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Graffi sulla pelle

Capitolo 16

"Graffi sulla pelle"

Non servono le lacrime per lavare il viso,
servono piuttosto ad aprire un nuovo orizzonte,
affinché si possa vedere la luce.
Bramante

Haru's POV

Che cosa avevo fatto! L'avevo davvero baciato? Non era da me fare queste cose, non in questo campo! Io non avevo mai baciato nessuno, anzi, credevo non fosse nemmeno possibile!

Sarei voluto morire per la vergogna in quel momento.

-Questo è il tuo primo bacio che dai dico bene? – ghignò, mentre quegli occhi neri, ma delle sfumature blu, che ora che mi erano così vicini sembravano essere due drappi sottratti al cielo stellato notturno, brillavano intensamente, ingoiando e riflettendo la mia immagine che sembrava essere perfetta incastonata all'interno delle sue pupille. Che cosa dovevo rispondere? Forse: "Sì Azrael, sei la prima persona che mi abbai mai sfiorato in tutta la mia vita e vorrei che fossi l'unica"?

A quel pensiero percepii il sangue affluire ulteriormente al mio viso, arrossandolo fino a colorarmi e a far diventare bollenti non solo le mie goti, ma anche le punte delle mie orecchie. Avrei voluto poter mettere la testa sotto la sabbia come uno struzzo, per sfuggire a quei lumi che non mi stavano lasciando alcuna possibilità di fuga, e che, anzi, sembravano godere del mio stesso imbarazzo.

Tentai di rispondere, ma la mia voce non voleva uscire; continuavo solamente ad osservare i suoi occhi che sembravano due pezzi di cielo notturno, più blu che neri. Erano bellissimi, come tutto di lui.

Non avevo mai creduto nelle perfezione, tutti in qualche modo erano imperfetti a modo loro; eppure, in lui non vedevo alcun difetto, sembrava che lui fosse l'eccezione alla regola con quel piccolo e dolce naso dalla morbida curva, le labbra rosse e carnose, da cui spuntavano appena i denti bianchi e perfetti, come l'alabastro che era anche la sua pelle, che contrastava perfettamente con quei suoi corvini capelli, che a differenza di tutte le altre volte, quella notte erano sciolti e come una cascata di tenebre erano andati a circondare i lati del suo viso; mentre si muovevano e ricadevano nel vuoto gettandosi dalla sua spalla, sembrava come una bellissima, ma nera, ruota della coda di un pavone. Lui non poteva che essere la reincarnazione della perfezione.

Mentre continuavo a guardarlo, come a voler memorizzare ogni cosa di lui, nella vana ricerca di un difetto, si avvicinò, molto lentamente, sussurrando al mio orecchio con voce suadente: - Lascia che ti mostri com'è un vero bacio. –

Non capii immediatamente le sue parole, la mia mente era come sotto l'effetto di una droga leggera, che mi inibiva i sensi e che non mi permetteva di capire la bellezza del niente.

Si avventò, immediatamente, sulle mie labbra, accarezzandole prima con la punta umida della sua lingua; io le schiusi subito, automaticamente, come per riprendere fiato, poiché come impossibilitato a respirare con il naso, ma questo fu un "errore" di cui non mi sarei mai pentito.

Disegnato il contorno delle mie labbra, insinuò quel suo organo umido, caldo e ruvido, nella mia bocca, iniziando ad esplorarla, ovunque, sempre più a fondo, accarezzandomi il palato, poi la cresta dei denti affilati, fino a tenersi il meglio per ultimo: la mia lingua.

Iniziò ad accarezzarla, a girarci intorno, mentre io rimanevo inerme, trattenendo il respiro, le guance che non accennavano a far scemare il loro colore, con le orecchie che mi fischiavano e le mani sospese in aria, poiché non sapevo dove posarle.

Non era la prima volta che mi baciava, era come sempre, eppure vi era un gusto diverso nel bacio che mi stava donando; non era affatto gentile come quello di poco prima, ma non era nemmeno irruento e voluttuoso come tutti gli altri.

Questa volta sembrava un animale che si era avventato sulla sua preda pronto ad ucciderla e a mangiarla, ma in un modo totalmente diverso dal normale.

Sentivo le sue mani percorrere la mia schiena, ancora coperta dalla stoffa leggera della maglia, su e giù, quasi come se volesse graffiarmi e lasciare cicatrici come un marchio d'appartenenza.

Ad un tratto con un forte strappo la fece a pezzi, aprendo uno squarci nel tessuto per poi buttare i brandelli da qualche parte dietro di sé senza prestare alcuna attenzione.

Mentre continuava a baciarmi in modo famelico, senza lasciarmi la possibilità di respirare, fece sedere entrambi: io con le gambe allacciate ai suoi fianchi e le mani sulle sue spalle larghe, che aveva guidato lui stesso in quei luoghi.

Potevo percepire ogni singolo movimento dei muscoli che sembravano molto tesi, quasi come se si stesse trattenendo dalle sue reali intenzioni.

Ad un tratto smise di baciarmi, permettendo che finalmente l'aria entrasse nei polmoni, che iniziavano a bruciare per la prolungata mancanza d'ossigeno. Scese lentamente, sfiorando la pelle e provocando brividi al suo passaggio, fin quando non arrivò al collo cominciando a marchiarlo, lasciando segni rossi ovunque.

Un istante dopo, una specie di pizzicore mi pervase proprio dove il vampiro lascivamente mi stava leccando o succhiando la pelle.

Solo allora realizzai che la strana sensazione era dovuta a graffi, che mi stava procurando lui stesso, con i canini affilati, che affondavano leggermente nella carne lasciandola sanguinare lievemente, cosicché piccole gocce scarlatte scivolassero, macchiando la mia pelle, venendo poi prontamente raccolte dalle sue labbra e dalla sua lingua.

Quei tagli iniziarono a darmi fastidio, ma lo lasciai fare, poiché quella mi sembrava una dolce e lenta tortura, quasi una carezza dal parte del moro che mi stava stringendo in quel modo così possessivo e caldo da farmi affluire il sangue anche in mezzo alle mie gambe, là dove il mio membro era andato lentamente a risvegliarsi e a dolere. Sapevo che presto sarebbe finita, ma ciò non mi sollevava, non volevo che interrompesse quelle attenzioni che iniziavano a piacermi, che mi facevano rabbrividire e provare tutto quel miscuglio gli emozioni che nemmeno io riuscivo bene ad identificare.

Mi morsi il labbro inferiore, tentando di resistere, di non produrre quegli strani suoni che mi sembravano imbarazzanti e tutti causati dal suo modo di toccarmi e di guardarmi, che mi donavano sensazioni mai provate prima. In quel modo era come se mi stesse lasciando credere che io l'unico per lui, l'unico a cui aveva mai donato quel languido sguardo, quelle dolci carezze e quei baci che sapevano di fuoco, mela, eucalipto, mare, sole e inspiegabilmente di stelle; eppure, sapevo che non era così che la sua bocca si era congiunta con mille altre, prima di arrivare alla mia, che le sue mani erano scorse su mille altri corpi, in milioni di languide carezze. Ne ero assolutamente consapevole, eppure, non potevo che soffrire ogni qual volta si fermava, lasciandomi quasi il sentore di essere solo, nonostante lui fosse davanti a me e mi stesse stringendo e baciando in quel modo così tenero, suggellando mille promesse che mi stavano facendo cadere nella sua rete. Io non sarei mai potuto essere l'unico per lui e ciò mi colpì violento, come un pugno allo stomaco.

In quel frangente, tuttavia, qualcosa cambiò: i suoi morsi si fecero più violenti, le sue carezze più rudi, il suo respiro più pesante, come quello di un animale che aveva appena annusato la sua presa e le sue unghie si conficcarono nella mia carne sempre più in profondità, facendomi gemere di dolore.

In quel momento iniziai a provare paura; sembrava che la sua gentilezza fosse scomparsa, all'improvviso, come se non fosse mai esistita. Ero sempre stato sicuro che non mi avrebbe fatto del male, ma se invece mi fossi sbagliato? In quel momento qualcosa mi diceva di allontanarlo, di non lasciarlo proseguire; che quello che avevo di fronte non era più l'Azrael dolce di pochi attimi prima. Che cosa stava succedendo?

Aprii gli occhi, che avevo inconsciamente chiuso, cercai il suo sguardo, i suoi profondi occhi, che però non incontrai e non perché le sue palpebre erano serrate, ma poiché era come se lui fosse completamente assente.

-A... Azrael? – tentai di chiamarlo, ma lui non mi rispose.

Che mi fossi solamente illuso? In lui, probabilmente, non c'era nessuna luce nascosta, e forse mi stavo solamente facendo del male avvicinandomi. Eppure, non potevo farne a meno. Sentivo che era la cosa giusta da fare, che tutto doveva andare in quel modo.

Quando le sue mani tornarono a vagare sulla mia schiena, conficcò le unghie nella pelle facendole scendere fino alla base. Faceva male, tanto. Sembrava che mi stesse togliendo la pelle continuando ad andare su e giù lasciando che si formassero nuovi tagli, più o meno profondi.

-A... Azrael, per favore smettila! - lo pregai, di nuovo, lasciando che una lacrima scappasse dai miei occhi serrati, mente con le mani cercavo di respingerlo, facendo leva sulle sue spalle.

-Perché? - mi chiese con voce rude e fredda, distante, sbattendomi nuovamente contro il terreno facendomi inarcare la schiena per il dolore.

Perché? Perché mi stava facendo questo? Avrei voluto cancellare quel bacio che gli avevo dato; forse era stato quello, anche se ne dubitavo fortemente.

Forse, non dovevo lasciarmi scoraggiare e continuare a scavare in lui.

- Cosa vuoi da me? Vuoi che mi fermi? – mi chiese con violenza -Io non voglio. Voglio sentirti piangere mentre ti faccio mio, gridare per il dolore. Credevo che fosse chiaro, per me sei solo un giocattolo; un oggetto senza valore. – pronunciò quelle parole quasi con disprezzo e cattiveria tale da farmi piangere.

Perché mi stava facendo quello? Perché dopo così tanta dolcezza?

Cercai di reprimere le lacrime, ma quelle uscivano contro la mia volontà, mentre le sue parole mi risuonavano nella testa, come l'eco in una caverna.

Non volevo farmi altre illusioni, ma avrei giurato d'aver sentito una nota di disperazione nella sua voce carica di sentimenti negativi, che vennero scaricati su di me con una violenza tale da lasciarmi senza respiro, come se fossi stato colto da un improvvisa valanga o da un'onda anomala.

Non so cosa avvenne esattamente in quel momento, ma quando i suoi occhi scuri incontrarono i miei, con una velocità strabiliante, sparì tra gli alberi lasciandomi solo, steso sul freddo e maleodorante manto di terra priva di vita.

Con la schiena dolorante mi tirai a sedere lentamente, cercando di metabolizzare quelle parole che mi avevano colpito come mille coltellate al cuore, che sanguinava copiosamente e dolorosamente. Perché ero caduto nella sua rete? Se non mi fossi lasciato ammaliare avrebbe fatto molto meno male e, invece, in quel momento stavo soffocando, mentre brillanti perle salate rigavano il mio volto e con una mano davanti alla bocca tentavo di reprimere i singhiozzi.

Non mi ero mai innamorato prima, ma in quel momento sapevo di esserlo, non avevo più alcun dubbio, poiché se non lo fossi stato non avrei potuto sentire il mio cuore frantumarsi in mille pezzi, con quei "crack" fatti di vetro, formando mille crepe, mille ferite, lì, su quell'organo che tuttavia continuava a battere, sebbene io lo volevo fermare, togliendomelo dal petto per non sentire più così male.

Forse quel pensiero, dopo un poco venne esaudito, perché all'improvviso quello si ammutolì e fu come se mi fosse stato brutalmente strappato dal petto dalle sue mani, mentre percepivo il suo profumo scemare nell'aria, andarsene, evaporando come acqua al sole, quasi non fosse mai esistito.

Con lui, anche il mio cuore se ne era andato, anche la speranza che non avevo capito di provare, quella del suo ritorno e insieme al vuoto della sua assenza si era formata anche quell'enorme voragine al centro del mio petto.

Non avrei dovuto sentire sollievo? Non sarebbe dovuta essere leggera? Eppure, era così pensante e faceva male, sebbene fosse un dolore sordo, ma che continuava a ricordarmi che era lì, là dopo pochi attimi prima vi era stato il mio cuore che aveva battuto per amore.

Quando sentii qualcosa colpirmi piano sul fianco, capii immediatamente che si trattava di Zafirus e la conferma mi venne fatta dal leggero rumore che le sue corde vocali producevano, quasi come un lamento.

I suoi pensieri cercavano di consolarmi, di farmi capire che non ne valeva la pena, ma non potevo far altro che portarmi le gambe al petto, cingerle con le braccia e nascondervi il viso lasciando il mio dolore scivolare via sotto forma di lacrime salate e singhiozzi.

-Sai Zafirus, sapevo di non essere nulla per lui. – gli rivelai –Pensavo di essere pronto, ma... - un singhiozzo più forte degli altri mi impedì di continuare, mentre tremavo, tremavo come una foglia, come un fuscello piegato dal vento, mentre sentivo il freddo serpeggiare fin all'interno delle mie stesse ossa.

-...ma non pensavo facesse così male. – finii, poi, tra un "grido" di dolore e l'altro.

In quel momento mi sentivo uno stupido, un completo idiota.

Volevo cancellare le ultime ore, lasciare che tutto tornasse come prima che Azrael tornasse.

Non so per quanto tempo rimasi a piangermi addosso, a pentirmi di ciò che avevo fatto, perché era colpa mia, come sempre. Era colpa mia se i miei compagni di classe mi prendevano in giro, se ero sempre al centro dei loro scherzi. Colpa mia se quel maledettissimo giorno tornai a casa con le braccia ricoperte da tagli e i capelli disordinati e più corti.

Da quel giorno di un anno fa non tagliai più i capelli. Preferii ignorare tutto e tutti.

Ero semplicemente capitato nel posto sbagliato, al momento sbagliato, come mio solito.

Il bagno dei ragazzi era come sempre malconcio, con mozziconi sparsi ovunque sul pavimento, sui lavandini e perfino sul davanzale della finestra perennemente aperta anche d'inverno per fare in modo che il pesante e urticante puzzo di fumo non si spandesse su tutto il piano e all'interno nessuno notasse mai la spessa cappa che molto spesso si formava a causa dei numerosi trasgressori.

Perfino all'interno dei sanitari si potevano trovare quei residui di sigarette che molte volte occludevano le tubature; per questo spesso il pavimento era un'enorme pozza d'acqua, ma nessuno osava mai dire nulla.

Quando entrai, quella volta, c'era però qualcosa di strano di diverso; l'odore era più pesante, quasi nauseante quel giorno, tanto che iniziai immediatamente percepire la nausea che si inacutiva ad ogni secondo, facendomi venire i conati di vomito. Sicuramente ciò che stavano fumando là dentro non era una semplice "paglia".

Forse sarebbe stato meglio per me andarmene, ma non feci neppure in tempo a voltarmi che il solito gruppetto di ragazzi uscì da uno dei gabinetti, fissandomi come se non si fossero aspettare della mia, o di qualsiasi altra, presenza all'interno di quel bagno durante le ultime ore di scuola.

La loro espressione mutò all'istante, mentre la loro solita spavalderia lasciava i loro volti e i loro lineamenti si tingevano di pallida preoccupazione, che tuttavia non compresi. Perché avevano paura di me?

Quell'attimo di timore tuttavia si dissolse quasi come era venuto, mutando i loro volti in una glaciale e terrificante crudeltà, iniziando a muoversi verso di me.

Cercai di non mostrare alcun timore, di non lasciarmi intimorire dai loro sguardi, o dai loro tatuaggi, dai loro piercing posti sulle loro sopracciglia e sulle loro labbra, che luccicavano freddi, come il ghiaccio che in quel momento aveva preso posto del sangue nelle mie vene.

Quando mi furono vicini di nuovo la nausea mi assalì, mentre quell'acre profumo mi penetrava dalle narici violento come uno schiaffo. Quella diventò quasi incontrollabile, cercai di trattenere il respiro più tempo possibile, mentre sentivo i miei sensi iniziare ad alterarsi, stordendomi, tanto che non riuscii a capire le parole che stavano pronunciando o solo a leggere le loro labbra; iniziai a capire solo quando uno di loro mi prese per i capelli, tirandomeli, facendomi gemere di dolore, mentre l'altro estraeva dalla tasca dei propri jeans un coltellino con cui iniziò a tagliarmi i capelli, senza un vero e proprio senso.

Sui loro visi era dipinto quel dannato sorriso, mentre i miei occhi pizzicavano a causa della lacrime; sentivo le loro mani toccarmi, mentre si improvvisavano parrucchieri e io tentai di liberarmi, ribellandomi in qualsiasi modo mi fosse possibile, ma loro iniziarono a farmi di peggio, procurandomi tagli sulle braccia e sulle gambe, smettendo solo quando iniziai a ribellarmi e l'unica cosa che rimase della mia volontà furono le lacrime e pregare silenziosamente perché la smettessero alla svelta, mentre con scherno continuavano a chiamarmi "fiocco di neve" o in altri modi crudeli, che mi distrussero dentro.

Smisero solo quando furono soddisfatti, quando ormai avevano capito che non mi sarei più difeso, che per loro non vi sarebbe stato più alcun divertimento in quella tortura, se non nel vedermi piangere come un verme patetico.

Quel giorno rientrai a casa prima, con la scusa del forte voltastomaco, e mi rintanai in camera mia tentando di togliermi dalla testa le loro parole.

Quei tizi se la prendevano con me per qualsiasi cosa, solamente perché ero semplicemente... Io.

-Perché? Perché devo subire tutto questo? - gridai con disprezzo verso il nulla, scaricando tutta la mia frustrazione. – Voglio odiarti Azrael! Non sai quanto lo vorrei! Lo so che puoi sentirmi! Vuoi farmi del male? Vuoi farmi tuo? Vieni allora! Nulla può farmi male come quello che mi hai detto! -.

Rimasi a piangere ancora per un tempo indefinito: forse erano passati pochi secondi, o forse ore intere. Che il tempo scorresse non me ne importava, volevo solamente tornare a provare quella felicità che solamente il mio vampiro era riuscito a donarmi.

Sì, l'avevo proprio definito mio, ed era stata la cosa più spontanea del mondo. Non potevo odiarlo; semplicemente perché per lui iniziavo a provare qualcosa di bello.

"Sono solo uno stupido se penso che lui possa ricambiarmi. Dopotutto nel buio non c'è nessuna luce e mai ci sarà; solamente se qualcuno l'accende." La cosa che più mi faceva soffrire era sapere che io non sarei mai potuto essere il suo interruttore, poiché lui non me lo avrebbe mai permesso.

Quando sentii della mani appoggiarsi sulle mie spalle sobbalzai, alzando la testa e incrociando lo sguardo con quello di Azrael.

Era tornato, forse per finire ciò che prima aveva iniziato oppure per schernirmi con parole crudeli e insensibili; eppure i suoi occhi sembravano dire un'unica parola: scusa.

- Ti ho sentito. - mi rivelò con voce bassa, stavolta priva di qualsiasi malvagità, ora c'era solamente disperazione e afflizione.

Volevo abbracciarlo e stringerlo a me, dicendogli che le cose che avevo detto erano dettate dal momento di sconforto, ma che non le pensavo sul serio; eppure, in quel momento non potevo far a meno di pensare che se avessi potuto, l'avrei odiato.

- M.... mi... - la mia richiesta di perdono morì nell'istante in cui le sue labbra si posano semplicemente sulle mie, in un bacio senza pretese, solo un semplice sfiorarsi di labbra.

Chiusi gli occhi, lasciando che un'altra lacrime mi solcasse il viso completamente bagnato. Ci stavo cadendo di nuovo? Sapevo che quello era solo un modo per zittirmi, ma per me significava molto.

- Non ti devi scusare, ho sbagliato io. – posò la sua fronte sulla mia, chiudendo gli occhi e stringendoli, palesando tutta la sua frustrazione, il dolore e forse il disgusto per se stesso.

Lui non era il tipo da chiedere scusa, eppure, per me lo aveva fatto. Che forse anche lui in fondo provasse qualcosa per me?

No, non dovevo pensarci; non dovevo assolutamente illudermi di nuovo, sebbene con quel bacio mi avesse restituito il cuore che si era portato via.

-Era solo un modo per allontanarti da me, per proteggerti da ciò che sono. E se vuoi odiarmi...- stavolta fui io ad interromperlo, lasciandomi trasportare dai sentimenti e stringendolo forte, mentre lui rimaneva impassibile ed immobile.

- Vorrei tanto, ma non ci riesco. - gli confessai appoggiando il capo al suo petto.

Non mi aspettavo che mi stringesse a sé, non l'avrebbe mai fatto, ma sentire il suo calore fece in qualche modo acquietare quell'assillante dolore al petto che continuava a martellarmi col suo fastidioso senso di vuoto e di separazione.

Sembrerà strano, ma era come se il mio cuore fosse prima morto e poi avesse ripreso a battere, proprio in quel momento, mentre stavo stretto ad Azrael. Come se il suo continuo pompare sangue dipendesse da lui.

- Dovresti invece. - si impuntò con tono di voce più autoritario, ma comunque basso.

- Come si può odiare chi si ama? – chiesi, non accorgendomi davvero di averlo detto, mentre chiudevo gli occhi e inalavo il suo profumo di eucalipto che sperai fosse l'ultimo profumo che avrei recepito alla fine della mia vita.

Azrael's POV

Quando pronunciò quella frase mi udii il suo cuore accelerare i battiti, mentre nascondeva il viso contro l'incavo del mio collo, solleticandomi leggermente il mento con quei fili di neve, stringendosi a me.

Non ero mai stato un tipo da smancerie, solitamente le evitavo a priori; in fondo, che cos'era l'amore se non un sentimento frivolo ed egoista?

Tuttavia, come potevo ignorare ciò che aveva appena detto? Molte persone avevano dichiarato il mio spassionato amore per me; come dar loro torto? Ero bello come un adone, un esteta magnifico, bello come un Dio! Eppure, quelle parole, pronunciate dalla sue labbra morbide e piene mi fecero tutt'altro effetto.

Mi ritrovai completamente disarmato, davanti alla loro profondità, alla loro purezza. Per qualche strano motivo volevo che lo dicesse nuovamente; volevo sentire di nuovo quella singola parola emessa da quella voce dolce che mi aveva colpito dritto al cuore, come una freccia, come se fosse stata scoccata da Cupido stesso.

- Non puoi dirlo. – non dovevo cedere, non potevo farmi trascinare a fondo da quelle emozioni che mi ero ripromesso di non accarezzare mai. Dovevo rimanere ancorato alla realtà. - Forse io sarò quello che metterà fine alla tua vita. – Con tali parole cercai di convincere lui e me stesso, perché io lo sapevo cosa era scritto nel nostro futuro e la parola "noi" non era contemplata in quell'enorme libro su cui aveva posato la mano una sorte avversa, per entrambi; dopotutto, sapevo che il suo destino era quello di chiudere gli occhi per sempre, di perire come un fiore all'arrivare dell'autunno, privato della sua linfa, della sua vita, risucchiata dalla terra, che andava a farsi troppo bagnata per un fragile bocciolo che non poteva vivere di sola acqua senza sole.

- Quale miglior fine di morire per mano di chi si ama? – chiese lui, retorico, mozzandomi quasi il fiato -Credo proprio che io mi sia innamorato di te. - mi svelò con voce calma e flebile quanto un sussurro, contro la morbida pelle della mia gola.

Sembrava che avesse trovato coraggio, attingendo da qualche fonte che era nascosta dentro di lui.

-Sembra stupido non credi? Ci conosciamo da soli trenta giorni, ma per me è giusto così. Chi lo dice che per innamorarsi bisogna prima avere alle spalle anni di conoscenza? A me questo mese è bastato. -.

Quando finì di parlare lo strinsi a me possessivo, ma senza fargli del male. Gliene avevo già recato abbastanza per quel giorno.

Dopo tutte le cose subdole e perfide che gli avevo detto lui mi confessava il suo amore? Come poteva dire di amare un mostro come me?

Nascosi il viso nell'incavo del suo collo ispirando forte il suo dolce profumo, che non era per nulla intaccato da quei nauseanti odori provenienti dal terreno secco o umido. Mi lasciai cullare e circondare da quell'essenza di vaniglia, lillà e zucchero filato.

Lievemente passai le mani sulla sua schiena, impercettibilmente sporca di sangue, ancora fresco ed incrostato. Doveva fargli ancora male e Dio solo sa quanto mi stessi pentendo di ciò che avevo fatto.

Volevo solamente allontanarlo e spaventarlo per far sì che si separasse definitivamente da me, che provasse repulsione per la persona che in realtà mi ero dimostrato.

Tuttavia, a quanto pare, non ero riuscito a convincerlo. Forse, meritavo di sentirmi in colpa per ciò che avevo fatto. Anche lui stava soffrendo e la mia angoscia non era minimamente paragonabile alla sua; neanche la metà.

Avevo commesso un enorme sbaglio, forse l'errore più grande della mia vita; eppure, non era giusto scaricare la conseguenza di questo sulle esili spalle di Haru. Non volevo che accadesse, quel peso doveva essere solo mio, poiché il mio nanerottolo ne aveva già passate tante, anzi troppe.

Portai tremante una mano ai suoi capelli, passando le dita lievemente tra di essi, pettinandoli. Era la prima volta in cui mostravo insicurezza nei miei stessi gesti. Che cosa mi stava facendo? Come era riuscito a cambiarmi? Perché in fondo era proprio questo che era accaduto, ero mutato, come un bruco rinchiuso nel proprio bozzolo, diventando crisalide, e poi rinato in una bellissima e maestosa farfalla.

Un improvviso rumore fece mettere in allerta i miei sensi e mi staccai immediatamente dal ragazzino che mi guardò con aria interrogativa.

Percepivo un profumo di more ed erbe selvatiche.

- Finalmente ti ho trovato Nii-san! - quando qualcuno mi saltò al collo capii immediatamente di chi si trattasse; inutile dire che la cosa non mi facesse per nulla piacere.

-Cosa ci fai qui marmocchio? - chiesi schizzinoso e adirato.

Odiavo a morte quel ragazzino, soprattutto quando mi chiamava in quel modo!

Come poteva chiamarmi "fratellone" quando lui aveva la veneranda età di duecento anni in confronto a me che ne avevo solo venti? Era un vero e proprio controsenso; per non parlare poi del fatto che ovunque vi fosse lui, non vi era mai neppure qualcosa di buono.

-Sono venuto a cercarti Nii-san. Papino si stava preoccupando per la tua assenza, così mi ha mandato a cercarti. – scese dalla mie spalle, sorridendo dolce come un normale bambino; sarebbe stato anche innocente, se non fosse stato per la vista dei suoi canini, che spuntavano brillanti dalla sua bocca, affamati di sangue.

Ma, dopotutto, cosa potevo aspettarmi da un vampiro come lui, rinchiuso all'interno di un corpo appena diciottenne, ma alto quanto un bambino di nove anni?

I suoi capelli erano di un brillante rosso fuoco, leggermente disordinati, con due ciocche più lunghe sul davanti e due brillanti occhi che mischiavano perfettamente il grigio metallico del mercurio che sfumava verso l'estremità dell'iride di un dolce viola che rendeva il suo sguardo ancor più magnetico, spettrale, quasi irreale; le sue labbra erano una linea sottile, rese ancor più vivaci dai morsi che era solito autoinfliggersi a causa della fame, che un vampiro non puro come me, era incapace di sopportare a lungo.

A dispetto delle apparenze, era una figura brillante e sorprendentemente intelligente; avevo sempre pensato che un giorno le sue conoscenze avrebbero potuto servirmi, e forse, quel momento era finalmente giusto.

- Sono in missione ora marmocchio, ma ho bisogno del tuo aiuto. – ghignai.

Quello sorrise, mettendo quasi i brividi. Il suo sguardo si spostò, poi, verso Haru, che se ne era rimasto in disparte, seduto a terra con le gambe strette al petto, lo sguardo confuso e mi piacque pensare anche leggermente geloso.

Iniziai a temere il peggio quando gli occhi del nuovo venuto si tinsero di rosso cremisi, quasi della stessa tonalità dei suoi capelli, che ricordavano la pericolosità e il divampare di un fuoco vivo, pronto a distruggere qualsiasi ostacolo che si presentasse sulla sua strada. Si umettò le labbra, guardando assorto l'albino che rimaneva immobile, come me, catturato dai suoi gesti, mentre gli si avvicinava piano, predatore, come desideroso di pregustare una preda; ed era esattamente ciò che voleva fare. Lo avevo compreso, eppure, non riuscivo a muovermi, come pietrificato.

Il sangue dell'albino sembrava una calamita per noi creature assetate di sangue; sembrava variare di volta in volta. Più lo gustavi più ne volevi, per poter assaggiare i suoi nuovi sapori, che erano però sempre dolci e delicati come lui.

"Ancora?! Azrael basta! Lo sai che dovresti allontanarti da lui!" vana fu quella voce; ormai non era che il ronzio di una mosca all'interno della mia testa.

- Ryan scordatelo, il ragazzino non si tocca. - lo avvertii guardandolo minaccioso, riprendendomi.

Lui alzò lo sguardo verso di me e sorrise in maniera innocente, accentuata dal suo aspetto da piccolo ed indifeso bambino.

- Come vuoi Nii-san. – rispose fin troppo arrendevole.

-Devi curarlo. - gli ordinai, cercando di rimanere calmo ed impassibile e non far traspirare tutta la confusione che avevo in testa.

Bastava un passo falso e lui lo sarebbe venuto a sapere ed era l'ultima cosa che volevo. Ero sicuro che me lo avrebbe portato via, come quella stella che ripeteva essere l'ingenua ed immonda creazione di un bambino; una luce vuota, che in realtà era solo un'emanazione di buio.

Ryan tranquillamente abbassò lo sguardo, muovendo le mani in direzione della borsa a tracolla di pelle marrone che portava sempre con sé. Sembrava piccola e vuota, ma in realtà conteneva molte cose utili come: erbe medicinali, pozioni, bendaggi, il necessario per preparare intrugli di vario genere e dei vestiti di ricambio.

Mentre il piccolo vampiro curava le ferite che avevo inferto ad Haru, io li osservavo: l'albino si era inginocchiato e stringeva i pugni sulle ginocchia, cercando di ignorare il bruciore che gli provocava il rosso, che nel mentre gli stava tamponando le ferite con un pezzo di garza imbevuto di una strana pozione verde che odorava di un qualche tipo di erba che odiavo.

Mi concentrai sull'espressione del nanerottolo, aveva gli occhi serrati e l'espressione contrita dal dolore. Meritavo di star male con lui e continuavo a ripetermi che tutto quello che stava passando era a causa mia.

Da quando mi addossavo le colpe delle sofferenze altrui?

Ryan's POV

Le ferite del ragazzo non erano molto gravi, non più di quanto avrebbero potuto esserlo visto i trascorsi di Azrael. Ero ben conscio che se avesse voluto avrebbe potuto fare anche di peggio a quel fragile corpo che sembrava quello di una bambola di porcellana.

Feci il mio lavoro nel più completo silenzio, osservando i volti di entrambi, di sottecchi, senza farmi notare.

Il moro sembrava preoccupato, nonostante come al solito tentasse di indossare quella maschera dura e fredda, che in quel momento non gli calzava, che continuava a scivolare di minuto in minuto, mentre teneva gli occhi fissi sull'albino, che avevo di fronte e che tentava di ignorare il dolore che le erbe gli stavano provocando, mentre le loro proprietà gli entravano in circolo.

Finito di spalmare i vari unguenti, fasciandolo, gli porsi con espressione indecifrabile, ma con gesti freddi e meccanici, una delle magliette di ricambio che era all'interno della mia fedele tracolla; dandogli così la possibilità di coprirsi e gettare quella maglia ormai completamente inutilizzabile che indossava ancora a brandelli.

-Grazie. – mi sorrise, ma io contrassi le ciglia e lo odiai con tutte le mie forze la sua carineria.

Provai un forte ribrezzo nei suoi confronti, nei suoi ipocriti modi gentili, che ero sicuri fossero falsi come la sua apparenza da angelo. Nessuno poteva essere così lindo, pulito e privo di peccato; dov'erano eppure le sue macchie? Ovunque guardassi vedevo solo luce, una dannata brillante luce!

Che fosse per questo il motivo per cui Azrael ne sembrava così attratto?

Mi morsi forte il labbro inferiore, succhiando il mio stesso sangue per attenuare i morsi della fame dettati dalla mia rabbia e dalla gelosia.

Sin da quando era stato portato al castello era sempre stato attaccato al mio Nii-san, e tutte quelle attenzioni che il moro stava rivolgendo a questo angelo non mi piacevano per niente; non mi stava affatto bene.

Azrael era sempre stato mio, tutto mio; perennemente a mia completa disposizione.

Eppure, da quando era arrivato Haru tutto era cambiato e il mio fratellone non mi aveva più degnato neppure di un solo sguardo. Era una sua responsabilità, ma non mi piaceva il comportamento che stava avendo! Lui era mio fratello! Solamente mio!

Ero perfettamente cosciente che il mio attaccamento era morboso verso di lui, ma non potevo far altro che provare ammirazione, affetto e possessione verso quel vampiro che avevo conosciuto tredici anni fa.

Arrivò al castello insieme al all'Imperatore, mio padre, sebbene non fossi realmente sangue del suo sangue; tuttavia, mi aveva accolto nella sua cerchia di eletti e mi aveva cresciuto esattamente come Dragan ed Azrael stesso.

Anche per questo mi trovavo lì, l'Imperatore mi aveva chiesto di tenere d'occhio il secondo dei suoi figli e io avevo accettato più che volentieri questo compito.

Avrei protetto il mio idolo a qualunque costo, per questo dovevo accertarmi che non si stesse affezionando a quel criceto latteo; dovevo solamente aspettare che il ragazzo di addormentasse e sapevo che non ci sarebbe voluto molto, grazie alle erbe che avevo utilizzato.

Si addormentò placidamente appoggiato con la testa alle gambe di Azrael, che lo lasciò fare, cercando di mostrarsi impassibile; nel suo sguardo, però, vi era una certa soddisfazione e dolcezza nei lineamenti, che mi urtò come un pugno allo stomaco.

-Cosa hai intenzione di fare? Lo sai che non dovresti immischiarti, e non fare il finto tonto, si vede che non sei più lo stesso. - gli riferii acido, di punto in bianco aspettandomi una qualsiasi risposta.

-Non lo so. – rispose, continuando a guardare quel mostriciattolo bianco.

Dovevo assolutamente fare qualcosa o di quel passo avrebbe fatto qualcosa di molto sciocco.

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