Capitolo 25
Kenjirou aveva già sperimentato la morte, in un certo senso. Era morto quando si era trasformato in un umano, o almeno ci era andato molto vicino. Aveva rischiato di annegare, conosceva bene la sensazione della privazione del respiro e di certo non era entusiasta di provare di nuovo l'asfissia.
Non amava il fuoco. Odiava il caldo e il secco, quindi quando le fiamme divamparono sul percorso della palla di cannone lui pensò solo ad allontanarsi e non a scappare sul ponte. Osservò i lembi di fuoco bruciare sempre più vicini e si rannicchiò nell'angolino, stringendo le palpebre. Avrebbe dovuto saperlo che parlare troppo presto avrebbe portato solo sventure e ora ne stava pagando le conseguenze – non che credesse veramente nel karma o in altre idee simili, semplicemente sapeva, e questo avrebbero dovuto metterlo sottoforma di legge, che se un qualcosa di sfortunato può accadere, allora accadrà.
Non si aspettava che qualcuno arrivasse in suo soccorso e improvvisamente si sentì nuovamente solo, confinato nella vasca e senza via di fuga. Stava per morire ed era tutta colpa sua. Il deja-vù della sensazione d'impotenza lo colpì con così tanta forza da fargli tremare l'intero corpo.
Non voleva morire e lo sapeva bene, ma questa volta non voleva morire perché voleva visitare dei posti o fare qualcosa. Non voleva morire perché aveva trovato un motivo, un vero motivo, in carne ed ossa e dolce stupidità, per cui vivere, e si sentiva male al solo pensiero di lasciar le cose tanto in sospeso con Eita. Gli aveva detto che lo stava lasciando, che era finita. Gli aveva urlato contro quando in realtà Semi voleva solo evitare che morissero.
Si tastò la fronte e non si sorprese nel sentirsi bollire interiormente. Semi lo aveva avvertito: l'Anomalia fa impazzire le persone. Si rannicchiò su se stesso e strinse le palpebre per evitare alle lacrime di rigargli le guance. Non avrebbe pianto, non aveva senso, non in questa situazione. Stava per morire e si sarebbe lasciato dietro troppi rimpianti per essere contati.
La mano che si appoggiava sulla sua spalla lo fece sobbalzare e quando alzò la testa e incrociò un paio di occhi color cioccolato pensò di esser morto e di aver di fronte un angelo che lo portava in paradiso – doveva aver trascorso troppo tempo con gli umani, si rese tristemente conto, se anche lui iniziava a pensare che dopo la morte ci fosse un paradiso.
Poi Eita gli tirò uno schiaffo e il dolore lo risvegliò. «Che cazzo fai?!»
«Che cazzo fai tu! Vuoi per caso morire?!» gridò il biondo, facendo un passo indietro. Kenjirou sbatté più volte le palpebre e sgranò gli occhi, rendendosi finalmente conto di chi aveva davanti.
«Come hai fatto ad arrivare fino a qui?» gridò, scattando in piedi. Il biondo gli rivolse un sorriso furbo e picchiettò un pugno sui due coperchi di metallo che si era affisso al petto, anneriti in alcuni punti. I capelli fumavano e alcune ciocche erano bruciate, e la pelle era rossa in alcune zone. Anche i vestiti erano fumanti e un po' bruciacchiati. «Tu sei...»
«Sono qui per te.» Eita gli prese il viso tra le mani e gli sorrise dolcemente. «Non volevo dire quello che ho detto prima, l'Anomalia ha parlato per me e mi dispiace. Non potevo lasciarti morire da solo.»
Shirabu sentì le lacrime pizzicargli gli occhi e si affrettò a sbattere le palpebre per scacciarle. «Mi... Mi dispiace. Non... Non ti stavo veramente lasciando. I-io...»
Non concluse la frase. Semi si allungò verso di lui alzando le loro mascherine di stoffa e catturò le sue labbra in un dolce bacio. Il castano sorrise e prese il suo viso con le mani a coppa, lasciando che i polpastrelli gli accarezzassero le guancie leggermente ruvide per i primi accenni di barba. Semi, Kenjirou constatò, non sapeva più di segreti e parole non dette. Lo tirò a sé e avvolse le braccia attorno al suo collo come se questo potesse farli fondere insieme e non allontanarli più, perché se fosse successo Shirabu ne sarebbe stato ben lieto, perché ora che era con Eita andava bene. Anche se stavano per morire andava bene. Anche se erano lontani miglia e miglia dalla terraferma e dai fondali marini dove si erano incontrati la prima volta andava bene, perché ora erano insieme ed Eita sapeva di casa.
Il biondo si allontanò per riprendere fiato e appoggiò la fronte contro quella del castano. Gli sorrise e gli accarezzò una guancia con dolcezza. Shirabu tirò su con il naso. «Sei venuto a morire con me, non è vero?»
Semi gli sorrise con aria triste e non rispose, quindi Kenjirou si prese la libertà di spingerlo un po' lontano e di tirargli un pugno al petto – contro il metallo, in realtà –, lasciando che le lacrime gli rigassero le guance. «Perché?! Idiota! Sei un idiota!»
«Sono il tuo idiota.» Eita gli tirò una schicchera e infilò una mano in tasca, muovendosi agitato sul posto. «Senti... Non ne abbiamo mai parlato prima d'ora e parlarne adesso è molto ironico, ma...»
Kenjirou si appoggiò alla parete e si asciugò le lacrime, guardandolo. Uno scossone gli fece quasi perdere l'equilibrio ma lo ignorò. Fuori poteva sentire ancora le palle di cannone che sparavano e sapeva che una parte era diretta alla Nave ancora del tutto non affondata e qualcun'altra era diretta a loro.
«Non ti conosco da molto.» Eita fece un passo avanti con decisione. «E non ho idea di quali siano le tradizioni delle sirene, ma conosco quelle umane. Non ne usciremo mai vivi e questa cosa non potrebbe mai venir mai ufficializzata da qualche religioso o quale re, solamente da Wakatoshi, ma non mi interessa, perché per me varrebbe ugualmente tanto.»
Il castano lo osservò confuso mentre tirava fuori qualcosa dalla tasca, ma rimase in silenzio in attesa che Eita si spiegasse. Non conosceva le tradizioni umane e non sapeva cosa stesse facendo, ma era tanto intelligente da capire che era una cosa importante e un momento serio – e a quanto pareva sdolcinato. «Non so come ti senti tu, ma so che ti amo e che quando siamo stati lontani è stato il momento peggiore della mia vita, perciò...»
Eita s'inginocchiò davanti a Shirabu e mostrò lui un anello darato. «Kenjirou Shirabu, vuoi sposarmi?»
E oh, Kenjirou si sarebbe sciolto senza l'aiuto delle fiamme in quel momento. Eita sapeva che il castano avrebbe potuto reagire in troppi modi per essere contati – "cosa significa sposare?", "pensi davvero che m'interessi un matrimonio?", "stiamo per morire, a cosa serve chiedermelo?" – ma dal sorriso che si andò ad aprire sul suo viso quando crollò in ginocchio davanti a lui capì che non avrebbe potuto reagire meglio.
Kenjirou si coprì la bocca con le mani ed era sicuro che avrebbe pianto se il calore del fuoco sempre più vicino non gli avesse asciugato le lacrime direttamente dagli occhi. Prese delicatamente le mani di Eita tra le sue e gli sorrise dolcemente – non pensava di poter far espressioni del genere e se ne sorprese.
«Eita, io...» si morse un labbro e il suo sorriso si allargò. «Sì. Sì, lo voglio.»
Semi gli avvolse la vita con le braccia e lo sollevò di scatto, facendolo roteare con un sorriso e una risata di sollievo per l'ansia provata. Si fermò dopo due giri e lo baciò a stampo due volte, prima di lasciarlo andare nuovamente a terra. Gli prese delicatamente una mano tra le sue e infilò nell'indice l'anello.
Kenjirou lo guardò incuriosito. Era abbastanza spesso e sembrava molto vecchio. «Quando l'hai preso?»
«È un'eredità di famiglia.» rispose il biondo. «I padri lo passano ai figli da secoli nella mia famiglia.»
Il castano si coprì la bocca con la mano libera per evitare che nell'aria risuonasse un singhiozzo. «Stiamo per rompere una tradizione secolare.»
«L'abbiamo già rotta.» Eita gli prese nuovamente il viso tra le mani e lo baciò di nuovo. Proprio in quel momento una palla di cannone proveniente dalla Karasuno colpì la sottocoperta e lo scaraventò in mare.
Kenjirou non sentì immediatamente l'impatto con l'acqua. Quello che più lo colpì fu la mancanza d'aria. Annaspò e si mosse verso l'alto, riemergendo in mezzo alle onde di un giallo fosforescente intenso. Si guardò intorno alla ricerca di Eita e strinse i denti per il dolore della pelle a contatto con quella sostanza strana.
«E...» tossì. «Eita! EITA!»
Non ci fu risposta, se non il rombo di palle di cannone che ancora volavano in cielo. La Nave stava affondando, così come la Shiratorizawa. Eita non si vedeva da nessuna parte, quindi Kenjirou si rituffò in mare.
Il sale gli bruciava gli occhi e la visibilità era scarsa a causa dell'acqua inquinata, ma nonostante ciò Shirabu nuotò verso il fondo del mare e si guardò disperatamente intorno. Stava per tornare in superficie per riprendere fiato quando vide un lontano luccichio metallico e il panico lo assalì. Era il metallo. Il metallo stava trascinando Semi verso il fondale. Lui doveva essere svenuto per l'impatto con il legno della stiva.
Non si mise a domandarsi se avrebbe dovuto tornare in superficie a riprendere aria o provare a raggiungere Eita. Si mosse in automatico e nuotò verso il basso il più velocemente possibile. Sentì i polmoni contrarsi e dilatarsi alla disperata ricerca d'aria, ma non aprì la bocca. Serrò le labbra lottando contro il bruciore della pelle, degli occhi e il senso di sopravvivenza che lo implorava di tentare di respirare.
Nella sua visuale comparvero una serie di chiazze nere man mano che scendeva di più verso il basso e sentì i muscoli del corpo intorpidirsi, ma non si fermò. Eita era lì, a pochi metri, così vicino eppure così lontano. Sarebbero bastate poche bracciate per raggiungerlo, ma Kenjirou era stanco. Era così stanco... E aveva voglia di respirare. Aveva così tanta voglia di respirare.
La sua bocca si aprì in automatico e l'acqua gli inondò i polmoni. Sgranò gli occhi e boccheggiò inutilmente, agitandosi e afferrandosi la gola con le mani. Non strinse la presa e si sfiorò solo la pelle con le dita deboli. Accasciò le braccia lungo i fianchi e alzò lo sguardo verso l'alto. I riflessi delle fiamme s'intravedevano e coloravano la superficie del mare di un rosso strano, confuso con la patina fosforescente rilasciata dalla nave. L'ultima cosa che vide prima che il mondo si oscurasse fu un albero maestro crollare in acqua e il suo ultimo pensiero andò ad Eita che pochi metri più in basso stava annegando.
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