un problema. Non posso non andare, la situazione con lei è... è complicata».

«Lasciala andare Karen, ha bisogno di distrarsi, ti aiuto io a fare la pizza», le interruppe la voce del nonno ancora intento a trafficare all'interno della stanza.
«Oh, cielo!», mormorò la nonna, immaginandosi quale sarebbe stato il risultato di una pizza preparata con Philip, poi, dopo aver scosso leggermente la testa per scacciare quell'immagine, sorrise alla nipote e fece un cenno verso le scale, «Vai allora, ma stai attenta! E salutami Chloe, dille che può venire a trovarci quando vuole».
«Grazie», rispose la ragazza sporgendosi verso di lei per lasciarle un bacio sulla guancia, «Grazie, nonno e buona fortuna per la pizza!», gridò poi mentre scendeva le scale.

Aspettò che la nonna richiudesse la porta per poi rilasciare un sospiro di sollievo: non era proprio il giorno adatto per preparare la pizza tutti insieme, l'avrebbe solo riportata indietro nel tempo ad altre serate, altre pizze... e sarebbe successo l'ennesimo disastro.
Aveva solo bisogno di allontanarsi dai ricordi e quella casa ne era piena.

Una volta arrivata in salotto, il cellulare che teneva in tasca cominciò a vibrare, segnalando l'arrivo di un messaggio: era Chloe.
*Fiesta loca oggi al Mounty Cafè! Ho ingerito il drink che mi ha portato Sam credendo fosse birra, ERRORE ENORME. Ho bisogno del tuo consiglio su cosa sia meglio per calmare le vertigini, ti prego fai in fretta*.
Olly sorrise nel leggere il messaggio, ma, proprio quando stava per rispondere, le sue dita si bloccarono sulla tastiera; al piano di sopra, Karen e Philip avevano ricominciato a parlare, questa volta a voce un po' più alta, forse convinti che la nipote fosse già uscita e non potesse sentirli.

-Non possiamo continuare così, Philip! Sono passati quattro anni e Dio solo sa cosa ha dovuto passare quella ragazza, ma non possiamo più continuare così-.
-Tesoro, calmati-.
-Non posso calmarmi, la vedo spegnersi sempre di più giorno dopo giorno, lo sai cosa vuol dire? Vuol dire che ho fallito in tutto, in tutto! E lei... lei fa finta di niente... sembra che le vada tutto bene, che non ci sia nessun problema, ma niente va bene, niente-.

La ragazza andò a sedersi sul suo materasso, in un angolo del salotto, proprio accanto alla giacca che aveva preparato per uscire, trascinando lentamente i piedi, strisciando la suola dei suoi anfibi sul parquet di legno.
Strinse forte il cellulare tra le mani e chiuse gli occhi, le sopracciglia corrucciate e la mandibola serrata; la sua testa si piegò leggermente in avanti cominciando a dondolare piano, quasi come per calmarsi.
Riusciva quasi ad immaginarsela la nonna, con le mani nei capelli, le lacrime agli occhi e il fiatone; con le labbra sottili tremanti e il cuore pesante come un macigno che batteva all'impazzata nel petto.
Riusciva ad immaginarla e avrebbe preferito non poterlo fare, avrebbe preferito non sapere, non sapere quanto quella sua finzione potesse far male, non sapere che qualsiasi cosa facesse per farli stare meglio, in realtà li uccideva, lentamente, come una candela che si consuma piano.

-Cara... non prendertela, non ti fa bene-.
-Oh, Philip! Possibile che tu sia così tranquillo? Ma non te ne accorgi? Dobbiamo fare qualcosa, subito! Olly sta male e se sta male ora, sai cosa significa? Significa che ci ha mentito, tutto il tempo che ha passato a Boston, dicendo di stare bene, che era felice, che aveva nuovi amici...  e io ho sempre creduto che fosse vero, ma ora l'ho vista, Philip, l'ho vista-.
-Vai a fare del thè caldo, cara. Non ti preoccupare, vedrai che si sistemerà tutto, a cominciare da questo regalo. Metterò tutto a posto, te lo prometto-.

Te lo prometto.
Furono le ultime parole che Olly sentì, poi, la porta al piano di sopra si aprì con un tonfo e lei, dopo aver preso la giacca, fu costretta a correre verso l'uscita, per non farsi scoprire.
Si richiuse la porta alle spalle e vi si lasciò scivolare sopra, fino a toccare il pavimento; rimase lì per minuti che le sembrarono infiniti, ferma ad osservare il cielo, con il cuore in gola e la testa che girava.
Osservava con sguardo perso quel giorno che era ormai sfumato in notte, cercando di ignorare quella voragine che, ancora per una volta, stava per inghiottirla.
Abbassò la testa, chiuse gli occhi, prese un respiro. Quando guardò di nuovo verso il cielo, le sembrò che le stelle le stessero sorridendo e per un momento si sentì meno sola.
Poi, vide dalla finestra le luci della cucina che si accendevano e scorse l'ombra dei nonni vicino ai fornelli; immaginò quella stessa scena che si ripeteva quasi tutti i giorni: il fornello difettoso e Philip che provava ad aiutare Karen, solo che questa volta le loro lacrime facevano spegnere la fiammella blu e arancione ogni volta che si accendeva, lasciando solo il gas che piano piano li soffocava.
Sentì lo stomaco contorcersi e per poco non vomitò accanto alle loro sedie a dondolo; abbassò di nuovo la testa, richiuse gli occhi, prese un altro respiro e si portò le mani fredde sulla fronte.
Quando riaprì gli occhi, il cielo non le sorrideva più.

Prese allora il telefono e, prima di alzarsi, rispose al messaggio di Chloe:
*Chiedi a Sam di prepararti altre due bombe, il miglior modo per far passare le vertigini è condividerle. Sto arrivando*.

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