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Piani di fuga


Capitolo 28

"Piani di fuga"

Se non trovi le parole

se non sai a chi guardare

si ti capita di sognar

se hai voglia di abbracciare

saprò io farti scaldare;

se non hai lacrime da piangere

il tuo pozzo è nei miei occhi; se non hai un muro su cui scrivere

e nemmeno una spalla su cui poggiare

saprò sorreggerti e accarezzare

ma più di tutto saprò amare

Tutto sarò per te, Bramante


Pov Dragan
Lo scostai immediatamente, facendo pressione con una mano sul suo sterno, interrompendo così quel bacio frettoloso e bisognoso come se fosse stato un addio definitivo.
«Andare via?» chiesi scettico e asciutto, alzando un sopracciglio. Per la prima volta da tempo abbassai la guardia e lasciai che i miei occhi sprofondassero nel viola dei suoi, due prati di lavanda sommersi da una marea grigia, che rendeva solo più intensi quei lumi meravigliosi che sapevo essere solo per me; ma tra il sapere e l'accettare c'era un'enorme differenza.
«Devi scappare da qui insieme ad Azrael e quello stupido.». Tentò di arrivare di nuovo alle mie labbra, ma io non glielo permisi, poggiando l'intero palmo della mia mano sulla sua bocca, che vorace e lasciva iniziò a leccarlo.
I suoi occhi mi bramavano, come se fossi la cosa più bella e appetitosa che avesse mai visto; era un'emozione che conoscevo bene, che ogni volta che la scorgevo in lui faceva rivivere in me un desiderio che avevo celato e cercato di dimenticare tempo orsono, ma che in quegli ultimi giorno stava riemergendo potente, ma che ancora stavo tentando di sopprimere. Più ci tentavo, più però quella diventava forte e guaiva come un cane a cui erano state private le carezze.
«Haru.» lo corressi, ritraendo la mano.
«Non mi importa del suo nome.» una piccola scintilla d'ira attraversò quelle iridi violacee, ma fu solo per un secondo «A me importa solo di te.».
Si fece avanti e mi prese la mano di cui lo avevo appena privato, iniziò a baciare ogni singola nocca «È per questo, perché ti amo, che devo lasciarti andare con lui; che devo allontanarti ancora una volta.».
Come scottati ritirai il mio arto dalle sue delicate attenzioni.
«Dov'è?» chiesi, ignorando la sua affermazione.
«Dove ti ho ripetuto essere mille volte: con Azrael. Probabilmente ora sono a letto e stanno facendo l'amore, oppure si stanno nutrendo l'un l'altro; nessuno dei due aveva un bell'aspetto.» le sue parole erano taglienti, mentre riprendeva ancora una volta la mia mano e come un gatto testardo, bisognoso di carezze, strusciava la sua guancia contro il dorso.
«Nutrendo?» chiesi, realizzando poi cosa ciò significasse «Quel bastardo l'ha trasformato...» ringhiai e con un gesto violento spinsi Ryan via da me, facendolo precipitare contro il muro duro e freddo.
Non gemette, non esalò un fiato davanti alla mia ira. Chiuse solo gli occhi e cadde a terra, insieme a qualche fredda pietra.
Il suo corpo scaraventato con così tanta irruenza aveva lasciato un solco nella parete; impossibile che non gli avessi fatto del male, eppure lui si tirò in piedi, una mano che teneva il polso sul quale era comparso un violaceo livido.
«Mi piace quando sei violento.» sorrise avvicinandosi di nuovo, senza paura. Non importava quanto gli facessi male fisicamente o psicologicamente, lui tornava sempre da me ed era una cosa che in fondo odiavo con tutto il mio raggrinzito ed inesistente cuore. Nessuno meritava questo, eppure a lui sembrava far piacere questo mio tipo di attenzioni su di lui.
Solo un pazzo non avrebbe sbraitato e forse lo era per essersi innamorato di me.
«Ma mi piace di più quando mi prendi in braccio, proprio come hai fatto qualche ora fa. So che saremmo finiti a letto se non ci fosse stata quella.»
«Smettila.» sibilai tra i denti.
«Aspetterò.» sorrise gongolante, come se si fosse appena giudicato una vittoria che però non vedevo.
«Fa quello che vuoi Ryan, i miei e i tuoi desideri sono del tutto differenti.» mi voltai verso l'armadio e presi una camicia, ma lui approfittò della mia distrazione per abbracciarmi da dietro e baciarmi la schiena, propria nell'incavatura che segnava la fine della mia spina dorsale.
Percepivo le sue piccole mani suoi miei fianchi, scorre verso il basso e poi tornare lì, all'altezza dei miei reni.
«Non sono affatto differenti.» sussurrò sulla mia pelle, ritraendosi prima che potessi fargli ancora del male, ma non prima di aver accarezzato la mia erezione crescente, proprio in mezzo alle mie gambe.
«Azrael non l'ha affatto trasformato.». Tornò all'argomento principale come se non fosse accaduto proprio niente.
Si mise seduto sul mio letto e accavallò le sottili e piccole gambe da ragazzino che si ritrovava all'interno di quella gabbia che era il suo corpo.
«Haru è sempre stato un mezzo vampiro. Semplicemente si è risvegliato.» buttò lì, iniziando ad attorcigliare una ciocca di capelli rossi attorno al suo indice destro, lo sguardo puntato su quella parte di me che si era risvegliata, senza che io potessi negarlo o fare qualcosa perché non accadesse.
Erano bastate le sue mani e le sue labbra a sfiorarmi per farmi eccitare ed era una cosa inconcepibile, che non avrei mai potuto accettare, perché il mio cuore apparteneva ad Haru e lui soltanto.
«È così che vuoi giustificarlo questa volta?» mi avvicinai e gli presi quegli stessi fili vermigli tra le mani, tirandoli fin quasi a strapparglieli.
Il dolore non impedì al più piccolo di guardarmi negli occhi.
«Io non lo giustifico a nessun modo, non l'ho mai fatto.» chiarì, posando la sua piccola mano sulla mia.
Fu strano notare solo in quel momento la differente tonalità delle nostre pelli. La mia, di un caldo color pesca, fece risaltare la sua lievemente più scura. Notai anche solo in quel momento quanto le sue mani fossero lontane dalla perfezione: erano ruvide e piene di piccoli tagli argentei che la sua condizione vampiresca non era riuscita ad estinguere. Sembrava che quei palmi avessero lavorato a lungo e pesantemente, e al solo pensiero sentì una morsa stringermi il petto, ancora una volta, guaendo quando di nuovo la soppressi con tutta la forza che possedevo.
«Non importa cosa mi fai, io sono sempre dalla tua parte.» e mi sorrise, facendo tornare per un breve e fugace momento il sole in questo regno che da troppo tempo non lo scorgeva tra le proprie dune.
Allo stesso tempo, abbagliato da quel raggio di luce, non mi accorsi nemmeno di aver allentato la presa, per chinarmi verso di lui.
Il black out mentale mi portò a congiungere le nostre labbra, a far unire le nostre lingue e a buttarlo con la schiena contro il morbido materasso, come in fondo avevo sempre sognato in alcuni folli sogni.
Lui mi lasciò fare ogni cosa, mentre ricambiava e mi stringeva a sé, contro il suo piccolo corpicino che sovrastai senza fatica.
Come potevano semplici parole essere la mia rovina?
«Finalmente ti sei lasciato andare.» sospirò, mordicchiando il mio labbro inferiore, risvegliandomi dal mio torpore.
Non appena tentai di scostarmi, di saltare dall'altra parte della stanza, lui me lo impedì, tenendomi per un passante dei pantaloni che erano l'unico indumento a coprirmi alla sua vista.
«Non provare vergogna per i tuoi desideri, Dragan.» sussurrò al mio orecchio.
Quanto poteva essere forte per essere un bambino?
«L'unica vergogna è nasconderli.» sussurrò di nuovo, facendomi fremere per qualche istante, mentre apponeva un marchio sulla mia spalla.
Alla fine mi lasciò scappare, come un codardo quale in fondo ero e sorrise accarezzandosi le labbra, che probabilmente portavano ancora il mio sapore come io percepivo ancora il suo.
«Andrai con loro?» chiese.
«Non permetterò ad Azrael di avere Haru.» mi pulii la bocca con un braccio, ma il suo sapore non se ne andò via nemmeno quando il rosso uscì dalla mia stanza lasciando sulle coltri del mio letto un medaglione e un foglio, che non lessi se non la mattina seguente, quando la sensazione di quel baciò svanì quasi completamente, anche se a fatica.

Pov Jack
Non avevo dormito quella notte. Per tutto il tempo ero rimasto seduto sulla mia poltrona di velluto rosso ad accarezzare una delle tante camelie che crescevano solo nelle mie stanze e di cui avevo privato il mondo.
Quei fiori in fondo erano la mia dannazione, l'unica cosa che ancora mi ancoravano al passato e che non riuscivo a lasciar andare, nonostante il mio odio per quella persona che rappresentavano e che sembrava sfuggirmi sempre, anche quando credevo di essergli così vicino da poterla sfiorare.
Alla fine il ragazzo non si era rivelato l'Angelo, ma un inutile mezzo vampiro che aveva rovinato ogni mia speranza di vendetta.
Presi tra le mani uno di quei fiori odorosi e rossi, ne annusai la fragranza e chiusi gli occhi, stanco, e spossato, svuotato.
In quel momento mi sembrò perfino di percepire la sua presenza, la sua mano accarezzare il mio viso e la sua voce cullarmi, supplicandomi di dormire, pronunciando il mio nome in un modo che credevo di aver dimenticato.
Quando li riaprii, quasi nella speranza di rivedere quel viso odiato quanto amato, davanti a me vidi solo Ryan che mi guardava compassionevole e un bicchiere tra le mani.
«Non hai dormito.» mi rimproverò, mettendomi tra le mani quel calice che profumava di camomilla e miele.
Lasciai andare il fiore che ancora tenevo tra le dita, lasciando che i petali cadessero sulla superficie di quel liquido chiaro e ambrato che sapevo essere un rimedio per il sonno, che di tanto in tanto il bambino mi rifilava per aiutarmi, ma in quel momento non ne avevo affatto bisogno, anche se la testa mi stava scoppiando a causa dei pensieri che ronzavano nella mia mente, molesti come il più piccolo e rumoroso degli insetti.
Posai il boccale sulla superficie della scrivania accanto a me e posai una mano su uno dei miei tanti diari.
«Azrael è cresciuto. Fino a qualche mese fa non mi avrebbe mai affrontato come ha fatto oggi.» iniziai a giocare con l'angolo della copertina rigida e bluastra, assorto e con lo sguardo distante.
«Prima o poi tutti siamo destinati a lasciare il nido, padre.» si inginocchiò a terra, davanti a me e poggiò le mani sulle mie ginocchia e poi la sua piccola testa rossa «Non potete tenerci legati qui per sempre.».
Annuii concorde e poi iniziai ad accarezzargli i capelli morbidi e rossi come il fuoco dell'inferno che doveva aver attraversato durante la sua vita mortale.
«Stai crescendo anche tu. Presto sarà il tuo compleanno, desideri qualcosa in particolare?» chiesi chiudendo gli occhi e sistemandomi meglio contro lo schienale.
«Solo che non frustiate più i miei fratelli acquisiti e che beviate la pozione. Se continuate così vi ammalerete.» la sua voce era davvero preoccupata e sapevo che in fondo aveva ragione. A un vampiro per vivere non serviva solo il sangue, ma anche il sonno, fratello della morte.
«Più tardi.» gli promisi, chinandomi e baciandogli il capo.
«In questo momento non riuscirei a dormire nemmeno con il tuo intruglio.»
«Cosa vi assilla padre?» chiese, alzando il capo e cercando i miei occhi.
Gli sorrisi e gli accarezzai una guancia.
«Mi ricorda sempre più Marcus, ogni giorno di più. Ha lo stesso sguardo di quando vedeva Violet entrare nella stanza, la sua stessa luce nelle iridi.» mi lasciai andare ai ricordi che avevano un amaro sapore nella bocca, mi mancava il mio migliore amico e confidente. Di lui mi mancava tutto: il suo sorriso stupido, la sua aria gioviale, la sua risatina maliziosa, la sua faccia stupida non appena vedeva la ragazza che amava da sempre e che aveva fatto i salti mortali per conquistare, la sua mano che si poggiava sulla mia spalla nei momenti difficili e la sua sicurezza nei momenti di buio e irrequietezza.
«Io trovo assomigli più a Violet caratterialmente.» sorrise Ryan tornando a poggiare la testa sulle mie gambe «Ha la sua stessa tenacia, il suo cuore puro, lo stesso fascino e soprattutto la stessa superbia; adora farsi desiderare e rincorrere, tanto quanto ama farlo e soprattutto una volta che ama è disposto a dare tutto se stesso. Sarebbe fiera del suo bambino.» annuì deciso.
«Meno di sapere come l'ho cresciuto. Ho fatto molti errori.» sospirai.
«Da questo punto di vista è una fortuna che sia morta, oppure vi avrebbe già staccato la testa.» lo disse come se fosse la cosa più normale del mondo e scoppiai a ridere, come non accadeva da tempo.
Per me era difficile lasciarmi andare al passato, a quella dimensione a cui ero in fondo ancora indissolubilmente legato e che non riuscivo ad abbandonare e che mi stava distruggendo, per questo preferivo non parlarne mai, ma a volte mi faceva anche stare bene, come non accadeva da tempo.
Era pericoloso rimanere incatenato tra i fantasmi, quelli rischiavano di divorarti, come mostri che risucchiavano la tua felicità ormai andata e irripetibile, lasciandoti dentro solo una voragine di tristezza incolmabile; eppure, era la maledizione di ogni essere vivente questa e nessuno poteva sfuggirvi, nemmeno il più folle dei folli.
«Hai ragione. Aveva faticato così tanto per averlo.» buttai di nuovo la testa all'indietro e osservai il soffitto fatto di camelie e viole, tra le quali si potevano distinguere dei punti luminosi che sembravano stelle rubate al cielo. Tre simboli importanti, che ricorrevano nella mia vita e che mai sarei riuscito ad abbandonare, perché essi rappresentavano le uniche persone che avessi mai davvero amato prima di precipitare nell'oscurità di cui mi ero nutrito e circondato, fino a rimanere solo e incompreso, ma sapevo dei rischi e li avevo accettati quel giorno come allora.
«Penso che vi attenda ovunque sia ora, per darvi uno schiaffo, ma anche per ringraziarvi. In fondo lo avete cresciuto bene e lo avete protetto come credevate fosse giusto.» lasciò il mio grembo e si protese per prendere quel bicchiere che avevo abbandonato accanto al mio diario fatto di pensieri, ma soprattutto di lettere indirizzate a due persone.
«Bevete, adesso.» mi ordinò e io docile come ero raramente presi il calice, sfiorando le sue dita e tracannandone l'intero contenuto, lasciando che il dolce e allo stesso tempo aspro contenuto scendesse lungo la mia gola, fino al mio stomaco che iniziò a scaldarsi dolcemente.
Immediatamente mi sembrò di essere davanti al focolare della mia villa, a sorridere dolcemente davanti all'incantevole visione del mio migliore amico perdutamente innamorato che ballava con l'unica ragione della sua vita, mentre io tenevo la mano alla mia.
«Venite.» sussurrò dolce il più piccolo, prendendomi per mano.
Mi fece alzare e mi condusse fino al mio letto, dove mi fece stendere e mi rimboccò le coperte; in quel momento dovevo sembrare fragile come una foglia secca, pronta a spezzarsi al minimo tocco.
«Buona notte, padre.» mi augurò il rosso, ma prima che potesse lasciarmi gli presi la mano, nonostante la mia forza stesse venendo meno a causa del sonno che stava intercedendo violentemente, abbassando ogni mia difesa e infrangendo ogni mia volontà.
«Il diario.» gli chiesi e lui obbediente lo prese e me lo portò, poggiandolo sotto la mia mano pesante.
«Grazie, Ryan.» sussurrai, chiudendo le palpebre pesanti.
In quel momento, come capitava ogni volta, mi sembrò di percepire la presenza del mio angelo steso accanto a me, proprio di fronte a me, con la sua candida mano posata sulla mia che teneva al sicuro quel diario che racchiudeva la mia intera vita, indirizzata a lui e a quel bambino mai nato, ma che era sempre stato il nostro sogno.
Sapevo che in quelle ore di incoscienza gli avrei sognati, lo facevo ogni volta.
Lentamente i miei pensieri iniziarono ad essere confusi, sempre più aggrovigliati e infine mi persi, precipitando, in quel mondo onirico in cui avrei per sempre voluto rimanere.

Pov Ryan
Chiusi delicatamente la porta dietro alle mie spalle senza fare rumore e mi appoggiai con le spalle contro quell'asse dura e pesante come il macigno che stavo portando sulle spalle. Sapevo quello che stavo facendo, ma non per questo per me era più facile; tutt'altro.
Avevo fatto breccia in un momento di debolezza e lo avevo ingannato, tutto per poter far fuggire i suoi prigionieri. Mi avrebbe mai perdonato? Ma soprattutto, avrei mai potuto perdonare questo a me stesso?
Per quanto Jack fosse diventato crudele e malvagio in questi ultimi anni, che sembravano secoli ai più, non avevo mai desiderato tradirlo; non a questo modo, ma come mi aveva insegnato a volte era necessario puntare verso il basso per arrivare al compimento del proprio obbiettivo.
Presi un profondo respiro e riaprii gli occhi, staccandomi da quella porta, inghiottendo indietro ogni mia remora.
Sarei stato punito per questo, ma ero pronto. Qualsiasi cosa fosse successa l'avrei fatta per lui, per il ragazzo che amavo e per quello che in fondo era un po' come un fratello, oltre che il mio migliore amico.
Iniziai a percorrere i tetri corridoio freddi, pervasi da aria pesante e umida. In lontananza si potevano percepire le risa e gli schiamazzi dei vampiri che popolavano nel buio il palazzo, ma non diedi loro molto peso, concedendogli semplicemente un semplice gesto che consisteva nel roteare gli occhi appena infastidito.
Io odiavo la maggior parte di quegli inutili soldatini, che stavano lì solo per il puro gusto di far del male e avere sangue a volontà. Nessuno di loro era davvero fedele all'Imperatore, nessuno di quegli inutili vampiri si preoccupava di quanto il loro signore stesse soffrendo o quanto fosse stanco; semplicemente non aspettavano altro, sebbene con timore, di ricevere ordini per divertirsi. Come se non lo facessero già abbastanza tormentando i poveri abitanti dei villaggi che erano già sotto al nostro controllo.
Strinsi i pugni e passai oltre, scegliendo accuratamente il mio percorso, percorrendo anche qualche vecchio e polveroso passaggio segreto, che solo io conoscevo tra quelle mura. Nemmeno Jack sapeva della loro esistenza.
Mi avviai verso la stanza preferita da mio padre e mi premurai di chiudere la porta dietro le mie spalle. Osservai quella stanza rotonda, con cinque rampe di scale che portavano a un'isola di pietra che galleggiava in mezzo all'acqua verde acqua brillante. Sopra vi era posato un pianoforte, bianco come l'avorio e apparentemente normale, ma bastava suonare una sola nota perché esso, grazie alla riflessione dell'acqua, potesse dare immagine a un vero e proprio ricordo, proprio come un ologramma.
Accarezzai il copri tastiera liscio e lucido e infine premetti una delle lettere che firmavano lo strumento musicale.
Immediatamente nella stanza si sentì uno strano rumore provenire dall'acqua, come qualcosa che stava emergendo.
La superficie iniziò a incresparsi e a produrre delle bolle, come se stesse in realtà bollendo. Mi avvicinai proprio là e attesi qualche istante.
Da sott'acqua era emerso una sorta di ponte che collegava l'isola alla parete.
Lo percorsi senza timore, come avevo già fatto molte altre volte nella mia vita. In fondo in quel castello c'ero vissuto, ancor prima di essere un vampiro, per questo conoscevo ogni più piccolo angolo; per questo ne ero il custode e l'erede.
Arrivato alla fine semplicemente attraversai il muro che altro non era che un'illusione creata dallo stesso piano.

«Ci hai messo più tempo del previsto.» mi accolse il mio ospite, non appena entrai nella stanza degli arazzi.
«Non ho così tanto tempo libero come te.» ribattei, mentre la porta del passaggio segreto si richiudeva dietro le mie spalle.
«Non sono io che ti ho chiamato.» mi fece notare, avvicinandosi senza togliersi il cappuccio del mantello nero e pesante che indossava.
«Vedo che passi subito agli affari, non ti offrirò allora nessun bicchiere di sangue.» risi e mi sedetti su uno dei divanetti pieni di cuscini, davanti a un enorme arazzo che ritraeva una mappa della nostra terra. O per lo meno com'era in antichità.
«Devo rinnovare la mia ultima richiesta.» lo guardai, sapendo bene che avrebbe capito «ma questa volta ci saranno due persone in più.».
«Scordatelo.» il suo diniego non mi toccò minimamente, sapevo che avrebbe accettato, in modo o nell'altro.
«Devi scortarli fino alle colline. Arriveranno qui tra meno di dieci minuti.» lo informai «Il prezzo l'ho già pagato. Non potrò aiutarti in altro modo almeno per un po' dopo che Jack scoprirà cosa ho fatto.».
«Ho detto no.» ringhiò.
«Tra loro c'è Haru.» dissi con fermezza, alzandomi «Quindi smettila di lamentarti Devesh o comunque tu voglia essere chiamato.» lo presi per il mantello e lo strattonai appena, facendo cadere quel cappuccio che copriva la sua identità e mostrando così alla luce i suoi candidi capelli come la neve «Tu li porterai via, perché tra loro c'è tuo figlio.».

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Buona Pasqua a tutti!
Il capitolo 29 uscirà nelle prossime settimane, contenti?
Riusciranno a scappare i nostri eroi e raggiungere finalmente il regno di luce? E Ryan?

Baci,
​S i l v e r

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