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Cap. 12; Caos Endemico

Canzone: "House of Asmodeus" by Annapantsu


   Ognuno sembrava avere i fatti suoi a cui pensare; Charlie teneva strette tra le proprie le mani di Vaggie, chiedendole se stesse bene e se conoscesse il motivo della foga di Morra nei suoi confronti, Husk e Vezirya si precipitarono alla porta quando videro Angel entrare.
   Vezirya scandagliò il suo corpo con attenzione, alla ricerca di una qualsiasi traccia di violenza perpetrata su di lui da Valentino. Ma non ne trovò.
Al contrario, il pelo di Angel brillava di salute e i suoi occhi erano umidi e vispi. I due si scambiarono un breve sguardo d'intesa e lei tirò un sospiro di sollievo.
   Nel brusio di tutte quelle voci insieme, Niffty correva da una parte all'altra a rassettare e mettere in ordine lì dove l'angelo aveva messo a soqquadro.

   Ma Alastor non si era mosso.
Quello tra lui e Vega era uno stallo alla messicana davvero duro da sostenere.
A un occhio meno attento il sorriso del demone sarebbe sembrato sempre lo stesso, ma Vega si era fissato sui dettagli che lo rendevano così diverso dal solito: il tremolio nervoso del sopracciglio, le narici dilatate, e per tutto quel tempo il demone non aveva battuto le palpebre nemmeno una volta.
Se non si era ancora strappato i capelli era soltanto perché li teneva ancora assicurati in quelle trecce.
   Era dichiaratamente una bomba pronta a esplodere, e le mani di Vega non erano note per avere la dimestichezza di un artificiere.
Dunque il falco puntò sull'effetto sorpresa e attaccò per primo, allargando il sorriso più cordiale di cui fosse capace e posandogli una mano sulla schiena per sospingerlo verso le scale.
   «Mia cara», si rivolse a Niffty con voce soffice e tranquilla, «saresti così gentile da portarci un tè nella mia camera?»
L'esserino puntò il grande occhio su di lui, poi su Alastor, poi di nuovo su di lui. Infine acconsentì con quel sorriso da pazzoide che sfoderava più spesso di quanto Vega avrebbe gradito.

   Una volta al sicuro dentro la sua stanza, Alastor smise di essere la statua di sale che era stato fino a quel momento, e lo schiacciò contro il muro avvicinando pericolosamente il viso agli occhi senza pupille del principe, come se volesse estrarne la verità da dentro per conto suo.
   «Dimmi, Abeniantas, in tutto questo tempo ti ho mai dato prova di stupidità per sottovalutarmi così come stai facendo?»
Vega sentì le piccolissime orecchie ai lati della testa avvampare; era in terribile difficoltà.
La gola di colpo la ritrovò secca e arsa, dunque riuscì soltanto a fare di no con la testa, ma anche in quello era sicuramente risultato poco convincente.
   «E allora come mai ancora non so niente su quella creatura?»
Senza troppe cerimonie Alastor lo afferrò dal becco per farlo abbassare fino a fargli annusare l'odore del sangue infetto che il demone aveva ancora sugli artigli.
   Quell'odore lui lo conosceva benissimo, e non gli piaceva affatto, così come non gli piaceva quella vicinanza esagerata con le due cose che, al momento, gli sembravano più pericolose per lui: Alastor e il veleno di Vezirya.

   Non avrebbe voluto far saltare la copertura, ma cominciava a sentire dentro di sé ammontare la rabbia e l'orgoglio che appartenevano al Vassago che era stato anni prima, non al Vega che era adesso.
Quando ancora era quel Vassago, e chiunque osasse anche soltanto approfittare della sua natura mite e della sua immensa pazienza, finiva col vedersela con qualcosa di veramente difficile da domare.
Dentro di lui sentiva di essere ancora quel demone, ma fino a quel momento erano state veramente poche le occasioni che lo avevano portato sull'orlo di una crisi tale da costringerlo a contattare quella parte della sua personalità.

   Alastor era davvero su tutte le furie, però, e lo bombardava di domande e di insulti, facendo capire più che bene quanto i suoi sospetti su quella donna si fossero intensificati, ma Vega aveva smesso di sentirlo.
Con le piume del collo completamente arruffate si era liberato con uno scatto del collo dalla sua presa invadente e lo aveva aggirato.
Le mani poste davanti a sé mentre indietreggiava verso la finestra, i palmi rivolti verso il demone rosso come fosse stato un predatore feroce.
Ma quello non si perse d'animo, lo inseguì ringhiando e abbaiando con la bava alla bocca, spingendolo di nuovo all'angolo.
   «È chiaro che quella lì rappresenti un pericolo, dunque vorresti spiegarmi perché non stai intervenendo?»
   Bingo.
Con quella domanda fu come se Alastor avesse scoperchiato il vaso di Pandora.
Tirando in ballo la clausola del loro accordo che costringeva Vega a intervenire personalmente ogni qualvolta il demone rosso si fosse trovato realmente in pericolo, Alastor gli aveva fornito l'assist di cui il falco aveva bisogno per cavarsene fuori.

   Come disegnato da una fiamma ossidrica invisibile, sotto i piedi di Vega apparve un pentacolo a illuminare la stanza di un'accecante luce giallo acido.
Linee frastagliate che incidevano il pavimento completarono il disegno del suo sigillo, mentre il cono di luce si faceva sempre più abbagliante, celando il principe alla vista.
   Alastor si coprì gli occhi con un braccio, ma le sue orecchie ebbero un fremito quando, dall'interno del cerchio, si alzò una voce terribilmente profonda, un rimbombo che sembrava provenire dal ventre della terra: «Perché l'unico di cui dovresti avere paura sono io.».

   Intorno al corpo di Alastor si chiuse un gigantesco artiglio, e un attimo dopo il demone rosso si ritrovò fiondato fuori dalla finestra e in volo verso l'alto, trasportato da un'enorme uccello nero che sembrava molto più simile a un gigantesco drago.
Il demone fischiò e urlò potente finché non reputò di essere arrivato abbastanza in alto, quindi iniziò a planare più placido, portandosi l'artiglio che teneva ben stretto Alastor davanti al volto.
Il demone rosso non sembrava impressionato o spaventato, ma lo fissava inespressivo, come se, molto semplicemente, si fosse imposto di tollerare quella scenata.

   L'enorme viso di Vega era completamente coperto dalla sua corona, che prendeva la forma di un lucidissimo elmo di bronzo tutto irto di pericolosi spuntoni e borchie. Due enormi corna partivano in corrispondenza dei suoi occhi e puntavano minacciosamente davanti a sé, forse volendo sottolineare che, quando giungeva il momento di andare in guerra, a guidare Vassago fosse la rabbia cieca.
   Era pur sempre un demone della gerarchia di Satana.
   Quando Vega aprì il becco per parlare, infondo alla sua gola brillò furibondo il suo enorme terzo occhio, come fece anche qualche sera prima.
   «Io ho la tua stupida anima, umano!», tuonò senza muovere la bocca, le punte brillanti di quelle corna rivolte verso il viso del demone rosso come fossero prolungamenti delle sue pupille.
   Sentirgli dire quelle parole fu una stoccata imprevista per Alastor. Vega non era solito fare riferimento a quel ben poco trascurabile dettaglio, dunque lui non era abituato a sentirselo dire.
   «Fammi pure la guerra, Lovell. Da solo posso schiacciarne a decine di demoni come te.»
Con una virata totalmente inaspettata Vega si lanciò in picchiata di nuovo in direzione dell'hotel.
   Per la velocità che aveva assunto e la mole gigantesca, l'aria intorno a loro fischiò come si fosse trattato di un meteorite bollente.

   Quando riuscì ad aprire di nuovo gli occhi, Alastor sentì il pavimento sotto i propri piedi e fu soltanto per puro orgoglio che non si piegò di lato a vomitare.
Era di nuovo nella stanza di Vega, dietro di lui le tende ancora si scuotevano per l'enorme spostamento d'aria che dovevano aver provocato nel rientro.
   Davanti a lui, invece, Vega apriva la porta a Niffty con un sorriso, di nuovo nella sua forma più accettabile.
La piccola inserviente poggiò il vassoio con le tazze e la teiera sul tavolino di vetro al centro della stanza, dopodiché Vega la congedò gentilmente con una mano sul petto.
   Quando tornò a guardarlo, negli occhi di Alastor non si era spenta la collera, ma adesso quello sguardo aveva una luce diversa.
   «Da adesso mi porterai rispetto e smetterai di essere l'impiastro asfissiante che sei», gli disse calmo il principe, spostando la sedia per farlo sedere.
Quello si mosse senza battere ciglio, obbedendo più al galateo che a lui.
   «Sono costretto a difenderti perché hai firmato un contratto con me», quindi si mise a sedere anche lui, prodigandosi subito per servire il tè a entrambi, «non costringermi a ridarti l'anima soltanto per poter venire meno a quel voto e farti a pezzi definitivamente.»
   Quindi incrociò le mani sotto al mento puntando i gomiti sul tavolino in mezzo a loro, dichiarando concluso il monologo educativo che si era ritrovato a fargli.

   Vega non pensava minimamente una delle parole che aveva detto; non avrebbe torto un capello né ad Alastor né a nessuno degli altri disperati che gli avevano dato la loro anima.
Ma aveva davvero bisogno che Alastor la smettesse di fargli la guerra.
   Sentiva di volerlo, per una volta, dalla sua parte. Anche se alla fine quello lo avrebbe tradito e ucciso, non era importante. Aveva bisogno che in quel momento non rappresentasse un nemico da abbattere.

   Lo vide prendere con entrambe le mani la sua tazza e soffiare per raffreddare il liquido. Le palpebre quasi del tutto calate sugli occhi in un'espressione di pace che stonava alquanto con tutta quella situazione.
Vega sciolse le spalle e fece lo stesso, iniziando a sorseggiare dalla propria tazza.
   «Allora; siamo d'accordo?» azzardò a domandargli, ora la sua voce aveva riacquistato quell'inclinazione decisamente poco intimidatoria che aveva fin troppo spesso.
Persa l'allure da vero principe Goetia che aveva mantenuto fino a un attimo prima, sembrava un demone completamente diverso.
   Alastor alzò silenziosamente la testa dal proprio tè, il sorriso si allargò ancora di più sul suo viso serafico, malcelando le sue ostili intenzioni. Poi, a occhi chiusi e con uno scatto velocissimo della mano, gli gettò impietosamente tutto il liquido della sua tazzina sul viso.
   «Non concederò mai a qualcuno di minacciarmi senza fargliela pagare, Abeniantas
   Quindi sparì, liquefacendosi sotto i suoi occhi.

   Vega non disse niente, ovviamente, e semplicemente cercò di tagliare quel momento via dai suoi ricordi.
   Si rialzò in silenzio dirigendosi verso il bagno e trovando rifugio per la sua mente messa alla gogna lì, nello scrosciare dell'acqua calda mentre si riempiva la vasca.
   Si fermò a guardarsi nello specchio, come se il proprio riflesso gli nascondesse qualche soluzione che lui non avesse ancora consciamente vagliato. A fissarlo da oltre quella fredda superficie argentata c'era la scocca rinsecchita e sudicia di ciò che ricordava essere stato un tempo: risoluto, coraggioso e senza troppi pensieri per la testa, come un Goetia meritava di essere.
Aveva ancora il suo aspetto austero, certo, la sua stazza e i suoi muscoli, i suoi vestiti pomposi e i suoi anelli, ma era tutto una menzogna ormai.
Sotto quella maschera c'era soltanto un inetto che non riusciva più a risolvere i propri problemi, né a farsi rispettare.

   Quando si immerse nella vasca si lavò via dalle piume la sua vergogna, poi fece qualcosa che non faceva mai; tra le bolle di sapone rosa del suo bagnoschiuma ne sollevò una in particolare, tenendola sul palmo della mano imbellettata di anelli. In quella bolla di sapone riluceva di un'intensa luce scarlatta l'anima di Alastor.
   Ogni anima era diversa, così lo erano le bolle di sapone che le contenevano. Quella di Alastor era calda e fragile, attraversata da lampi elettrici verdi che la facevano vibrare lì sul suo palmo.
Non faceva mai in tempo a studiarla più attentamente, perché ogni volta che la fissava troppo a lungo, come se quella volesse fuggirgli, scoppiava.
   Pensò di distruggerla.
   Pensò di restituirgliela e lasciar cadere nel vuoto quella miseria a cui era costretto.
Ma alla fine, come per ogni cosa, non fece niente.
   La bolla scoppiò da sola dopo pochissimo tempo, tornando da qualche parte dentro di lui.

   Riaprì gli occhi dopo qualche momento di finto relax, e le sue orecchie si risintonizzarono con il qui e ora, rivelandogli che qualcuno era entrato nella sua stanza e lo stava raggiungendo.
Qualcuno con dei tacchi molto alti e molto rumorosi.
   Vezirya, al contrario dei vampiri, non aveva bisogno di essere invitata per entrare ovunque volesse.
   Sollevò la testa dal bordo fresco della vasca e la ritrovò proprio lì sull'uscio, a guardarlo dall'alto con una parvenza di sorpresa nello sguardo.
   «Ma guardati!» gli sorrise sorniona, mordendosi ora l'unghia del mignolo mentre quello sguardo sfacciato scorreva sulle parti esposte del suo corpo.
   «Dovresti scoprire molta più pelle, Veg. Non avevo idea nascondessi tutto questo sotto i vestiti.»
Di nuovo, senza aspettare un invito che palesemente non sarebbe arrivato, Vezirya ancheggiò fino a sistemarsi davanti allo specchio, qui lasciò cadere per terra il vestito che stava indossando come una seconda pelle. Si aggiustò i capelli, sotto lo sguardo pietrificato di Vega, e, sempre senza aspettare neanche un cenno di assenso, si infilò nella vasca con lui.
   Dal momento che entrambi avevano un'altezza ragguardevole, la succuba si ritrovò costretta a distendere le gambe poggiando i piedi sul petto dell'amico ancora ammutolito.

   «Stasera mi esibisco da Ozzie's e ho intenzione di invitare tutti quanti.»
Vega scivolò di molti centimetri giù nell'acqua, sospirando qualcosa di appena comprensibile, ma che Vezirya riuscì a tradurre con un "sei fuori di testa?"
Quindi riprese a parlare, ora legandosi i capelli sulla sommità della testa, ora insaponandosi le braccia.
   «Ho bisogno che per una volta non ci dividiamo, e ho bisogno che siano tutti insieme lì.»
Farle la guerra sarebbe stato inutile, così come cercare di capire cosa avesse in mente, dunque Vega si limitò ad alzare le spalle, mentre le massaggiava la pianta dei piedi.
   Stettero in silenzio per alcuni minuti e quando i loro sguardi si incontrarono oltre la nube di vapore emanata dall'acqua, non riuscirono a trattenersi dal ridere: era chiaro a entrambi che avessero pensato la stessa cosa, ovvero che il destino era stato beffardo, per non dire crudele, a non renderli attratti l'uno dell'altra.

   Quando erano insieme, nonostante i mille problemi, tutto sembrava facile e non esisteva vergogna o riserbo.
Erano pochi i momenti in cui riuscivano a stare in pace come adesso in quella vasca, ma quando capitava era inevitabile che lasciasse a entrambi quel sapore dolceamaro sulla lingua.
   «Dannazione, Vega» interruppe il silenzio lei, mettendosi comoda contro il bordo della vasca, «non troverò mai qualcuno come te.»
Vega le sorrise sinceramente; in quel momento in cui si sentiva un reietto, soltanto Vezirya avrebbe potuto risanarlo e farlo sentire apprezzato.
   «Giuro che se usciremo vivi da questo schifo, ti concederò un tentativo.»
Sapeva che non avrebbe tenuto fede a quel giuramento, e lo sapeva anche lei.
   «Qui comincia a puzzare di brodo di pollo», tagliò corto lei, glissandolo.
Cinque minuti dopo erano entrambi fuori dall'acqua, lei avvolta nell'accappatoio color crema dell'hotel, lui con un asciugamano legato in vita.

   Per rattoppare l'umore del principe, Vezirya lo invitò a bere qualcosa prima di iniziare a prepararsi per la serata. Vega non desistette, un drink non avrebbe potuto guastarlo più di quanto non si sentisse guastato.
Ma quando sbucarono fuori dalla porta della camera con quella mise, gli occhi dei presenti si puntarono su di loro.
   «Vedi Charlie?» Angel lanciò alla principessa un'occhiataccia di sfida, «Questo è il modo giusto di fare amicizia tra ospiti di un hotel.»
   Quantomeno adesso non avrebbero dovuto più nascondere la loro complicità, almeno per quello le cose sembravano volgere inaspettatamente a loro favore.
Quando raggiunsero il bar, Niffty si infilò tra le gambe di Vega, infervorata.
   «Uh! Tu sì che sei un ragazzone!», e prima che Vega potesse anche solo incrociare le gambe, quella era già scappata via ridendo tutta estasiata.
Angel, che stava seduto sul bancone, si sporse verso il principe facendo scivolare lo sguardo ad analizzare il suo corpo.
   «Effettivamente, dolcezza, ti copri decisamente troppo.»
Husker mollò la bottiglia di contreau che teneva in mano soltanto per spingere il ragno giù dal suo bancone, indispettito.
   «È un nobile, non una troietta come te!»

Nonostante l'atmosfera leggera di quel momento gli avesse effettivamente risollevato il morale, sentiva puntati addosso gli occhi inquisitori del demone della radio.
   Forse, in quella piccola testa rossa, poteva pensare che stesse effettivamente indagando sulla ragazza per lui, ma la realtà era che in quel momento di cosa si aspettasse da lui Alastor non gli interessava niente.

   Accettarono tutti di buon grado la proposta di prendersi la serata libera per l'evento di Vezirya, potevano permetterselo in quanto Vega e lei erano i soli ospiti dell'hotel a cui rendere conto.
Soltanto Lucifero e Morra rimasero all'hazbin e nessuno fece domande a riguardo, i motivi erano più che chiari a tutti.
   Mentre Vega era indaffarato ad aprire il varco che li avrebbe trasportati nel girone della lussuria, Angel non aveva smesso un secondo di raccontare come fosse quel posto di perdizione e divertimento assoluti.
Husker aveva provato a farlo stare zitto, chiaramente infastidito dalle testimonianze fin troppo particolareggiate di Angel su perizomi, begli imbusti e strap-on che aveva visto per le strade e nei locali.
   «Ehi, fica-di-legno, hai presente dove stiamo andando? Sei ancora in tempo per tirarti indietro se ti disturba tanto!» lo esortò Angel incrociando quante più braccia gli fosse possibile, per rimarcare il fastidio del continuo lagnarsi di Husk.
   «È pronto», Vega interruppe quel battibecco mostrando a tutti il portale che aveva aperto direttamente all'entrata dell'Ozzie's; uno alla volta saltarono dentro.
   Alastor titubò. Fissava dritto davanti a sé, proprio il centro di quel varco, ma non sembrava vederlo davvero.
Era come in difficoltà, preso forse da altri pensieri.
   In un altro momento Vega avrebbe provato a dirgli qualcosa, ma quella sera non aveva la benché minima voglia né di guardarlo né di avere a che fare con lui, dunque lo superò spostandolo di lato con una mano. Ma quando posò entrambi i piedi sul suolo di Asmodeus e si voltò per richiudergli il passaggio in faccia, il demone rosso stava già scavalcando il portale senza dire una parola.

   Nell'Ozzie's ogni cosa era come la ricordava, anche se illuminata da riflettori diversi; per lui non era certo la prima visita come per gli altri. Infatti lui e Angel, che conoscevano il posto, fungevano da aprifila mentre gli altri alle loro spalle si fermavano a esaminare ogni tipo di stranezza con tanti "aaah" e "oooh" meravigliati.
Vega parlò con il giovane receptionist impalato dietro la sua colonnina spiegandogli che sulla lista degli invitati di Vezirya avrebbe trovato i loro nomi.
Pregò che fosse così.
   E infatti il sorriso che il ragazzo gli porse di rimando gli confermò che almeno l'unica cosa che avrebbe dovuto fare, Vezirya l'aveva effettivamente fatta.
L'enorme tenda di velluto viola alle spalle della reception si aprì, vomitandoli tutti nell'immensa sala del locale.

   Sul palco si stava esibendo una giovane succuba con un vestito cangiante tanto aderente da mettere in mostra i suoi stessi organi. La ragazza scuoteva i fianchi cinti da sottili catene dorate piene di sonaglini mentre si passava sulle spalle e sul corpo un'enorme serpente bianco e giallo.
Un piccolo imp fece loro strada verso il tavolo che la cantante aveva riservato per loro; era proprio a pochi metri dal palco e offriva una visuale più che completa di tutto l'ambiente circostante.

Erano tutti su di giri, ma Vega continuava a grattarsi un punto ben specifico dietro il collo.
Conosceva quel prurito, era il modo che aveva adottato il suo occhio addormentato per avvisarlo che voleva rivelargli qualcosa di importante.
   Si era quasi convinto a non ignorarlo, quella volta, e già aveva chiuso le dita attorno al suo cristallo per privarsene, quando le luci si spensero.

"You singing love songs in my lustful longue?
Ozzie's ain't the place for sentimental sounds!
What'd you expect from a proprietor like us?
Your demon host, Asmodeus, the embodiment of lust!"

   La voce calda, potente, di Vezirya riempì il locale riportando l'attenzione sulla vera star di quella serata.
Ululati eccitati si alzarono dai tavoli dietro il loro incitando perché le luci si riaccendessero.
Furono tutti presto accontentati; ogni riflettore si puntò al centro del palco facendo brillare Vezirya nel suo abitino di lustrini argentati di una luce astrale.
Ora centinaia di fischi di approvazione riempirono il locale del più primitivo entusiasmo per l'uso sapiente che faceva Vezirya della flessibilità del suo corpo mentre ballava.

"Give me a thrust,
show me some lust.
From the groin to the bust
in desire we trust
in the house of Asmodeus!"

Una cameriera portò un enorme vassoio irto di calici riempiti di un liquido dorato, distraendo Vega dai suoi pensieri.
Non aveva smesso un secondo di domandarsi perché Vezirya li volesse tutti proprio lì, dal momento che era una mossa azzardata e pericolosa.
   L'arrivo dei drink gli permise di notare lo strano comportamento di Alastor: era rapito da qualcosa che evidentemente non riusciva a mettere a fuoco, qualcosa che doveva essere lontano da dove erano loro per il modo in cui allungava il collo da una parte all'altra.

"Little Imp, you came here to sing your serenade,
perform your feelings on a velvety stage.
Well, we got a saying that's popular in these parts,
only little bitches strum the strings of their hearts!"

Come voluto dal fato, la rotazione di una delle luci del palco illuminò esattamente il punto che Alastor non riusciva a mettere a fuoco.

   Neanche in cento vite Vega avrebbe potuto immaginare quello che successe subito dopo.
Adesso si spiegava il prurito dietro al collo.

Sebbene fosse coperto dal volume altissimo delle casse, lo stridio da animale ferito di Alastor lo fece comunque rabbrividire e attirò l'attenzione anche degli altri.
Vide il demone rosso provare ad alzarsi in piedi e vide le mani di Charlie e di Angel tentare di rimetterlo seduto.
Ma quello non li aveva degnati di uno sguardo.
Tra lui e Vega erano seduti tutti gli altri, dunque gli fu impossibile sentire cosa gli stessero dicendo. Ma qualsiasi cosa fosse, era stata sicuramente inutile.
Adesso Alastor si muoveva a passo marziale verso l'ala opposta del locale.
   Vega cercò una conferma nello sguardo di Vezirya, che doveva aver visto la scena, ma senza farsi notare quella ricambiò la sua sorpresa e alzò impercettibilmente le spalle scuotendo la testa.
Tutto quello che stava accadendo non era previsto. Non faceva parte del piano di Vezirya.

   Vega non ci pensò su neanche un secondo e si lanciò all'inseguimento del demone con una mano protesa davanti a sé per poterlo afferrare da una spalla, ma un attimo prima che lo avesse raggiunto lo sentì gridare soltanto una parola: «Tu!».
   Poi un'esplosione lo sbalzò all'indietro spedendolo a cadere di schiena sul tavolo imbandito di altri quattro demoni-coccodrillo, che adesso lo guardavano con il fuoco negli occhi per aver mandato in frantumi tutto il loro rinfresco.
Quando rialzò il collo, Vega vide Alastor diventare enorme, i tentacoli neri si allargavano dalla sua schiena come mossi da autocoscienza e puntavano tutti in una sola direzione.

Nonostante si sentisse già sfinito, il principe provò dentro la fibra di ogni muscolo quella scarica invincibile che provava ogni volta che era costretto a intervenire, e prima che se ne fosse accorto si era già trasformato.

   Sotto di lui tutti erano accorsi a dargli manforte, ma Alastor era una furia senza eguali e con quelle dimensioni era davvero difficile da tenere a bada.
Lo vide sollevare la testa con la bocca spalancata mentre i tentacoli stritolavano qualcuno accompagnandolo proprio tra quelle fauci.
Vittima del proprio incantesimo il corpo di Vega si lanciò su Alastor che prontamente lo azzannò al collo costringendolo a un urlo che fece interrompere il concerto di colpo.
Un rivolo di sangue angelico adesso macchiava il mento del demone rosso, mentre di nuovo Vega rovinava a terra.

   La folla cominciò ad accavallarsi verso l'uscita come una mandria di animali imbizzarriti, e mentre si copriva gli occhi con le braccia per ripararsi dalle sedie e i tavoli che Alastor stava mandando in frantumi e lanciando in aria alla strenua ricerca di quella vittima che, evidentemente, doveva essergli sfuggita, Vega fece in tempo a vedere con la coda dell'occhio un lampo arancione distendersi verso il demone rosso e colpirlo in testa con quanta più forza possibile. Era chiaramente un tentacolo di Vezirya, venuta in suo soccorso, entrambe le sue braccia, infatti, adesso erano tentacoli grandi e forti quanto quelli del suo antagonista.
   Una volta ripreso dal breve stordimento iniziale, Alastor caricò verso di lei urlando e stridendo su tutte le furie, prontamente Vezirya lo bloccò attorcigliando i propri tentacoli alle enormi corna di Alastor per tenerlo fermo e permettere a Vega di agire mentre quello sembrava distratto.
Puntò i piedi e caricò tutta la forza di cui era capace sulle spalle per poter contrastare la forza della sua spinta, ma Alastor sembrava mosso da una scarica che né lei né il principe possedevano, in più da un angolo del sipario dietro di lei, Vezirya vide spuntare il muso preoccupato di Fizzarolli che la guardava digrignando i denti; la distrazione di un secondo bastò per soccombere.
   Alastor si liberò con uno scatto della stretta della succuba e fece per sovrastarla, ma alle sue spalle si era già materializzato il portale che Vega nel frattempo aveva aperto per rispedirlo nell'hotel. Placcandolo dal fianco, infatti, Vega riuscì a spingere entrambi dentro il varco, richiudendolo subito dopo.

   Lui e Alastor ruzzolarono sul pavimento dello studio radio più volte, uno azzannando l'aria e l'altro cercando di schivare i colpi velocissimi di quelle fauci appuntite.
Poi, finalmente, Vega riuscì ad avere la meglio riprendendo il controllo sull'anima del demone.
Un'attimo dopo tra di loro apparve una catena gialla, un'estremità era tenuta saldamente in mano da Vega, l'altra chiudeva in un grosso collare il collo di Alastor, che cadde in ginocchio quando il principe lo strattonò con tutta la sua forza.
   «Torna in te, dannazione!» bestemmiò Vega a denti stretti, mentre le provava tutte per farsi obbedire.

   Fu un secondo.
Vorticando su se stesso Alastor tornò alla sua forma normale, toccandosi spasmodicamente quel collare a cui non era assolutamente abituato e che prontamente Vega fece sparire schioccando le dita.
   Così come era esploso, il pericolo sembrava rientrato.
Alastor si avviò al vetro della finestra con le mani dietro la schiena e il suo microfono stretto tra le dita.

Vega si prese un secondo per riprendere fiato, si tastò la ferita che l'altro gli aveva aperto sul collo, quindi si lanciò di nuovo al suo inseguimento.
   «Lo sai che non posso farti del male, perché questo?» c'era rabbia e c'era disperazione, nella voce strozzata del principe. Quando lo raggiunse gli schiaffò una mano sulla spalla e lo costrinse a voltarsi per affrontarlo una volta per tutte. La visione che gli si presentò davanti, tuttavia, era quanto di più lontano lui potesse aspettarsi.
Agli angoli esterni degli occhi di Alastor si stavano addensando delle lacrime.
Fece in tempo a vederle proprio per un istante, perché l'altro le ricacciò subito sfoderando l'espressione più minacciosa che riuscisse a modellare.

   Preso in contropiede Vega non seppe come reagire, neanche Alastor aveva effettivamente detto niente di concreto, ma quell'occhiataccia bruciante non poteva che tradursi con un forte e chiaro "sparisci".
Vega ripensò velocemente alla giornata appena passata, pensò ai giorni prima e a tutti i momenti che lo vedevano in pericolo o in situazioni più che spiacevoli: in tutte quelle occasioni c'era Alastor.
   Eliminarlo sarebbe potuta essere la chiave di volta che gli serviva per avere almeno un po' di pace.
Prima che potesse realizzarlo veramente, Vega stava indietreggiando.
   «Sono stato uno stupido a pensare che potessimo collaborare», ammise alzando le mani ai lati della testa, parlando forse più con se stesso che con il demone che ora lo guardava in cagnesco, con le orecchie abbassate.
   «Hai vinto tu, come sempre. Ti sei liberato di me.»
Con l'ennesimo veloce incantesimo, Vega aprì alle proprie spalle un nuovo portale attraverso il quale si poteva intravedere l'interno di un palazzo reale.
Vega gli rivolse uno sguardo di puro odio e indignazione, prima di voltarsi.
   «Non ne voglio più sapere niente di te.»
Quindi attraversò il portale.

   «Va tutto bene?» accompagnato dal rumore dei suoi scampanellii, Fizzarolli porse un bicchiere d'acqua a Vezirya, che se ne stava seduta su uno sgabello del suo camerino dietro le quinte, abbattuta e con lo sguardo perso.

Quando fu abbastanza vicino, la succuba allungò una mano per accarezzare teneramente il viso del piccolo imp, allargando un sorriso volto a tranquillizzarlo.
Fizzarolli si preoccupava sempre troppo, per lei.

  «Dov'è papà?» gli domandò lei.
   «Sarà qui tra poco», le rispose lui roco, guardandola compassionevole, come a volerla preparare per l'inevitabile ramanzina che le avrebbe fatto suo padre.

Qualcuno bussò leggero alla porta del camerino, Fizzarolli allungò il braccio robotico per aprirla senza spostarsi da dov'era, entrambi pensavano di sapere chi sarebbe entrato e non si premurarono nemmeno di dare un'occhiata.
   «Perdonatemi se sono riuscito ad arrivare soltanto adesso», disse Lucifero sistemandosi la tesa del cappello. Fizzarolli fece un passo indietro, pensò di togliersi il copricapo e inchinarsi, ma dal momento che Lucifero in quel momento non sembrava interessato a quel genere di formalità, ne approfittò ed evitò.
   Nonostante non si aspettasse il suo arrivo in quel camerino, Vezirya era preparata anche al suo intervento.
   Gli spiegò che aveva pensato di invitare tutti lì perché era sua intenzione pubblicizzare l'Hazbin Hotel anche negli altri gironi durante le sue tournée, ammise che non conosceva le ragioni del colpo di testa di Alastor e, per attirare l'attenzione del re dell'Inferno lì dove voleva che andasse, sottolineò che Vega era rimasto ferito.
Come aveva immaginato, Lucifero si era subito preoccupato di conoscere i dettagli di quello scontro con Alastor e aveva giurato che l'avrebbe fatta pagare al "maiale" quando sarebbero tornati a casa.
   Fizzarolli continuava a rimbalzare lo sguardo da lei a lui; aveva notato delle ingiustificate incongruenze nel rapporto che Vezirya stava riportando al re, ma non disse nulla, ovviamente. Non l'avrebbe mai tradita.

   «Sire, prima che lei se la prenda con Alastor, forse dovrebbe sapere che non ce l'aveva con noi», si decise a dire infine, poco prima che lui uscisse di nuovo dalla stanza.
Non lo aveva detto prima perché non sapendo cosa avesse scatenato quella reazione nel demone della radio, non sapeva nemmeno se si sarebbe rivelata un'informazione compromettente per lei, per Vega o per la loro missione.
Ma alla fine non ce l'aveva fatta; Alastor era pressoché innocente per quella faccenda. Aveva evidentemente visto qualcuno di molto particolare nel pubblico e quella reazione spropositata era sicuramente pilotata dal veleno nel suo sangue. Non avrebbe lasciato che pagasse le conseguenze di qualcosa di cui non era colpevole.
   «Che vuoi dire?», ora Lucifero sembrava particolarmente incuriosito.
   «Si è scagliato contro di noi soltanto perché gli abbiamo impedito di raggiungere qualcuno.»
Lucifero la guardò con un sopracciglio alzato, poi guardò il piccolo imp ancora in piedi accanto a lei. Fizzarolli di riflesso fece sì con la testa, dando ragione a lei, anche se effettivamente non era sicuro stesse dicendo la verità.

   Dieci minuti dopo tutti e tre erano usciti dal camerino, Lucifero era andato a recuperare la figlia e la sua cricca per tornare in hotel, lei invece era uscita sul retro del locale a fumare e a ragionare.
   «Fizz, mi serve il registro dei tavoli di stasera», disse lei poggiando la testa contro il muro sudicio e aspirando una lunga boccata di fumo dalla sigaretta scroccata.
   «Non serve, ho visto con chi se l'è presa», Fizzarolli sorrise sornione a occhi chiusi, gingillando i sonagli del suo copricapo tutto soddisfatto di esserle utile.
   «Si chiama Enzo, non viene mai da solo», gingillò ancora, poi si corresse, «non intendo dire che viene in compagnia, intendo dire che ha la scorta.»
   Prima ancora che potesse reagire a quelle informazioni, Asmodeus apparve in tutta la sua maestosità dalla porta sul retro del locale.
Mentre Fizzarolli si arrampicava sulle sue spalle, quello guardò Vezirya con gli occhi sgranati e l'aria sconcertata di chi non ci aveva creduto fino all'ultimo che l'avrebbe davvero trovata lì.
L'imp gli sussurrò qualcosa all'orecchio, e il muso del re venne attraversato da quel tenerissimo sorriso che aveva lui, gli occhi luminosi inclinati ai lati del viso.
   Vezirya si sentì rincuorata, e spense la sigaretta per andargli incontro.
   «Ciao, papà

   Il palazzo dove Vega entrò con fare circospetto da ladro non era il suo, ma lo conosceva comunque a memoria.
   Sapeva quali gradini e quali mattonelle instabili evitare per non far svegliare Stella, sapeva quali svolte prendere anche al buio per raggiungere la camera di Stolas. Ma quando fu fuori dalla porta, il coraggio gli si sciolse nelle vene: cosa gli avrebbe detto? E perché aveva sentito il bisogno di andare lì dopo tanto tempo?
Poi qualcosa lo distrasse improvvisamente, un suono sommesso simile a un ululato.

   Entrò senza farsi domande; poteva riconoscere il pianto di Stolas da chilometri.

Il gufo balzò nel letto andando subito a coprirsi i lembi di pelle troppo scoperti con la vestaglia. Rimase a fissarlo per un po' lì, mentre l'altro stava fermo sull'uscio nel buio della sua camera da letto, poi lo riconobbe.
   Era diverso.
Stolas non fece in tempo ad allargare le braccia che Vega si era già fiondato contro il suo petto e lo stringeva a sé.
   Non sentiva il suo odore da così tanti anni che gli permise di passare in sordina la terribile giornata appena avuta.
   «Sei ferito?» constatò Stolas tastandosi tra le dita il liquido viscoso che ancora fuoriusciva dal suo collo.
   Cinque minuti dopo era seduto sul letto di Stolas senza camicia, mentre il fratellastro gli fasciava la ferita con bende e garze.

   Da quando era arrivato si erano scambiati pochissime parole, come se dopo tanti anni non sapessero come riaprire un discorso o da dove ripartire.
   Aveva desiderato che con lui potesse essere facile come lo era con Vezirya, ma non era così.
   La tensione era palpabile. Le dita che Stolas muoveva sul suo collo erano lente e incerte come quelle di qualcuno che stesse imparando a suonare uno strumento a corde proprio in quel momento.
In un moto che non sapeva riconoscere se servisse più a lui o a Stolas, Vega alzò la mano e fermò quella del fratellastro, prendendola poi delicatamente per portarsela sul viso.
   «Mi dispiace.»
   Gli dispiaceva di essere sparito per otto anni, di averlo lasciato solo, anche se solo non era, e, anche se ancora Stolas non lo sapeva, gli dispiaceva di avergli mentito.
   Gli occhi del gufo si strizzarono e si riempirono di lacrime, e a Vega quelle lacrime sembravano così incredibilmente diverse da quelle di Alastor che quasi gli faceva rabbia il pensiero di aver provato, anche se per un attimo, un moto di tenerezza per il demone rosso.
   Ma ora basta. Lì, nel palazzo dei Goetia, in camera di Stolas, il resto dell'inferno poteva anche esplodere.

   «Perché piangevi?» gli domandò Vega facendogli capire di averlo sentito, oltre la porta.
Stolas recuperò le garze rimaste e le posò sul primo comodino a tiro prima di abbandonarsi a sedere accanto a lui sul letto.
Sospirò, temporeggiò, poi finalmente vuotò il sacco.
   «Perché c'è stata la luna piena, Vegy

Amori miei, fino ad adesso non avevo mai scritto un capitolo così lungo! Per questo mi riservo la libertà di modificarlo, magari fra qualche giorno, perché ho paura di aver tralasciato dettagli importanti.

COMUNQUE, con questo capitolo esce fuori praticamente quasi tutta la lore sui due OC di questa storia, spero vivamente che possano piacervi, e vi possiate affezionare sempre di più, soprattutto perché da qui la tragedia è dietro l'angolo e il piantino minaccia sempre di venire a trovarvi!

✨Vi ricordo che per spoiler, curiosità, aesthetic e tanto altro, potete seguirmi su IG: xophe_library✨

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