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Cap. 9; Amichevole Belligeranza

Pochi giorni e così tanti problemi; quando Vezirya si era presentata alla sua porta proponendogli quel piano folle, Vega lo sapeva che avrebbero incontrato degli ostacoli, era mentalmente preparato.
   Ma non si aspettava certo tutti quegli avvenimenti! Le bugie, Alastor, le promesse che aveva fatto sapendo di non poterle mantenere, l'angelo.
Alastor.
   Artigli blu si strinsero intorno alla sua nuca, solleticando le piume corte sotto i capelli che aveva raccolto in un morbido codino per stare più comodo. Artigli blu che lo riportarono alla realtà, invitandolo a concentrarsi su ciò che stava facendo.
   «Così», gemette roco Vox, sopra di lui, mentre spingendo la sua testa con la mano gestiva il ritmo dei suoi movimenti.
Non poteva rispondere, gli unici suoni che emetteva erano umidi risucchi e mugugni soffocati e sofferenti, quando Vox si spingeva troppo in profondità nella sua gola stretta. Ma ogni volta che lo faceva sentiva le sue gambe fremere di goduria, e tanto bastava per farglielo sopportare.

Del resto, non capitava spesso. In passato era successo a malapena due volte, che glielo succhiasse. Ma quella sera ne aveva sentito quasi il bisogno.
   Era distensivo, per i suoi nervi.
Concentrarsi a dare piacere a qualcun'altro, sapere che l'orgasmo dipendeva soltanto da quanto fosse o non fosse capace, lo distraeva.
   E lui ne era capace.
Vox soffiò un "cazzo" appena udibile, mordendosi le nocche dell'altra mano, a dimostrazione di quanto ne fosse capace.

Lasciò la presa su ciò che stava facendo, un rivolo di saliva gli cadde dalla punta della lingua, mentre riemergeva con la testa tra le gambe del demone.
   «Devo fermarmi?» mormorò maligno, disegnando cerchietti con il dito sulla gamba di Vox, che subito lo fulminò con lo sguardo. Non sorrise e non disse niente. Si limitò ad acchiapparlo dal codino per spingerlo di nuovo lì dove sarebbe dovuto essere.

   Non si sorprese, tra loro non c'era un'affinità o un'alchimia speciale, da permettergli di stuzzicarsi e scambiarsi battute.
Semplicemente, quelle poche volte che era successo, si erano visti, Vaga gli aveva lanciato il più languido e supplichevole degli sguardi e l'altro l'aveva soddisfatto.
   Niente di più semplice.
Dunque adesso doveva solo finire ciò per cui era andato lì, senza stupidi giochetti.

Gli piaceva il fatto che Vox non avesse mai provato ad andare oltre ai preliminari; non avrebbe saputo come reagire, in quel caso.
Anche se questo lo faceva tornare a casa insoddisfatto fisicamente, non gli importava.
   Voleva soltanto sentirsi in potere di farlo, e distendere quei nervi massacrati.

Per qualche motivo, però, quella volta il suo corpo non andava molto d'accordo con il suo cervello.
   Quando le mani di Vox si posavano sulla sua nuca per controllarlo, o quando gli tirava via il ciuffo dagli occhi per godere meglio della sua visione, o quando, preso dall'euforia dell'apice e senza rendersene davvero conto, capitava che gli stringesse i fianchi, o le spalle, o che tenesse la mano sul suo viso, Vega si ritrovava a far caso a quel pensiero sporadico che ronzando nella sua testa gli diceva "ancora."
   Accarezzami ancora. Stringimi ancora.
"Toccami, baciami, fa' qualcosa!"

   In realtà si era dovuto interrompere per quello, per provare a se stesso che quella non era la persona giusta a cui chiedere cose del genere.
E ne ebbe di nuovo la conferma, poiché Vox non fece assolutamente niente.
E quando raggiunse l'orgasmo, effettivamente anche quella volta gli strinse una mano sulla spalla e una sul braccio, per fare leva mentre cercava di regolarizzare il respiro. E Vega rimase immobile, fissando il vuoto, perché se avesse dato retta alle voci da sirena che gli circolavano in testa, probabilmente avrebbe fatto qualcosa di folle, tipo sedersi in braccio a lui o strusciarsi come un gatto alla ricerca di un sollievo anche per sé.
   E non era proprio il caso.

Ripreso il controllo di sé e con un sorriso inebetito sul volto, Vox lo spinse lontano da sé premendogli il dorso della mano sulla guancia e si rialzò dalla propria poltrona, ricomponendosi.
   Vega si sentì un idiota. Per la prima volta sarebbe tornato a casa insoddisfatto, e ancora più teso di quando era arrivato.
   Ingoiò e si pulì gli angoli della bocca con la manica della sua giacca preferita.

   «Allora? Lo stronzo come sta?»
"Merda", pensò mentre si tirava su.
Che avrebbe potuto dirgli? Erano giorni che Alastor sembrava sparito dalla circolazione. Era tornato un paio di volte in hotel, glielo aveva riferito Charlie, ma era sparito subito dopo e lui non lo aveva mai incrociato.
   Non poteva inventarsi un'altra balla, il peso di tutte quelle dette fino a quel punto cominciava a farsi sentire, e prima che il cervello potesse effettivamente partorire qualcosa di sensato per giustificarlo, la lingua si mosse da sola nella sua bocca, facendo riecheggiare nella grande stanza vuota uno stupidissimo "boh".

   Fece giusto in tempo a risentire la propria voce nella testa e a pensare che fosse la voce di un perfetto inetto, prima che Vox si immobilizzasse.
   «Che cosa dovrebbe significare?»
Quando si voltò di nuovo verso di lui i suoi occhi lanciavano dardi infuocati di ira.
Di nuovo, la voce da inetto parlò al posto suo: «È un'interiezione, Voxie.».

Per quanto si dispiacesse di autogiudicarsi sempre, incollandosi addosso termini come "stupido" o "idiota", Vega era ben cosciente di non esserlo affatto.
   Al contrario, per quanto a volte il suo cervello formulasse velocemente risposte fuori luogo, alla base di quel processo c'era un criterio: Vega si divertiva.
Era un provocatore, una spina nel fianco, perché sapeva di poterselo permettere.

Lì, tutti erano molto meno potenti di lui.
E farsi sottovalutare per la sua natura affabile e insicura, era un vizio a cui proprio non riusciva a rinunciare.

Ne ebbe una sana dimostrazione Vox, quando fece per scagliarglisi contro e l'ultima cosa che vide fu Vega che sollevava una mano, calmo e con il sorriso.
Tanto gli bastò per togliergli il segnale e farlo cadere in ginocchio davanti sé, mentre con le mani tastava il proprio schermo, che ora trasmetteva soltanto bande colorate e ondulate.
Non poteva parlare, ma poteva ascoltare.

Come un avvoltoio, Vega camminò in cerchio intorno a lui. Le mani allacciate dietro la schiena.
   «Pensavi di potermi toccare o di potermi minacciare, Voxie
Schioccò le dita e sullo schermo riapparirono di nuovo gli occhi inferociti e il ghigno malefico del demone, ma era ancora impostato su "muto".
   «Sei così ossessionato dal demone della radio? Faresti bene a trattarmi con un po' più di giudizio, allora, perché sono il solo su cui puoi contare.»
Vox si rialzò in piedi e si spolverò le ginocchia con le mani, prima di rendersi conto che l'audio fosse stato ristabilito.
   «Abbiamo un accordo!» gli ricordò, puntando un dito nel petto piumato di Vega, che sospirando lo abbassò, muovendo elegantemente una mano.
   «Sai che sono in grado di insabbiare la verità da solo, ho stretto un patto con te soltanto perché non mi va di farlo!» soffocò una risata stridula in un pugno chiuso davanti al becco, poi si schiarì la voce e tornò serio.
   «Ti succhio il cazzo ogni tanto e ingoio la tua sporcizia soltanto perché mi va, soltanto perché è una distrazione», si parò davanti al demone e gli spolverò anche le spalle imbottite della giacca, «niente di personale.»
   Un ghigno malevolo spostò i pixel nel suo schermo, e Vox azzerò la distanza tra di loro prendendolo dal mento e attirandolo appena verso di sé.
   «Lo vedo che fremi per averne ancora, quando ti tocco.»
Vega si abbassò quanto bastava per potersi specchiare nei suoi occhi giganteschi.
   «Quello è perché sono un romanticone, non ha a che fare con te», due delle sue dita salirono lungo il torace di Vox, mimando una leggera camminata, e si fermarono proprio alla base del suo collo.
Lo vide deglutire.
   «Non fraintendermi», continuò a un centimetro da quella lingua appuntita che ora sibilava fuori dallo schermo per raggiungerlo, «sei carino e mi piaci, ma sei troppo basso.»

   Vega si allontanò per andare verso l'enorme porta in legno massello che apriva sul suo studio, e con una mano sulla maniglia esitò e si voltò di nuovo verso Vox.
   «Se dopo questa conversazione ti verrà duro, voglio che tu me lo dica e che mi faccia un bel servizietto», ammiccò, «in ogni caso, se accadrà lo saprò.»
   «Mantieni la tua parola!» gli gridò l'altro, ma la sua voce incontrò soltanto la porta chiusa.
Aldilà di questa, Vega aveva alzato il dito medio.

   Non voleva tornare all'hotel, non subito per lo meno. Soprattutto perché da un angolo lontano di quella che doveva essere Cannibal Town, Vega vide ergersi un'alta colonna di fumo nero.
Nessuno sembrava averci fatto troppo caso, ma per qualche ragione lui sentiva dentro di sé che si trattasse di Alastor.

Impiegò più di mezz'ora a raggiungerne le vicinanze, se ne accorse perché le case e le strutture prendevano sempre di più la forma degli edifici tipici della Louisiana.
Fu un secondo, un fischio nelle orecchie lo fece voltare di scatto e con la coda dell'occhio riuscì a catturare l'immagine di qualcuno che scavalcava un cancello e un tentacolo nero che tentava invano di afferrarlo.

   Il piccolo peccatore si era rifugiato sotto un architrave tra due palazzi, e continuava a guardarsi le spalle con tutti e dieci gli occhi che aveva sparsi per tutta l'orribile faccia.
   «Ucci ucci ucci, sento odor di cristianucci
Un'inquietante voce metallica proveniva proprio dal tetto di quell'edificio, e quando il peccatore alzò lo sguardo, sopra di lui stava sbavando mefistofelico un demone rosso dalle enormi corna e la bocca grottescamente spalancata, una fila di terribili denti aguzzi sfoderati e minacciosi. Facendo leva sui tentacoli la figura sconosciuta si trascinò giù fino alla strada.
   Il peccatore, messo all'angolo, cominciò a tastare la propria giacca come alla ricerca di qualcosa.
Poi, proprio un secondo prima che il demone rosso si avventasse su di lui, accadde qualcosa al di fuori della sua comprensione.
   Sfrecciando a una velocità esorbitante un altro demone volò davanti a lui placcando il suo aggressore e scagliandolo lontano da lì di metri e metri.
Le due figure ruzzolarono per un po', in un miscuglio tra il rosso e il nero, poi si separarono di nuovo e sembrarono fronteggiarsi.

   «Ma sei fuori di testa?» Vega non fece in tempo a finire la frase che Alastor gli aveva scagliato un destro.
Per puro colpo di fortuna, il principe riuscì a schivarlo.
   «Ti ho detto di darmi del lei
Senza dargli il tempo di ragionare, Alastor fece per tirargli un secondo pugno, ma Vega riuscì a intercettare i suoi movimenti e afferrare il suo polso mandando il secondo pugno a vuoto. Dunque lo strattonò verso di sé e con un velocissimo movimento di una gamba lo atterrò, montandogli sopra e bloccandogli le mani ai lati della testa.
   Bastò un secondo, un secondo per guardarlo negli occhi e Vega comprese che quello era l'effetto del sangue di Vezirya.

Anche se in piccolissima quantità, aveva risvegliato in lui il desiderio viscerale di tornare a uccidere.
Ma non poteva dare a vedere che fosse a conoscenza di quell'informazione.

Erano ancora occhi negli occhi, quando il ghigno di Alastor si trasformò in qualcosa di più meschino che minaccioso. Le orecchie del demone si abbassarono con un debole fremito.
   «Innamorato, signor principe
Soltanto in quel momento Vega tornò a sentirsi a disagio, e una cascata di consapevolezze gli crollò addosso facendolo esitare.
   Stava toccando Alastor; non lo aveva mai fatto.
   Stava combattendo con Alastor; probabilmente come nella visione che preannunciava la sua morte.
   Non fece in tempo a mettere a fuoco la terza voce di quella lista, che un tentacolo si allungò strisciando sotto il fianco di Alastor e sbucando dietro la schiena del falco, prima di prenderlo per la collottola, sollevarlo e scagliarlo contro un palazzo poco lontano.

   Quando ricadde a terra con un pesante schianto, Vega credette di essersi rotto ottocento ossa, ma quanto accadde pochi secondi dopo gli provò che era più che sano.
O forse che la sua forza isterica era davvero capace di tutto.

Mentre riapriva gli occhi nella polvere, infatti, notò che il peccatore di poco prima adesso stava imbracciando un'arma angelica e cercava di centrare nel mirino un Alastor distratto che si stava rialzando proprio in quel momento.
   Fu un secondo.
L'arma sparò, e Vega riuscì a sentire il fischio del proiettile che tagliava l'aria passargli accanto, mentre si lanciava di nuovo contro Alastor per farlo uscire dalla traiettoria.

I due ruzzolarono di nuovo nella polvere e quando Vega riaprì gli occhi, Alastor era in parte disteso su di lui e stava per dare di matto.
   «Stai giocando con un fuoco che non puoi domare!» tuonò.
Ci fu un secondo sparo, terribilmente più vicino del primo.
   Vega guardò il buco fumante nel muro dietro di lui, lì dove neanche un secondo prima doveva esserci la sua testa, se non fosse stato per Alastor che si era prontamente gettato su di lui per farlo abbassare.
   L'ammasso rosso dei suoi capelli si muoveva mosso dal suo respiro esagitato.

   Non aveva mai sentito così vicino il profumo di Alastor, se di profumo vero e proprio si poteva parlare.
Era un miscuglio di fragranze che in natura non si sarebbero mai incontrate tra loro.
   I suoi capelli e il punto dietro l'orecchio dove era appoggiato il becco di Vega, sapevano di selvatico. Di pelo di animale, d'erba, di un sudore pungente simile a quello dei cavalli. Ma non era sgradevole e veniva avvolto da un'effimera nota di mirto e mora, e dall'odore polveroso di naftalina che emanavano i suoi vestiti.
   Non era profumo, ma non era neanche una puzza.
Era qualcosa che apparteneva soltanto a lui, qualcosa che era troppo caratteristico. E adesso gli ricordava la debole scia che lasciava dietro di sé quando camminava.
   E la sua testa malsana fece un pensiero che, in un'altra occasione, l'avrebbe portato al vomito.
   In quei giorni che non c'era stato, inconsciamente, quella scia gli era mancata.

Un attimo dopo Alastor alzò la testa, e in un brevissimo scambio di sguardi entrambi capirono che adesso avevano un nemico comune.
   Annuirono in sincro.
Vega strisciò fuori dal corpo di Alastor mentre questo con un tentacolo schiaffava via il loro aggressore.

   Alcune voci e risate malefiche li raggiunsero da dietro un angolo, e poco prima che i proprietari di quelle voci gli si presentassero davanti, Vega realizzò che durante il loro battibecco quel demone doveva aver avuto il tempo di chiamare qualche amico.
   Ed eccoli lì, sbucare da dietro un muro, cinque enormi demoni con le fattezze di squali che imbracciavano due armi a testa.

Il sorriso di Alastor mutò, e senza distogliere lo sguardo da quella cricca che adesso gli si stava avvicinando, diede uno schiaffetto sulla schiena di Vega e gli disse qualcosa: «Corri.»

C'era una deliziosa sala da tè, a qualche isolato dal punto dove era avvenuta la lotta. Una dolcissima cameriera stava servendo tè e un'alzatina di pasticcini a un tavolo dove due signore tutte in ghingheri ridevano rumorosamente facendosi aria con i loro pomposi ventagli.
   Calò il silenzio in tutto il locale quando, davanti alle vetrate sulla facciata del locale che dava sulla strada, passarono come una mandria di bufali inferociti sei demoni con le armi spianate, urlando e sputando come una ciurma di pirati.
Centinaia di occhi li seguirono da dentro, centinaia tranne quattro.

   «Posso portarvi qualcosa?» chiese preoccupata la cameriera a una coppia di clienti decisamente fuori dal comune.
   Erano un enorme falco e un demone rosso più piccolo, entrambi coperti di terra e sangue, i vestiti sgualciti e rovinati in più parti.
Le spalle di entrambi si alzavano e abbassavano freneticamente; avevano il fiatone.
E non si staccavano gli occhi di dosso.
Uno sguardo accanito, minaccioso, che lasciava poco spazio all'immaginazione.
   Eppure sorridevano.
Il demone rosso alzò un dito per chiedere alla cameriera di dargli un secondo, fece qualche colpo di tosse e poi parlò cordialmente, con il tono più amabile che la giovane ragazza avesse mai sentito.
   «Due earl grey per cominciare, se non è di troppo disturbo.»
Per un secondo Alastor spostò lo sguardo su di lei, stupendola con il più seducente dei suoi sorrisi.
La ragazza non riuscì a non sciogliersi davanti a quell'espressione, annotò tutto e trotterellò dietro al bancone.

   Adesso che la tensione si era leggermente sciolta, Vega rilassò le spalle, sospirando.
Quando tornarono a guardarsi i due non si trattennero dallo scoppiare a ridere sempre di più, arrivando a sbattere i pugni sul tavolo e attirare l'attenzione di tutti i clienti di quella deliziosa sala.
   Con una mano sul petto, Vega lasciò estinguere la risata, quindi appoggiò i gomiti sul tavolo e si sostenne la testa con le mani.

   «Devi ammettere che siamo una bella squadra.»
L'altro si prodigò in un rumoroso "mh", sorridendo e tenendo gli occhi chiusi.
   «Avanti, ammettilo, con il mio cervello e le tue capacità facciamo davvero una bella squadra.»
Per la prima volta, Alastor non avanzò rimostranze per quel "tu".
   «Si da il caso che io abbia sia le capacità che il cervello», puntualizzò il rosso, aprendo soltanto un occhio per guardarlo.
   «Beh, io ho la personalità!» aggiunse Vega mentre la cameriera allungava sotto di loro il vassoio con un prezioso servizio in porcellana, «e un sorriso migliore del tuo.»
Alastor rise, le orecchie rivolte adesso alle sue spalle e verso il basso.
   Vega allungò il collo con gli occhi sgranati.
   «Quella era una risata?»
   «No.»
   «Oh sì che lo era. Ti ho fatto ridere!»

In quell'istante, Vega si rese conto che quello che era stato un terribile momento condiviso con Alastor, era riuscito lì dove succhiarlo a Vox aveva fallito; paradossalmente, i suoi nervi erano completamente distesi.


Ciao anime belle!
Intanto vi ringrazio per essere arrivati fino a qui con le letture, che non è mai scontato! Per me è davvero importante che quello che scrivo possa piacervi! Soprattutto perché non è un mondo completamente di mia invenzione, e cerco di rispettarlo il più possibile ❤

Fatemi sapere cosa ne pensate della piega moooolto bizzarra che sta prendendo la trama!

✨Vi ricordo che per curiosità, spoilerini, aesthetic e altri contenuti su questa e altre storie, potete seguirmi su Instagram: xophe_library!✨

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