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Il bene e il male in te (parte 1)

Capitolo 8

"Il bene e il male in te – Parte 1"

La speranza e la paura ci fanno vedere come verosimile

e prossimo rispettivamente ciò che desideriamo e ciò che temiamo,

ma entrambe ingrandiscono il loro oggetto.

Arthur Schopenhauer

Pov Haru

Correvo, correvo lontano da quei vampiri che mi stavano inseguendo, che mostravano i loro denti appuntiti e aguzzi, che si umettavano le labbra, mentre le loro dita erano pronte ad afferrarmi.

Scappavo, mi mancava il fiato, le ginocchia mi facevano male, ma scappavo, stranamente senza inciampare, mentre tutto intorno a me era buio, tranne che per lungo e infinito tappeto rosso, come il sangue che i miei aguzzini desideravano. Il cuore batteva forte, mi sembrava che dal petto si fosse spostato sin al cervello, tanto che lo sentivo ronzare all'interno delle mie orecchie, che ne spandevano l'eco, esplodendo.

Avevo paura, mentre sentivo gli occhi pungermi a causa della lacrime che non volevo lasciar scendere. Cercavo di urlare, di non voltarmi indietro, ma se la mia voce era assente, come se fossi all'interno del vuoto, cercare di non girarmi era impossibile.

Quei visi, quelle facce, dai tratti che non avrei mai potuto dimenticare: aguzzi come quei canini d'alabastro che affamati si erano allungati e spuntavano da sotto le loro bocche digrignate in un ghigno che mi faceva sorgere i brividi lungo la schiena; con quegli occhi rossi, scarlatti, come rubini torbidi, sporchi, che brillavano di una sinistra luce che doveva essere la stessa che possedeva la morte, mentre osservava il tramonto.

-Azrael! – urlai, piangendo, mentre i miei polmoni bruciavano come se all'interno vi fosse stata colata della lava fusa, incandescente, distruttrice, soffocante, come il serpente all'interno della bocca di quel pastore che Zarathustra tentò di aiutare.

Pronunciare quel nome mi faceva male; probabilmente perché, sapevo che era sbagliato pensare a lui quando al mio fianco potevo avere qualcun altro che non mi avrebbe mai fatto del male; eppure, gli uomini amano sempre ciò che fa loro del male.

Mi svegliai con la fronte madida di sudore, il respiro corto, frammentato e veloce, come se avessi appena corso.

Mi guardai intorno, spaventato, come un coniglio intrappolato in un angolo, non ancora rassegnato al fatto che il lupo stesse per mangiarlo.

Mi abbracciai, sfregando le braccia con le mani, nel tentativo di allontanare il freddo che sentivo, mentre intorno a me era buio pesto.

La finestra era aperta, solo un filo d'aria entrava, sollevando appena quel pesante tessuto rosso scuro, che ancora mi ricordò il colore del sangue e che mi fece venire la nausea, mentre cercavo di tranquillizzami, di ripetermi che ero al sicuro, che era tutto finito, che nessuno avrebbe più potuto toccarmi o farmi del male. Eppure, non ci riuscivo, continuavo a tremare, ad avere la pelle d'oca, mentre il ricordo di quei vampiri che mi bramavano sembrava essersi posato indelebilmente da qualche parte nella mia testa e niente sembrava avere il potere di tranquillizzarmi, nonostante ormai fossero passati giorni e giorni, in cui ero sempre stato accanto ad Azrael, in quella stanza, senza mai lamentarmi, senza avere altri sogni strani o senza fare alcun progresso riguardo a quei poteri che avrei dovuto, in teoria, avere.

Mi morsi il labbro inferiore, richiudendomi a riccio su me stesso. Avevo tanta voglia di un abbraccio, ma a chi mai avrei potuto chiederlo un gesto così tenero? Mia sorella non c'era, Dragan era da qualche parte in quel castello che non mi era permesso visitare e in cui non avrei mai più camminato da solo, senza protezione, mentre Azrael di sicuro mi avrebbe preso in giro.

All'improvviso mi ricordai che il mio vampiro custode avrebbe dovuto essere lì, con me; eppure, in quel buio non riuscivo a vederlo.

Mi guardai attorno, spaventato come una foglia tremolante, che pende dal ramo di un albero, come d'autunno. Perché non c'era? Non volevo stare da solo, avevo paura.

-A... Azrael. – piagnucolai, mentre gli occhi tornavano a pungermi e fredde lacrime iniziavano a bagnare il mio viso. Se mi avesse lasciato anche lui cosa mi sarebbe successo?

-Hai ancora problemi a dormire nanerottolo? – chiese all'improvviso, una voce al mio orecchio, accompagnata da un improvviso alito di vento, che profumava di eucalipto e salsedine; il suo profumo.

Mi voltai di scatto, ritrovandomi il suo viso a pochi millimetri dal suo viso la cui pelle diafana vibrava luminosa anche al buio, esattamente come quegli occhi che brillavano puri, come limpidi drappi di cielo notturno, pervasi da milioni di stelle che rilucevano dandogli quell'aria ancora più magnetica, sensuale e sovrannaturale che lo indicavano come il principe della notte; la mia notte. Poi c'era quel solito ghigno, quel sorriso un po' bastardo che lo accompagnava sempre e che per qualche motivo a me sconosciuto mi toglieva il respiro.

Contrassi le labbra in un'unica linea sottile e poi mi gettai tra le sue braccia, stringendolo a me e colpendolo con lievi pugni al petto nel medesimo tempo.

-Non farlo più! – gemetti, mentre lui rimaneva immobile come una statua e mi guardava senza alcuna espressione, se non quella di noia; solo per cortesia mi accarezzò i capelli, dolcemente, senza farmi male, pettinandoli con le sue dita lunghe e affusolate come quelle di un pianista. Tuttavia, in quel luogo, forse, non sapevano neppure cosa fosse un pianoforte.

Qualcosa era cambiato in quelle settimane; era diventato molto più freddo, distaccato. Che fine aveva fatto quel vampiro che mi aveva cullato nel bosco? Che mi aveva ipnotizzato con quei profondi occhi rubati al cielo e foraggiati da quei puntini luminosi che mille volte avevo tentato di contare, perdendone poi, però, il conto? Cosa gli era successo? Oppure ero stato semplicemente io a illudermi ed era sempre stato a quel modo, solo non lo avevo mai notato prima di quel fatto?

-Finito? – chiese quando mi calmai, mentre la sua mano dai miei capelli discendeva lungo la spina dorsale, provocandomi mille scariche elettriche che mi fecero irrigidire. –Hai avuto ancora un incubo, nanerottolo? Prima o poi dovrai imparare a non aver più paura del buio; non sono la tua baby sitter sai? – disse divertito, mentre mi teneva stretto a sé, donandomi calore, nonostante la sua voce fosse distante e pregna di ironia ungente.

-S... scusa. – con un pugno strinsi forte la sua camicia, mentre con l'orecchio andavo alla ricerca del suo battito cardiaco, quella melodia strana, dolce, rassicurante; l'unico antidoto alla paura in quel luogo.

-Quante volte devo dirti di non scusarti nanerottolo? – mi prese il mento tra le dita, costringendomi a guardarlo, a baciarlo come ogni volta, confondendomi così sempre di più le idee e il cuore che freneticò iniziò a battere e la cosa peggiore era che non potevo nasconderlo, non alle sue orecchie sovrannaturali che potevano captare anche il lieve battito d'ali di una farfalla a chilometri di distanza da dove si trovava.

-Dov'eri? – chiesi, cambiando argomento e chiudendo gli occhi, mentre la sua presenza e il suo profumo bastavano a tranquillizzarmi e a far aprire le di nuovo le braccia di Morfeo, pronte ad accogliermi e che mi stavano trascinando in quel mare alogico e tranquillo come un limpido torrente che scorreva pigro nel letto di un fiume, verso il fondo, nel buio, in quel porto sepolto in cui avrei potuto trovare la luce oppure il nulla.

-Non ti piacerebbe saperlo. – continuò ad accarezzarmi i capelli, mentre si stendeva sotto di me, facendomi da cuscino, paziente; anche se qualcosa dentro di me mi diceva che in fondo non gli dispiaceva.

-Perché no? – sbadigliai, accoccolandomi come un gatto contro il suo petto e sfrusciando la guancia contro di esso, mentre tutta la paura sembrava essere sfumata come per magia. –Tu non sei cattivo. – e di questo ne ero assolutamente sicuro; in lui nonostante il buio vedevo una luce; era quasi un faro accecante che mi folgorava gli occhi, impedendomi di vedere, ma a cui mi sarei affidato, nonostante la mia apparente cecità. Nessun cattivo avrebbe potuto avere una luce così calda dentro di lui e raramente il mio istinto su ciò sbagliava, anche se ultimamente la mia credenza stava vacillando.

-Ne sei davvero così sicuro nanerottolo? Ti ricordo che sono un vampiro e che siamo in guerra; le mia mani sono sporche di sangue, anche se non lo vedi. – aprii controvoglia gli occhi e lo osservai, accarezzandogli la guancia.

Morbida, calda, come quella di un bambino.

-Sì, ne sono sicuro. – gli sorrisi –Non sei come tutti gli altri.

*

Pov Azrael

-E se non sono come tutti gli altri, cosa sarei esattamente? – cercavo di non scoppiargli a ridere in faccia, mentre mi godevo quella sua innocente ignoranza che mi faceva quasi pena. Come poteva anche solo credere che io fossi ciò che gli avevo mostrato? Quei gesti di dolcezza che gli avevo donato dovevano avergli di sicuro montato la testa; forse, però, era meglio così. La sua reazione davanti a quella verità che non voleva scorgere sarebbe stata grandiosa, magnifica! Avrebbe fatto una faccia che mi avrebbe fatto sorridere davvero con il cuore, che mi avrebbe fatto scorrere il sangue nelle vene e forse per tre microsecondi farmi innamorare di lui.

Già avevo l'acquolina in bocca; bramavo le espressioni piene di terrore. Già riuscivo ad immaginarmi i suoi piccoli occhietti verdi brillare e il suo cuore battere come le ali di un colibrì.

-Sei Azrael. – ritirò la mano e tornò ad appallottolarsi su di me, e io solo per par condicio gli permisi di farlo, mentre gli accarezzavo la schiena.

-Questa non è una risposta. – gli sussurrai nell'orecchio, soffiandoci appena dentro; in quel momento il gracchiare di una cornacchia tagliò l'aria, quella bolla che si era creata tra me e lui, posandosi sul davanzale della finestra della mia stanza, guardandoci con quegli occhi neri, dalla tetra luce color del sangue, con sguardo severo e duro come una roccia in mezzo al blu.

-Cosa c'è? – mi chiese, mettendosi seduto e guardando nella mia stessa direzione, trovando così una scusa per separarsi da me e tentare di non farmi scorgere il suo imbarazzo, visibile su quelle guance rosse come pomodori maturi.

-Una cornacchia? Credevo non ci fossero animali "normali" qui. – gattonò via, avvicinandosi al bordo del letto e osservò sorridendo quell'animale orribile, simbolo di morte e spia dell'Imperatore. Se solo avesse tentato di accarezzargli non gli avrebbe solo beccato la mano, ma gliela avrebbe amputata con un semplice morso al polso, perché quello che sembrava un semplice uccello era in realtà una creatura infernale agli ordini di un unico oscuro padrone.

-Invece ce ne è qualcuno, vuoi vederli? – chiesi, mentre una piccola idea si faceva largo in me; gli avrei dimostrato che ero tutto fuorché buono. Io non ero luce, io non ero colui che gli avevo mostrato e quelle gentilezze, quelle premure che avevo avuto nei suoi confronti non erano affatto causa dell'amore che assolutamente non provavo, ma solo di un mio personale divertimento.

-Ci sono degli animali qui? Ma credevo avessi detto che... - scattò verso di me, quelle iridi smeraldine che brillavano piene di speranza.

Mi alzai e gli porsi teatrale la mia mano, quasi lo stessi invitando a ballare, chinandomi leggermente col busto in avanti un mezzo inchino. –Vogliate seguirmi principe dei nanerottoli. E' ora di fare una piccola gita. -.

Il suo cuore perse qualche colpo, mentre anche il suo respiro si ammutoliva. Si morse il labbro inferiore, mentre quelle guance si facevano ancora più lucide e rosse come fragole, mentre i suoi capelli bianchi sembravano piccole onde sparse nel vento che soffiava dolcemente.

Mi prese titubante la mano e io lo tirai contro di me, ghignando, mentre i nostri visi erano l'uno vicino all'altro, tanto che mi sarebbe bastato poco per congiungere le nostre bocche e divorarlo, dolcemente, come se stessi gustando il mio piatto preferito.

-Andiamo. – dissi però semplicemente, mentre un rumore d'ali si spanse nella stanza, lasciando al posto di quell'uccello del malaugurio solo una piuma nera come la notte.

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