Promesse
Capitolo 23
"Promesse"
Si possono promettere azioni, ma non sentimenti, perché questi sono involontari. Chi promette a qualcuno di amarlo sempre o di odiarlo sempre o di essergli sempre fedele, promette qualcosa che non è in suo potere; invece può ben promettere quelle azioni, che sono sì, di solito, effetto dell'amore, dell'odio e della fedeltà, ma che possono anche scaturire da altri motivi: giacché a un'azione conducono più vie e motivi.
F. Nietzsche
Pov Dragan
Lo cercavo ormai da ore, ma senza alcun risultato.
Avevo seguito il suo odore, ma all'improvviso quello era scomparso, come se Haru fosse inspiegabilmente sparito in quel punto, ma sapevo che non poteva essere così.
Non avrei mai dovuto lasciarlo solo, non con Azrael per lo meno. Era stato un errore, che forse avrei rimpianto per sempre; tuttavia, ormai era inutile crucciarsi su qualcosa che era già successo. Dovevo farmene una ragione e continuare a cercarlo.
Non sapevo cos'era accaduto tra i due, ma per essere fuggito doveva essere accaduto qualcosa di grave.
Mi morsi il labbro inferiore e mi tolsi la giacca, gettandola a terra e calpestandola per la frustrazione.
«Lo sai vero che così non arriverai a nulla, vero?» chiese pacato Ryan, seduto sul ramo secco di uno di quegli alti alberi neri e bruciati, come se la loro vita fosse stata risucchiata loro dall'Inferno stesso. In fondo quella parte di terra mi era sempre sembrata una grossolana replica dell'Averno: niente brillava, ogni cosa era morte e tutto era impregnato solo di terrore. Non cresceva neppure un fiore lì e persino il mare che non era poi così distante era silente, come se avesse avuto il timore di farsi udire persino lui che era temibile, grande ed infinito.
«Perché sei qui?» chiesi. In realtà lo sapevo, lo sapevo benissimo, ma ogni volta avevo il bisogno di sentirmelo dire.
«Sono qui per te.» scese dal ramo con grazia, senza far rumore, mentre i suoi capelli divennero fiamme bellissime sotto la luce della luna piena di quella sera.
Era strano come la luna potesse essere visibile sono in alcuni punti e non in altri, era come se le fosse stato lanciato un incantesimo o forse persino lei come il mare aveva paura di farsi scorgere in quel regno, a differenza di quello della luce dove non ve ne era una sola, ma tre.
Era come se Fos in realtà non fosse un'unica terra, ma due parti di una stessa entità collocate in due dimensioni differenti e farne da portale erano le colline di Ezarco*.
«Non ho bisogno di te in questo momento se non sai dirmi dov'è.» sapevo di essere sempre duro nei suoi confronti, ma era meglio così. Non avrei mai potuto ricambiare quei sentimenti che sapevo lo animavano in mia presenza.
«Anche se lo sapessi non te lo direi.» mi arrivò di fronte e alzò il viso per guardarmi, quel suo tondo viso da bambino contornato da quei corti e scarlatti capelli come il sangue e gli occhi grigio-viola così profondi e tetri da raccontarne tutta la sua storia.
A volte avevo l'impulso di accarezzarlo, di chinarmi e baciarlo. Ma era irragionevole, perché in fondo non era altro che un bambino; un bambino che non avrebbe potuto vivere per sempre, non al mio fianco per lo meno. Eppure, era anche l'unico che non mi aveva mai tradito.
«Allora vattene.» si aggrappò subito a me, alle mie gambe. Attanagliò i miei pantaloni e li strinse dolcemente, spiegazzandoli.
«Sai che non ti amerà mai.» cercò di destarmi dalle mie illusioni, di farmi vedere la verità che in fondo avevo già visto e compreso, ma che mi ostinavo a non voler guardare nonostante fosse lì alta e imponente come un muro indistruttibile.
«Lasciami.» gli ordinai e lui scosse la testa, aggrappandosi di più a me.
«So che provi qualcosa.» la sua voce era quasi disperata «Ti prego, smettila di negare e farti del male.»
Mi voltai e me lo tolsi di dosso, facendolo cadere a terra, facendo poi comparire una spada al nulla, puntandogliela alla gola.
Il mio era sempre stato un potere insulso, di nessuna utilità. Per questo mio padre mi aveva sempre denigrato e se non mi aveva ucciso era stato solo perché in fondo era consapevole che nelle mie vene scorreva il suo sangue e che le mie spade potevano uccidere gli altri vampiri.
Era un potere raro, che in pochi possedevano e che pochi conoscevano. Tutti avevano solo paura del paletto bianco, l'unica arma al mondo in grado di uccidere i vampiri, ma in realtà non la sola.
Nei secoli alcuni vampiri erano nati in grado di uccidere i loro simili, ma erano pochi, tanto da potersi contare sulle dita di due mani.
«Io non provo niente, niente, per te.» dissi duro, glaciale, con occhi scarlatti e recidendo appena in un graffio la sua gola.
Non ero un santo, non ero neppure un diavolo. Ero entrambi o forse peggiore di tutti e due.
Pov Azrael
Sembrava che quella fosse la serata delle prime volte; delle mie prime volte: lo avevo seguito quando solitamente io non ricorrevo mai nessuno, gli avevo detto di amarlo quando avevo promesso a me stesso di non pronunciare mai quelle due parole che fino a quel momento non avevano mai avuto senso per me e poi lo avevo lasciato mordermi, un gesto intimo per un vampiro che significava voler dare importanza a qualcuno.
Gli accarezzai i capelli, mentre steso sulla neve e con dolori per tutto il corpo lo lasciavo fare, gli lasciavo prendere parte della mia vita, della mia anima come non avevo mai concesso a nessuno, solo perché era lui: il mio nanerottolo, quello che inciampava ovunque e che non sapeva dire più di due parole senza balbettare.
«Haru.» sussurrai pacato il suo nome, posando un bacio dietro al suo orecchio «Ora puoi lasciare.» lui al contrario succhiò più avidamente, con rabbia, tirandomi persino i capelli per poter aver più accesso al mio collo.
Inavvertitamente mi si strusciò contro e io mugugnai in assenso, palesemente eccitato a causa della situazione che mi sembrava assurdamente erotica nonostante fossi io sotto. In quel momento ribaltai le posizioni e lo costrinsi così a staccarsi: «Questo non sei tu.» gli rammentai, mentre lui silenzioso mi guardava, leccandosi malizioso i lati della bocca.
Sorrisi e gli accarezzai una guancia. Ero stanco, ma non potevo ancora lasciarmi andare, dovevo farlo tornare normale, dovevo portarlo fuori da quella foresta dimenticata e riportarlo al castello e poi pensare a un piano di fuga. Non potevo perdere i sensi, non potevo assolutamente perdere contro me stesso, perché lui era troppo importante, troppo. Ormai ne ero consapevole: ero totalmente dentro alla situazione e non potevo più uscirne, perché senza la mia stella mi sarei perso ancora una volta e forse questa volta anche per sempre.
«Sei dannatamente eccitante.» raccolsi tutte le mie forze, cercai di relegare il dolore che mi stava divorando dentro «Ma mai come quando sei te stesso: ovvero quel piccolo impiastro che inciampa ovunque e che mi fa saltare i nervi.».
I suoi occhi mi guardavano spaesati, verde come il mare di libertà che erano sempre stati e non più scarlatti come rubini che contenevano i lapilli di un fuoco indomabile.
«Azrael?» chiese incerto, sbattendo le palpebre più volte e guardandosi intorno.
«Ciao nanerottolo.» lo salutai sprezzante «Quando credi mi potrai pagare per i miei servigi?» chiesi, scostandomi da lui e mettendomi in piedi senza sembrare di essere debole come invece ero.
La testa vorticava, la nausea era forte e il dolore alla schiena insopportabile.
Non era la prima volta che succedeva, ma mai come allora quel tumulto era stato così forte da farmi quasi perdere i sensi. Dovevamo sbrigarci.
Lo aiutai ad alzarsi, prendendolo per un braccio e tirandolo verso di me. «Quante volte ancora devo salvarti?» chiesi leccandogli un po' del mio stesso sangue che gli sporcava la bocca, nella speranza che mi desse abbastanza forza per resistere.
«N... Non sono stato io vero?» chiese guardandomi con occhi acquosi, nella speranza che gli affermassi quella che voleva essere la sua illusione.
«Se anche fosse? Da te mi faccio mordere volentieri.» gli sussurrai ad un orecchio. Sperai non si accorgesse di lulla, di sembrare sempre lo stesso vampiro strafottente e insensibile di sempre «Anche se è meglio non esagerare o rischi di trasformarti in un vampiro vero.» mi scostai, per sembrare ancora più freddo.
Lui mi afferrò la mano, dai suoi occhi iniziarono a scendere perle salate e di sangue insieme, a voler sottolineare la sua nuova natura.
«M... mi dispiace. Che cosa mi sta succedendo!» chiese urlando e tirandomi la mano.
Dovevo dirglielo? Dovevo forse rivelargli qual era ormai la sua natura? Sembrava non ricordare niente in quel momento; forse non avrebbe ricordato neppure dopo e in parte ci speravo, speravo che non ricordasse affatto quel "ti amo" che gli avevo ripetuto quasi alla disperazione nel tentativo di riaverlo con me. Dall'altra parte però volevo che ricordasse, perché non fosse più insicuro sui miei sentimenti.
«Non lo so.» mentii «Sei sempre stato strano, una stranezza in più non fa differenza.» mi sottrassi al suo contatto e iniziai a muovermi per tornare là dove Zafirus mi aveva lasciato, nella speranza non fosse troppo lontano.
«Tu stai bene vero?» chiese singhiozzando e seguendomi.
«Mai stato meglio! Sono solo seccato perché il cane mi ha quasi colpito e tu te ne sei andato, nascondendoti in una dannata foresta dimenticata da Dio.»
«Preoccupato per il tuo giocattolino?» chiese fermandosi.
Mi voltai, aveva lo sguardo basso, come quello di un cane bastonato. «Ancora con questa storia?» chiesi «Non ti facevo uno che portava rancore.».
Perché questo idiota non ricorda!
Non disse nulla.
«Puoi portarmi da lui?» chiese, la voce era fredda come il paesaggio che ci circondava.
«Da chi?» chiesi, mentre oltre al dolore si aggiungeva anche l'irritazione capendo esattamente chi volesse intendere.
«Dragan. Anzi ci vado da solo.» mi superò, ma io gli presi il braccio e in meno di un battito di ciglia lui si ritrovò tra una corteccia d'albero e me.
«Tu non andrai da nessuna parte.» ringhiai. Il dolore momentaneamente scomparso sostituito dalla rabbia «Non ho detto almeno duecento volete di amarti questa notte per vederti correre tra le braccia di quello!» sputai velenoso, tra i denti.
Lui sorrise «Me lo hai detto solo una decina di volte.» mi corresse.
Mi prende in giro? Ruggii tra me e me.
Stavo per prenderlo a pugni, quando mi prese il viso tra le mani e mi baciò, dolcemente «Non te la sei presa vero?» chiese con quel suo viso innocente.
Quanto era umano e quanto vampiro in quel momento? Non riuscivo a darmi risposta.
Era semplicemente entrambi, lo potevo vedere dai suoi tratti che erano mutati: infatti, i tratti infantili avevano lasciato spazio a quelli più affilati di un vero e proprio ragazzo. I capelli si erano leggermente allungati, diventando ancora più bianchi della stessa neve e della luce della luna.
«Affatto, nanerottolo.» ma il mio tono di voce dovette parergli comunque leggermente risentito.
Non me ne curai e iniziai a spogliarlo a partire dalla camicia ad arrivare ai pantaloni.
«C.. che stai facendo?» chiese Haru imbarazzato, guardandomi ma senza muovere un dito.
«Mi sembra ovvio.» risposi.
Il dolore sembrava essersene finalmente andato, ma sapevo che non avevo tempo da perdere, perché prima o poi sarebbe ritornato e forse più forte di prima.
«N...Non mi sembra affatto!» mi fermò le mani, le sue guance erano completamente rosse per l'imbarazzo.
Ghignai. «Oh, stai pensando a quello. Vuoi già ripagare la mia gentilezza?» era impossibile per me non stuzzicarlo, anche mentre stavo male.
«N... no!» la voce gli uscì stridula. Stava andando in iperventilazione, era meglio non tirare troppo la corda; non per quel giorno almeno.
Lo baciai dolce, come facevo solo con lui.
«Devo solo farti spogliare per metterti il mio mantello asciutto. Tutto questo sangue attirerebbe gli altri vampiri una volta tornati al castello.» gli lascia solamente il mio nastro rosso e poi gli misi addosso il mantello che avevo pensato bene di togliermi e che avevo recuperato poco prima alzandomi.
«Ma ora non sono una specie di vampiro?» chiese «Non dovrebbero ignorarmi?».
«Non sei un vampiro... il tuo odore è ancora umano.» gli presi una mano e iniziai a trascinarlo.
Stavo raggiungendo il tempo limite.
«Sei un mezzo vampiro.» dissi a bassa voce, senza voltarmi.
Sperai solo non svenisse.
Pov Haru
«Un mezzo vampiro?» chiesi non capendo. Io ero sempre stato umano, non avevo mai avuto bisogno di sangue quindi come potevo essere ciò che lui sosteneva?
Doveva per forza avermi trasformato quando mi aveva morso poco prima che scappassi, non c'erano altre spiegazioni.
Non disse nulla, guardandomi serio con quegli occhi neri, sfumati di blu e puntinati di stelle rubate al cielo.
Che stesse di nuovo giocando con me? L'aveva detto lui stesso: ero semplicemente un giocattolo, e non sarei mai riuscito a cambiarlo. Non ci sarei mai riuscito, ero solamente un ragazzino, e sicuramente mutare l'immutabile era un'impresa assurda, per non dire impossibile. Eppure qualcosa in lui era cambiato, aveva detto di amarmi e mi aveva perfino permesso di morderlo.
No, non stava giocando.
«Ma... se io sono...» non riuscivo neppure a dirla quella parola. Eppure era semplice, ma non per me; non in quel momento.
«Tu padre doveva essere un vampiro.» concluse per me semplicemente Azrael riprendendo a camminare.
Osservai la sua schiena, mentre la sua mano sembrava bruciare a contatto con la mia: era una stratta salda, dolce e... da innamorati.
«M... mio padre era umano. E' per questo che mia madre è andata sulla Terra no?» credere a ciò che stava dicendo l'altro voleva dire minare ancora una volta tutte le mie convinzioni, ricordarmi che i miei stessi genitori mi avevano sempre mentito e quella era ancora una ferita aperta.
Forse in quei mesi avevo potuto accettare l'esistenza di quel mondo, credere all'esistenza di vampiri e esseri di luce che non sapevo neppure come fossero, persino all'esistenza degli angeli! Ma non avevo potuto accettare quelle bugie, quelle menzogne che alla fine mi erano piombate addosso come un macigno e che una volta rivelate avevano squarciato il velo di Maya della mia esistenza.
«Tua madre era l'Imperatrice, quindi è impossibile che fosse una vampira. Quindi solo tuo padre doveva essere un vampiro e a giudicare dalla tua età credo che si siano messi insieme durante la guerra o forse appena prima.».
La guerra. Esisteva davvero? In quei mesi trascorsi tra le mura di quel palazzo tutto mi era sembrato immobile. Nessuno era preoccupato di questa "guerra", nessuno sembrava tornare mai ferito o semplicemente non avevo mai visto nessuno andarsene.
«Non ha senso!» urlai piangendo «Se mio padre fosse un vampiro... non sarebbe morto nell'incendio!».
Ecco! Ecco ciò che avrebbe fatto desistere la sua supposizione: l'incendio in cui morirono sia mia madre che mio padre.
«I vampiri sono immuni al fuoco! Lui sarebbe vivo se fosse così!» gli feci notare.
Ero concitato, quasi infervorato. Io non potevo essere un mezzo vampiro, non potevo e basta.
Arrivammo fin verso il limitare di quella foresta di aceri rossi e tronchi neri come il carbone privi di foglie; la neve aveva iniziato a diminuire e qualche erba sbocciava in quel candore, ma non vi era traccia di nessun fiore. Quel luogo era senza vita e forse non avrei dovuto essere sorpreso, ma non riuscivo a non esserlo.
Tutto era nero come la morte, non vi era luce, ma solo oscurità.
Tutto era nero come la notte, ma era proprio lì che si poteva vedere meglio il bagliore.
Guardai Azrael, i suoi capelli neri intrinsechi di nero e sangue, i suoi vestiti bagnati e sgualciti e le sue spalle leggermente piegate quasi innaturalmente rispetto alla sua solita postura sempre austera ed elegante.
«Potrebbe essersi nascosto Haru, per proteggervi.» rispose pacato Azrael fermandosi e lasciando la mia mano, addossandosi poi al tronco di un albero per lasciarsi scivolare.
Era pallido, più del normale. Era cereo, trasparente quasi come un fantasma.
«Tu non stai bene!» non diedi peso alle sue parole, mi chinai davanti a lui e gli presi il viso tra le mani.
Lui poggiò una delle sue su una delle mie e si sfregò appena, dolcemente, come fosse un gatto e sorrise.
«Va tutto bene, Zafirus è qui vicino sta arrivando.» mi baciò il palmo, mentre le sue palpebre si stavano appesantendo sempre di più. Il suo viso era livido di sudore.
«Non stai affatto bene!» dissi preso dal panico, guardandomi in giro alla ricerca di qualcosa che potesse farlo stare meglio, ma invano.
«Haru...» mi chiamò, la sua voce stanca, che ormai stava scemando.
«Vado a cercare aiuto.» avevo le lacrime agli occhi, ma lui mi prese per un braccio ancor prima che potessi muovermi.
«Ti porterò via.» disse, le palpebre che stavano sempre più chiudendosi.
«C... cosa?» chiesi non capendo.
«Ti prometto che ti farò andare via da qui.» mi promise prima di svenire.
* Ezarco significa "passaggio difficile"
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Iniziano le svolte. Azrael ha finalmente deciso da che parte stare e cosa fare, Dragan inizia a mostrare la sua natura contorta e indecisa. I capitoli del regno oscuro stanno arrivando al termine, tra poco arriverà la parte di quelli del regno di luce. Tuttavia, sarà così facile attraversare Ezarco? L'imperatore sarà davvero così ingenuo da lasciarli fuggire? Alla prossima settimana!
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