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Volevo fosse amore

                  

Capitolo 25

"Volevo fosse amore"

Ogni volta che lo riterrai opportuno, accendi un sogno e lascialo bruciare in te.

William Shakespeare

Pov Ryan

Era bellissimo anche nel suo silenzio, anche mentre non pensava a me, ma a quel ragazzo che non avrebbe mai potuto avere e dalla quale stava correndo nella notte, lasciando che i fili nero cobalto dei suoi capelli fluttuassero dolcemente nell'aria.

Era bellissimo anche se il suo viso era leggermente sporco di terra e di fango, così come i suoi vestiti dopo aver scavato una fossa per quel giovane ragazzo che non aveva voluto lasciar solo, anche se era arrabbiato e aveva l'urgenza assoluta di trovare Hau, che sapevo benissimo essere con Azrael. Con chi altri? Sembravano essere destinati, esattamente come lo erano loro una volta.

Un ricordo nostalgico mi scivolò dentro, sconvolgendomi e facendomi male come una lamina dritta al cuore.

Era sempre doloroso ripensare a quei tempi e non perché fossero dolorosi, ma appunto perché erano felici. Una felicità che non avrei mai più potuto toccare, perché ormai si era sgretolata in milioni di pezzi e proprio davanti ai miei occhi e ormai era troppo tardi per tentare di rincollare i pezzi. Non ci sarei mai riuscito, non da solo.

Sperai che per Azrael il destino non avesse ordinato lo stesso finale.

«Manca poco.» ringhiò, aumentando la velocità. Iniziai a faticare a corrergli dietro, a rimanere al suo fianco, mentre la spada che aveva riposto nel fodero lanciava scariche elettriche nonostante non avrebbe dovuto; segno che le sue emozioni erano così forti da essere implacabili.

Una radice si impose sul mio cammino. Fu un attimo di distrazione e inciampai.

Frenai la rovinosa caduta poggiando prima le ginocchia e i palmi delle mani. Non provai dolore, in fondo non ero umano; eppure, in qualche modo mi sembrò di sentire uno strappo; forse, per il fatto che Dragan nemmeno se ne accorse, automaticamente continuò a muovere le sue gambe senza guardarsi indietro perché non ero la priorità, non per lui e tutto a causa dei suoi sentimenti negati che volevano riversarsi su un amore che non avrebbe mai potuto avere luce.

In fondo noi mostri eravamo esattamente come gli umani. Potevamo sentirci superiori, potevamo far finta di essere invincibili e imperfetti, ma forse eravamo peggio di quella specie che era l'emblema della imperfezione.

Avevamo l'immortalità, ma non l'amore. Avevamo tutto, ma volevamo ancora di più. Avevamo il potere, ma volevamo diventare degli dei.

Cadere nel peccato era una cosa semplice, era come sorseggiare un bicchiere di champagne; una goccia dopo l'altra.

Il suo gusto dolce e frizzante prima si fermava sulle tue labbra, così da stuzzicarti, poi iniziavi a berne un sorso più grande e alla fine riuscivi a scolarti l'intera bottiglia.

Già, il peccato era questo: una bottiglia di champagne e l'amore era solo il tappo che veniva lanciato e che di tanto in tanto colpiva qualcuno in testa, facendogli male.

Perché? Perché non riuscivo a colpirlo? Forse perché correva veloce come il vento in mezzo a una foresta come in quel momento?

Tentai di rialzarmi, cercando di non prendermela troppo. Dovevo solo avere pazienza e poi finalmente mi avrebbe notato; ne ero sicuro.

Non appena però fui in piedi persi di nuovo l'equilibrio ed imprecai, guardando poi la mia caviglia che si era gonfiata. Dovevo essermela slogata.

Una ferita superficiale, ma che nel mio caso avrebbe impiegato circa un'ora nel guarire. Maledii nuovamente la mia natura imperfetta, che non avevo mai chiesto, ma che mi era stata imposta due secoli prima.

Due braccia mi sollevarono e aprii gli occhi spaventato pronto a mordere e ad uccidere chiunque fosse. Potevo sembrare anche indifeso, ma non lo ero affatto.

«Impiastro, chiudi la bocca.» mi intimò Dragan.

Sbarrai gli occhi, stupefatto, mentre sbattevo più volte le palpebre del tutto incredulo.

Era tornato indietro? Per me?

Sorrise felice, gongolante di quella fortuna e mentre mi trasportava tra le sue braccia mi accoccolai meglio, rimanendo in silenzio e posando il mio orecchio contro il suo petto.

Non c'era alcun cuore che potessi udire, ma il suo respiro era un surrogato più che sufficiente per quella piccola romanticheria da romanzo.

Forse il tappo del mio champagne non lo aveva ancora colpito, ma sicuramente lo aveva sfiorato.

Pov Haru

Eravamo entrati nel retro, dalla parte di quelle che erano le cucine, dove alcuni uomini stavano lavorando, nonostante non lo ritenessi possibile. Perché i vampiri avevano bisogno di cuochi se praticamente si nutrivano solo di sangue e il cibo umano per loro non era altro che una specie di antipasto che non li avrebbe mai potuti saziare?

La cucina era sporca, puzzava di chiuso e di fritto. La nausea mi assalì prepotente, e mi portai una mano a coprirmi sia la bocca che il naso nella speranza così di attutirne gli effetti.

Azrael continuava a guidarmi, guardandomi di sottecchi di tanto in tanto, mentre le nostre mani si erano separate poco prima di entrare ferendomi inizialmente, ma poi consolandomi con un tenero bacio.

Eravamo quasi vicino alla porta quando si fermò all'improvviso e io gli sbattei inevitabilmente addosso.

«Tu.» la voce di Azrael era fredda, tonante e autoritaria. Indicò un uomo a caso, tra quelli presenti in quella sala.

Al suono della sua voce tutti si fermarono e si voltarono verso di noi. Probabilmente anche io sarei rabbrividito se non fossi stato così vicino al mio vampiro da potergli sfiorare leggermente la mano senza che lui si ritirasse.

«Più tardi porta qualcosa nelle mie stanze.» ordinò prima di voltarsi verso di me, guardandomi con quegli occhi rubati al cielo che erano freddi e duri come una pietra in quel momento. «Nanerottolo, ho detto tre passi indietro.»

I miei occhi presero a bruciare, ma non per le lacrime: per rabbia.

Abbassai ancor di più lo sguardo, poi teatralmente iniziai a tormentarmi le mani e cercai di calmarmi ripensando a quel tenero bacio di prima, alle nostre mani congiunte e alle sue parole. Dovevo essere paziente, sopportare quella freddezza che sapevo mi avrebbe riservato in pubblico per tenere al sicuro entrambi e dovevo aver fede nella sua promessa, anche se non era facile dopo tutte le ferite che mi aveva inferto.

«M... ma che differenza fanno tre, quattro o due passi?» chiesi con la voce più innocente che mi riuscì in quel momento.

Prima di quel momento non sarei mai riuscita a vederla quella mano che si mosse velocemente fino ad afferrarmi il collo. Ero sicura che avrei potuto evitarla, e l'istinto ci fu, ma cercai di ascoltare la mia natura umana, quella che in fondo era ancora mia nonostante ormai non lo fossi più completamente.

Le sue dita si serrarono sul mio collo dolcemente, senza farmi male, ma dall'esterno doveva sembrare che mi stessero stringendo. Alzai appena lo sguardo, lo guardai e poi cercai di togliere la sua mano con le mie, ma senza troppa insistenza, rantolando appena e il moro sembrò apprezzare la mia iniziativa.

In quel momento entrambi sembravamo due attori con un canovaccio da mettere in scena, dovevamo improvvisare, o almeno io dovevo.

«Ho detto tre passi.» la sua voce era tagliente. Come faceva a fingere così bene? Forse anni e anni di esperienza. Quante volte aveva finto anche con me? Non potevo far altro che chiedermelo.

Quante volte ti sei piegato e hai finto ciò che non sei Azrael?

Quel pensiero mi calmò appena, facendomi inumidire gli occhi, ma lui dovette mal interpretare le emozioni sul mio viso.

Mi lasciò, delicatamente quasi fossi un piccolo e gracile fiore che le sue mani potevano distruggere solo sfiorandolo.

Quale peso ti porti sulle spalle?

«Muoviti.» ordinò riprendendo a camminare.

Rimasi per qualche attimo ad osservare la linea delle sue spalle, fiera e larga.

Lentamente i miei occhi si stavano aprendo, era come se quel lago non avesse risvegliato solo la mia vera natura, ma anche qualcosa dentro di me che mi aveva permesso di vedere qualcosa che prima non avevo potuto o voluto vedere: le molteplici maschere del mio vampiro.

Chi era davvero Azrael? Era forse il vampiro gentile, quello timoroso di amare, oppure quello violento a cui piaceva spargere terrore? C'era poi anche l'Azrael un po' stronzo a cui piaceva giocare, quello un po' profondo e solitario che tendeva a mettersi in disparte a pensare. Quale tra questi era quello vero?

Come tutti anche lui era caduto vittima delle trappole sociali e familiari. Aveva perso la sua identità, la sua forma, si era cristallizzato ed era caduto in un Averno dal quale risalire non sarebbe mai più stato possibile.

Lui era ormai tutto quello e allo stesso tempo era nessuno; doveva sentirsi perso, eppure era così forte da non darlo a vedere.

Era come l'immagine di un caleidoscopio e io avrei dovuto amare ogni più piccolo frammento.

Ero pronto? Sì, lo ero.

«Muoviti!» mi incalzò Azrael, gli occhi leggermente preoccupati. Che stesse pensando che mi avesse messo paura? «Sono già abbastanza irritato per il bagno fuori programma.»

«S... scusa!» corsi subito vicino a lui stando lontano per ben tre passi. Non mi stupii neppure di non essere inciampato.

«Quante volte devo dirti di non chiedere scusa?» e questa volta giurai di aver visto un piccolo sorriso spontaneo che arrivò anche a me, ma come lui dovetti trattenerlo.

In quel momento non c'era spazio per la complicità.

Quando ci chiudemmo alle spalle la porta della cucina entrami ci guardammo e il mio vampiro si arrischiò ad accarezzarmi una guancia fugace.

«Parte numero uno andata.» sussurrò «Ora dobbiamo solo andare di sopra.».

Annuii e gli sorrisi. Avevo quasi paura di parlare, poiché sapevo che la mia natura per attirare i guai era sempre dietro l'angolo, pronta a richiamare problemi e per quel giorno ero stanco di vedere Azrael in pericolo; anzi, ero esausto dei problemi in generale.

Desideravo solo un bel bagno caldo con il mio vampiro, pieno di bolle e magari piccoli morsi.

Mi umettai inconsapevolmente le labbra affamato, guardandolo predatore.

«A cosa stai pensando Haru?» chiese guardandomi allo stesso modo.

Ad interromperci fu una figura femminile, che si avvicinò a noi stretta in quel succinto abito da sera che chiedeva di essere strappato e che di certo non lasciava spazio all'immaginazione di certe sue parti.

In quello stesso momento mi sentii irritato e allo stesso tempo sollevato quanto imbarazzato per ciò che stavo per fare pochi secondi prima.

«Azrael» lo chiamò la ragazza dai capelli rossi e gli occhi color topazio, accarezzandogli con la mano fasciata da un lungo guanto che le arrivava al gomito «Che cosa hai fatto? Sei così pallido.»

Giù le mani!

In quel momento mi sembrò di ringhiare, ma non era possibile giusto? Oppure sì?

Dopotutto quella stronza stava toccando il mio vampiro.

«Rebeca, my lady.» Azrael pronunciò il nome della ragazza senza problemi, frapponendosi tra me e lei, probabilmente per coprire la sua visuale, scossandomi un'occhiata di ammonimento, che però ignorai.

Sentivo i denti stridere tra di loro, mentre il desiderio di saltarle addosso e strapparle la testa a morsi mi animava ed era una vera sofferenza non poter seguire ciò che mi stava urlando l'istinto di fare.

«Ti ho cercato ovunque.» si lamentò lei sporgendo il labbro inferiore, ignorandomi completamente quasi fosse una mosca o un semplice corredo di quel fatiscente castello. «Non pensavo fossi una persona così difficile da rintracciare.» disse al suo orecchio, sussurrando maliziosa, solleticando il lobo con le sue labbra tinte di un rosso scarlatto sfumato di nero.

Conficcai le unghie nei miei palmi e chiusi gli occhi, prendendo un profondo respiro.

Dovevo calmarmi, ma era quasi impossibile riuscirci. Era come essere in mezzo a una violenta procella, forse persino nell'occhio di un ciclone. Era come essere scaraventati ovunque e più cercavi di fermarti, di aggrapparti a qualcosa, più non riuscivi ad uscirne ma anzi ogni cosa si agitava fino a perdere il controllo.

«Sei così pallido e bagnato.» osservò, scostandogli una ciocca mora dietro le orecchie «Sembra proprio che tu abbia bisogno di qualcuno che si prenda cura di te.» .

«Troia.» sibilai, sottovoce senza farmi udire. Mi uscì spontaneo, come respirare. Sapevo che era la rabbia a parlare, ma in fondo sapevo di aver ragione. Era solo una dannata puttana che si stava strusciando contro il mio ragazzo! L'avrei fatta a pezzi!

L'avrei fatto davvero se Azrael non me lo avesse impedito, staccandosi dalla ragazza e posizionandosi vicino a me; probabilmente, aveva sentito il profumo della mia aura omicida.

«Come vedi sono un tantino occupato al momento.» mi sfiorò appena la nuca e tale gesto bastò a farmi smettere di vedere ogni cosa di uno sfavillante rosso rubino scarlatto «Magari più tardi?».

Era morto.

«A... Azrael.» usai la voce più dolce e zuccherosa del mondo, quella del bambino bisognoso che voleva una caramella, ma al di sotto vi era un qualcosa di minaccioso e sottile.

Mi voltai verso di lui e mi morsi il labbro inferiore, sfortunatamente non potevo piangere visto che ormai le mie lacrime erano un misto di acqua salata e sangue.

«Se... se vuoi torno in camera da solo.» continuai usando il tono più dispiaciuto del mondo.

Il moro ghignò, godendo del fatto che fossi geloso. Non aveva per niente paura di me, ma una volta soli gli avrei fatto cambiare presto idea.

«Potrei, ma sei sotto la mia tutela.» ricordò «E poi per questa sera hai già combinato abbastanza guai.» aggiunse l'ultima parte gelido, anche se i suoi occhi brillavano di una luce tutta loro che contrastava con il suo tono di voce.

«Lascialo stare.» tentò Rebeca mettendosi in mezzo «Se vuoi punire qualcuno, puoi punire me.» lo invitò, umettandosi le labbra e posando una mano sul petto del MIO uomo.

Mi allontanai di un passo «S... Sei impegnato. Vado da solo.» lo dissi tremante, fingendo poi di inciampare nei miei stessi piedi.

«Sei il solito impiastro nanerottolo.» sbuffò il più grande chinandosi porgendomi la sua mano.

Io la presi immediata mente e da sotto il cappuccio ghignai in direzione della ragazza che ci stava guardando.

«Scusa.» dissi mordendomi il labbro inferiore tornando a guardare il mio vampiro, prima di alzarmi sulle punte e baciandolo, sorprendendolo.

«Divertiti.» dissi con voce rotta di pianto, iniziando poi a correre su per le scale, inscenando una fuga drammatica.

Forse mi divertii più del lecito, di quanto fosse normale (almeno per me), di certo non ero mai stato il tipo di ragazzo che marcava il territorio o che faceva di tutto per farsi notare, ma in quel momento era tutto ciò a cui riuscii a pensare; probabilmente, perché ero nuovo di quelle emozioni.

Avere un ragazzo? Fino a pochi mesi prima per me era stata un'utopia, mentre ora mi ritrovavi innamorato di un ragazzo bellissimo e che mi ricambiava, anche se ci avevo messo un po' per capirlo.

Mi ero sempre sentito inadatto in amore. Quindi come avrei mai potuto pensare alla gelosia? A come mantenere una cosa solo mia?

«Ci vediamo tra venti minuti davanti alla porta rossa del terzo piano.» lo sentii, nonostante fossi già in cima alla rampa di scale.

Voleva divertirsi? Ebbene, gli avrei reso la sua serata un inferno.

Dovevo esserci solo io nella sua testa e nessun altro.

POV Azrael

Lo raggiunsi in camera mia, trovandolo seduto sul bordo del letto con le gambe accavallate e il cappuccio del mantello che ancora gli copriva il volto.

Mi avvicinai e glielo scostai, facendo cadere quel morbido pezzo di stoffa sulle sue spalle.

I suoi occhi erano rossi, cangianti di una rabbia che li rendeva belli come rubini che filtravano la luce del fuoco.

«Non raggiungerai mai quella porta rossa.» con un dito mi fece segno di abbassarmi e come incantato lo feci.

Rimasi in silenzio, mentre lentamente mi sbottonava i bottoni della camicia e io di rimando scioglievo il laccetto del mantello, rendendolo così completamente nudo davanti ai miei occhi, poiché sotto quel drappo di stoffa non indossava niente.

«E come intendi fermarmi?» chiesi a un soffio dalle sue labbra.

Le sue gambe mi circondarono la vita e mi imposero di cadergli addosso, appoggiandomi sui palmi ai lati della sua testa per non pesargli.

«Io sono una ragione più che sufficiente.» non lo avevo mai visto così sicuro di sé, neppure così volutamente sensuale.

Quel cambiamento mi eccitò quanto mi mise paura.

In quel momento sapevo che era la sua parte vampiresca a guidarlo, che presto finito l'effetto della rabbia sarebbe tornato il dolce e impacciato ragazzo di prima. Ero consapevole che quegli sbalzi di personalità lo avrebbero caratterizzato per un po' di tempo, fino a giungere a un certo equilibrio; era normale, ma allo stesso tempo non lo era ai miei occhi.

«Davvero? A me non sembra.» lo stuzzicai.

Si protese e iniziò a baciarmi languido, rovente, togliendomi il fiato, passando le sue mani tra i miei capelli.

Ogni cosa divenne bianca, la realtà divenne il nulla e l'unica cosa che esisteva erano lui e le sue dolci e morbide labbra, le sue cosce che mi accarezzavano la vita e i suoi piedi che mi spingevano ancor di più addosso a lui.

«Io sono qui.» soffiò sulle mie labbra, togliendosi poi il mio nastro dal collo per lasciarmi campo libero.

«Mordimi.» quella risposta fu indecente per più di un motivo.

«Per quanto lusingato, non ho ancora intenzione di sposarmi.» risposi, iniziando a suggergli il collo niveo, assaggiando la sua pelle, lasciando piccoli e marcati segni che lo rendevano mio e solo mio.

Abbandonò un braccio al lato della sua testa, mentre l'altro accarezzava la base del mio collo.

Il suo volto era scostato di lato, le labbra erano aperte e lasciavano uscire dolci mugolii di piacere, mentre i suoi piedi mi incitavano a venirgli più vicino, quasi a spingermi dentro di lui sebbene io fossi quasi ancora completamente vestito.

«Cosa vuoi dire?» chiese, stringendo le pieghe della coperta mentre gli prendevo tra i denti uno dei suoi capezzoli, tirandolo e poi suggendolo quasi fossi un bambino davanti al seno di mia madre.

La sua voce era pura lussuria. Assolutamente indecente e impossibile da non amare.

«Esistono due riti matrimoniali. Uno ufficiale come quello umano, l'altro consiste nello scambiarsi il sangue per questo è raro che un vampiro beva il sangue di un altro.» spiegai, tornando al suo collo, mentre la mia mano scendeva ad accarezzargli la line del fianco dritto, ma leggermente sinuoso.

Mugolò di piacere, sospirando pesantemente e inarcando la schiena, sfrusciando la sua intima parte eccitata contro la mia gamba.

Mi voleva come io volevo lui e questo mi sembrava il sogno più bello della mia vita. Quanto avevo aspettato quel momento? Mesi, eppure a me sembravano secoli.

E' strano come ogni individuo non riesca mai ad accontentarsi: le mani che si sfiorano vogliono diventare carezze, le carezze vogliono mutare in trepidanti baci che poi si approfondiscono fino a diventare pura passione che si accende e cupidigia diviene il bisogno di unirsi in un modo più profondo ancora, carnale e spirituale.

Per alcuni il modo più diretto per toccare l'anima del proprio amante è quella di scambiarsi un profondo bacio alla francese. Per me invece era annegare negli occhi di quel ragazzino che avevo sotto di me, tra le mie braccia.

Salii di nuovo alle sue labbra, lo baciai tenendo gli occhi socchiusi, portando una mano tra i nostri venti.

Percepii il suo corpo fremere, entusiasta, di quei tocchi che gli stavo riservando.

Feci in tempo, solo, a toccare la punta del suo membro, a serrare la mia mano intorno ad esso e a pomparlo una sola volta che la magia si ruppe: posò le sue mani sul mio petto e mi spinse via, guardandomi con paura.

«C... che cosa?» sembrava spaesato, aveva le lacrime agli occhi. Era tornato totalmente se stesso.

Guardo attentamente me, la mia mano, la nostra posizione e arrossì vistosamente, tanto che immaginavo gli stessero fischiando le orecchie.

Lasciai la presa sul suo membro e gli accarezzai una guancia.

«Va tutto bene. Va a farti una doccia fredda.» non avrei mai potuto chiedergli di continuare.

Lui si alzò subito, non appena mi scostai e corse nel bagno adiacente alla stanza, lasciandomi lì da solo sul letto a osservare la porta oltre cui era sparito.

Mi sentivo strano. Perché ero felice che mi avesse fermato?

Perché mi aveva rubato il cuore fino al punto da voler consumare la mia prima notte con lui in un modo così speciale da dover essere indimenticabile?

Volevo fare l'amore. Per la prima volta nella mia vita volevo fosse amore.

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