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Il valore delle parole (parte 2)

Le parole possono ferire o spezzare il cuore, e anche l'anima. Non lasciano lividi, non rompono le ossa; perciò, per chi fa male con le parole non c'è la prigione.

Marlene Dietrich, Dizionario di buone maniere, 1962

Pov Imperatore

Fece un passo indietro e un sadico sorriso animò le mie labbra. Era da tempo che non mi sentivo così vivo, che non vedevo così tanta paura riempire delle iridi così chiare.

Più lo osservavo, più sentivo la sua pelle aulente di timore ed era un profumo così dolce da non poterne fare a meno; quel sangue che gli scorreva nelle vene era così buono, già quasi ne sentivo il sapote in bocca e i miei occhi divennero rossi, liquidi di cupidigia e di fame, che non potevo fermare.

Desideravo, bramavo, affondare i denti in quella diafana pelle, mentre lui docile come un agnellino si abbandonava ai miei morsi, alla mia stretta; perché sapevo che non avrebbe mai potuto resistere a me, ai miei occhi magnetici.

Feci un passo in avanti, lui automaticamente indietreggiò di nuovo. Osservai quei capelli bianchi, tagliati in modo irregolare, a spina e leggermente ondulati; poi, c'erano quegli occhi verdi, che non sopportavo. Non erano del colore giusto, avrebbero dovuto essere azzurri come limpida acqua, simbolo di purificazione e fuga, libertà.

Lo odiavo, ma in fondo che importava? Era solo cibo, un'arma che si stava rivelando inutile. Era quasi un mese che era tra le mie mura e ancora non aveva avuto alcun accenno di essere davvero l'Angelo; eppure, prima, quando lo avevo abbracciato mi era sembrato che fosse accaduto qualcosa, lo avevo letto nei suoi occhi, ma era stato un fulgido frangente che avrebbe benissimo potuto voler dire niente.

-C... cosa volete dire? – balbettò innocentemente. Anche questo non riuscivo a sopportarlo, sembrava una piccola e fragile foglia, sempre pronta a staccarsi dal proprio ramo; ma in fondo, probabilmente, era quella condizione umana che ormai avevo dimenticato.

Sembrava un piccolo angelo puro e casto, ma sapevo che sotto quella parvenza di pura e luminosa forma priva di peccato, si celava il più perfido dei diavoli così come era stato per il suo predecessore, quell'Angelo che tutti veneravano e che io volevo riportare in vita solo per poterlo poi uccidere con le mie stesse mani e banchettare con il suo corpo e il suo sangue, diventando a quel modo io stesso il Dio di questo mondo corrotto, che aveva creato con il suo sacrificio.

-Io non sono il custode di nessuno. – strinsi le mie lunghe e candide dita attorno a quel piccolo collo che sembrava essere fatto di gelatino. Tentò di ribellarsi, di farmi allentare la presa, mentre i suoi lumi erano spalancati e cercavano brillanti di lottare, insieme ai suoi polmoni alla ricerca d'aria. Sospirai entusiasta, era quasi come fare l'amore; mi sentivo eccitato, sempre più voglioso e non riuscivo a fermarmi. Era pazzo, folle, volevo vederlo soffrire ancora di più, volevo toccarlo ovunque e cibarmene come mai prima d'ora mi era capitato nei confronti di qualcuno.

-V... vi prego. – disse strozzato, mentre mi guardava con quelle iridi opache e smeraldine che lentamente stavano perdendo brillantezza, stavano morendo più di quanto in realtà già non fossero.

Allentai la presa, non per davvero mio volere, ma solo perché mi serviva vivo. Lui cadde a terra, le lacrime agli occhi, il respiro affannato, mentre i polmoni dovevano bruciargli, quasi l'ossigeno fosse il martello di un fabbro che batteva sull'incandescente ferro.

Mi abbassai alla sua altezza, gli accarezzai uno zigomo con la punta del pollice; la sua pelle era morbida e vellutato, della stessa consistenza di un petalo di rosa. –Io possiedo, Angelo. – lo corressi –Tutto ciò che vedi: questo castello, la terra su cui cammini, l'aria che respiri e la tua stessa vita sono miei. – mi avvicinai a lui, posai le mie labbra sul suo orecchio, inspirando forte il suo profumo, quasi fossi un maniaco –E ben presto lo sarà anche quel castello di luce che tanto ammiri. -.

Tremò e io risi, alzandomi e sovrastandolo quasi fossi l'enorme statua di una divinità greca. Sembrava un cucciolo spaurito, una debole vittima, che non poteva essere considerata innocente; i peccati di quella persona facevano parte di lui, ne macchiavano la sua intera esistenza, la sua anima, che se quegli orribili occhi verdi non potevano averne il sentore.

-Baciami i piedi. – ordinai lui, che subito alzò lo sguardo per guardami sorpreso, quasi avessi parlato una lingua del tutto differente; non che non fosse vero, ma lui non si era accorto di riuscire a parlare la nostra lingua fluente e natia.

-P... perché dovrei farlo? – chiese, una piccola luce di orgoglio brillava da quegli occhi ancora umidi, che sembravano essere in grado solo di creare quelle piccole perle trasparenti e salate, che io da tempo avevo smesso di versare.

Non risposi, semplicemente lo guardai, mentre mille graffi avevano iniziato ad aprirsi quasi inspiegabilmente sulla sua pelle, che si colorò di rosso.

Il ragazzino si portò una mano a una guancia, toccò a pena il suo caldo liquidi rosso e scarlatto di vita e poi si guardò le mani e le braccia spaventato, mentre la vita scivolava lentamente, ma non irrimediabilmente, via da lui.

L'odore del suo sangue mi arrivò forte alle narici, mi inaridì la gola, rendendomi assetato. Volevo il suo sangue, ad ogni costo.

-Baciami i piedi. – ripetei, mentre lui scuoteva la testa.

A quel rifiuto urlò, mentre anche sulle sue gambe si aprirono tagli profondi e i suoi vestiti si lacerarono; niente lo toccava, se non il vento di bonaccia.

-Fallo. – ringhiai e lui mi guardò con quegli occhi da cerbiatto, nascosti dalle palpebre leggermente socchiuse e poi si costrinse a chinarsi e a baciarmi i piedi.

Mi protesi verso di lui e poi gli afferrai rude e violento i capelli, tirandoli selvaggiamente, facendolo gemere ancora più di dolore, mentre lo tiravo su, in piedi e gli facevo scoprire il collo in cui affondai i miei canini voraci, che pulsavano di vita propria, bramosi di ricevere il loro sostentamento dovuto.

Non appena il suo sangue mi giunse dentro fu come arrivare alla pace dei sensi. Lo strinsi ancora di più, lo abbracciai come da tempo non avevo mai stretto nessuno tra le mie braccia, rompendogli forse qualche osso; tuttavia, non mi importava, la mia gola voleva di più, sempre di più, mentre il mio cervello diventava bianco, smise semplicemente di ragionare.

Sangue, sangue, sangue. Era tutto ciò a cui riuscivo a pensare, mentre le sue urla mi arrivavano solo come un semplice e fastidioso sussurro alle orecchie.

Non potevo fermarmi, lo avrei ucciso e non mi importava. Non mi serviva un debole e inutile moccioso pauroso, che mi ricordava l'Angelo che tanto odiavo.

Pov Azrael

Rimasi poggiato a una colonna, mentre le sue urla mi arrivavano chiare alle orecchie e mi colpivano dritte al petto.

I miei occhi erano rossi di ira, mentre le mani mi prudevano; sentivo il profumo del sangue del mio nanerottolo nonostante fossi lontano parecchi metri da lui.

Cercai di calmarmi, ma non ci riuscivo; l'imperatore si stava prendendo possesso di una mia proprietà. La stava perfino uccidendo oltre che sciupando!

Uscii fuori dal mio nascondiglio, rendendo i miei occhi normali, sopprimendo la rabbia che provavo per non far sospettare a quell'uomo spietato nulla. Dovevo solo allontanarlo da Haru, una cosa che sarebbe potuta essere semplice o che mi sarebbe costata anche la vita, ma quello stesso uomo mi aveva cresciuto inculcandomi in testa che avrei sempre dovuto difendere ciò che era mio.

-Mio signore. – mi inginocchiai riverente al suo cospetto, tenendo gli occhi bassi, sul rosso pavimento, mentre tentavo di ignorare le urla di Haru, che si stavano facendo sempre più strozzate, più flebili; stava morendo. –Posso avere il permesso di parlare? -.

Alzai appena lo sguardo e notai quegli occhi rossi fulminarmi con lo sguardo, mentre forzatamente con la bocca sporca di sangue si staccava da quel candido collo, ma non lasciava andare la mia preda.

-Parla e fa che sia importante. – ringhiò, privo di qualsiasi ragione.

-I dissidenti signore, sono insorti nel paese di Lyonis. – continua a guardarlo, senza alcun timore –Chiedo istruzioni. -.

Non era una vera e propria bugia, in realtà avevo mandato io stesso qualche vampiro in quel paese che sapevo fosse pronto alla ribellione; avevo solo forzato un po' i tempi, consapevole della passione dell'Imperatore per essere partecipe in tali occasioni.

Lui sorrise, pulendosi la bocca sporca di sangue e gettando di lato Haru, violentemente, tanto da fargli battere la testa contro la dura parete di pietra.

-Oggi sembra essere una giornata fortunata. – mi si avvicinò e mi posò una mano sulla spalla. Abbassai lo sguardo, reverente, quando poi mi arrivò dritto in faccia un mano rovescio che non mi aspettavo.

Non emisi fiato, presi semplicemente il colpo, che mi spaccò il labbro e poi osservai quegli occhi freddi e gelidi pieni di ira.

-Vedi di educare i miei cani come ti ho insegnato Azrael. Sei troppo dolce. – sibilò e poi mi fece cenno di alzarmi e io lo feci, repentino, come mi era stato insegnato ad essere.

-Vedi di non farmi arrabbiare più del dovuto e fa tacere i tuoi sentimenti. Ti stai affezionando e ricorda, posso far vedere a quei torbidi e insignificanti occhietti verdi quanto sai essere patetico quando ti punisco. L'ultima volta ti sei fatto anche la pipì addosso vero? -. Rise.

Non mostrai alcuna emozione; rimasi fermo ed impalato dov'ero, gli occhi che guardavano il nulla.

Percepii una sua mano accarezzarmi una natica e poi sgusciare via, lentamente e languida come un serpente.

Non appena fu lontano chiusi gli occhi, digrignai i denti e mi avvicinai a un dipinto, su cui posai una mano, lasciando che il mio potere creato dall'odio e dalla rabbia si spandesse e distruggesse quell'oggetto malcapitato sotto la mia ira.

Ricordavo bene quel giorno, l'ultimo in cui ero stato punito, quello stesso giorno in cui avevo giurato che non sarebbe successo mai più. Era stato lo stesso giorno in cui avevo smesso di credere alla mia stella, quello in cui mi ero rifiutato di uccidere un bambino che aveva la mia stessa età.

Quel giorno forse era stato la chiave di tutto, quella della svolta: quel giorno io avevo giurato a me stesso di essere ciò che l'imperatore si aspettava, mentre Dragan aveva deciso di lasciarsi alle spalle colui che gli aveva dato la vita non appena avesse potuto.

-A... Azrael. – aprii gli occhi e feci ciondolare di lato la testa, guardando quel nanerottolo mezzo nudo e steso a terra. Era pallido, esattamente come quella notte nella foresta, come quando lo avevo stretto a me fino ad addormentarmi in quella catapecchia abbandonata nascosta tra gli alberi.

-Ora mi implori? – risi –Pensavo volessi un nuovo custode. -.

-Az... - la voce gli morì, mentre il suo corpo venne preso dagli spasmi di un violento colpo di tosse. Alla fine rimasero solo i suoi grandi e bellissimi occhi verdi a guardarmi, implorandomi di riprenderlo con me.

Mi avvicinai a lui, mi chinai e dolcemente gli scostai una ciocca canuta dietro un orecchio.

-Le parole hanno un peso Haru. – raramente pronunciavo il suo nome, ma ogni volta che lo facevo era come se la mia lingua danzasse; le sillabe scivolavano dolcemente, quasi fosse un'intera canzone.

Continuai ad accarezzargli il viso, mentre lui stava in silenzio e mi osservava solo, prestandomi la sua completa attenzione. –Le parole possono tagliare come lame anche chi non ha cuore. – gli sussurrai, togliendomi la camicia e avvolgendogliela intorno al corpo, prendendolo poi in braccio, mentre come al solito si addormentava inalando il mio profumo e ascoltava quello che a detta sua era il battito del mio cuore.

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