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Tra le tue braccia. Insieme

Capitolo 22

"Tra le tue braccia. Insieme"

Di qualunque cosa le nostre anime siano fatte, la mia e la tua sono fatte della stessa cosa.

- Emily Brontë

Pov Haru

-Io non sono un mostro! - urlai, stringendo i pugni e cercando di togliermi di dosso quel sangue che in qualche modo mi stava facendo fremere dentro. Avevo sete, ero eccitato alla sola idea di poterlo leccare; il mio cuore palpitava veloce e leggero come le ali di un uccellino. In qualche modo sapevo che questa sensazione non mi era nuova, ma non riuscivo a ricordare come o quando l'avessi già provata.

"Davvero non lo ricordi?" chiese di nuovo quella voce che sembrava essere solo nella mia testa "Eppure è la prima cosa che hai assaporato quando sei nato.".

Mi presi la testa tra le mani e mi coprii le orecchie, nel tentativo di non sentirla più, di farla tacere e di rimanere me stesso; di far smettere anche quella strana sensazione di sdoppiamento che provavo e che non riuscivo a comprendere. Perché sembrava che la mia anima stesse sfuggendo al mio stesso controllo, dal mio stesso corpo?

-Certo che lo sei. Ci hai ucciso. - rise Lena, mentre i suoi occhi roteavano e rideva spaventosamente, quasi fosse un mostro.

Urlai, arretrando ancora di più, ma andai a sbattere contro Azrael che mi prese il mento e mi costrinse a guardare quell'orrore di sangue, quella pozza scarlatta ai piedi di mia sorella che brillava con un enorme rubino che rifletteva il calore del fuoco, le sue lingue danzanti.

Tremai, di fame. Perché? Che cosa mi stava succedendo?

-Come potrei mai amare un mostro come te? - chiese il moro al mio orecchio, facendomi irrigidire, mentre nella mia testa iniziarono ad affollarsi mille immagini diverse che mi fecero mancare il respiro e scoppiare la testa: lui completamente nudo nella vasca, con i capelli che si erano fatti ancora più scuri bagnati dall'acqua trasparente che lambiva il suo corpo; Azrael che mi baciava tenendomi per i polsi, io e lui stesi nello stesso letto e io che di nascosto lo baciavo e sorridevo come un idiota e poi lui attorniato da delle ragazze e le sue dure parole di scherno.

Era tutta colpa sua. Era solo colpa sua!

Mi dimenai, cercando di scostarmi da lui, ma non me lo permise. -Vuoi uccidermi? Fallo! - rise, leccandomi il collo il più grande -Ma io non ti amerò mai. Anzi, i tuoi sentimenti mi imbarazzano. -

-Zitto! - urlai, utilizzando tutta la mia rabbia per liberarmi dalla sua stretta.

Lo scaraventai lontano, contro gli alberi che si erano dipinti di rosso sangue. A causa dell'impatto quelli caddero come se fossero stati delle tessere del domino.

-Sei solo un violento. - mi rimbeccò mia madre, stringendosi a mio padre che le passò un braccio introno alla vita, mentre Lena strisciava verso di me lentamente, utilizzando le braccia.

-Perché non muori con noi, fratellone? - la sua voce era gioviale, quella di una pazza che aveva appena chiesto di avere una caramella.

-I mostri devono morire. - disse duro mio padre, guardandomi con occhi freddi come il ghiaccio.

-NO! - urlai piangendo e inginocchiandomi a terra, scuotendo forte la testa.

Le lacrime erano calde, come sangue che colava dalle ferite. Facevano male, erano come mille aghi che continuavano a trafiggermi e a uccidermi. Perché dovevo provare tutto quel dolore?

-Basta. - singhiozzai, stringendo i margini della camicia che indossavo.

Ero stanco, avevo fame ed ero provato. Perché nessuno mi capiva? Perché nessuno mi amava?

Ma in fondo in che cosa avevo sperato? Come avevo potuto sperare di essere qualcosa di diverso da ciò che ero sempre stato: un inutile e debole verme?

Piansi, stanco di ogni cosa. Anche di me stesso.

Forse avevano ragione: ero un mostro e come tale dovevo morire.

In fondo bastava poco: un coltello, qualcosa di contundente, e tutto sarebbe finito. Io non sarei più esistito e tutti sarebbero stati felici, nessuno avrebbe mai potuto sentire la mia mancanza, no? Azrael in fondo sarebbe stato solo felice; gli avevo donato il cuore, ma lui non lo aveva mai voluto. Nessuno avrebbe mai potuto accettarlo, ormai lo avevo capito.

"Sicuro? Potresti vivere e ucciderlo. Fargliela pagare." Cercò di istigarmi quella voce, ma ciò non fece che farmi piangere ancora di più.

Mi voltai indietro, verso l'uomo che amavo: quel vampiro che mi sorrideva in modo strafottente e con il buio più tetro e freddo negli occhi, che non avrebbe mai potuto darmi niente se non odio e disprezzo.

Io non volevo vivere a quel mondo, non volevo vivere accanto a lui a quel prezzo e non potevo neppure ucciderlo.

All'improvviso percepii qualcosa tra le mie mani: un pugnale. Lo guardai, senza chiedermi come quello fosse finito lì, semplicemente lo impugnai, rispecchiandomi in quella superficie lucida che faceva da specchio. Sulle mie guance una scia scarlatta segnava il passaggio delle mie lacrime, le mie stesse iridi erano rosse come non le avevo mai viste. Dov'era finito il verde dei miei occhi?

-Ucciditi. Forza. - mi istigò mia sorella, che poggiò le mani sulle mie ginocchia, sorridendomi calda per la prima volta.

Avvicinai la lama al mio collo, ve la appoggiai sentendo il freddo che essa emanava, insieme al sentore di morte. Era davvero questo che volevo? Sì. Allora perché mi tremava la mano?

-Haru non morirà. Non fino a che ci sarò io. - disse all'improvviso la voce di Azrael. Mi voltai indietro, ma lui era lì e rideva, agognano il momento della mia fine.

Che me lo fossi sognato? Sì, dovevo essermelo semplicemente immaginato.

Chiusi gli occhi, feci una lieve pressione, ma la mia mano continuava a tremare ed era come pietrificata. Perché non riuscivo a muoverla? Perché era come se un'altra mano mi stesse fermando? Eppure nessuno mi stava tenendo.

-Se solo osa morire lo andrò a ripescare all'inferno. Anche a costo di perdere me stesso. -andò avanti quella voce dolce, permeata quasi da una sorta di dolore oltre che da una risolutezza che non mi sembrava di avergli mai sentito avere.

-Perché fai tutto questo? - chiese la voce familiare, calda e vellutata di Deneb.

-Non è a te che devo dare questa risposta. La sussurrerò solo ad Haru. -.

Sorrisi, nel percepirlo leggermente imbarazzato e contrariato, come un bambino a cui era stato tolto il proprio vaso di biscotti.

Allontanai lo stiletto e aprii gli occhi. Il paesaggio era cambiato di nuovo come anche gli attori sul palcoscenico, ora tutto si era macchiato di candida neve e davanti a me c'era un bambino che mi fece sorridere e allo stesso tempo palpitare il cuore.

Non avevo dubbi su chi fosse, lo avrei riconosciuto tra mille. Non importava che età avesse, lui era lui: lunghi capelli neri leggermente ondulati e ribelli, lunghi fino alle spalle; un piccolo nastro rosso legato al collo, esattamente come me. Il suo portamento era come sempre elegante e i suoi occhi erano muri gelidi e seduto sul tronco di un ramo leggeva il suo libro preferito apatico, privo di qualsivoglia emozione.

-Azrael. - sussurrai e lui si voltò verso di me mantenendo la sua aurea scultorea.

Era vuoto dentro.

Scostò di nuovo lo sguardo e guardò il cielo, verso l'unica stella presente.

Disse qualcosa in quel momento, qualcosa che mi fece stringere il cuore e precipitare ancor di più nelle tenebre.

Pov Azrael

-E' la sotto giusto? - chiesi a quel molesto fantasma che finalmente mi aveva lasciato andare.

Non ero abituato a essere abbracciato; non che fosse stato sgradevole, ma mentre le sue bracciami avevano stretto a sé avevo come sentito di nuovo quella strana emozione che avevo provato già in precedenza e che in fondo non mi aveva mai abbandonato.

Mi sentivo attratto da lui, non in modo fisico, ma da un punto di vista spirituale, forse? Sapevo solo che la mia anima vacillava, tremava come calamitata da quella persona e più si allontanava, più mi sembrava di subire uno strappo. Era come se in sua presenza mi sentissi quasi completo e prima fossi stato sempre vuoto. Perché? Non trovavo una risposta.

Al suo cenno affermativo mi tolsi il mantello e anche la parte superiore degli indumenti che indossavo, rimanendo così solo con i pantaloni a coprirmi.

Posò una mano sulla mia spalla.

-Non farlo. Queste acque ti respingeranno e ti uccideranno. - mi avvertì. I suoi occhi blu brillavano determinati a non lasciarmi andare, come se fosse preoccupato per me.

-E' là sotto da troppo tempo. - scostai la sua mano delicatamente -Lo vado a riprendere. -.

Si mise davanti a me e mi prese il viso tra le mani. -Se interromperai il rituale lo ucciderai. - posò la fronte sulla mia e per un'istante vidi il corpo di Haru, il suo piccolo corpicino dormiente in mezzo al rosso sangue e i capelli bianchi che brillavano e fluttuavano come fili d'argento. Il suo viso era contrito a causa del dolore e della paura.

Durò solo un istante, ma lo vidi. Se voleva farmi desistere aveva ottenuto l'effetto contrario.

-Non mi importa. - lo scostai e poi serrai le dita contro il bordo del parapetto di legno. Una lieve nebbia aveva iniziato ad alzarsi e a solcare le acque rosse di quel bacino che mi attirava e allo stesso tempo mi metteva i brividi. Perché Dusporia? Perché era caduto proprio in queste acque?

-Perché non è mai stato lui l'Angelo. - rispose il fantasma accanto a me, attraversando la barriera di legno come se fosse incorporea e iniziando a camminare sulle acque scarlatte e calme di quel luogo.

Solo in quel momento lo notai: la camicia che indossava sulla schiena era stacciata in due punti, esattamente sulle scapole, là dove solitamente nascono delle ali.

-Deneb. - lo chiamai, sicuro che quello fosse il suo nome. Lui era l'Angelo originale!

-Lo hai sempre saputo questo Azrael. Dal primo momento in cui l'hai visto; lui non è l'Angelo, è solo una chiave. - sorrise puntando il viso verso il cielo e alzando le braccia, come a voler toccare qualcosa che però non poteva raggiungere. Forse quel cielo che aveva abbandonato per creare questo mondo che infine lo aveva ucciso.

-Questo non spiega comunque perché sia capitato proprio in questo luogo. Io non posso entrare in queste acque dico bene? Però tu hai permesso lui di caderci. Perché? Disinteresse, codardia o perché è qui che doveva giungere? - chiesi sprezzante -E' un mezzo vampiro vero? Eppure lo tieni in considerazione. Perché? -.

-Sei un vampiro brillante Azrael. Quindi so che avrai già anche le risposte. - abbandonò le braccia lungo i fianchi e torno a osservarmi da dietro la spalla.

-Io non ho alcuna risposta. - mi passai una mano tra i capelli e lo guardai tagliente -Io mi creo solamente il mio destino. - feci per oltrepassare quel parapetto che mi divideva da quelle acque scure e dense, ma il corpo all'improvviso fu come pietrificato.

-Non posso permetterti di cadere. - la gentilezza di quella persona era come svanita. Ora c'era solo il dispiacere e il dolore ad animare quel viso.

-Lasciami. - ordinai freddo tra i denti.

-No. - scosse la testa, portandosi le braccia dietro alla schiena. -Dovrai raggiungerlo da qui. -.

-Sai che questa cosa non riuscirà a fermarmi per sempre. - chiusi gli occhi e tentai di concentrarmi. Dovevo solo figurarmi delle catene e farle marcire, arrugginire, distruggerle come ogni cosa.

Sì, era esattamente quello che dovevo fare. Far appassire i miei sentimenti, sacrificare ogni cosa bella e sporcarla, ridurla in cenere e poi andarmene.

Ero sempre stato bravo in ciò; eppure, perché non lo fui anche questa volta?

-Ti fermerà fino a che non accetterai ogni cosa di te stesso. - nella sua voce c'era una sicurezza disarmante.

Sembrava conoscermi, riuscire a leggermi dentro; eppure, mi sembrava una cosa impossibile. L'unico che poteva conoscere il reale me stesso ero io, soltanto io.

-Sono parte di te Azrael. Lo hai sempre saputo. - la sua figura stava svanendo -Fui io a indicarti la tua stella. E ora è qui, afferrala! - piroettò su se stesso, come un bambino e poi regalandomi un sorriso svanì; esattamente come era venuto: nella luce.

Cercai di muovermi, ma sembrava che il suo potere non si fosse dissolto con lui e ancora mi ancorava al suolo di quel ponte che avrei voluto distruggere.

Una volta che fui finalmente solo un forte senso di mancanza mi attraversò, ma mi mantenni ferreo, immobile come una statua, mentre osservavo quel bacino rosso sangue iniziare ad essere coperto dalla bassa foschia che iniziava ad alzarsi e a formare una nebbia spessa, quasi della stessa consistenza delle nuvole; banca come i suoi capelli.

E così dunque ci era davvero riuscito? Era riuscito davvero a far palpitare il mio cuore, a farmi innamorare?

Un sorriso pieno di disprezzo inarcò le mie labbra, mentre socchiudevo gli occhi e tentavo di respirare, di liberarmi da quelle dannate catene che mi imbrigliavano e che erano solo mie.

-Ehi Haru. - perché stavo iniziando probabilmente un inutile e lungo monologo? Neanche ero certo che potesse sentirmi -Dragan probabilmente ti sta cercando nella foresta. Non sarebbe ora da tornare da lui? - chiesi con voce che non mi sembrava mia. Era sottile, piena di dolore.

-Ti ha davvero ferito essere chiamato giocattolo? Ti ho fatto davvero così tanto male da dover fuggire fin in questo dannato lago! Non credi che quello più ferito sia io? Sei un dannato egoista e probabilmente un pazzo; forse io ho una dannata ossessione per te, ma tu... tu provi di qualcosa più insano. - le catene iniziarono ad allentarsi e mossi lentamente un piccolo passo -Ti ho lasciato tra le braccia dei nemici, ti ho morso, quasi violentato e probabilmente quasi ucciso e tu dici di amarmi. Com'è possibile? Come puoi dire di amarmi quando non mi conosci? Quando tutto ciò che faccio non fa altro che distruggerti! -

Era un maledetto malato di mente, un folle che mi aveva distrutto la vita, fino a far crollare ogni mia convinzione e mettere in discussione la mia stessa esistenza; tuttavia, una parte di me, mi diceva che in realtà lui mi aveva salvato: mi aveva aperto le sue braccia e mi aveva cinto, stretto, in quel suo caldo abbraccio che mi aveva permesso di uscire dal gelo dell'oscurità e farmi piangere, respirare e battere il cuore. Mi aveva risvegliato da quel torpore in cui ero caduto, da quel sonno in cui mi ero costretto per non ricordare il sangue, le braccia di mia madre e il suo profumo mentre mi stringevano, insieme a quelle di mio padre che si era fatto mio scudo.

Non avevo mai ucciso i miei genitori, ma in fondo era tutta colpa mia se loro si erano accasciati al suolo mentre io ero sopravvissuto, sporco del loro sangue di cui infine mi ero cibato.

Una lacrima cadde fuori dal mio controllo. Da quanto tempo non piangevo?

Non ero mai stato un dannato moccioso frignone, uno con il moccio al naso che utilizzava le lacrime per ogni cosa. Avevo sempre mal sopportato quelle perle salate, così amare da far sembrare il mondo grigio, sporco, corrotto e distrutto; arrugginito come la morte.

Eppure piangere voleva davvero dire essere deboli? Come potevano semplici gocce trasparenti far così tanta paura ad un uomo o a qualunque altra creatura esistente?

-Dove sei Haru? - chiesi affranto, mentre le catene si spezzavano; quegli stessi vincoli che io mi ero autoimposto.

Serrai le mani alla balaustra e guardai sotto di me, il mio vacuo riflesso. Le mie lacrime caddero, scure, scarlatte, come quelle di ogni altro vampiro, ma che a contatto con quella superficie che era fatta della stessa sostanza, divennero pure come acqua trasparente, brillante.

Fu come far spandere una goccia d'inchiostro all'interno dell'acqua: le mie lacrime crearono tanti cerchi sulla superficie, piccole onde, scaglie di dolore sferico, concentrico, come il tempo, ma così pure da cambiare la colorazione di quelle acque rosse di sangue.

-Ti amo. Non so come o perché, ma ti amo. - chiusi gli occhi e lasciai che le mie lacrime cadessero in quel maledetto lago che mi stava portando via la più bella cosa che forse avrei mai potuto avere al mondo.

Pov Haru

Ti amo.

Parole senza senso, parole futili come l'aria che i miei polmoni non necessitavano. Due parole che mi fecero ribollire il sangue nelle vene.

Sentivo il liquido denso intorno a me quasi ribollirmi nelle orecchie, era come se fossi all'interno di una pentola a pressione pronta ad esplodere.

Ti amo.

Ringhiai, mentre quella voce che ben conoscevo mi si insinuava nella testa e iniziava a martellarmi come un'eco molesto all'interno della grotta.

Quel narcisista fanatico di se stesso credeva di incantarmi forse con le sue parole? Credeva forse che ci sarei cascato anche questa volta e che mi sarei prostrato adorante ai suoi piedi pronto a leccarglieli?

Strinsi i pugni, aprii gli occhi di scatto e uscii. Emersi da quel bacino che mi stava lambendo con le sue scarlatte acque, balzai con tutta la forza che possedevo nel mio corpo verso quel viscido lombrico che non aveva fatto altro che ferirmi, trattarmi come un mero giocattolo.

Lui sarebbe stato il prossimo sulla mia lista di sangue: gli avrei stretto il collo, staccato la testa a morsi, ma non prima di aver affondato la mia mano del suo corpo marmoreo e peccaminoso per strappargli ogni singolo organo vitale che in fondo non gli serviva affatto.

Non mi scansò, si fece abbattere sul ponte, sovrastare dal mio piccolo corpo e non perché fosse debole, ma semplicemente perché non mi vide colto dalla sorpresa e forse dalla rabbia che riluceva nei miei occhi.

La sentito viva, come il sangue che mi stava scorrendo turbinoso nelle vene e che sgocciolava dai miei capelli, sul suo corpo, bruciandolo appena.

Provò ad usare il suo potere, ma fu inutile, come la paura nei suoi occhi.

Non mi avrebbe più usato, non sarei stato mai più il suo giocattolo. Non gli avrei mai dato ciò che voleva!

-Haru... - biascicò, prendendo con entrambe le mani il mio polso, facendo una smorfia di dolore a causa del liquido che impregnava tutta la mia pelle e che per lui era veleno.

-Ti odio. - questa volta quella frase non fu mai più vera. Lo odiavo dal più profondo del mio cuore, della mia anima intera.

Lo odiavo a causa dell'effetto che mi faceva, anche in quel momento, mentre percepivo il suo corpo sotto di me.

Lo odiavo perché era tutta la mia vita. Lo detestavo perché il mio cuore continuava a battere in sua presenza.

-Ti amo. - sussurrò lui. Sapevo che non avrei mai potuto ucciderlo, nemmeno strappandogli il cuore o facendogli mancare l'aria perché l'unico modo che esisteva al mondo per uccidere un vampiro era tramite un paletto che ormai era andato perduto per sempre, o così almeno mi aveva spiegato Dragan.

Ringhiai, lo feci alzare da terra e poi violentemente lo gettai tra le acque torbide di sangue che da rosso scarlatto si erano tinte di nero.

Era come se il lago all'improvviso fosse diventata una pozza di catrame bollente.

Era la rabbia a guidare il mio corpo. Verso me stesso e lui.

Il sogno era finito, ricordavo ogni cosa, ma soprattutto mi bruciavano dentro ancora le parole di quell'Azrael bambino che aveva accompagnato il mio viaggio in quegli ultimi istanti prima che mi risvegliassi.

Se tu sei la mia stella, uccidimi. Fa sparire questo dolore.

Aveva pianto, mi aveva mostrato la sua espressione più tormentata e piena di agonia. Si era accartocciato su se stesso, su quel ramo sottile, stringendosi il petto con le mani quasi volesse strapparsi il cuore.

I suoi occhi rubati al cielo stellato si erano fatti acquosi, velandosi di lacrime che avevano iniziato a sgorgare copiose, mentre le sue guance si erano fatte rosse.

E in quel preciso istante si erano aperte sulla sua schiena delle ali nere e dalle piume rosse, come nelle mie fantasie, nei miei sogni più vividi.

Con passo austero e freddo osservai le acque del lago e aspettai. Aspettai che emergesse e quando lo fece lo sentii urlare di un dolore atroce. Un dolore che mi risuonò nell'anima.

Nuotò fino a riva, si issò strisciando e scavando con le unghie nella neve.

Andai da lui lentamente, gli lasciai il tempo di accartocciarsi su se stesso e di cercare di respirare, mentre la voce aveva smesso di uscire dalla sua bocca che però continuava a muoversi ansimando.

Mi chinai e gli accarezzai una guancia, inclinando appena la testa e osservandolo.

Non gli avrei mai dato ciò che voleva, ma al contrario gli avrei donato ciò che di più si voleva togliere dal petto: il dolore.

-Haru... - disse tra i denti, guardandomi come un cucciolo smarrito.

Alzò un braccio e mi accarezzò una guancia dolce come se stesse accarezzando la corolla di una rosa, raccogliendo le piccole gocce di pioggia che si erano soffermate sui petali che la componevano dopo una giornata di pioggia.

-Haru, ti amo. -

-Non ti credo. - ma non mi mossi. Cos'era quel formicolio nel mio stomaco?

-Non ti biasimo. - lasciò cadere il suo braccio e chiuse gli occhi per il dolore.

Perché non combatteva! Perché non diceva più nulla! Non era da lui arrendersi!

Perché ci stavo sperando?

Perché lo amo così disperatamente? Mi chiesi, mentre una parte dentro di me sorrideva, come se un semplice sorriso potesse essere una risposa.

-L'amore è un cane che viene dall'Inferno*- sussurrò.

Aprì gli occhi di scatto e con uno sforzo che non compresi mi cinse e mi portò a stendere sopra di lui, contro il suo petto.

-Mordimi. - disse.

Io rimasi fermo, guardandolo, non comprendendo il perché di quella richiesta.

-Hai fame. Mordimi. - mi guardò da sotto le palpebre socchiuse -E' un privilegio solo tuo. - sussurrò al mio occhio, mentre con una mano mi spingeva contro il suo candido collo accarezzato dai suoi neri capelli.

Lo feci. Lo morsi, comprendendo solo in quell'istante che quella che avevo scambiato per rabbia in realtà era fame, che quel formicolio nello stomaco era la necessità di sangue, il suo sangue.

Affondai i miei denti nella sua carne molle, artigliai con le dita i suoi vestiti bagnati, impregnati di quella sostanza nera che gli aveva fatto del male.

Affondai e iniziai a succhiare via la sua linfa, facendola scendere calda nella mia gola, mentre lui mi stringeva e mi sussurrava di non fermarmi, incitandomi così a continuare.

Mano a mano che il sangue mi riempiva sentivo qualcosa placarsi, i miei sensi risvegliarsi. Era come se all'improvviso fossi vivo ma in un'altra dimensione, era come se il mondo ed io non fossimo più sullo stesso piano, ma al medesimo tempo sì.

Tutto si era fatto nero, ma contemporaneamente più vivido, leggero e vero.

Mi amava davvero? Potevo credergli?

Mi aveva distrutto la vita, facendo crollare ogni mia convinzione; aveva messo in discussione la mia stessa esistenza. Tuttavia, una parte di me, sapeva che in realtà lui mi aveva salvato: era stato capace di trovare un fiore in mezzo al nulla, un'impresa impossibile, ma in cui lui aveva avuto successo; lui aveva fatto emergere il vero me.

Forse era solo perché ero ancora nel mio mondo ovattato, ma volevo credergli.

Ora che ero finalmente tra le sue braccia volevo credergli con tutto me stesso e non mi importava se sarebbe potuta sembrare una storia d'amore vista e rivista. Era la mia e tanto mi bastava.

Tra le sue braccia il mondo avrebbe potuto crollare, ma fin tanto che mi stringevano non mi importava di nient'altro che di noi.

*Titolo di una poesia di Charles Bukowski |Premettendo che non abbiamo mai studiato Bukowski la nostra interpretazione personale è che il poeta veda l'amore allegoricamente raffigurato da un cane in quanto il "cane" è il migliore amico dell'uomo, ma molto spesso questo animale viene maltrattato, ferito e poi abbandonato; un trattamento che molto spesso viene riservato alle persone che amano davvero. Azrael con questa sentenza vuole esprimere esattamente questo, sottintendendo però che è un rischio che vuole correre.


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