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Cap.1; Ode Al Riserbo

  "Dobbiamo essere discreti", Vega si ripeteva a tamburo nella mente le direttive che gli aveva dato Vezirya.
   Lei sembrava avere un piano molto solido da seguire, e sicuramente non aveva nella testa la confusione terrorizzante che lui aveva nella sua.
"Non farti prendere dai tuoi attacchi di panico e vedrai che andrà tutto liscio."
Non farti prendere dai tuoi attacchi di panico.
   Non farti prendere...
Aveva cominciato ad aspirare la nicotina dalla sigaretta con un'urgenza che tradiva il suo stato d'animo alterato.

   Davanti a loro si stagliava la struttura inquietante e distorta dell'Hazbin Hotel, con il suo enorme, luminoso, occhio alato nell'insegna, che gli ricordava di poter essere sempre osservati.
Quella possibilità, tuttavia, non li spaventava affatto: Vega era il demone della verità, oltre che dell'etere, e queste due cose insieme gli consentivano di chiudere entrambi in una bolla di disturbatori di frequenze che avrebbero impedito a qualsiasi occhio di intercettarli.
   Qualsiasi occhio.

  «Avanti, Vega, ti chiedo soltanto di dare una sbirciatina...»
Fino a quel punto Vez non aveva smesso un momento di provare a convincerlo a tornare in pieno possesso dei suoi poteri: era un lavoro complicato e pericoloso quello che avrebbero svolto, e avere una garanzia le sarebbe davvero stato utile.
   «Non sai cosa significa per me usare il mio occhio», tagliò corto lui.

   In un attimo la diga dietro il quale aveva accumulato tutti i liquami della sua mente instancabile, sembrò creparsi.
   Un terribile peso sul petto minacciò di farlo esplodere, e dovette dare le spalle alla succuba per nascondere la sua espressione terrorizzata.
Presero a scorrergli sotto le palpebre chiuse alcuni dei momenti più salienti della sua lunghissima esistenza.
Momenti impietosi, amari, che infestavano la sua anima da sempre.
   Tutte le volte che non si era potuto affezionare a qualcuno, perché il suo occhio gli aveva mostrato gli esiti di tutto.
   Tutte le occasioni che aveva lasciato correre, perché il suo occhio gli aveva rivelato tutte le conseguenze delle sue azioni, non solo per lui, ma per tutti.
   Tutte le notti che era rimasto pietrificato sotto le coperte, da bambino, perché la predizione del destino di tutte quelle anime all'inferno era qualcosa di troppo spaventoso, troppo triste, per un pulcino tanto piccolo.

   Poi, lentamente, aveva lasciato entrare Stolas nella sua miseria.
Le sue mani lo avevano accarezzato, i suoi sguardi lo avevano compianto, e le sue parole lo avevano convinto ad abbassare la guardia.
   Anche se Blitzø c'era già, anche se Blitzø ci sarebbe sempre stato e Stolas avrebbe sempre scelto lui, si era crogiolato nell'illusione che, forse, il futuro si potesse cambiare, che non fosse scolpito nella pietra.
E lui ci avrebbe sbattuto la testa volentieri su quella pietra, purché fosse per immaginarsi accanto a Stolas.

   E la sbatté, perché il destino lo portò proprio dove sarebbe dovuto essere.
Stolas lo aveva portato a Lovell.
Lovell.
   Quello che, in una visione durata il tempo di una stretta di mano, aveva previsto lo avrebbe ucciso.

Per questo si era chiuso in casa e aveva smesso di utilizzare quel potere.

E adesso Vezirya lo avrebbe portato proprio a lui.
   Il destino si era insinuato strisciando anche sotto la porta del demone profeta e lo stava trascinando a sé per ingoiarlo nella sua entropia.
Non poteva scappare in nessun modo, ormai lo aveva capito.
   Ma aveva paura.

Dall'altra parte, Vezirya non poteva capirlo.
Sapeva soltanto che per otto anni il suo migliore amico era sparito, e per orgoglio non aveva voluto fare nulla per cambiare le cose.
   Ma ci aveva sofferto, e il dolore si era presto trasformato in rabbia.
   E adesso alzava gli occhi al cielo e sbuffava, vedendolo in crisi d'ansia, ma in realtà soffriva per lui e per quel senso di inutilità che sentiva nel non sapere come aiutarlo.
Così, semplicemente, lo lasciò solo e si avviò verso il famigerato hotel, sperando che non l'avrebbe abbandonata di nuovo.

   «Questo io non l'ho detto!» gridò Angel, adirato.
   «Oh sì che l'hai detto!» lo rimbeccò Vaggie puntandogli un dito dritto nel petto.
Charlie non riusciva proprio a inserirsi nel loro battibecco per metterlo a tacere e se ne stava ferma in piedi sorridendo mesta e masticando qualche incomprensibile parola.
   «Cazzo, non ne posso più di sentirli. Ormai sarà una mezz'ora buona che vanno avanti così.» Husker si spalmò una mano sulla faccia afflosciandosi sfinito sul suo bancone.
   Niffty però non lo ascoltava, seduta su uno degli sgabelli del bar era tutta presa a cercare di mantenerlo in equilibrio facendolo stare su una gamba sola.
Tutto sotto lo sguardo vigile di Alastor, ovviamente, che se ne stava immobile in un angolo come una statua tassidermica, sorridendo torvo.
   «Oh, io avrei modo di farli stare zitti», disse soltanto, lasciando la libertà all'immaginazione di Husk, che percependo il sinistro avvertimento del demone rosso sbatté il pugno sul bancone, gridando ai due litiganti di smetterla.

Un "umpf" scocciato uscì dalle labbra di Angel, prima che incrociasse le braccia.
   «Sto zitto soltanto perché qualcosa dentro di me mi spinge a obbedire, se Huskuccio mi da un ordine in quel modo», e scacciò con una mano il volto di Vaggie da davanti al suo come si fosse trattato di una mosca fastidiosa. Quindi ancheggiò verso il bar, prese Niffty dalla collottola per tirarla giù dalla sua giostra e si sedette proprio davanti a Husker.

   Correndo come un insetto sull'acqua, la piccola domestica si avvicinò alla finestra dell'ingresso saltellando più in alto che poteva per poter guardare fuori: «Clienti! Clienti!».

Un lieve brusio si alzò fra tutti, mentre si avvicinavano alla porta per poter verificare con i loro occhi. O almeno ci provarono, dal momento che una manciata di secondi dopo la porta esplose improvvisamente, riempiendo l'intero ambiente di fumo colorato e luci stroboscopiche.

   Uno stuolo di piccoli imp in giacca, cravatta e occhiali da sole si fece largo nell'ingresso trasportando casse e riflettori che riempirono l'hotel di musica a tutto volume e fasci di luce.
   Sulla parete bianca e densa dei fumogeni, un'ombra femminile si sbatteva da una parte all'altra con un microfono in mano, cantando e ballando come soltanto nel girone di Asmodeus si sapeva ballare.

   Questa era più o meno la visione di "discrezione" di Vezirya, che tagliò il fumo davanti a lei con una piroetta come fosse stato burro.
   I capelli legati sulla sommità della testa, un paio di occhiali e, come sempre, davvero poco tessuto sulla pelle squamosa.
I fianchi seguivano con movimenti morbidi gli accenti della base, i metri di gambe la facevano fluttuare sinuosa davanti agli occhi ancora frastornati di tutti e la voce le scivolava sulla lingua con la tecnica collaudata della cantante professionista che era diventata in quegli anni.

   Attirato dal trambusto, il re dell'inferno fece la sua comparsa dalla cima delle scale, gli occhi sgranati di chi ormai sapeva di potersi immaginare la qualunque in quel posto.
La musica però ormai aveva trascinato tutti: Angel ci aveva messo forse venti secondi prima di piazzarsi sotto cassa, Charlie, euforica, aveva trascinato Vaggie in un charleston improvvisato e Niffty gridava e correva come uno scarafaggio impazzito.

   Mentre stava per scendere il primo scalino, un fascio di luce dei riflettori accecò Lucifero, che ruzzolò giù dalla rampa, trasformandosi in un animale diverso a ogni rimbalzo.
Arrivato a terra si sbrigò a tirarsi su, recuperando di corsa il cappello e spolverandolo con la manica.
   Dal suo angolo, il demone rosso lo fissava con il suo imperscrutabile ghigno, e quasi leggendo nella mente del serafino, decise di precederlo incamminandosi a lunghe falcate verso l'ospite.
   Con il suo imperturbabile aplomb porse la mano a Vezirya, invitandola in un ballo che lei accettò e che lui prontamente guidò, tra piroette, prese e casquè degne degli anni ruggenti ormai andati.
   Finirono l'ultimo otto in perfetto sincro con la musica e insieme al clangore degli applausi di tutti gli astanti.

   «Per tutti i diavoli, è stata indubbiamente una delle cose più fighe che siano successe nelle ultime settimane!» Charlotte non riusciva a nascondere la sua euforia.
Ancora battendo le mani, il re dell'Inferno riuscì finalmente a farsi avanti sottraendo la mano di Vezirya da quella di Alastor per poter ostentare un teatrale baciamano, allontanandola dal demone.
   «A cosa dobbiamo la visita di una succuba in quest'hotel, mademoiselle
Vez si dovette sforzare per non storpiare il proprio viso con un'espressione di disgusto, e con una calma che non le era mai appartenuta rispose gentilmente, facendo sventolare le ciglia voluminose: «Vostra Malignità, pensavo di poter alloggiare nel vostro delizioso hotel durante la mia tournée. Sempre se non rischio di rubare la stanza a qualche altro nuovo ospite...».
   «Ma figuriamoci! In questi giorni l'affluenza è un po' calata», intervenne Charlie con un gridolino che tradì la sua menzogna, «dunque abbiamo ancora molte stanze libere!»

   Niffty aveva già iniziato a pulire tutto appena lo stuolo di piccoli imp si era ritirato così come era comparso, e gli altri si davano una mano l'un l'altro a rimettere in assetto la sala.
Dunque il demone rosso ne approfittò per invitare Vezirya ad accomodarsi al bar e prendere qualcosa da bere.
   «Husk, il nostro concierge, sarà ben felice di prepararle un old fashioned come si deve.»
Anche Lucifero aveva deciso di unirsi a loro, benché Alastor non ne sembrasse particolarmente entusiasta, e in quel momento era tutto impegnato a cercare di saltare sullo sgabello senza rischiare di ruzzolare giù.
   «Nel frattempo, mi potrebbe ragguagliare sul perché mi sembra di non averla mai vista, signorina...?» riprese il demone.
   «Vezirya, e beh, la fama non è tutto, signor...?»
   «Alastor», si rimpettì vanaglorioso il demone, lisciandosi con un dito il papillon perfetto.
   «Mi sembra di aver già sentito questo nome, signor Alastor, eppure non riesco a ricordare dove», Vezirya rimase qualche istante in silenzio, fingendo di pensarci su, «è per caso uno spogliarellista?»

   Il suono statico, gracchiante del suo microfono rivelò quanto potesse essere rimasto ferito nell'orgoglio da quell'inaspettata domanda.
   «No. Direi proprio di no», disse soltanto, con le orecchie basse e gli occhi chiusi.
Dietro di lui Husk e Lucifero stavano disperatamente provando a trattenere le risate, fallendo miseramente.
Alastor, tuttavia, non sembrava curarsene; era concentrato su un pensiero che ronzava nella sua testa da quando quella ragazza aveva fatto irruzione; com'era possibile che non l'avesse mai vista?

   E proprio quando la sua ombra inquietante sembrava essere arrivata alla conclusione prima di lui, allungandosi minacciosa alle sue spalle per sussurrargli all'orecchio la soluzione, un fulmine colpì un punto indefinito a pochi passi da loro, lasciando soltanto un buco frastagliato e fumante nel pavimento al centro della sala.
La povera Niffty si era abbassata il fazzoletto da davanti alla bocca per imprecare spazientita, ma un tuono incredibilmente vicino la interruppe.

   Sul soffitto dell'ingresso si condensò un cumulo grigio di nuvoloni boriosi, e una terribile, profondissima risata riecheggiò in tutti gli ambienti della struttura.
Sulla superficie impalpabile delle nuvole si proiettarono innumerevoli ombre grottesche, alcune sembravano ridere a crepapelle, altre invece gridavano disperatamente. Poi, tre enormi occhi rossi si aprirono al centro del temporale, e una voce tanto profonda da essere a malapena comprensibile attaccò a parlare:
   «Io sono l'occhio che scorge le colpe e i segreti.
   Il principe della verità che infrange tutti i divini divieti.
   Gli scheletri negli armadi alla luce riporto.
   Sacre confessioni e oracoli sono il mio cadeau,
   io sono te, sono me, sono sempre stato e sempre sarò.».

   Mentre l'eco di una cacofonica risata si dissipava tra le pareti e il temporale veniva risucchiato vorticosamente fuori dal buco della serratura della porta principale, Vezirya alzò gli occhi al cielo sospirando annoiata e succhiando rumorosamente il suo cocktail.

Charlie e la sua cricca corsero ad aprire la porta pieni di aspettative, ma dietro di questa non c'era nessuno.

   «Aspettiamo qualcuno di importante?»
Qualcun'altro se ne stava elegantemente seduto sul divano in mezzo alla stanza, e teneva alto davanti alla faccia il giornale di quella mattina.
   Vega, dopo aver ripiegato per bene il notiziario, si tirò su in tutta la sua stazza, e abbassandosi il cappello sul petto si inchinò.
   «Il mio nome è Vega Abeniantas Stamjra Santacruz Anibal Goetia, terzo principe della Goetia, V.A.S.S.A.G.O per gli stupidi, Vega per gli amici. Il piacere è vostro.»
Angel stava tenendo il conto delle lettere elencate sulle dita, guardando in alto come se solo lui potesse vedere dei calcoli invisibili, «la "O" per cosa starebbe?», gli chiese con un sopracciglio alzato.
Mentre lucidava la visiera laccata del cappello sulla manica della giacca, Vega alzò lo sguardo fiammeggiante sul peccatore che gli aveva rivolto la parola: «Soltanto un trucchetto che mi assicura l'impossibilità di essere esorcizzato, ma questo è un segreto», quindi gli fece l'occhiolino posandosi l'indice davanti al becco.

   Lucifero, che a malapena arrivava alla vita stretta di Vega, si fece spazio sgomitando tra gli altri per accorrere ad abbracciarlo.
   «Vega! Sono eoni che non ci vediamo, ragazzo mio, fammi vedere come sei cresciuto!»
Le sopracciglia di Vega si alzarono per riflesso incondizionato, come se il fatto che fosse quasi tre volte l'altezza del re non fosse abbastanza come dimostrazione di essere cresciuto, ma poi scuotendo la testa con un sorriso si piegò in avanti quasi fino a toccare terra con il petto.
   «Eccolo qui il mio ragazzo! E questi muscoloni? Tutto merito degli insegnamenti del vecchio Paimon, non è vero?»
   «Sire, è un piacere anche per me rivedervi dopo tanto tempo.»
Lucifero, in preda al sentimentalismo, gli strizzò le guance specchiandosi nei suoi enormi, limpidi occhi privi di pupille, finché Charlie non lo andò a recuperare ridacchiando imbarazzata.

   Dal becco di Vega fuggì un cinguettio di sorpresa quando scorse, in piedi nel suo angolo e immobile, il demone rosso.
   Come un passerotto zompettò emozionato verso di lui, afferrando e scuotendo con eccessivo vigore la sua mano: «Tu devi essere quel cazzo di demone della radio! Ascoltavo il tuo adorabile podcast, al tempo, e non è affatto un piacere conoscerti.».
   Alastor strappò via la mano dalla presa del principe e se la pulì senza creanza sul bavero della giacca.
   «Gradirei che ci dessimo del "lei"» disse soltanto, faticando a mantenere la sua stoica compostezza.
Il principe, di tutta risposta, sorrise stranamente compiaciuto, ma subito venne di nuovo trascinato via da Lucifero che senza sforzo lo piazzò sullo sgabello accanto a Vezirya e cominciò a bombardarlo di domande: come sta tuo padre? A casa tutto bene? Cosa dicono le tue previsioni?

   «Ah! Se sei qui per rimanere per un po', sarò davvero felice di farti da patrigno!», dichiarò il re per concludere.
   «Sarebbe un piacere troppo grande, Sire», gli rispose Vega, accentuando in modo particolare quel "troppo".
   «Per te sarò soltanto Lucy oppure papi, chiaro? Domani daremo una bella festa di benvenuto per voi due», il serafino si piazzò tra i due nuovi arrivati, che anche da seduti torreggiavano su di lui, e batté loro le mani sulle gambe con fare rassicurante, quasi paterno.

   Senza dare nell'occhio Vega e Vezirya si scambiarono uno sguardo d'intesa; ormai erano dentro.

   «Ma sì, un piccolo party non ha mai ucciso nessuno», sentenziò Vez buttando giù ciò che rimaneva nel suo bicchiere.

Potevano uscirne soltanto in due modi da quell'incarico: morti o vittoriosi.
   E Vega per se stesso la risposta la conosceva già.

Eccoci qui! Finalmente la storia è decollata, da adesso non si torna più indietro!
Mi scuso per la lunghezza del capitolo, ma essendo l'entrata dei due personaggi non potevo assolutamente dividerlo, da qui in poi andrò più snella.
Fatemi sapere cosa ne pensate!

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