Cosa siamo?
Capitolo 13
"Cosa siamo?"
L'amicizia è un anima che abita in due corpi, un cuore che abita in due anime
Aristotele
Haru's POV
Sbuffando poggiai la testa sulle ruvide pagine del libro che, in teoria, stavo studiando.
Possibile che le materie scolastiche mi tormentassero anche qui? Non solo ero praticamente rinchiuso in un immenso e labirintico castello, ma adesso dovevo anche studiare materie che odiavo come la biologia e la filosofia!
Non avevo mai avuto una buona memoria per queste cose, tendevo sempre a perdere intere giornate sui libri di scuola, ostinandomi a non farmi aiutare da mia sorella; troppo cocciuto o forse nel disperato tentativo di rinchiudermi ancor di più in quelle mura riflettenti che mi ero costruito attorno.
Era sempre stato così, lei era la più brava della classe nonostante non studiasse molto, apprendeva velocemente durante le lezioni e a casa doveva solamente ripassare; lo facevo anche io, ma dovevo ripetere il discorso molte volte per acquistare sicurezza.
Senza bussare entrò nella mia stanza, mentre io solerte tentavo di far entrare le parole del libro di testo nella mia testa, e come un uragano mi travolse, buttando le sue braccia intorno al mio collo e sorridendomi.
-Chiudi i libri e usciamo un po'! Se ti giustifichi in una materia non è la fine del mondo! – mi urlava nelle orecchie, chiudendo il libro e prendendo poi il mio braccio nel vano tentativo di trascinarmi via da quelle quattro monotone pareti che mi vedevano sempre rinchiuso.
-Non posso Lena. – risposi come sempre, mentre rimanevo seduto, piantonato, sulla mia sedia girevole. –Ho la verifica di recupero. – mi morsi il labbro inferiore.
Morivo dalla voglia di uscire con lei, magari di andare a fare un giro al centro commerciale e comprarmi qualche libro nuovo, o qualche strano CD dal titolo sconosciuto e strano; tuttavia, qualcosa mi fermava sempre, ero come cristallizzato. Esattamente come uno di quei personaggi all'interno di "Dubliners" di Joyce, ma a differenza loro non avevo ancora trovato la mia epifania; ancora non sapevo se avrei combattuto la mia paralisi o se vi sarei rimasto intrappolato, rimanendo quasi un forestiere della vita.
Sorrisi al ricordo e poi storsi il naso nel ricordare quell'anziana zia di mio padre, che viveva con noi, ma che ne stava rinchiusa nella sua camera praticamente tutto il tempo. Era una vecchietta alquanto burbera, non mi aveva mai visto di buon occhio, che credesse ancora che gli albini fossero figli del demonio?
Per mia fortuna preparava da mangiare in rigoroso silenzio, i suoi passi non si sentivano mai, come quelli dei gatti e cenava sempre nella sua stanza, lasciando il respo a noi in sala da pranzo; ragion per cui non l'avevo quasi mai vista.
Quelle rare volte che ci incontravamo criticava sempre qualcosa di me: una volta i capelli troppo stravaganti con ciocche disordinate che non avevano alcun senso a causa di un piccolo incidente avvenuto nei bagni della scuola, un'altra il fisico troppo esile e gracilino e un'altra ancora le felpe troppo larghe.
Ogni giorno era un incubo con lei, da cui non riuscivo mai a risvegliarmi; forse, era proprio questo un aspetto che non mi sarebbe mai mancato della mia "vecchia" vita.
-Nanerottolo, quando parlo gradirei esser ascoltato. - Azrael sussurrò queste parole al mio orecchio e mi ci volle molto autocontrollo per non alzarmi di scatto; nonostante fossero passati giorni da quando ero lì non riuscivo ancora ad abituarmi al suo comportamento.
Le sue attenzioni, i suoi gesti e le sue parole mi stupivano sempre, riuscivano a far accelerare i battiti del mio cuore e a farlo fermare. Avrei dovuto odiarlo, mi aveva separato all'unica cosa che potevo chiamare famiglia, all'unica ragione che avevo per sopravvivere, per non parlare di quando qualche giorno fa mi aveva toccato in quel modo che mi aveva fatto rabbrividire, quasi impazzire e segretamente volere di più, per quanto volessi perché non riuscivo a farlo? Non volevo odiarlo. E allora cosa volevo?
Che mi stessi già innamorando? Non sapevo nemmeno cosa fosse l'amore! Non l'avevo mai lontanamente provato! Lo descrivevo, ne parlavo quando scrivevo, ma quelli erano sentimenti dei miei personaggi, quindi non mi appartenevano; erano solo fantasie. Adesso che pensavo addirittura di provarlo come dovevo comportarmi? Cosa eravamo io e Azrael?
-S... scusa ero sovrappensiero. - mi scusai, cercando di non farlo arrabbiare più di quanto già non fosse; sospirando riprese a parlare.
Mi sorpresi di quanta enfasi riuscisse a mettere nelle sue spiegazioni. Stava parlando dell'etica di Aristotele, precisamente dell'amicizia.
Disse che per provare il sentimento d'amicizia c'era bisogno di una base di uguaglianza, che non si doveva scambiare con la semplice benevolenza e con l'amore che quello andava anche a sfociare nella sensualità e nel piacere.
A quelle parole mi paralizzai un po'. No, non eravamo amici, e tra noi non c'era nulla a che vedere con la benevolenza, allora era davvero amore il mio? No, non poteva essere. Mi stavo illudendo.
Azrael mi era piaciuto sin da subito, dovevo ammetterlo almeno a me stesso, ma era ancora troppo presto per parlare di una cosa grande come l'amore.
-Adesso è tutto chiaro? - mi chiese alla fine della sua spiegazione guardandomi, paziente.
Arrossii lievemente annuendo, in risposta.
Come avevo detto, avevo delle strane reazioni, anche se mi guardava semplicemente; poteva un demone sembrare un angelo che aspettava solamente di poter spiegare le ali al cielo? Se la risposta era sì, allora lui era un bellissimo angelo a cui avevano bloccalo le ali: non bianche, non argentee, ma rosse e nere.
Nere come le tenebre, la morte e il male.
Rosse come l'amore, la passione e il fuoco.
Quei due colori lo simboleggiavano molto bene: lui era quel dannato angelo che portava alla pura pazzia, che ti faceva conoscere il peccato della passione, che ti faceva ardere tra le sue fiamme e ti dava una dolce morte, facendoti illudere di star semplicemente dormendo, cullato da quelle grandi mani che ti accarezzavano.
Mi imbarazzai ancor di più scuotendo la testa. Da quando ero così poetico? Eppure quando pensavo a lui mi veniva naturale, come respirare.
Ad un tratto le sue mani presero il mio viso e mi costrinse a guardarlo, mentre continuava a sorridere sornione; un sorriso che voleva nascondere qualcosa.
Stavo iniziando a sospettare che facesse tutto questo per nascondersi, anche se avevo la strana sensazione che non era per difendersi, anzi.
- Non mi piace quando ti nascondi da me. - si abbassò all'altezza del mio orecchio destro, che anch'esso era in fiamme, e ne morse il lobo.
Inclinai la testa in quella direzione ancor più a disagio. Forse, avrei dovuto farci l'abitudine, le sue continue "molestie" nei miei confronti erano state molto frequenti in quei giorni, e per mia fortuna non era mai arrivato a spogliarmi completamente. Cosa avrei fatto se non ci fosse più stata nessuna barriera a difendermi da quegli occhi perforanti, da quelle mani fredde ma che lasciavano scie bollenti al loro passaggio e da quelle morbide e rosse labbra che lasciavano segni ad ogni loro passaggio? L'avrei respinto o mi sarei lasciato andare?
Non lo sapevo, forse ora come ora l'avrei respinto, per paura, perché mi sentivo inadatto e inopportuno per ogni cosa e persona; o forse avrei accantonato quei pensieri per lasciare posto ad altro.
Adesso avevo solo bisogno di qualcuno di cui potermi fidare davvero e che mi mostrasse cosa fosse veramente la felicità e la sensazione che si provava nel vivere veramente.
- Vieni con me nanerottolo, mi hai stancato. - disse ad un tratto lasciandomi e andando verso la porta.
L'osservai meglio, aveva abbandonato camicia nera e mantello rosso sangue e si era concesso un maglioncino, sempre nero, con scollatura a V che lasciava intravedere benissimo i suoi addominali scolpiti nel marmo candido, accostato ad un jeans scuro. Qualsiasi cosa indossasse non faceva altro che valorizzare il suo fisico bellissimo; ma non dovevo lasciarmi distrarre.
Lo seguii silenziosamente, timoroso di una sua cattiva reazione.
Ognuno doveva ammettere le proprie paure, e in quel momento ne avevo tanta, avevo imparato che se il vampiro veniva ignorato andava in bestia, anche se era spesso in contraddizione: voleva stare al centro dell'attenzione di alcuni, ma ignorato da altri, ed io, per mia fortuna o no, ero rientrato nella prima categoria.
Sì, forse le persone facevano parte di entrambe le categorie a seconda del suo umore, che tendeva a cambiare molto frequentemente, però io ero un membro frequente della prima. Che fosse perché invece di pronunciare frasi di senso compiuto balbettavo ed esse erano molto meno articolate di quanto desiderassi?
Comunque in quel momento era molto irritato; lo si vedeva da come camminava, non era la sua solita andatura elegante e calma, ma andava a passo di marcia, e le gambe lunghe coprivano distanze molto più lunghe delle mie, tanto che fui costretto ad aumentare il passo per stargli dietro.
Eravamo nel corridoio principale e ci stavamo dirigendo verso la grande porta in legno dell'entrata. Per tutto il tragitto non proferii parola, tanto meno Azrael.
Erano venti giorni che non uscivo da quel posto, perché proprio ora? Che mi volessero lasciar andare? Che avessero capito che non ero io la persona che cercavano?
Ogni giorno, a partire dal mio arrivo, mi recavano in una stanza dove l'intero pavimento raffigurava un enorme mappa, piena di boschi, montagne, sentieri, laghi, fiumi e alcune valli.
Ogni volta rimanevo in quella stanza con in mano una piuma bianca che alla luce rivelava dei riflessi dorati e alcuni fili del medesimo colore che rilucevano accanto alla candela, la stessa che avevo visto in quello strano sogno. Non so cosa avrei dovuto fare, ma rimanevo ad osservare quell'affresco rigirandomi in mano la morbida piuma bianca.
Ogni volta tornavo in camera in un silenzio straziante e pesante. Forse, era un bene che io non fossi la persona che stavano cercando, ma non ne ero sicuro. Se avessero smesso di pensare che io fossi il custode, che sarebbe successo? Non osavo pensarci, ma ero sicuro che lo pensassero ancora, anche se non portavo alcun risultato, perché altrimenti non sarei stato ancora accanto ad Azrael, nemmeno in quel frangente, mentre uscivamo da quel castello medievale.
Respirai l'aria a pieni polmoni, anche se non era pura e limpida, ma meglio di quella viziata della camera dove ero stato praticamente rinchiuso. Certo, anche lì aprendo il balcone si poteva respirare questa stessa aria, ma adesso era diverso, non sapevo in cosa, ma sapevo che lo era.
Azrael continuava a camminare, come senza meta, e io lo seguivo semplicemente, in silenzio, osservandolo da dietro, come fosse il mio destino: osservare le schiene di tutte le persone a cui volevo in qualche modo bene, che camminavano, mentre io cercavo di seguirle. Alla fine, però mi fermavo sempre e tornavo tra le fredde e lucide pareti di quella casa che mi ero costruito e dove sia cuore che anima si stavano gelando.
Passeggiammo a lungo, stranamente camminare per le vie di quel bosco sembrava avere più gli stessi risvolti del giorno in cui ero arrivato. Che fosse perché ero lì da quasi un mese o due? Ormai, avevo perso la cognizione del tempo, avevo smesso di contare i giorni ormai rassegnato e conscio che avrei per sempre vissuto in quel nero, tetro e pericoloso castello fino a che sarei servito all'imperatore; anche come pasto.
Al ricordo mi portai una mano al collo ancora fasciato, come tutte le altre parti del corpo che i suoi denti avevano perforato, come se la mia carne fosse della stessa consistenza del burro o della gelatina. Ricordavo ancora la terribile sensazione del suo abbraccio, che mi aveva tolto il fiato e che mi era costata l'inclinazione di qualche costola; se non fosse stato per quel moro che elegante mi camminava dinnanzi probabilmente sarei morto quella sera, dissanguato e disperato, mentre quell'affascinante e terribile uomo mi privava della mia stessa vita.
Quella volta però me la ero cercata in fondo, le parole che Azrael aveva pronunciato prima che svenissi si erano marcate a fuoco nella mia anima; solo quel giorno avevo capito la vera importanza delle mie parole, il peso che esse potevano avere.
Certo, i metodi di insegnamento del mio vampiro non erano sempre gentili, però avevo capito che sotto, sotto, quelle punizioni erano un modo per insegnarmi a sopravvivere in quel lugubre luogo dove probabilmente avrei passato la maggior parte della mia vita.
-Eccoci. - disse semplicemente il vampiro fermandosi, all'improvviso.
Eravamo arrivati ai piedi di un monte alto e minaccioso, le rocce che la costituivano erano di diverse tonalità di grigio, che però aveva come delle sfumature azzurrine, del color del ghiaccio, sebbene non riuscissi a comprenderne il motivo.
-C... che cosa ci facciamo qui? - chiesi leggermente a disagio, stringendo il braccio sinistro con la mano del gemello. Questo forse lo percepì ma mi ignorò completamente, continuando a darmi le spalle; tipico di lui.
Si arrampicò su una sporgenza abbastanza bassa e ci si sedette. Lasciò le gambe penzolanti e col busto si distese fino ad aderire con la schiena alla dura parete della montagna.
-Niente, rilassati e goditi il momento. - spiegò semplicemente.
In quel momento capii il reale motivo, forse pensava che mi sentissi come un uccello in gabbia, e in parte lo ero, eppure, non mi ero mai sentito così libero in tutta la mia breve vita.
Mi sedetti sul freddo terreno sotto un albero che sembrava completamente bruciato e privo di vita. Chiusi gli occhi riversando la testa all'indietro e poggiandola sulla ruvida quercia, facendo un profondo respiro; gli unici odori che si riuscivano a percepire erano uno strano odore di bruciato e ruggine, presente in ogni dove in quei luoghi.
Lì gli effluvi nauseanti di quella terra senza vita erano più forti, ma sapere che Azrael era lì mi dava la forza per resistergli e a non sentire la testa vorticare, perché ogni cosa di lui mi ricordava la libertà: dagli occhi al suo profumo forte e pungente. Se chiudevo gli occhi potevo perfino immaginare di esser in riva al mare, con la brezza che mi scompigliava i capelli e gli schizzi d'acqua salata che arrivavano fino al mio viso.
Quando qualcosa di freddo mi sfiorò le dita sobbalzai e ritirai la mano. Il terreno si stava ghiacciando. Ghiacciando?
Mi alzai di scatto osservando la patina fredda che aumentava con la sua avanzata e quando arrivai fino a scontrarmi con la parete rocciosa. Tirai lievemente la gamba di Azrael che penzolava mentre spaventato rimanevo inerme e paralizzato, con le parole bloccate in gola.
Mi sentii immediatamente sollevare e arrivai ad affiancare Azrael.
-Che sta succedendo? – chiesi flebile, continuando a guardare quel ghiaccio che stava minacciosamente avanzando.
-Muoviti! - mi ordinò, spingendomi sempre più in alto, sollevandomi per aiutarmi con la scalata.
Era frettoloso e continuava a guardarsi indietro, mentre saliva il monte dietro di me.
Ci inerpicammo sempre più in alto, fino ad arrivare ad un dirupo dove ci fermammo. Improvvisamente un'imponente bufera di neve fredda e pungente ci investì. Era quasi estate e nevicava?
-Haru, spostati! - il vampiro mi spinse prima che un enorme pezzo di ghiaccio potesse colpirmi.
La caduta non fu dolorosa come mi aspettavo, attutita dall'ammasso di neve che si era formato in poco tempo; ormai ero completamente fradicio, e la bufera che non accennava a calmarsi non mi aiutava.
-Dannazione! - sentire la voce di Azrael imprecare mi spaventò. Alzai il capo verso la sua direzione e rimasi paralizzato nel vedere la sua mano stringersi attorno l'avambraccio sinistro, completamente ricoperto di sangue.
Corsi nella sua direzione non sapendo cosa fare, non mi accorsi nemmeno dei due grandi occhi azzurro intenso che ci osservavano famelici. Sfortunatamente la bufera era talmente fitta da impedirmi di vedere oltre il palmo del mio naso, ma per puro caso riuscii a vedere una grotta non molto distante.
Scortai Azrael fino al suo interno dove si sedette infondo alla cavità scavata nella roccia.
-Era un drago delle nevi. - mi rivelò all'improvviso, ma senza ricevere alcuna risposta; ero troppo impegnato ad osservare il suo braccio sanguinante.
Titubante allungai le mani spostando la sua ed osservando il taglio profondo e rosso contornato da bruciature dovute al ghiaccio. Delle lacrime silenziose iniziarono a rigarmi il volto; era colpa mia, mi aveva difeso, e preso il colpo al mio posto.
Sentendo una fastidiosa stretta al cuore, cercai di distrarmi e di non essere di ulteriore peso. Così, mi osservai intorno e quando scorsi una pietra appuntita mi allungai per prenderla; successivamente tolsi la felpa che indossavo rimanendo con una semplice maglia bianca a mezze maniche completamente bagnata e appiccicata al mio corpo.
Strappai a brandelli l'indumento con l'aiuto del rudimentale coltellino che avevo raccolto, nel mentre continuavo a versare lacrime silenziose.
"E' colpa mia, solo mia!" ecco quello che continuavo ad urlare dentro la mia testa.
Fasciai delicatamente il braccio del vampiro che era stato fermo fino a quel momento, ad osservarmi. Strinsi forte le bende improvvisate e completamente fradice per evitare che morisse dissanguato.
-Tieni, usa questo. – disse, rompendo il silenzio. Alzai lo sguardo leggermente acquoso e appannato a causa di quelle perle salate che stavo versando, provando un moto di meraviglia e incertezza, quando vidi la sua mano tendermi quel nastro, che soleva portare per legarsi i capelli, in quella morbida coda. Quella era la prima volta che lo vedevo con quei fili corvini lunghi e sciolti, lisci come la seta, che si posavano delicatamente sulle sue spalle e qualche piccola ribella ciocca gli stava solleticando il viso.
Lo presi, delicatamente e la usai per fermare quella benda improvvisata, cercando di sporcarla il meno possibile e di trattarlo con tutta la dovuta cura, perché qualcosa mi diceva che quel nastro rosso era qualcosa di importante, da cui non si separava mai.
Non appena finii, col dorso della mano mi asciugai le lacrime e mi accovacciai accanto a lui, cingendo le gambe con le braccia e nascondendo il viso. Non volevo che mi guardasse piangere, non più di quanto avessi già fatto, anche se in un certo senso non me ne vergognavo; volevo solo tenere quel dolore per me.
Odiavo il sangue, odiavo quel dannato drago che gli aveva fatto del male, ma soprattutto odiavo me stesso, per essere così debole.
Mi morsi il labbro inferiore e cercai di svuotare la mente, di trattenere le lacrime e la nausea che avevo per me stesso e quando l'adrenalina del momento passò, iniziai a tremare come una foglia, mentre la mia mente si oscurava. Ero stanco, come forse non lo ero mai stato, anche nell'animo.
Azrael's POV
Era incredibile! Quel ragazzino che cosa mi stava facendo?
Non avevo mai salvato nessuno, solitamente ero un muto spettatore dello spettacolo dove la morte era la sola protagonista, che prendeva le anime che da sempre le appartenevano, riportandole nel luogo dove meritavano di essere.
Perché questa volta non ero rimasto in disparte? Avevo deciso di essere un personaggio di questa macabra rappresentazione teatrale e ora non potevo tirarmi indietro.
Avevo osservato ogni lacrima che aveva versato, ogni goccia di sangue trasparente che sgorgava dai suoi occhi limpidi e verdi screziati di un acceso azzurro, le porte che portavano alla sua anima.
Non mi era piaciuto quello spettacolo. Quegli occhi liquidi e rossi a causa del pianto li odiavo, volevo che fossero limpidi e luminosi, come sempre, in modo da riuscire a leggere dentro di lui.
Forse, era per quello che provavo un certo senso di protezione verso quel nanerottolo dai candidi e morbidi capelli bianchi, o forse era solamente il mio esser viziato, perché lo volevo tutto per me.
Quel nuovo giocattolino si stava rivelando ogni giorno di più, sempre più interessante, ma non ero del tutto sicuro di ritenerlo come tale: solitamente i miei "giocattoli" li usavo, li prendevo e li uccidevo senza il minimo rimorso; adesso, sembrava che qualcosa fosse cambiata. Forse, però mi stavo sbagliando, in fondo lui serviva ai nostri scopi, quel nanerottolo ci serviva ed era solo per questo che lo avevo appena salvato, che ancora non mi ero sufficientemente divertito a guardarlo soffrire. Sì, era sicuramente questo il motivo del mio strano comportamento; semplicemente, non volevo incorrere nelle ire dell'Imperatore.
Doveva essere ciò, eppure, non potevo far altro che provare un senso di disagio, quasi timore; certe volte, quando mi dormiva accanto, non potevo fare altro di stringerlo e provare l'insensato desiderio di accarezzare quei fili bianchi che sembravano brillare di luce propria, mentre mi lasciavo cullare dal suo respiro e dalla dolce melodia che il suo cuore produceva...
Scossi la testa, cacciando via quelle tranquille immagini quasi paradisiache, oniriche.
Io, l'essere più spregevole avevo paura, che cosa assurda! Dovevo togliermi dalla testa quelle idee assurde, e sperare che quella bestiaccia sputa neve se ne andasse.
Mi addormentai senza accorgermene, a svegliarmi fu un fastidiosissimo rumore accanto a me, come un fastidioso ticchettio.
Irritato, aprii gli occhi e volsi lo sguardo verso la fonte del rumore rimanendo un istante immobile: Haru tremava come una foglia con addosso i vestiti completamente fradici.
Scattai immediatamente verso di lui, inginocchiandomi di fronte, mentre lo costringevo a guardarmi: il naso e le goti erano completamente arrossate e le labbra screpolate e tendenti al blu. Stava morendo di freddo quel dannato nanerottolo!
-Nanerottolo mi senti? - lo chiamai a voce alta scuotendolo, stentava a rimanere con la schiena dritta e continuava a tremare.
"Ti prego, fa che non sia quel che penso." dentro di me pregai che la sua temperatura non fosse al di sotto dei 35°, sapevo cosa fare, ma in questo caso non potevo fare molto; non avevo coperte o indumenti che potessero riscaldarlo.
-La m...mamma si starà ch...iedendo d...dove sono. - disse tra un tremito e l'altro.
Imprecai. Era entrato in ipotermia. "Niente panico!" dovevo ragionare a sangue freddo.
Senza pensarci due volte gli tolsi la maglia completamente fradicia e velocemente gli feci indossare il mio maglione asciutto, rimanendo a petto nudo. Per mia fortuna, noi vampiri avevamo l'abilità di resistere anche a basse temperatura, facendo rimanere stabile il nostro calore corporeo.
Mentalmente mi maledii di non aver portato il mantello con me, avrei potuto coprirlo meglio, invece adesso potevo solamente infondergli il mio calore.
Mi appoggiai alla parete e lo feci adagiare tra le mie gambe e lo tenni stretto, cercando di farlo smettere di tremare.
-Haru smettila di tremare! - gli ordinai, la voce mi uscì meno imperativa di quanto avrei voluto, più impaurita e disperata del dovuto.
-N...non ci riesco! - urlò disperato in preda ai tremiti. Avrei voluto stare io al suo posto, rischiare io la vita, perché infondo la sua vita mi apparteneva e volevo che fosse lunga. Poi, a dire il vero, un po' era colpa mia, l'avevo spinto io verso l'ammasso di neve, ma avevo scelto il male peggiore.
- P...perché p...iangi? - chiese ad un tratto, alzando il viso arrossato verso di me, più vicino del solito. Era la prima volta che si avvicinava senza paura, di sua spontanea volontà, accorciando le distanze tra i nostri volti e la cosa mi sorprese, mi fece girare per un momento la testa, mentre desideravo baciarlo anche a causa del suo respiro, che mi accarezzava la pelle, che mi inebriava a causa del suo profumo irresistibile, che mi metteva fame e a cui non riuscivo a dire di no.
Cercai di non pensarci, di concentrarmi sulle sue parole e... Che diamine stava dicendo? Non avevo mai pianto in vita mia, non l'avrei fatto adesso! Non era nel mio stile, avevo affrontato tutto sempre a testa alta, e soprattutto da solo, contando solamente sulle mie forze, le lacrime quando si è soli sono inutili.
-G...gli angeli non devono piangere. – sussurrò, sorridendomi appena.
Non dissi nulla, continua solamente a tenerlo stretto a me, nel disperato tentativo di riscaldarlo; era l'unica cosa che potevo fare.
-La mia m...mamma è un angelo lo sai? - mi disse ad un tratto.
Perché avevo paura di parlare? Dannazione, mi sembrava un bambino, piccolo e indifeso!
-Tua madre è morta, Haru. - gli dissi semplicemente, il tatto non era il mio forte, ma dovevo farlo parlare, farlo rimanere sveglio, far rimanere accesa la luce della vita in quel corpo che mi apparteneva e inoltre non potevo permettere che la mia immagine, il mio duro guscio di pietra che mi ero costruito venisse infranto in così pochi attimi, da quel dannato nanerottolo.
-L...lo so, però lei è qui e t...i sorride. - quella frase mi fece crollare, anche se non ne capii mai il motivo.
Iniziai a parlare, di me, di cose che non avevo mai raccontato a nessuno, che avevo sempre nascosto nel profondo della mia anima e che avevo cercato di celare anche a me stesso.
Gli raccontai di mia madre, del fatto che non ricordassi nulla di lei, se non la sua voce, che mi recitava una vecchia poesia e che alle mie orecchie, nella rimembranza, mi sembrava essere la voce melodica di un angelo.
Non ricordavo molto del mio passato, solo piccoli frammenti confusi; era come se la mia vita fosse iniziata realmente solo quel giorno, quello della morte dei miei genitori, quando mi ero ritrovato inginocchiato ai loro corpi privi di vita, con la bocca piena del loro sapore, con il sapore del loro sangue, che gli avevo impunemente sottratto.
Ricordavo ancora quella chiazza rossa, vermiglia, che si era sparsa sotto i nostri corpi e che si era espansa come fosse stata una macchia d'olio densa, ma dal colore scarlatto. Quella linfa vitale, che io stesso avevo versato, sprecato, nonostante fossi stato solo un bambino di appena sette anni.
Fu quel giorno stesso, in quel preciso istante, mentre osservavo gli occhi vitrei dei miei genitori senza nessuna apparente emozione, che incontrai l'Imperatore, che mi portò via, accogliendomi nella sua casa, nella sua famiglia, crescendomi con figlio, cercando di non farmi mancare nulla, tranne che l'affetto, perché quello mi avrebbe rovinato, distrutto; era questo che aveva sempre ripetuto, sin dall'inizio, dalla sua prima lezione.
-I soli possono tramontare e rinascere: per noi, quando la breve luce tramonta, c'è un'unica perpetua notte da dormire. Dammi mille baci, poi cento. * - senza che me ne accorgessi recitai quei versi tanto ascoltati da quella dolce voce, come una ninna nanna, -Dammene per il resto della tua vita che mi appartiene. -.
Non l'avrei lasciato morire, non avrei lasciato che quell'unica persona che amavo, anche se non l'avevo ancora compreso a pieno, mi scivolasse via dalle mani.
*Catullo, "Mille baci"
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