Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Lago di Sangue

Capitolo 20

"Il lago di sangue"

Com'è debole e misera l'anima nostra, senza difesa contro i risvegli e gli assalti di quanto men nobile e men puro dorme nella oscurità della nostra vita incosciente, nell'abisso inesplorato ove i ciechi sogni nascono dalle cieche sensazioni! Un sogno può avvelenare un'anima; un sol pensiero involontario può corrompere una volontà.

Gabriele D'Annunzio

Pov Haru

Mi fermai solo quando le ginocchia mi cedettero e i polmoni urlarono reclamando aria.

Mi sentivo a pezzi, ferito, mentre qualcosa mi faceva sentire strano; la testa mi girava, vorticava e poi sentivo uno stano e acuto dolore al petto, mentre mi sembrava che qualcosa stesse tentando di dividere la mia anima dal mio corpo.

Boccheggiai, guardando le foglie secche e nere che avevo di fronte, che posavano morte sul terreno.

Avevo creduto che quel bosco non avesse più alcun effetto su di me, ma a quanto pare mi ero sbagliato; non c'erano altre spiegazioni altrimenti al mio malessere.

Tossii, stringendo a pugno le mani, raccogliendo la terra nera e umida, mentre delle lacrime iniziarono a cedermi dagli occhi; alcune trasparenti, altre di sangue... sangue?

Mi tastai lo zigomo con le dita, ritrovandomi poi i polpastrelli rossi. Che mi stava succedendo? Non poteva essere solo causa dello straziante dolore che mi portavo all'interno del petto a causa di quel bastardo di Azrael, della distanza che mi logorava dentro e che potevo solo sperare culminasse il prima possibile per poter essere di nuovo circondato dal suo profumo, per potermi di nuovo nascondermi nel suo caldo e forte petto capace di far abbattere i muri che avevo costruito attorno a me facendomi sentire completamente scoperto e vulnerabile.

Trattenni un gemito di dolore, mentre mi piegavo in avanti. Mi lasciai perfino cadere, distendendomi sul terreno e raggomitolandomi, mentre il dolore mi penetrava più e più volte ovunque. Era questo il dolore di un vero cuore spezzato?

Restai in quella posizione per quello che mi sembrò un tempo infinito, poi a fatica iniziai a trascinarmi, a strisciare su quel terriccio morbido, sporcandomi i vestiti, disintegrando quelle foglie ormai già morte di quell'infinita foresta portatrice di morte.

Arrancai, mi ferii le mani, tagliandomele; tuttavia, quel dolore era nulla in confronto a quello che mi stava dilaniando dentro: sia fisico che spirituale.

Dovevo a tutti i costi uscire da quella foresta, dovevo allontanarmi dal suo influsso, dai suoi fantasmi. Ma, soprattutto, dovevo allontanarmi da tutto ciò ce poteva ricordarmi quel vampiro moro che aveva ribadito ancora una volta che per lui non ero altro che un giocattolo, nonostante io fossi andato da lui calpestando la mia dignità, come invece pochi attimi prima non avevo voluto fare; tuttavia, quando lo avevo visto andarsene qualcosa era scattato in me, semplicemente la paura era stata più forte della mia ragione e così avevo abbandonato Dragan e lo avevo seguito.

Mi sentivo uno stupido, perché ancora una volta mi ero fatto ferire ed era solo colpa mia, perché in fondo dopo la seconda volta che si commette lo stesso errore non si può dare la colpa agli altri, ma solo a se stessi.

Mano a mano che avanzavo il paesaggio iniziava a cambiare, era come se quel bosco infinito avesse un doppio confine, ma che non portava affatto fuori da esso.

La terra a un certo punto era iniziata ad essere dura, gelata, un lieve strato di neve aveva iniziato a camminare su quella terra nera e a gelare le foglie, che oltre al loro naturale nero colore erano solcate da tanti piccoli cristalli di brina e ghiaccio.

In qualche modo, più mi avvicinavo, più mi sembrava di sentirmi meglio; anche se la mia anima continuava a pulsare, a entrare ed uscire dal mio corpo e a farmi un male tremendo.

Quando anche la neve iniziò a farsi più spessa, anche gli alberi iniziarono a essere diversi; non erano più i soliti alberi neri e secchi che ricordavano con i loro rami delle nere ragnatele, ma iniziavano ad essere colorati, infatti questi possedevano foglie di un colore brillante e scarlatto; erano tanti aceri, dal tronco ruvido e spesso, che si ergevano alti e che meravigliosi risalivano in mezzo a tutto quel candore che non li aveva intaccati.

Erano come alberi immortali, sanguinei arbusti che coloravano la bianca neve sporcandone la sua innocenza.

Era un luogo etereo e allo stesso tempo spaventoso. In fondo, proprio a causa del loro colore vermiglio in passato gli aceri erano visti come alberi funesti, tanto da essere dedicati a Φόβος(Fobos), il dio della paura, e a suo fratello Δεῖμος(Deimos), dio del panico, entrambi figli del Ares.

Mi avvicinai a uno dei tronchi e faticosamente con esso mi aiutai a reggermi in piedi, mentre dai miei occhi non avevano smesso di sgorgare lacrime trasparenti e di sangue, alternandosi e ricreando quasi quello stesso paesaggio in cui mi ritrovavo.

Quella parte di foresta sembrava essere fuori dal tempo e dallo spazio, proiettata in un'altra dimensione, molto lontana.

Avanzai, barcollando, tenendomi in piedi solo grazie agli aceri che sembravano osservarmi con quelle loro scarlatte foglie che sembravano essere state forgiate dal sangue.

Tutto era quieto, vi era un silenzio quasi solenne e mortifero; ogni cosa sembrava essere addormentata in quel luogo; persino il vento. Niente si muoveva, niente fiatava o cantava e a incrinare l'ordine delle cose era solo il mio passo, che scricchiolava sotto quell'immacolata distesa bianca.

Iniziai poi a sentire uno strano profumo, intenso, delizioso; qualcosa che attirò i miei sensi e mi fece stare quasi meglio.

Senza accorgermene iniziai a correre, assetato e affamato. Non capii esattamente cosa mi stava succedendo, ma alla fine mi ritrovai davanti a un enorme lago, le cui sponde non erano bianche, ma la neve aveva preso un colore rossastro, uguale a quello di quelle foglie che inspiegabilmente perenni non cadevano mai.

Mi lasciai cadere vicino alla riva in ginocchio, mentre la mia gola ardeva e desiderava che qualcosa la riempisse.

Osservai il mio riflesso all'interno di quell'acqua che non era altro che un'immensa riserva di sangue, che vermiglio luccicava in mezzo a tutta quella candida distesa: nonostante la densità e il colore scuro potevo vedere chiaramente la mia figura leggermente distorna con i miei capelli bianche, la mia pelle chiara e poi... gli occhi rossi.

Arretrai, spaventato, ma non abbastanza.

Il sangue mi richiamava come il canto di una sirena per i marinai.

Che posto era quello? Dove mi ero cacciato?

Mi guardai attorno, gli aceri circondavano perfettamente quel lago, alcuni avevano i loro tronchi piegati e toccavano appena la superficie di quell'acqua colorata ed impura, formando così piccoli ponti, nonostante ne fosse già stato costruito uno che divideva a metà quel paesaggio bellissimo e allo stesso tempo agghiacciante, sotto quel cielo nero senza stelle.

Notai che vi era persino un'acacia sommersa tra quelle foglie rosse, se ricordavo bene essa simboleggiava la rinascita, un legame tra mondo visibile e invisibile; era il segno della vittoria della vita sulla morte.

Di nuovo una scossa di dolore mi percorse il corpo e gemetti, prima di urlare e piegarmi in due, tenendomi lo stomaco.

Strisciai fino alla riva del lago e piangendo feci la cosa che più mi sembrò naturale: bere.

Non appena quel liquido passò dalla coppa delle mie mani alla mia gola, tutto il dolore fisico sembrò sparire, mi sentii quasi meglio nonostante fossi disgustato da me stesso.

Io non ero un vampiro e allora perché potevo bere del sangue?

Pensai al morso che Azrael mi aveva dato. Che mi avesse trasformato?

Prima che però potessi trovare una risposta il sangue del lago iniziò a bollire e poi mi trascinò dentro, rendendo ogni cosa buia.

Pov Dragan

Ero rimasto fermo al centro della pista, tutti ballavano e volteggiavano intorno a me, mentre io rimanevo fermo, con le braccia vuote e lo sguardo perso là dove Haru se ne era andato seguendo Azrael.

Lo avevo tenuto tra le mie braccia solo pochi minuti; avevo accarezzato la sua vita sottile, lo avevo stretto a me mentre lui aveva posato il suo viso sul mio petto dopo che mi aveva sorriso, nonostante i suoi occhi fossero rossi per via delle lacrime che tratteneva. Avrei mai vinto contro di lui?

All'improvviso mi sentii afferrare una mano e abbassai lo sguardo, una testolina rossa con dei grandi occhi grigio-viola mi stava sorridendo, mentre saliva sulle mie scarpe per tentare di essere più alto.

-Che stai facendo? – chiesi a Ryan, che mi aveva preso anche l'altra mano e si era goffamente messo in posizione per ballare.

-Ti rubo un ballo. – ghignò –Allora? Sto aspettando. – ma io non mi mossi; rimasi fermo, a guardare quello che a tutti gli effetti era un bambino e vestito con un semplice mantello; i capelli inoltre erano spettinati e sporchi. Aveva anche una macchia nera sulla guancia, probabilmente, dovuta a uno dei suoi intrugli di erbe.

-Non mi va. – lo lasciai e lo feci scendere, scostandomi e iniziando a camminare verso il tavolo sul quale posavano mille calici di sangue; vi era persino una piramide.

Era una cosa agghiacciante vedere tutto quel sangue fluire da un bicchiere all'altro per riempire continuamente altre coppe. Quante persone sono state uccise per quello spettacolino? Mio padre non si smentiva mai.

-Quello stupido morirà. Non affezionarti troppo. – mi disse il piccolo vampiro seguendomi e prendendomi la mano. Possibile che non si arrendesse mai?

In tutte quelle settimane, mentre ero rinchiuso in una stanza lui era stato il solo a cercarmi e a farmi compagnia e non importava quante volte lo mandassi via, lui continuava a tornare. Esattamente come prima che me ne andassi da quel luogo; per lui era come se il tempo non fosse mai trascorso e io fossi sempre rimasto in quel castello con lui e Azrael.

-E' troppo prezioso per morire. – dissi freddo e sicuro –Quindi smettila Ryan. – presi un calice e lo buttai giù in un unico colpo, quasi fosse alcol e non sangue.

Lui mi guardò e ghignò –Tuo padre non è dello stesso parere. Lo trova inutile, ancora non ha portato a niente; è buono solo il suo sangue. – si toccò le labbra piccole e rosse, i suoi occhi brillavano, rossi come il sangue.

-Anzi, forse è già andato a morire. – si inclinò appena di lato per vedere dietro di me e vidi Azrael rientrare, da solo e con uno sguardo che forse voleva sembrare atono, impassibile, ma che mostrava un'enorme confusione al suo interno.

Lasciai Ryan da solo e mi diressi verso di lui, guardando alle sue spalle. Dov'era Haru?

Bloccai la via ad Azrael con un braccio, non lo guardai nemmeno. –Dov'è? – chiesi gelido e allo stesso tempo furibondo. Se gli aveva fatto qualcosa non lo avrei mai perdonato, gliela avrei fatta pagare.

-Chi? – chiese beffardo e io inevitabilmente gli tirai un pugno, o almeno ci provai.

-Non ho voglia di giocare, cane. Lasciami in pace. – ringhiò e io assottigliai gli occhi, rossi di rabbia.

-Nemmeno io, quindi dimmi dov'è. – chiesi di nuovo.

Fece più presa sulla mia mano, le ossa scricchiolavano appena, ma non mi importò.

Ci sfidammo con lo sguardo.

-Anche se lo ami me lo prenderò io. – minacciai e lui si irrigidì appena, perdendo per un momento la sua compostezza.

-Non riusciresti a prenderlo nemmeno se mi ci mettessi d'impegno. Non che mi importi. – mi lasciò e poi fece per andarsene, ma io lo fermai.

L'elettricità era palpabile, entrambi eravamo tesi e stavamo dando spettacolo, ma non mi importava. Volevo solo sapere dov'era finito Haru.

-Se ci tieni tanto è andato nel bosco. – lo disse senza guardarmi –Mi chiedo se tornerà vivo. -.

Lo feci voltare e questa volta lo colpii violentemente, inclinandogli qualche costola.

-Sei un fottuto bastardo. – sibilai, allungando i canini e poi iniziando a correre. Dovevo trovarlo.

Pov Azrael

Non mi voltai per guardarlo, semplicemente lasciai che l'aria che sollevò mi accarezzasse, alzando appena i miei capelli che mi accarezzarono una guancia.

Tutti mi stavano guardando; quella sera avevamo dato davvero spettacolo e probabilmente mi sarei dovuto sorbire una punizione da parte dell'Imperatore, nonostante fossi sicuro che si fosse divertito più di tutto quel branco di nobili insieme.

"Sicuro di non volerlo cercare?" chiese una voce antica e profonda nella mia testa.

"Non è affar mio." Risposi al drago tramite il pensiero fulminando chiunque mi stesse osservando e andandomene da qualche parte.

Volevo solo andare nelle mie stanze; magari potevo distrarmi con quella languida ragazzina di prima.

"Non lo farai." ghignò il drago; potevo immaginarmelo steso nella sua enorme grotta, con il muso poggiato alle sue zampe e gli occhi che brillavano malupini nel buio.

"Mi conosci, bestione. Sai che lo farò." A quel nomignolo percepii uno sbuffo mentale e sembrò recidere il contatto; probabilmente, aveva capito che era inutile spendere parole per me.

Salii le scale dei vari piani, fino ad arrivare alla mia stanza.

La prima cosa che mi aspettai fu di percepire odore di polvere, visto che era da una settimana che non vi mettevo piede e invece; quella profumava di lillà, vaniglia e zucchero: il profumo del nanerottolo.

Tutto era in ordine, il letto non aveva neppure una piega e i mobili erano stati perfettamente puliti; perfino i libri.

Mi avvicinai alla mia piccola biblioteca personale e notai che però mancava un libro: Amleto.

Mi guardai in giro, alla sua ricerca; non poteva essere lontano. Dove lo aveva messo?

Cercai sotto il letto, sullo scrittoio; non vi era alcuna traccia.

Ringhiai infastidito.

Mi buttai sul letto e abbracciai un cuscino, imbronciato. Avrei potuto andare nella camera di quel cane di Dragan, ma ciò avrebbe voluto dire scalfire il mio orgoglio; dare importanza a un oggetto che in fondo potevo procurarmi di nuovo. Anche se sapevo che quello non avrebbe avuto lo stesso significato.

Quel libro per me era sempre stato speciale, poiché era l'unica cosa che mi era rimasta di mio padre. Era l'unica cosa che avevo trovato nella mia casa andata distrutta, quando l'avevo masochisticamente visitata.

Avevo ucciso i miei genitori, eppure, li avevo sempre cercati.

"Guarda sotto l'altro cuscino." Mi suggerì la voce profonda di Zafirus.

"Come mai così loquace questa sera?" chiesi sprezzante. Non rispose; perché con Haru era tutto zucchero e cannella, mentre con me era acido? Che fosse perché non gli avessi mai fatto un grattino? Ma non era da me.

Nonostante il mio orgoglio mi dicesse di non farlo, alzai l'altro cuscino e trovai il mio libro.

Lo presi in mano, era integro; anzi, quel moccioso aveva persino cercato di riparare la copertina e in malo modo c'era anche riuscito.

Lo aprii e da esso scivolò fuori un piccolo biglietto, che con un gesto veloce e fulmineo presi prima che potesse cadere sulle pregiate lenzuola nere.

Lo aprii e iniziai a leggerlo, ma me ne pentii all'istante.

"Dov'è?" chiesi sapendo che lui era ancora lì, che non se ne era mai andato.

Ridacchiò appena, soddisfatto.

"Chi?" chiese innocentemente, come se non sapesse di chi stessi parlando. Voleva colpirmi nel profondo, far sgretolare il mio orgoglio, ma non glielo avrei mai permesso.

Le parole di quel biglietto però mi fecero vacillare.

"Haru. Dov'è?" chiesi, scendendo dal letto e iniziando a cambiarmi, indossando anche il mio mantello.

Il drago mi fece attendere, solo per il piacere di farmi saltare i nervi.

"Dove non potrai andare da solo." Disse semplicemente, chiedendomi implicitamente di raggiungerlo.

Mi portai il cappuccio pesante del mantello vermiglio sul capo, per nasconderlo, e quindi mi diressi verso la porta, senza far rumore e appallottolando quel dannato biglietto nella mia tasca.

Come poteva un semplice "Ben tornato" farmi battere così forte il cuore e farmi mettere da parte l'orgoglio?

Z


Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro