Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Ali strappate - parte 2


Capitolo 27

"Ali strappate – parte 2"

Ti potranno tagliare le ali, ma non potranno impedirti di volare.

Anonimo

Pov Azrael

«Non evitare la mia manda.». Lui continuò a evitare il mio sguardo, mentre apriva l'ennesimo barattolo.

Il dolore stava finalmente diminuendo, nonostante la schiena mi stesse inviando ancora dolorose fitte così acute da farmi perdere quasi i sensi, ma dovevo tenere duro e andare al più presto dal nanerottolo per tranquillizzarlo. Ero sicuro che in quel momento stesse singhiozzando da qualche parte, preoccupato e tremante ed era l'ultima cosa che volevo quella sera, che in fondo era stata quasi perfetta.

«E tu non fare finta di non aver capito.» con l'indice e il pollice tastò la consistenza della crema, prima di applicare anche quella sulla mia pelle facendo attenzione e massaggiando in modo circolare. «Lui ormai ha capito che il "nanerottolo", come lo chiami tu, è inutile e presto scoprirà anche cosa sei tu.».

La sua voce era seria, nonostante fosse assorta nell'osservare attentamente le mie ferite sulle scapole.

«E cosa sarei io?» chiesi innocentemente.

«L'Imperatore cercava l'Angelo, inconsapevole che lo avesse sempre avuto sotto il suo naso. Tu sei quello che ha sempre inseguito.»

«Io non sono l'Angelo.» dissi tagliente.

«Vero, non lo sei. Tu sei colui che però può portarlo indietro.» mi corresse smettendo di lavorare, sporgendosi verso di me.

I suoi occhi grigio-viola mi guardarono intensamente, preoccupati e allo stesso tempo comprensivi. Avevo sempre invidiato quei pozzi di giada e ametista, così chiari e ammalianti da mettermi in soggezione, soprattutto quando mentivo.

«Non si può scappare da ciò che si è.» mi sorrise, amaramente.

«Dovresti rinnovare il tuo repertorio, questa frase è trita e ritrita.» gli feci notare.

«Peccato che io ami i classici.» sorrise disarmante, tornando a lavorare e rompendo così il contatto visivo.

Finì di mettermi tutti i suoi stramaledetti unguenti molti minuti più tardi, in un completo silenzio che mi cullò nel mondo dei sogni e da cui mi strappò lui stesso non appena ebbe terminato, scuotendomi senza tante cerimonie. No, non mi aveva affatto perdonato per quel "regalo" nella stanza di Dragan; nessuno apprezzava mai i miei sforzi.

«Andiamo a riprendere la principessa.» mi disse gentilmente, porgendomi una nuova camicia e un paio di pantaloni puliti «Nel frattempo hai pensato a quello che ti ho detto? Riguardo alla fuga.».

Si alzò dal letto e dalla sua sacca prendendo uno straccio pulito ed immacolato, voltandosi per pulsi le mani e darmi il mio spazio ed intimità, conscio di quanto io odi che qualcuno invada i miei spazi.

«Conosco qualcuno che potrebbe aiutarvi, lo stesso che aiutò Dragan.»

«Quindi c'era davvero il tuo zampino!» mi voltai di scatto, ma a causa della tensione muscolare gemetti per il dolore e imprecai una qualsiasi maledizione verso quel Dio in cui non avrei mai creduto.

«Avevi dubbi? Non sarebbe mai riuscito a scappare da solo, Lui non lo avrebbe permesso.» mi fece notare iniziando a riporre ordinatamente e in modo composto i suoi barattoli, che aveva sempre trattato come se fossero i suoi piccoli bambini.

Indossai i pantaloni scuotendo la testa.

«Ho solo fatto ciò che lui voleva, puoi biasimarmi?» chiese avvicinandosi e aprendo la camicia.

Mi abbassai e infilai le braccia nelle maniche, ma prima che potessi iniziare ad abbottarmi la camicia lo fece lui per me e sorrisi. Era da molto tempo che non gli permettevo di prendersi cura di me a quel modo e solo in quel momento mi accorsi di quanto mi fosse in realtà mancato quel piccolo gesto.

«No, non posso. So esattamente cosa intendi.» gli arruffai i capelli con una mano «Andiamo a prendere l'altra parte della mia vita.».

Annuì e si staccò da me, prendendo la borsa che aveva chiuso e poggiato sul letto.

Voltandomi notai come Ryan fosse cresciuto: si era alzato di almeno dieci centimetri, le sue spalle erano più larghe, i capelli si erano allungati e i tratti si erano fatti più decisi, abbandonando così quelli gentili e contraddistintivi di un bambino. Stava diventando bellissimo e in qualche modo mi arrabbiai, non per gelosia, ma perché non riuscivo a credere che Dragan non riuscisse a notare tutto quello che io avevo davanti e lui stava perdendo.

Pov Jack

«Allora eri tu.» sorrisi mellifluo, avvicinandomi a quel cerchio di fuoco e osservandolo: era ricoperto di sangue, il viso era pallido e c'era qualcosa di diverso, che però non riuscivo a decifrare. Era... più bello?

Haru aveva basso lo sguardo, cercava di non incrociare il mio sguardo e sentivo provenire da lui un profumo che sapeva di rabbia, irritazione e paura.

Mossi una mano e come per magia il cerchio di fuoco si dissolse come se non fosse mai esistito, a testimoniare il suo passaggio solo il pavimento annerito.

Accorciai la poca distanza che ci separava, prima che potesse svignarsela e gli presi il mento con decisione, costringendolo a incrociare il mio sguardo.

Rossi. I suoi occhi erano rossi come il sangue, brillavano come due rubini, sfumati di una tonalità scarlatta, che li rendeva luminosi, e del colore delle rose dell'omonimo colore, che rendevano quei lumi scuri, quasi neri.

«Lasciami.» non balbettò, non ringhiò. Il suo fu un semplice ordine, dato con calma e sufficienza. Mi mise i brividi? Non lo avrei mai ammesso.

«No.» risposi con lo stesso tono pacato, mentre un sorriso mi si allargava sul viso. In quel momento mi sentivo euforico, per qualche strano motivo. In fondo lo avevo capito da tempo che lui non era Deneb, ma aveva il suo stesso sangue, lo stesso profumo... gli stessi capelli.

Sì, avendo scoperto che non era ciò che mi serviva avrei potuto fare di lui tutto ciò che più mi aggradava, senza remora, partendo dallo sfigurare quel viso e risucchiare ogni goccia del suo sangue, che gridava mentre scorreva nelle vene di essere preso.

L'albino non tremò di paura, non si mosse neppure. Semplicemente mi sorrise, come se il mio diniego alla sua richiesta lo avesse divertito.

Portò una mano al mio polso e la strinse, spezzandone l'osso e costringendomi così a mollare la mia presa.

«Non sono dell'umore adatto per giocare al povero piccolo Haru debole, innocente e tremante.» si giustificò.

Risi di gusto.

«Quanta insolenza. Nelle tue parole mi sembra di vedere un giovane Azrael... lui ti ha reso così?» chiesi, ma poi scossi la testa «No, tu sei così.».

Lui né affermò, né negò; non che ce ne fosse bisogno.

Con la mano sana gli afferrai i capelli e li tirai.

«Tale padre, tale figlio.» sussurrai al suo orecchio «Ma per te ho in mente un futuro tantino diverso.».

I miei denti erano vicino alla sua pelle, il suo profumo mi arrivò forte e chiaro: lavanda, zucchero, lillà e un fondo di camelia, quel fiore che mi avrebbe tormentato per la vita.

Tentai di affondare i miei canini nel suo collo, di lacerare la sua pelle come se fosse burro, ma qualcuno me lo impedì e non fu difficile capire chi.

Azrael mi scaraventò contro il tavolo di pietra, nascondendo il ragazzino dietro di lui.

Il suo sguardo era fuoco e luce insieme.

«Non credete di essere andato un po' troppo oltre padre? Questo ragazzo ci serve ancora.» la gelosia e la rabbia trapelava dalla sua voce come una lama tagliente.

Mi tirai a sedere, passandomi una mano sul retro del collo che sanguinava appena.

Reclinai la testa e mi misi a ridere.

«Serve a te o a me, Azrael?» chiesi.

«Lui è la chiave per trovare l'Angelo.» asserì deciso, forse nel tentativo di non far trapelare il suo nervosismo.

«O la chiave per il tuo paradiso?» chiesi malizioso ed allusivo.

«Ryan.» chiamai il rosso che mi fu subito vicino «Tu cosa ne pensi?».

Si chinò accanto a me e con mia grande sorpresa mi accarezzò una guancia, costringendomi a voltarmi verso di lui. Non lo aveva mai fatto in pubblico.

«Padre, il ragazzo potrebbe ancora servirci. Se non per trovare l'angelo almeno per tenere in pugno l'angelo della morte.» consigliò.

«Portalo nelle prigioni.» scostai lo sguardo verso i due, che stavano ancora fermi e in piedi davanti a noi. Azrael era nervoso, gli occhi gli si erano dilatati, come le narici. Cercava di mantenere un controllo che in realtà non aveva.

«Potrebbe tenerlo in camera sua, con la paura di poterglielo sottrarre in ogni momento.» sussurrò Ryan al mio orecchio ed io annuì.

Sapevo che quel bambino non mi avrebbe mai tradito, perché mi era fedele. Lui avrebbe fatto ogni cosa per me, a patto che io non facessi alcun male all'uomo che amava sin da quando ancora non era altro che un feto.

«D'accordo. Potrai tenerlo in camera tua Azrael, ma più tardi voglio che tu venga da me.».

«Come ordinate, Imperatore.» disse freddo, cingendo Haru per la vita e trascinandolo via, lontano da me come a volerlo proteggere.

Li guardai andare via, seguii la loro figura fino a che non potei più scorgerla.

«Jack.» Ryan mi accarezzò di nuovo la guancia «Hai bisogno di dormire.»

Posai un bacio sulla sua fronte.

«Ho bisogno di vendetta Ryan, solo quella.»

Pov Azrael

Guardavo Haru dormire dolcemente, coperto solo da quella camicia larga che gli aveva prestato per andare a dormire.
Ci eravamo baciati per quasi tutta la notte, mentre tentavo di tranquillizzarlo, fin quando l'albino non si era addormentato sussurrando il suo nome. Sarei rimasto per l'eternità ad osservarlo dormire, con quelle gambe scoperte e lisce che non chiedevano altro che essere accarezzate dalle mie mani, che sembravano fatte apposta per dar piacere e dolcezza a quel corpo così piccolo da sembrare fragile come un filo d'erba, ma che in realtà era forte e racchiudeva in sé un animo coraggioso e puro.
Da quanto lo conoscevo? Neanche un giorno, eppure mi sembravano anni, mille giorni infiniti in cui aveva conosciuto ogni cosa di lui, tanto da sapere alla perfezione cosa gli piacesse e cosa no.
Gli accarezzai una guancia, poi scostai una piccola ciocca bianca dietro al suo orecchio e un sorriso si aprì su quel volto dormiente, che abbracciava stretto quel cuscino che era impregnato del mio odore di eucalipto e mare.
Mi staccai a fatica da quell'immagine di quiete che mi donava serenità.
Mi alzai dal letto, mi ricompose riallacciandomi i bottoni della camicia, rassettando le pieghe dei pantaloni di pelle che sembravano non esistere e che fasciavano ad arte le mie gambe, che sembravano comunque nude.
Mi rimisi quel nastro rosso che tanto amavo, racchiudendo i lunghi capelli corvini in quell'alta coda che ricordava una cascata di notte, grazie alla luce delle candele che li colpiva e li rendeva brillanti.
Diedi un ultimo sguardo al suo nanerottolo, che non si era accorto della mia mancanza nel letto. Accarezzai con i miei occhi quella piccola e candida figura e desiderai svegliarla e farla mia senza scrivere mai la parola fine sul piacere immenso che avremmo provato entrambi, trattandolo con dolcezza, ma allo stesso tempo con una leggera violenza perché questa era la mia indole.
Posai la fredda mano sulla maniglia d'ottone a forma di lucertola ricurva e pesantemente l'abbassai per poter uscire da quel rifugio di pace che era la mia camera, occupata solo dal leggero respiro di Haru, che teneva la bocca socchiusa e rendeva così più invitanti quelle rosse labbra dello stesso colore delle fragole, morbide come i petali delle rose e dal gusto di ciliegia.
Richiusi dietro quella porta quella pace che dovevo abbandonare.
Gli ordini erano gli ordini e nemmeno io potevo ignorarli, nemmeno se ero il pupillo del padrone del castello; o almeno lo ero una volta.
Sapevo bene cosa mi aspettava, non era la prima volta e non sarebbe stata l'ultima.
I miei passi rimbombavano in quei corridoi che erano stranamente deserti, come se tutti stessero aspettando di poter sentire quelle urla che mai mi sarei lasciato sfuggire, nemmeno una sola parola di preghiera sarebbe uscita dalla mia bocca che avrei tenuto serrata anche a costo di mordermi a sangue la lingua, assaggiando così lo stesso sapore del mio sangue.
Forse prima di andare sul palcoscenico avrei almeno dovuto bere una piccola stilla di quel sangue dolce e sublime, che ogni volta che scorreva veloce nelle vene dell'angelo albino mi rendeva la gola secca, gli occhi lucidi come un drogato di fronte alla sua droga preferita, che bramava così intensamente da essere disposto ad uccidere per averla, a consumarsi.
Il silenzio regnava sovrano, solo i suoi passi a disturbare il suo serpeggiare in ogni più piccolo anfratto di quel buio castello, che tuttavia sembrava che molti anni, se non secoli prima, avesse avuto un'altra parvenza; una molto più lucente.
Ora invece era completamente nero, come le anime corrotte che lo abitavano, tenebroso e pieno di scie di sangue che non se ne andavano mai via, perché nessuno si curava di pulire quelle gocce rosse che servivano a dare un'aria ancora più di paura a quel luogo che era odiato e temuto da tutti coloro che avevano un briciolo di amor proprio.
Come sempre arrivai fin troppo presto davanti a quell'enorme portone di rovere, levigato e pieno di cassettoni che erano impreziositi da alcuni orli d'oro e al quale al centro erano incastonati brillanti rubini rosso sangue; anche se, se si faceva attenzione, in una delle rientranze del legno vi era un piccolo zaffiro che si affiancava al brillante rosso, ma questo era posto più in alto possibile, quasi invisibile, come se chiunque lo avesse fatto avesse voluto tenerlo segreto, anche se evidente per chi osservava coscienzioso la superficie lignea.
Non feci in tempo ad abbassare la maniglia, che la porta si aprì, cigolando e invitandomi ad entrare.
Presi un profondo respiro, chiusi gli occhi e anche la mente.
Indossai la mia solita maschera fredda, piena di strafottenza, nascondendo la paura che in realtà non provavo per quell'uomo -che stavo per incontrare e che odiavo fin da quando aveva scoperto la verità sui miei genitori-, ma che riservavo nei confronti di quel piccolo gatto bianco che immaginavo acciambellato sul mio letto e intento a sfrusciarsi e fare le fusa contro quel cuscino che mi aveva rimpiazzato e che ben presto avrei ridotto in un cumulo di piume. Sì, ero geloso anche di un semplice cuscino.
Quando entrai tutto era buio, nessuna candela era accesa, nemmeno il camino o una fiaccola; tutto era tenebra.
Ad attirare la mia attenzione fu il rumore di qualcosa che si posava elegantemente su una superficie dura, il classico suono che faceva il vetro quando si posava per niente aggraziato.
«Mi hai fatto aspettare a lungo Azrael.». La voce dell'imperatore era fredda, seppure calma. Graffiava esattamente come un leone che era intento a dilaniare la sua preda.
Non tremai. Avanzai verso di lui e poi elegantemente mi inchinai, anche se non era nella mia natura piegarmi così facilmente e men che meno a lui; l'assassino dei miei stessi genitori, in fondo. Anche se non erano state le sue mani a essersi macchiate.
«Mi dispiace, padre. Il nostro ospite non desiderava abbandonarsi a Morfeo.» la risata del più grande riecheggiò in quell'enorme sala di cui le ombre si erano impossessate, allungandosi e divorando ogni sorta di luce.
Un liquido mi arrivò dritto in faccia e quando mi leccai le labbra denotai essere semplice vino rosso.
«Non ti sei mai fatto scrupoli Azrael, quindi perché ora? Cosa ti ha fatto quel ragazzo tanto da riuscire a distruggere anche la mia creatura più perfetta?» la sedia stridette contro il pavimento, mentre scivolava su di esso per permettere all'Imperatore di alzarsi e raggiungermi.
Sentii quella mano fredda serrarsi sulla mia coda e tirarla, facendomi male, ma non si lasciai sfuggire nemmeno un tremito. Rimasi con il volto contratto di freddezza, fatto di ghiaccio, che non lasciava trasparire alcuna emozione; neppure la più piccola.

«Io non sono vostro.» la voce era ferma, nonostante il dolore di quella presa che stava strappando i miei adorati capelli corvini.
L'imperatore a tale affermazione mi tirò uno schiaffo, facendomi così perdere l'equilibrio e cadere a terra, come un cane sottomesso, ma io non ero questo. Non lo sarei mai stato e fu per questo che subito mi rialzai e guardai con gli occhi pieni di furia quell'uomo che mi aveva cresciuto nella più ferrea delle religioni e che mi aveva reso quello che ero: solo un vampiro pieno di odio e senza un posto in cui tornare se non quel lugubre castello che fin da quando ero avevo otto anni era stata la mia casa.
«Forse dovrei bere il suo sangue ed ucciderlo, sarebbe la soluzione migliore.» meditò l'Imperatore, tornando verso il tavolo e accarezzando la superficie liscia di quel legno d'acero.
I suoi anelli stridettero contro di essa, provocando un suono fastidioso, proprio come quando il gesso urla quando si scrive alla lavagna. Rimase in silenzio, non ringhiai, o almeno non ci provai, a quell'idea che mi stava facendo impazzire.
«Ma come ben sai non posso farlo, sarebbe controproducente e ti perderei. Quindi dimmi, figlio mio, come posso farti tornare sulla retta via?» chiese il più grande fermandosi di colpo, guardando un punto indistinto all'interno del buio che solo lui sembrava poter scorgere o forse stava parlando con le tenebre stesse, che probabilmente gli stavano sussurrando idee dimenticate, maligne e pericolose, che fecero scorgere su quel viso un sorriso sadico; l'unico che da anni conosceva.
«Potete farmi ciò che volete padre: avvelenatemi, affliggetemi la peggiore delle torture, frustatemi persino! Ma non vi dirò mai nulla che voi vogliate sentire. Quell'angelo l'ho marchiato come mio e voi non potrete mai cancellare il mio passaggio.» non aggiunsi che lo amavo, sapevo avrebbe solo peggiorato la situazione, ma sul mio volto si era aperto un sorriso vittorioso. I miei occhi neri dalle sfumature blu che ricordavano il cielo notturno, in cui erano rinchiusi due lembi di cielo, scintillavano folli ed entusiasti alla sola idea, al solo pensiero di possessione che automaticamente mi fecero umettare le labbra affamato; quasi folle.
Jack, questo il nome dimenticato di quel vampiro che ora lo stava guardando con gli occhi pieni di ira, rimase fermo, ma nella sua staticità i suoi poteri si calamitarono tutti sulla mia figura che era in piedi, irriverente, scaraventandomi così contro la parete.
Anche in questo caso non emisi fiato, ricevetti il colpo senza dar a vedere il dolore, che non avrei mai fatto trapelare per orgoglio e di quello ne avevo molto. Innamorato o meno.
«Sei esattamente come tuo padre. Forse avrei dovuto ucciderti, invece ti ho accolto in questa casa e allevato come se fossi mio figlio; quale grave errore.» esclamò indignato e rovente l'Imperatore che strinse la mano a pugno, mentre mi guardava mettermi seduto e togliermi di mia spontanea volontà la camicia che poi posai sulla sedia, lì vicino, ripiegandola perfettamente. Sapevo esattamente cosa sarebbe successo di lì a poco, inutile indugiare.
Jack sbuffò, ritenendosi leggermente sconfitto a tale gesto, sentendosi ancora più infuriato e io lo sapevo bene, per questo dentro di me sentivo il pesante peso di ciò che stava per accadere, mentre guardavo quell'uomo a testa alta, a pari altezza, senza alcun timore di quel potere che il castano racchiudeva dentro di sé e che faceva tremare perfino la terra ad ogni suo passo, mentre le ombre lo accompagnavano divorando la luce che stava diventando sempre più debole, ma che aveva iniziato a tremolare grazie alla comparsa di Haru, facendosi così più agguerrita e meno disposta a cedere.
«Inginocchiati.» ordinò l'Imperatore con voce perentoria, che non ammetteva rifiuti.
A tale tono imperativo stesi le labbra in un sorriso strafottente, continuando a guardarlo dritto negli occhi che ora potevano vedere quel viso che nascosto dalle ombre mostrava tutta la sua vecchiaia, tutto il dolore che lo aveva scalfito; quella ferita che ancora non si era richiusa dopo così tanti secoli da non poter essere contati su una mano.
Vidi ogni cosa, complici quelle stesse tenebre che tentavano di proteggere il loro padrone, il loro migliore alleato, ma non riuscendoci poiché lui dentro di sé nascondeva qualcosa che poteva andare oltre di esse, perfino capace di distruggerle se mai avesse voluto.
«Costringetemi.» lo sfidò e il più grande non se lo fece ripetere due volte.

Utilizzando il suo potere mi costrinse a inginocchiarmi poggiando tutto il peso del corpo sui talloni; esattamente come nella seduta giapponese.
Le ossa dolevano, mentre tentavo di porre resistenza, non mi sarei mai arreso e mai prestato ad essere un semplice burattino.
Percepivo la forza di gravità schiacciarmi pesantemente, quasi come se venissi colpito da mille massi in una volta sola. Facevo fatica persino a respirare, mi sentivo incollato al pavimento coperto dal fine arazzo che se non ricordavo male doveva essere di un brillante colore blu.
L'Imperatore si avvicinò, scrutò la mia espressione con minuzia alla ricerca di qualsiasi sentimento di pentimento o comunque di resa, ma non ne trovò alcuno; infatti, i miei occhi brillavano ancora intensamente, impossibilitati a spegnersi per qualche strano gioco del destino, nonostante anche io fossi oscurità.
«Rendi sempre le cose difficili.» la sua mano accarezzò il mio viso spigoloso, ma dai toni eleganti; quel viso che lo stesso uomo si era ritrovato ad amare poiché aveva qualcosa di familiare che anticamente lo aveva legato a quella persona che aveva perso e che mai più avrebbe potuto riavere, anche se ancora non lo sapevo.
Mi scostai, sebbene a fatica, e sputai ai suoi piedi.
Odiavo venire toccato da quella mano empia, turpe e piena di intenzioni per nulla positive.
Jack ritrasse la mano come bruciato, in un moto repentino e poi si allontanò, dandomi le spalle, di pochi passi, per raggiungere qualcosa, però nel frattempo quel gesto aveva simboleggiato nuovamente una sua seconda sconfitta consecutiva.
Prese una frusta, la cui corda era spessa e spinata. Aveva sempre amato quell'oggetto e raramente lo utilizzava per non imbrattarne la bellezza e per la paura di romperla utilizzandola troppo violentemente, ma non poteva utilizzare altra arma su quell'oggetto che tanto amava e gli apparteneva e che sentiva gli stava sfuggendo dalle dita.
Diete una scoccata nel vuoto e il rumore secco e violento fu una dolce melodia per le sue orecchie.
Non battei ciglio, semplicemente strinsi i denti anche se ancora non ero stato colpito, preparandomi all'imminente dolore che sapeva sarebbe arrivato quando meno me lo sarei aspettato.
«Davvero, cosa devo fare con te bambino mio? Come posso estirpare la tua luce?» la domanda del più grande ovviamente non voleva risposta, perché in fondo nessuno dei due ne aveva.
Rimanemmo in silenzio, mentre il castano passeggiava e accarezzava l'impugnatura di quell'arma che brandiva paziente, aspettando il momento giusto; voleva colpirmi e farmi urlare, rendermi debole in qualsiasi modo avesse potuto; lo capivo da come si muoveva, da come mi scrutava con quegli occhi argentei e dalle sfumature viola.
Mantenni gli occhi fissi davanti a ma, come se l'altro non fosse lì e io fossi solo. Solitamente aiutava distrarsi.
La gravità ancora mi schiacciava, ma lottavo continuando a mordermi l'interno della sua guancia e rilassandomi cercando di non pensare a nulla; o almeno provandoci.
Una distrazione momentanea tuttavia affollò per un attimo la mia mente: l'immagine di Haru che mi stava aspettando e fu proprio in quel momento che quelle spine colpirono con violenza la mia pelle, stappandomela e rendendola immediatamente grondante di sangue che scendeva copioso dai profondi graffi che esse avevano creato sulla mia superficie liscia fatta di muscoli, riaprendo anche le ferite che quella stessa notte Ryan aveva così faticosamente curato.
Ripeté la stessa operazione molte altre volte, ma stoicamente resistetti ad ogni percossa senza mai gemere il dolore, anche se la schiena mi bruciava, mentre mi sentivo scivolare sempre più a terra anche grazie a quel potere a cui continuava a sottopormi senza sosta.
Quando tutto smise mi sentii a pezzi, ma non lo diedi a vedere, mentre Jack rideva, passando una mano su quella che riteneva una vera e propria opera d'arte.
Premeva con quell'arto e lì dove la pelle era ormai stata lacerata un dolore lancinante pervadeva tutto il mio corpo e di questo l'altro gioiva perché questa volta non potevo fingere, anche grazie a quel rivolo di sangue che scendeva al lato della sua bocca a causa del fatto che avevo morso troppo violentemente il labbro per non far trapelare alcun suono.
«Allora, Azrael, hai imparato la lezione?» chiese, mentre inseriva un dito in una delle ferite per allargarla e farmi così ancora più male.
«Quale lezione? Quella che siete così tanto debole da non riuscire a farmi piegare se non con l'ausilio dei vostri poteri?» la mia voce era bassa, il dolore che provavo era palpabile, ma il sorriso che ornava il mio volto smorzava quella vittoria rendendola un'ennesima sconfitta per quell'Imperatore, che per vendicarsi mi assestò un calcio.
«Sparisci prima che faccia qualcosa di cui possa pentirmi.» mi consigliò.
Barcollando si alzai, una mano che poggiava sulla mia spalla e quelle labbra tese verso l'alto che rendevano il mio viso brillante nonostante il forte pallore.
«Con piacere. Meno vedo la vostra faccia, meglio è.» acconsentii, uscendo poi alla svelta prima che la mia buona sorte decidesse di abbandonarmi ora che ne avevo più bisogno.

Vagai a lungo per il castello, camminando ritto e austero senza perdere la mia eleganza nonostante le ferite che faticosamente si stavano richiudendo, ma che mi stavano prosciugando la maggior parte delle mie energie.
Avevo bisogno di sangue e non una stilla, ma almeno qualche sacca.
Sapevo dove trovarlo, ma mi ero tenuto distante fino all'ultimo da quella fonte di zucchero e lavanda che era proprio dietro quella porta che stavo evitando e allo stesso tempo osservando da ore.
Appoggiai la schiena contro il muro, il freddo delle pareti lenì un poco il dolore, il capo buttato all'indietro, gli occhi socchiusi e le labbra stirate in un sorriso sarcastico che lasciava trapelare ogni mio sentimento di confusione.
Mi sentivo perso ed era la prima volta che mi accadeva. Che cosa era successo al vero Azrael che fino a poche ore prima non si sarebbe fatto alcuno scrupolo, che evitava sempre i guai che avrebbero arrecato danno alla sua persona? Che cosa era accaduto a quel vampiro che non provava sentimenti se non per se stesso, a quel ragazzo che in volto aveva sempre solo un'aria annoiata e quel sorriso strafottente e ammaliante che era capace di ammaliare chiunque e renderlo suo?

Mi ero innamorato, ecco qual era la risposta. Quella era la stessa soluzione che tentavo ancora di assorbire nonostante l'avessi accettata mentre urlavo disperatamente di amarlo.
Alla fine era come se qualcosa in me si fosse acceso, ma non una semplice luce, non un ardente fuoco; si era accesa una vera e propria stella che era nata nel buio, nel caos del nulla e mi aveva risucchiato per un momento, lasciandomi senza fiato, per poi sputarmi fuori in un piccolo universo che era tutto per me, dove brillava quell'unica luce che mi faceva sentire strano, amato. Ce n'era voluto un po' per capire che "amare", quel verbo che credevo proibito e privo di significato, una semplice parola composta da cinque lettere, non avesse un gusto acido come la bile.
Non avrei potuto trovare altre cinque lettere per esprimere meglio ciò che sentivo all'altezza del petto, che però mi facevano sentire stucchevole e mi confondevano, facendomi provare quell'emozione a cui non ero avvezzo e che mai mi era stata insegnata a provare, a sentire; come potere quando quello stesso uomo che ti ha allevato aveva proibito l'amore in ogni sua forma, vedendo ogni cosa come un oggetto, distinguendo gli individui in due semplici categorie che formavano la sua propria catena alimentare: coloro che erano utili e coloro che erano semplice feccia. Non c'era spazio per quel puro sentimento che al sol pensiero nel mondo in cui era cresciuto, eppure quello mi era arrivato tra capo e collo senza neppure accorgermene, in quella casa, tra le fiamme del destino e dell'inferno.
Stridendo i denti, i morsi della fame che stavano dilaniando il mio corpo debilitato, mi feci forza ed entrai nella nostra camera da letto, anche se avevo paura di commettere qualche sciocchezza. Sarei riuscito a trattenermi, oppure avrei perso il controllo?

La decisione più saggia probabilmente sarebbe stata quella di andare da qualsiasi altra parte, ma io non volevo essere in nessun altro luogo se non in quella stanza e in quel letto, tra quelle braccia.
Haru era lì in piedi, al centro della stanza e, appena mi vide, mi corse verso incontro, abbracciandomi, scontrandosi con il mio duro e freddo petto.
«Dove sei stato? Stai bene?» chiese, la voce ovattata a causa del fatto che aveva parlato contro la mia pelle ancora nuda, le sue mani che posavano all'altezza del mio seno piatto e strette a pugno, ignaro di ciò che segnava la mia schiena e del dolore che stavo provando.
*Tum Tum*. Che cos'era stato?
Mi era sembrato di sentire un rumore, proprio lì dove avrebbe dovuto sostare il cuore, ma sapevo che era impossibile, in quanto il mio cuore non era altro che un organo raggrinzito, piccolo e quasi inesistente. Quel muscolo involontario non pompava sangue, allora perché mi era appena sembrato di averlo udito? E forse nemmeno per la prima volta.
«Mi controlli?» tentai di scherzare, dirigendomi verso il letto cercando di non mostrargli la schiena. In quel momento sembrava che la sua natura vampiresca fosse sopita, probabilmente a causa della forte preoccupazione e forse era meglio così. Non volevo si preoccupasse, che cercasse una vendetta che non avrebbe mai potuto ottenere a causa della sua inesperienza e della forza del suo opponente.

«Scusa. Mi ero solo preoccupato perché quando mi sono svegliato tu non c'eri... pensavo che mi avresti svegliato.» le sue goti erano rosee, le dita dei suoi piedi si piegavano e distendevano nervose, esattamente come quelle mani che si stavano torturando, mentre quegli occhi verdi cercavano di fuggire ai miei che in quel momento probabilmente erano rossi a causa della fame che nutrivo.

Il suo profumo in quella stanza era immenso, ogni cosa sapeva di lui e questo non mi aiutava e anzi l debolezza mi annebbiava la mente, ma non avrei ceduto ai miei istinti. Non mi sarei mai permesso di fargli del male, perché gli avevo fatto una promessa: lo avrei protetto e portato via da quel luogo.
«Smettila di scusarti e vieni qui.» ordinai allungando una mano verso di lui, nell'attesa che questo la prendesse di sua spontanea volontà.

Haru alzò lo sguardo, in quel momento sembrava un piccolo coniglio bianco con le orecchie ritte che cercava una qualsiasi via di fuga, - che in fondo avesse percepito l'odore del mio sangue? -, ma non trovandola, tentennante, si arrischiò ad avanzare e tremante posare appena le sue dita sulla mia mano, che le serrarono e con forza lo fecero sbilanciare mentre lo tiravano verso di me.

L'angelo così si ritrovò steso sul letto sopra di me.

«A...Azrael?» balbettò il più piccolo totalmente sconvolto e tremante, gli occhi rossi per la sete che io stesso provavo.
I suoi occhi vennero calamitati dalla mia bocca, da quei lunghi canini che spuntavano appena, segno che della mia forte sete e il suo corpo vibrò come una corda di violino che stava venendo accordata, ma fu solo per un attimo. Si rilassò quasi immediatamente e iniziò a ricambiare il mio bacio esigente, facendo scontrare i nostri denti duri e forti, che graffiavano appena le nostre lingue che stavano lottando alla ricerca della supremazia.

Non c'era nulla di innocente, quello fu il bacio tra due vampiri affamati di sangue e di sesso. In fondo gli unici due modi per mantenerci in vita.
«Il tuo profumo... lo odio.». Ero così vicino alla sua pelle, tanto che il movimento delle mie labbra a quella frase la accarezzarono, facendolo tendere ancora di più, mentre sentiva il sangue fluire in tutto il suo corpo violentemente a causa dell'eccitazione che stava iniziando a provare. Quanto poteva essere sensuale una persona?
«N...Non voglio.» soffiò Haru senza fiato, mentre posava le sue mani sulle spalle nude e lisce che i appartenevano; le sue parole per niente veritiere. Voleva farsi desiderare, non voleva essere un giocattolo e men che meno apparire una persona facile, anche se di fronte a me lo diventava, perché riuscivo a toccare in lui qualcosa che lo rendeva così fragile, da sentire l'intero corpo fatto di farfalle e non solo lo stomaco.
«Sì, che vuoi» lo corressi, leccando il suo collo «Solo che non sei pronto e io non farò nulla che non vuoi, perché ti amo.» sussurrai l'ultima parte proprio sulla sua gola, la lucidità completamente sparita. Lo avrei morso, ma prima che potessi anche solo affondare i denti un gemito di paura risuonò nelle mie orecchie, salvandomi.

Le sue mani si erano tinte rosso a causa del sangue, che sebbene meno intensamente, continuava a sgorgare dalle ferite ancora profonde.
«Sei ferito! Di nuovo!» urlò, mettendosi a sedere e rompendo così l'atmosfera che si era appena creata. Quelle pozze verdi erano diventate liquide a causa delle lacrime trattenute, mentre con il dorso delle mani se li sfregava per cercare di ricacciarle giù e non farle vedere.
«Non è nulla. Non mi fanno male come le ferite di prima.» tentai di sorridere, mettendomi a sedere e accarezzandogli il viso «Andiamo a lavarci.».

Haru ovviamente non cedette e sgattaiolò via, per poter osservare meglio quelle ferite. Vi posò sopra una mano e le accarezzò, facendo attenzione a non farmitroppo male.
«E' stato lui vero? Per questo voleva vederti!» la sua voce tramava di rabbia e quando mi si voltai verso di lui per scorgerlo vidi quelle gocce salate, trasparenti e scarlatte, scendere lungo le linee del suo viso, rigandolo invisibilmente, mentre i suoi occhi brillavano al buio, ricreando una danza discendente di fiamme.
«Non importa. Andiamo a lavarci e poi torniamo qui a coccolarci.».

La sete ormai mi pizzicava la gola arida come il deserto. Mi protesi verso di lui e iniziai a leccare le sue lacrime provando un lieve sollievo, mentre quel sangue esplodeva nella mia bocca, caldo e gustoso, facendomi gemere e desiderare sempre di più.

L'altro mi lasciò fare e poi con quelle morbide labbra che si ritrovava andò a baciare lieve quelle ferite che iniziarono a pizzicare, facendomi gemere di dolore e piacere insieme.
«Scusa!» di nuovo quella parola che non riuscivo sopportare e che aveva interrotto quella cosa tremendamente eccitante. Mi sarei dovuto ferire più spesso!
Mi voltai e gli presi il mento tra indice e pollice e avvicinai i nostri visi così da poter sentire i nostri reciproci caldi respiri.
«Smettila di chiedere scusa. Non lo sopporto.» unii le nostre labbra in un bacio profondo, voluttuoso che ci impegnò per svariati minuti, lasciandoci infine senza fiato.
Questo bacio finalmente fu come quelli di sempre: così intenso e bello da gustarcelo con foga in quella danza di lingue che orchestravamo insieme; chi più goffamente, a causa dell'inesperienza, e chi più magistralmente, poiché quella bocca aveva avvelenato mille vittime, che erano morte volentieri pur di gustarne l'afrodisiaco sapore.
Non erano solo questo, tuttavia; infatti, c'era anche una leggera e scrupolosa lentezza che rendeva quei baci solo nostri. Questo perché in quel modo riuscivamo a gustare la reciproca materia di cui eravamo fatti e ci univamo perfettamente lasciando che alla fine la sostanza si sciogliesse e diventasse qualcosa di semplicemente metafisico, come anima.
Era qualcosa di complicato, qualcosa di inspiegabile e che non si poteva per niente descrivere in modo semplice a parole e questo entrambi lo sapevamo bene, poiché in quel frangente le nostre menti si ottenebravano, diventando un enorme foglio bianco su cui, se mai fosse caduta una goccia d'inchiostro, non ce ne sarebbero mai accorti, perché entravamo in un mondo pieno di sensi che era solo nostro e che nessuno avrebbe mai potuto violare, in quanto nessuna porta o chiave alcuna poteva portare qualcuno in quella dimensione a noi preclusa.
«Sc... va bene.» sospirò a bassa voce Haru, mordendosi la lingua per non trasgredire all'ordine che gli era appena stato impartito e che avrebbe tentato di seguire.
Posai una mano sul collo candido dell'altro, dove solo due piccoli, vecchi e rossi buchi deturpavano quel pallore che rispecchiava perfettamente anche i fili bianchi dei suoi capelli che scintillavano d'argento, sebbene fiocamente a causa delle candele che a breve si sarebbero spente, lasciando entrambi nel complice buio che avvolgeva solo gli amanti che chiedevano aiuto alla notte per ricevere quell'intimità che di giorno, sotto la luce del sole, non era possibile.
«Perché ora non continui quello che stavi facendo?» gli chiesi sospirando nel suo orecchio. L'altro annuì, ma rimase immobile, inginocchiato sul materasso, le gambe leggermente divaricate e le mani chiuse a pugno per non lasciare che la camicia si sollevasse troppo, mostrando la sua completa nudità al di sotto.
«Prima non hai bisogno di qualcosa?» chiese chiudendo gli occhi e inclinando la testa di lato, mostrando così il suo collo e le vene che scorrevano appena al di sotto di quella pelle sottile.
La mia gola si fece nuovamente secca mentre udivo nuovamente quel suono all'interno del mio petto, che non sarebbe mai dovuto esistere.
*Tum Tum*. Avvicinai piano il viso a quel lembo di pelle così gentilmente offerto.
*Tum Tum*. Inspirai a fondo quel dolce profumo che lo faceva impazzire.
*Tum Tum*. La mia lingua assaggiò le pieghe e la morbidezza di quella pelle che avrebbe potuto saziare per sempre il mio appetito.

«Il mio sangue è ancora in circolo dentro di te. Sai cosa vorrebbe dire?» gli chiesi, gli occhi chiusi e le labbra sulla sua pelle.

«Che ti morderò anche io dopo.» mi accarezzò i capelli e sorrise, gli occhi che brillavano intensi e decisi.

Ma io? Io lo volevo nella mia vita per sempre.

Tum Tum. I miei denti affondarono in quella carne che sembrava fatta di burro e iniziarono a cibarsi di quel liquido che poteva benissimo essere comparato all'ambrosia degli dei.

Tum Tum. Il suo cuore batteva così velocemente che lo sentivo rimbombare nelle mie stesse orecchie, come suono trasportato all'interno delle sue vene. Batteva tanto quanto il suo.

Si era risvegliato e non riuscivo a crederci o forse non volevo, perché questo avrebbe significato qualcosa d'importante.

Haru gemette di piacere, riversando la testa ulteriormente e passando le sue dita tra quei lunghi fili neri ancora relegati in quell'alta coda che impediva a quella cascata di tenebre e luce di discendere e accarezzare i corpi di entrambi.

«F...fa piano.» mi chiese, accarezzando il mio morbido capo e incitandomi a non abbandonare quella postazione che gli stava donando una dolce e lenta tortura che lo faceva fremere di aspettativa, incurante del fatto che avrei potuto anche ucciderlo se non mi fosse fermato, o più probabilmente aveva una piena fiducia in me.

Alla fine si abbassò anche lui, le sue labbra mi baciarono la vena portante del mio collo e ricevetti dei lunghi brividi lungo la schiena.

Lo fece davvero, come premesso pochi attimi prima mi morse e sentii il nostro reciproco sangue bollire, mentre si legava indissolubilmente.

Da quel momento in poi saremmo appartenuti l'uno all'altro e probabilmente ce ne saremmo pentiti più tardi, forse la nostra decisione era stata semplicemente dettata dalla sete di sangue.

La mia mente tuttavia era piena solo di quel delizioso gusto di sangue che mi stava mandando in estasi le mie papille gustative, che non volevano altro che poter assaggiare in eterno quel liquido che stava donando al mio corpo la forza che gli era stata negata.

Non sarei mai riuscito a fermarmi come l'altro sperava, non in quel momento in cui ero così debole a causa di quelle ferite che non accennavano a volersi rimarginare. Non mentre la consapevolezza che in qualche modo avesse scelto me e solo me mi scivolava dentro e mi cullava.

«Azrael.» gemette, tirandomi i capelli il più piccolo cercando di allontanarmi da sé, sentendo che qualcosa non andava, ma non lo sentii e nemmeno accennai a staccarmi.

Le gambe di Haru si fecero molli, la testa aveva iniziato a vorticare pericolosamente e le forze mancare.

«Azrael.» mi chiamò ancora, artigliando le mie spalle e graffiandole rendendo solo quella dura pelle leggermente rossa al suo passaggio. «Ascoltami... mi fai male ora.».

Le sue furono parole gettate al vento, scritte su un foglio chiuso in un cassetto e poi dimenticate, messe lì a prender polvere e destinate forse a non essere mai trovate o raggiunte.

«So che ci sei. So che sei lì e ora ho bisogno di un bacio.» sussurrò a fatica sia per la debolezza che per l'imbarazzo quelle parole, che tuttavia sembrarono avere in qualche effetto; infatti, le mie palpebre serrate, si aprirono leggermente, mostrando quel liquido mare rosso, tornare di nuovo a quel suo colore naturale.

«Baciami.» sussurrò ancora debolmente l'albino, sentendo che qualcosa era cambiato.

A tale affermazione mi staccai immediatamente, come scottato. Che cosa aveva appena fatto?

Pov Haru

Sorrisi, accarezzandogli una guancia, fiero del fatto che fossi riuscito nel mio intento. Sapevo che l'altro non era poi così cattivo come voleva dimostrare, che in realtà dietro quella maschera fatta di ghiaccio se ne nascondeva una di fuoco, stelle e fiori.

Azrael in fondo era come l'acqua: fresca al tatto, che ti abbracciava con dolcezza e ardore arrivando a toccare ogni più piccolo punto di un corpo, che rifletteva ogni cosa, che essa fosse bella o brutta, violenta quando questa si sentiva minacciata, che ti affogava non appena la guardavi.

Ma proprio come quel liquido trasparente, essa poteva prendere mille sfumature, non sembrare mai uguale. A volte era salta, come nel mare, e se ne assumevi anche solo una goccia sentivi la gola bruciare, fare male; altre era dolce, come quella del fiume, che potevi bere senza provare alcun dolore.

L'acqua era traditrice, ma anche fidato elemento. Era qualcosa di ambiguo, strano, che attiva e di cui non potevi fare a meno.

Una droga che non faceva male, qualcosa che potevi assumere senza pentirtene mai.

Il vampiro tentò di allontanarsi dal mio corpo a causa della paura e di quel frugale potere che aveva fatto cedere anche il re del piacere, ma non glielo permisi, sorprendendolo di nuovo con quei miei gesti che non potevano mai essere calcolati e che spesso sorprendevano anche me, esattamente come pochi attimi prima.

Ormai eravamo legati, da qualcosa che non era semplicemente matrimonio, ma di molto più profondo.

Lo sentivo scorrere in me, non il suo sangue, ma la sua anima e percepivo anche le sue ali spezzate che volevano rinascere fiere su quella schiena ferita.

«Va tutto bene.» lo rassicurai, sorridendo apertamente, mentre a fatica riuscivo a rimanere seduto e con altrettanto sforzo tentavo di far stendere il moro prono, in modo da poter accontentare la sua precedente richiesta, nonostante ormai i profondi solchi fossero quasi ormai guariti del tutto, lasciando solo piccoli segni rossi e viola come ricordo della loro esistenza.

Azrael si lasciò guidare, non riuscì a fuggire, come se per la seconda volta quella sera la gravità avesse deciso di schiacciarlo, ma questa volta in modo più dolce grazie a quelle mie labbra umide che lo stavano vezzeggiando nonostante la stanchezza che pervadeva il mio piccolo e gracile corpo.

Desideravo farlo godere di quelle lievi coccole che molto raramente qualcuno gli aveva mai concesso, che in realtà non aveva mai voluto da nessuno perché per niente fatte con il cuore.

Gli baciai tutta la schiena, soffermandomi su quei lievi segni e inumidendoli, prima di soffiarci sopra e cercare di farlo rabbrividire proprio come il moro aveva fatto con lui precedentemente in quella piccola cascina, sperduta in mezzo al bosco dove a volte sarei voluto tornare, perché là, seppure l'ambiente fosse tetro, scarno pieno di spifferi e sicuramente qualche pericolo che ignoravo, saremmo stati soli e al sicuro da quella presenza che era palpabile seppure lontana, rinchiusa in qualche stanza del castello in quel momento, probabilmente al buio a bere quell'amato vino rosso che lo accompagnava in ogni occasione, o forse nelle sue stanze a servirsi di una qualche vittima vergine e cibandosi di quel sangue privo di impurità mentre la prendeva e la violava rendendola sporca proprio appena prima che la morte sopravvenisse lei.

Avevo paura e non poteva negarlo a me stesso, come non potevo ignorare quella strana sensazione che provavo all'altezza del ventre che mi inviava qualche piccola fitta.

«Haru...» tentò.

«Shh, ora dormi Azrael. Al resto ci penseremo domani.

Pov Dragan

Mi alzai dal letto non appena udii un lieve bussare alla mia porta.

Non chiesi neppure chi fosse, non ne avevo bisogno. Solo una persona mi sarebbe venuta a cercare.

«Devi andare via.» disse Ryan, non appena sgusciò dentro, richiudendosi la porta alle spalle e reclamando un mio bacio.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro