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La quiete prima della tempesta

Capitolo 24

"La quiete prima della tempesta"

Il vero amore è una quiete accesa.

Giuseppe Ungaretti, Sentimento del Tempo, 1933

Pov Haru

«Azrael!» urlai preso dal panico, mentre le lacrime scendevano copiose dal mio viso.

Gli accarezzai una guancia e cercai di svegliarlo, anche baciandolo, ma i suoi occhi continuarono a rimanere chiusi.

Mi guardai in giro, ma non c'era niente o nessuno; solo alberi, dannatissimi e inutili alberi.

«Starà bene.» disse la voce gentile del mio sogno «Lui è forte.».

Mi voltai e ancora una volta il suo viso mi era precluso, nascosto dal cappuccio del mantello. Perché non voleva mostrarsi?

Mi asciugai quelle stille rosse e trasparenti con il polso e annuii. Sì, dovevo avere fiducia in Azrael, non mi avrebbe mai e poi mai lasciato solo, non dopo che aveva finalmente detto di amarmi. Forse, per l'ultima volta, ma quelle due parole le aveva pronunciate e mi sarebbe dovuto bastare perché ormai avevo imparato a conoscerlo e sapevo che non era il tipo da "ti amo", no, lui era un ragazzo possessivo e il suo amore lo trasmetteva sempre con quel "tu sei mio" e ci avevo messo un po' per capirlo.

«Perché sta così male? Posso fare qualcosa?» chiesi all'altro, che in risposta scosse la testa.

«Deve solo riposare per un po'.» sorrise prima di sparire nel momento stesso in cui udii le ali di Zafirus fendere il vento sopra la mia testa.

Pov Dragan

Ero preoccupato, arrabbiato e forse niente di tutto questo. Neppure io sapevo esattamente come mi sentivo, ma forse era normale perché in fondo sentirmi vuoto era l'unica difesa per me contro tutta la mia sorte avversa ormai da anni.

Non ero amato da mio padre, non ero amato da Haru, mia madre era morta passandomi il fardello dell'odio e Azrael, quello che una volta avevo creduto fosse una specie di fratello, si era rivelato anche il mio peggior nemico; la mia nemesi.

L'unico spiraglio di luce era Ryan, quel vampiro che non avrei mai potuto amare e non perché fosse impossibile, ma perché non potevo e non volevo amarlo: per paura.

L'avevo abbandonato, ferito, picchiato e violentato nell'animo, eppure lui continuava a seguirmi, anche in quel momento, anche se lo avevo minacciato.

Era come se fosse la mia ombra, il mio scudo e l'unica mano che mai e poi mai mi avrebbe tradito e lo sapevo bene, molto bene. In fondo, se anni prima era stato solo grazie a lui se ero riuscito ad andarmene dal castello di mio padre; era solo grazie a lui se non ero mai morto dopo le percosse che avevo ricevuto da bambino e nei mesi precedenti.

Lui era tutto e allo stesso tempo nulla per me.

«Ti ho detto di andartene.» ringhiai fermandomi, mentre la spada che tenevo tra le mani rilasciava piccole, ma intense scariche elettriche.

Algos, ecco il nome della spada che tenevo tra le mani e il cui nome era stato coniato al Dio greco del dolore. Era la mia preferita, la più potente che potessi richiamare e anche la più bella: era alta quasi quanto me, la lama era di un lucente argento e così frastagliata da sembrare così rovinata da parere impossibile che potesse tagliare qualunque cosa gli si presentasse davanti. Presentava alcune incisioni, lettere antiche che riportavano il suo nome che si illuminavano d'oro ogni qual volta una scossa elettrica fuoriusciva dalla punta.

Nonostante l'apparenza era una spada leggera, facile da maneggiare e flessuosa. L'impugnatura era semplice, circondata da un nastro bianco e rovinato.

Algos era stata abbandonata come me, privata del suo amore e della parola. Era stata generata dalla Discordia, madre non solo del dolore ma anche ti tutti i patimenti umani: l'oblio, la notte, la fame, il giuramento e la pena.

Come il dolore faceva parte della vita in un ciclo infinito che portava alla nascita della parola "nostalgia", Algos faceva parte della mia vita silenziosa e pesante, ma sempre a me cara.

«Sai che non lo farò.» la voce del rosso era calma, nonostante la ferita al suo collo facesse fatica a rimarginarsi, anche se era un semplice graffio che poteva essere causata dagli artigli di un gatto.

Algos era anche Ryan. Lui era il mio dolore.

«Torniamo al castello.» mi incalzò di nuovo «Ormai saranno tornati.» e forse era vero, ma non potevo cedere così facilmente; non potevo neppure credere o anche solo pensare al fatto che Azrael avesse potuto vincere ancora una volta contro di me precedendomi.

«Va tu se ci tieni.» ma sapevo che mi avrebbe seguito ovunque, anche tra le braccia delle fiamme dell'inferno se io mi ci fossi gettato, anche se gli avevo detto più volte che il mio cuore non gli sarebbe mai appartenuto, sebbene io stesso ne dubitassi ogni volta.

Ripresi a camminare e come era ovvio lui mi seguì, tenendosi a pochi passi di distanza da me, restando in silenzio perché sapeva che parlare mi avrebbe solo fatto spazientire di più.

Arrivammo al limitare del bosco, vicino a uno dei villaggi assoggettati al potere di mio padre: le strade erano deserte, le case erano nere e non vi era alcuna voce. Tutto taceva e non una sola luce tremolava tra quelle strade sporche e fangose.

«Non ci aiuteranno.» disse Ryan, pensando probabilmente che io volessi chiedere a qualcuno del villaggio informazioni o precedendo la formazione di quel pensiero.

Era vero, non ci avrebbero mai aiutati, perché la paura non era mai stato il giusto mezzo per governare un popolo.

Il terrore generava solo altro terrore e odio, profondo, acuto fin dentro le viscere.

Avanzai comunque, tenendo saldamente stretta nel pugno della mia mano Algos, che prese a vibrare e a illuminarsi per mia volontà. La alzai e grazie al suo bagliore iniziai a perlustrare quelle silenti strade scure e gelide come tombe.

La gente spaventata si stava sicuramente nascondendo nelle case malmesse e piene di spifferi, forse dormiva o forse restava sveglia e vigile a osservare le mie mosse. Probabilmente mi avrebbero attaccato e in quel caso li avrei uccisi in un colpo solo, perché delle loro vite non mi importava volevo solo riavere Haru tra le mie braccia.

A differenza di ciò che si potrebbe pensare i villaggi del Regno Oscuro, o Melas, non erano abitati solo da vampiri, ma anche da umani. I primi erano creature che non avevano poteri abbastanza forti o interessanti da poter aderire all'esercito dell'Imperatore e che quindi erano trattati come reietti; i secondi, invece, erano degli agnelli sacrificali oltre che macchine da riproduzione.

Nessuno poteva abbandonare il regno oscuro, tutti i villaggi avevano un coprifuoco e per far obbedire i sudditi venivano dati degli incentivi oltre alla paura. Per esempio se una coppia generava più di sette figli allora tale famiglia sarebbe stata risparmiata da quella che io solevo chiamare mietitura per due anni; oppure, se un vampiro o qualunque essere umano avesse denunciato un movimento di rivolta o un'unione proibita (ovvero tra un umano e un vampiro) allora questo avrebbe ottenuto abbastanza denaro per poter vivere per qualche anno. Queste erano solo alcune delle barbare condizioni per avere delle agevolazioni che avrebbero potuto allungare la loro vita.

Qualcosa si mosse in un vicolo, mi voltai, ma Ryan fu più veloce di me e atterrò quella cosa che entrambi avevamo visto con la coda dell'occhio.

Mi avvicinai per fare luce e la delusione mi colse prepotente nel petto quando vidi che quello non era Haru, ma un semplice ragazzino tutto ossa e vestito di stracci.

«Sta buono, non ti faremo nulla.» si alzò Ryan.

Il ragazzo iniziò a tossire e poi sputò ai miei piedi.

Feci per calare la spada, guidato da quel lancinante tumulto che mi albergava dentro, ma il rosso si mise in mezzo e mi fermai.

«E' malato e disarmato.» mi rimproverò, fulminandomi con lo sguardo e poi voltandosi per soccorrere quel ragazzo, iniziando a tirare fuori le sue pozioni e unguenti dalla sua inseparabile sacca.

Lo sconosciuto inizialmente tentò di ribellarsi, ma poi si calmò e iniziò a farsi aiutare dalla mano gentile di Ryan che paziente gli fece ingerire strani liquidi dai dubbi odori.

Ci mise quasi un'ora.

Sarei potuto andare via, ma le mie gambe non si mossero di un millimetro, rimanendo nello stesso punto granitico come una statua.

Quando Ryan si alzò e mise tutto al suo posto era sporco e il ragazzo ormai dormiva con il respiro sempre più debole.

«Così se ne andrà nel sonno.» dissi solo avvicinandosi verso di me e superandomi.

Una gentilezza dare una dolce morte a qualcuno che in fondo stava già morendo di Seleneria.

Pov Haru

Continuavo ad accarezzare il viso di Azrael che ancora dormiva, mentre il freddo pungente della notte non era altro che un leggero prurito sulla mia pelle. Era strano, io mi sentivo strano, ma allo stesso tempo bene come non mi ero mai sentito con me stesso.

Le lacrime continuavano a scendere, mentre lui sembrava essere caduto in un sonno profondo molto simile alla morte, ma dopotutto era un vampiro. Non poteva morire, no?

«Si sta risvegliando.» disse la voce antica di Zafirus nella mia testa, mentre si vibrava nell'aria dolcemente, come un petalo di ciliegio che viene soffiato via dal vento e trasportato da un invisibile filo, accompagnato da un suono si sistri d'argento, che però non richiamavano affatto la morte, ma il canto estivo delle cicale, di un flauto traverso il cui suono arrivava da lontano. «Il fato ha iniziato a muoversi.».

«Che vuoi dire?» chiesi confuso.

«Dovrete essere tutti pronti.» continuò ignorandomi, ma questo mi fece irritare e sentii gli occhi bruciare e fare male.

«Pronti a cosa?» chiesi cercando di rimanere calmo e prendere un profondo respiro.

«Lo scoprirai presto.» rispose solo e io mi ritrovai a ringhiare, ferocemente perché odiavo non riuscire a capire.

«Dimmelo!» urlai, ma il drago non rispose e anzi iniziò a discendere, poiché ormai eravamo vicino al castello.

Lui però continuò a rimanere nel suo antico silenzio, facendomi solo innervosire di più, mentre il sangue correva nelle mie vene e mi dava alla testa e questo faceva male e allo stesso tempo bene. Ero io e allo stesso tempo non lo ero affatto.

Una volta atterrato fece scendere entrambi a terra dolcemente, prendendoci con la sua coda e posandoci su quella che una volta doveva essere una radura e che col tempo si era trasformata in una distesa di terra nera e secca, piena di crepe e rocce.

Azrael non accennava ancora a svegliarsi.

«Voglio parlare con lui.» dissi riferendomi a quella figura incappucciata. Zafirus doveva sapere come chiamarla.

«Si presenterà quando sarà il tempo.» mi guardò con i suoi occhi grandi e azzurri, le sue squame candide brillavano di luce propria quasi fossero state benedette dalle stelle, ma fredde e dure come perle.

Un piccolo movimento venne da Azrael e immediatamente andai al suo fianco, scostando lo sguardo dal drago che ne approfittò per andarsene, con la sensazione che non sarebbe tornato tanto presto.

Pov Azrael

Quando aprii gli occhi la prima cosa che vidi furono delle bellissime iridi verdi, che mi ricordavano una giornata di sole e di pioggia. Avete presente quel momento in cui dopo la pioggia spunta fuori il sole e paradossalmente entrambe quelle situazioni atmosferiche riescono a coesistere? Magari in una giornata d'autunno, dove il verde delle foglie è slavato e illuminato dai raggi deboli del sole smorzati dal colore grigio del cielo.

Avrei pagato oro pur di poter avere un quadro che potesse dipingere quel momento, ma quei colori sembravano impossibili da immortalare, se non negli occhi di quel ragazzo che mi stavano guardando. C'era anche un leggero rossore intorno alla corona, ma poco mi importava perché l'unica cosa che in quel momento volevo erano le sue morbide e calde labbra sulle mie.

Non che potessi percepire il calore, per me che ero un vampiro era relativo, ma a volte immaginare le sensazioni umane mi veniva facile, perché nonostante la mia natura anche io ero "umano" a causa delle emozioni che mi albergavano nel petto.

Demoni, angeli, alieni... non importava. Eravamo tutti umani fino a che una sola singola emozione attraversava le nostre terminazioni nervose facendoci percepire anche solo una piccola punta di dolore o di gioia.

«Azrael.» sorrise piangendo, chinandosi su di me ed esaudendo il mio desiderio in un casto e dolce bacio a stampo, ma che mi fece tremare dentro.

«Buon giorno.» scherzai, mentre finalmente il dolore alla schiena era cessato e lentamente tutto si faceva più chiaro.

«Stai bene?» mi chiese preoccupato e io mi misi a sedere e annuii, guardandomi in giro e individuando il castello che era poco lontano da dove avrei scommesso Zafirus ci avesse posato rischiando di farsi vedere, anche se dubitavo gli importasse veramente.

La montagna sulla quale si nascondeva, la Montagna Isolata e l'unica che si ergeva su tutta Fos, dopotutto era a pochi chilometri dal castello. Perché un drago dovrebbe nascondersi così vicino al nemico, quasi non avesse paura di farsi trovare?

Glielo avevo chiesto più volte e più volte la risposta era stata la stessa: "Perché nascondermi quando il mio cuore è qui?".

Mi rialzai lentamente, mentre Haru cercava di darmi una mano quasi avesse paura potessi svenire ancora da un momento all'altro come se fossi un debole giunco pronto a piegarsi al primo soffio di vento.

Presi un profondo respiro, cercando di rimanere calmo e poi intrecciai le nostre mani.

«I tuoi occhi sono di nuovo rossi.» gli feci notare e lui sorpreso spalancò leggermente la bocca, prima di cercare qualcosa per potersi vedere, ma come era ovvio non trovò niente.

Gli presi il mento con due dita e dolcemente lo indussi a guardarmi, prima di potergli sollevare il cappuccio del mantello che indossava e coprirgli così interamente il viso.

«Non togliertelo a meno che non sia strettamente necessario. Non alzare troppo lo sguardo e cerca di non arrabbiarti.» gli ordinai.

«Cosa?» chiese confuso «Perché dovrei arrabbiarmi?».

Doveva sembrargli una sorta di barzelletta e se me lo avessero detto qualche giorno prima anche io avrei riso. Haru infuriato? Era come vedere un topolino tremante, ma ora a causa della sua vera natura che si era risvegliata ogni cosa era possibile e anche il più piccolo granello di polvere avrebbe potuto farlo scoppiare.

«Fa quello che ti ho detto e basta. Dobbiamo tornare prima che il cane senta il tuo profumo.» dissi sulle spine.

Grazie al mio udito e al mio olfatto riuscivo a percepirlo e sapevo che stava arrivando. Probabilmente aveva deciso o di rientrare per aspettarlo oppure aveva percepito il suo intenso profumo dopo che doveva essere scomparso all'improvviso; dopotutto la foresta di Amnemoneo non era per tutti; solo alcuni prescelti potevano entrarvi.

Se non sarai completamente sincero con te stesso, lui morirà. Perché tali parole mi tornarono alla mente?

Le scacciai e poi iniziai a tirare l'albino verso il castello.

Sapevo che quei pochi metri erano la quiete prima della tempesta; me li sarei goduti pienamente. O così almeno speravo.


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