Capitolo 18
Eita tornò sul ponte proprio quando il cielo prese a tuonare. «Che succede? Avete trovato il Marchio?»
Jin si sfilò i guanti in quell'istante e si voltò verso Eita, scuotendo la testa. «È pulito! Non lo hanno marchiato, ma si sta avvicinando una tempesta!»
«Com'è possibile?! Fino a dieci minuti fa il cielo era limpido!» sbottò il biondo, affiancando il loro vicecapitano. «Dov'è Wakatoshi?»
«Di sotto, con Satori. Stanno decidendo se cambiare o meno rotta perché questa faccenda non piace nemmeno a loro. Pensavano di aggirare la zona e impiegare due giorni in più di navigazione in più per evitare inconvenienti.» Reon si alzò tenendo tra le braccia Yuuki ancora svenuto – il fatto che fosse avvolto da un panno bianco e non più dai sui vestiti non sorprese Semi.
«Quindi non ha nessuna macchia nera strana sul corpo?» domandò ancora il biondo, avvicinandosi e guardando il corvino accasciato tra le braccia di Oohira. Quello scosse la testa.
«No. Lo porto di sotto. Shirabu?» Eita sentì una fitta al cuore nel pensare a come aveva lasciato Kenjirou ma represse l'istinto di correre dalla sua cella, stringerlo a sé e baciarlo fino a quando non fosse riuscito a fargli capire che gli dispiaceva da morire per quello che era successo e che lo amava più di qualsiasi altra cosa.
«È molto scosso. Forse è meglio che nessuno si avvicini alle celle per ora. Non so come potrebbe reagire. Il suo cervello temo sia sotto shock per la mancanza d'ossigeno. Credo che sia svenuto.» borbottò Eita, tirando fuori dalla cintura un piccolo binocolo. «Vado a vedere com'è la situazione sull'albero maestro. Chi c'è su?»
«Ushijima ci ha mandato Goshiki.» Jin seguì Eita fino a quando non raggiunsero la scala. «Anche lui è abbastanza scosso dall'accaduto. Non aveva mai avuto a che fare con la Nave.»
Semi annuì. «L'ultima volta è stato tre anni fa.» mormorò, poi si arrampicò su per le scale.
«Oh, senpai!» Tsutomu si voltò verso Eita quando lo sentì arrivare e gli fece spazio nel piccolo abitacolo. «Come sta Shirabu?»
«È sotto shock.» rispose semplicemente Semi. «Lasciamolo stare e aspettiamo che si calmi. Qui com'è la situazione?»
Tsutomu si voltò in avanti e indicò i grossi nuvoloni lampanti che erano comparsi in lontananza. Eita sentì il sangue gelarsi nel vedere la nebbia verdognola e le saette bianche sfrecciare dalle nuvole di un verde notte che contrastava con il cielo nero. Per un attimo il suo corpo rimase paralizzato, poi si sporse di scatto verso il ponte e gridò: «CAMBIATE ROTTA! CAMBIATE IMMEDIATAMENTE ROTTA!»
Il corvino al suo fianco si voltò confuso verso di lui. Eita notò nei suoi occhi un barlume di terrore. «Che succede, senpai?»
Eita tornò a guardare le nuvole verdi con fare preoccupato. «È quella. Quella è l'Anomalia, Tsutomu. Lì dentro naviga la Nave e probabilmente anche il resto dell'equipaggio della Nekoma.»
Goshiki si gelò sul posto e un rivolo di sudore gli rigò la tempia mentre il senso di colpa per aver pensato che fosse una semplice tempesta s'impossessava di lui. Balbettò. «I-io... Non lo sapevo...»
«Non potevi. Non l'hai mai vista. Vado ad avvertire Wakatoshi. Tu resta qui e se inizia a piovere o vedi la nebbia o le nuvole circondare la nave fate immediatamente dietrofront. Non dobbiamo assolutamente rischiare di incontrare l'equipaggio della Nave.»
Eita si fiondò giù per la scala a pioli con il doppio della velocità con cui era salito. Corse sottocoperta mentre Taichi girava con forza il timone per direzionare la nave assieme ad Hayato che gridava direttive per le vele. Semi non aspettò il permesso per entrare e non bussò nemmeno, si limitò a spalancare la porta dell'ufficio del capitano e si avvicinò velocemente alla scrivania. Satori e Wakatoshi fecero scattare lo sguardo verso di lui.
«Perché stiamo girando e cambiando direzione? Non ho ancora impartito l'ordine.» domandò Wakatoshi, mostrando ad Eita la bussola che passava dall'indicare l'est ad indicare il sud. Semi deglutì e ora che doveva esporre la realtà dei fatti al suo capitano si ritrovò a pensare che sembravano molto più reali di quanto pensasse.
«È comparsa l'Anomalia. Stiamo cercando di circumnavigarla.» spiegò frettolosamente. Il viso di Satori sbiancò e Semi poté giurare di non averlo mai visto tanto pallido in vita sua.
«L... L'Anomalia è qui?» mormorò. Eita ricordava perfettamente l'ultima volta che avevano incontrato l'Anomalia e a quanto pareva anche Satori – Semi in realtà era relativamente sicuro che Satori ricordasse solamente qualche sprazzo di ciò che era successo, oltre che il dolore. Il biondo annuì e poté vedere il panico sul volto del rosso espandersi.
«Tendou, non c'è bisogno di andare in panico.» lo rassicurò Eita, mentre Wakatoshi usciva dall'ufficio per poter salire sul ponte. «Sul serio, la stiamo circumnavigando. Non finirà come l'ultima volta.»
Satori si strinse in un gesto automatico la mano sinistra tra le dita e annuì, anche se non del tutto convinto, poi mormorò: «D'accordo. Saliamo su.»
«Non sei obbligato se non vuoi.» il rosso scosse la testa.
«No, va bene. Andiamo.» e salirono.
Tsutomu non aveva mai visto l'Anomalia dal vivo. Aveva sentito per caso un pezzo del racconto di quando la Shiratorizawa vi si era imbattuta e aveva successivamente chiesto informazioni al riguardo a Taichi. Il biondo gli aveva raccontato che era successo poco dopo il suo arruolamento ufficiale. Era passato si e no un mese da quando viaggiava con i loro senpai e si erano imbattuti in una tempesta anomala dalle nuvole verdi e i lampi bianchi. Ci erano entrati senza saper a cosa stavano andando incontro e Satori ci aveva quasi rimesso la vita. Tsutomu rabbrividì nel ricordare come Taichi gli aveva descritto la mano del rosso marcia e secca, di un marrone innaturale e tutta raggrinzita su se stessa. Da quel momento si era sempre tenuto saldamente sull'attenti su qualunque tempesta avessero intorno e si sentiva talmente in colpa a non aver riconosciuto quelle nubi che gli veniva da vomitare. Non sentì nemmeno Kawanishi salire sulla cima dell'albero maestro assieme a lui.
«Come va la situazione qua su?» domandò, issandosi sulla piattaforma di legno. Spostò lo sguardo dall'anomalia a Tsutomu e per poco non gli prese un colpo. «Non stai per svenire, vero?»
«Credo di dover vomitare, in realtà.» Taichi scosse la testa e lo indicò.
«Non ci pensare. Non voglio pulire anche il tu, di vomito. Si è già sentito male Kenjirou, quindi tu vedi di tenerti in forma.» Tsutomu non rispose e si appoggiò alla balaustra con i gomiti, guardando preoccupato le nubi verdi.
«Che cosa facciamo se riescono a prenderci?» domandò di punto in bianco. Aveva sentito tante volte raccontare della nave fantasma che vagava all'interno dell'Anomalia – la Nave, era soprannominata – e altrettante volte s'era figurato le sue vele stracciate, l'equipaggio scheletrico e il legno marcio, ma non si era mai chiesto cos'avrebbe fatto semmai l'avesse incontrata. Taichi si appoggiò al suo fianco con un sospiro.
«Prega solo di non incontrarla.» rispose, limitandosi a fissare la nebbia oramai alla loro sinistra e non più di fronte a loro. «Ci sono almeno dieci chilometri a dividerci e stiamo andando in due direzioni parallele. Non dovrebbero insorgere problematiche.»
«Ma se insorgessero?» il corvino si voltò verso di lui. «Mi hai raccontato che a Tendou-»
Kawanishi alzò una mano per zittire l'altro e sospiro. «Tendou non è mai stato uno dei Maledetti. Ne ha solo toccato uno. Nessuno sopravvive se viene Maledetto.»
«Hai mai visto un Maledetto, senpai? Intendo... Uno morente.» Taichi scosse la testa.
«No. Quando ci siamo imbattuti nell'Anomalia io sono rimasto sulla nostra nave. Ho solo visto le condizioni in cui Tendou è tornato.» Tsutomu strinse i pugni e abbassò lo sguardo.
«Non voglio diventare un Maledetto. Non voglio che nessuno di noi lo diventi.»
Kawanishi non riuscì a trattenere la risposta sarcastica e parlò in automatico. «Meno male che ci sei tu a dire che non vuoi che la gente muoia. Che peccato, di solito è la prima cosa che si spera. Una morte lenta e con agonia. Il sogno di chiunque, in pratica.»
Il corvino gli scoccò un'occhiata ma non riuscì seriamente ad arrabbiarsi per quel tono canzonatorio. Dopotutto sapeva che Taichi aveva ragione e che aveva sparato una cavolata. Rimasero in silenzio ad osservare la nebbia verde di fronte a loro fino a quando un lampo bianco non li accecò.
«Sai» attaccò Taichi, senza voltarsi verso Tsutomu. «Quando dormi russi. Sei fastidioso.»
Le guance del corvino si tinsero di rosso e spostò lo sguardo. «Non è colpa mia.»
«Sicuramente se tu non dormissi con il viso schiacciato nel cuscino russeresti molto di meno.» borbottò il biondo. L'altro gli diede una gomitata.
«Non dormo con la faccia schiacciata nel cuscino!» sbottò, irritato. Taichi annuì convinto.
«Oh, si che lo fai. Prima stavi anche sbavando.» rispose, imitando con le mani un cuscino e il compagno di stanza intento a dormire con la bocca aperta.
Tsutomu gli afferrò i polsi e lo costrinse con uno strattone a smettere quella farsa. Dentro di sé sentì l'imbarazzo impossessarsi di lui ma costrinse le sue guance a riprendere un colorito normale nonostante la figuraccia appena fatta. Di certo se mentre trasferiva le sue cose nella nuova stanza aveva pensato di poter avere anche un solo misero straccio di possibilità, ora era certo che anche dichiarandosi nella maniera più sdolcinata e galante del mondo non sarebbe riuscito a far breccia nel cuore dell'altro. Che poi chissà da dove si era preso quella cotta, si domandò. Non si parlavano quasi mai e quando Taichi gli rivolgeva la parola non era mai per dargli supporto morale, quanto per sparare qualche raccomandazione o qualche ordine. Alla fine Tsutomu aveva semplicemente accettato passivamente il fatto che l'altro avesse fatto breccia nel suo cuore con quegli ordini rari e si era tenuto quella cotta senza opporsi al volere del suo cuore.
«Smettila.» sentenziò, senza aver il coraggio di guardare Kawanishi negli occhi. Il biondo fece scattare verso l'alto un sopracciglio.
«Non ti sarai mica imbarazzato per così poco, vero?» domandò, inclinando la testa di alto. «L'hai detto anche tu che non puoi farci nulla, no?»
«Non è questo!» sbottò di scatto il corvino ed era vero. Non era il fatto che Taichi gli avesse detto che russava e sbavava mentre dormiva a dargli fastidio, era il fatto che Taichi sapesse fino a che punto lui rozzo potesse essere ad infastidirlo profondamente. Tsutomu si ritrovò a pensare che era forse la prima volta in cui sapeva perfettamente descrivere il motivo del suo malessere.
«E allora cos'è? Pensavi che io pensassi che tu fossi una donzella perfetta e raffinata?» la capacità di Taichi di leggerlo e di interpretarlo come fosse un libro aperto era, forse, la cosa che infastidiva di più Tsutomu perché aveva paura che da un momento all'altro potesse saltarsene su con un "so che ti piaccio, ma smettila di illuderti che possa funzionare davvero". Come un idiota, però, si ritrovò ad annuire e il biondo rimase di stucco. Tsutomu gli stava dando ragione, forse? «Mi... Aspetta, cosa pensavi che pensassi di te?»
Il corvino non alzò lo sguardo dal pavimento e serrò la stretta attorno ai polsi di Taichi che però non disse nulla, poi bofonchiò sottovoce, più rivolto a se stesso che all'altro: «Non voglio che tu mi consideri una persona grezza.»
Kawanishi sospirò e scosse la testa, domandandosi come potesse mai esistere una persona più stupida di Tsutomu. No, decise, decisamente no. «Sei un pirata. Giri con una spada e una pistola appese alla cintura. Per vivere rubi. Non so se sono stato abbastanza preciso, nel caso continuo.»
Goshiki stinse le labbra e si ritrovò a dargli ragione. In fondo aveva ragione. Era un pirata. Lui non avrebbe mai potuto prendere il posto della donzella di famiglia nobile su cui scherzava Taichi quando parlavano di cosa avrebbero fatto una volta che si fossero arricchiti. Lui non avrebbe mai potuto avere una storia semplice e genuina come quella di Yuushou e Kai o vivere una favola d'amore come Eita e Kenjirou, tantomeno avrebbe mai potuto intraprendere una relazione allampanata come era quella di Wakatoshi e Satori. Probabilmente non avrebbe mai intrapreso una relazione e sarebbe morto da solo – vergine – e con la delusione del suo primo e unico amore ancora sulla punta della lingua.
«Ti sei mangiato la lingua?» Taichi inclinò la testa di lato, vedendo che Goshiki non accennava a cenni di vita. «Si, posso capire che sia dura da digerire una mappata del genere. Non è da tutti scoprire che non si è la donzella perfetta e raffinata che ci si aspettava e che per vivere si compiono azioni illegali, ma-»
«Mi piaci.» le parole lasciarono le labbra del corvino in automatico e si pentì di averle pronunciate non appena alzò lo sguardo solo per incrociare quello sconvolto del biondo. Nonostante sentisse il cuore frantumarsi in una miriade di coriandoli nell'osservare quell'espressione stralunata, si costrinse a continuare e a lasciar andare finalmente i polsi dell'altro. «Non volevo che lo sapessi così, ma ho capito che non potrà mai funzionare tra noi e volevo che lo sapessi per lo meno.»
Il biondo lo osservò dargli le spalle e fissare l'Anomalia con aria assorta e pensierosa e non poté far a meno di sentir la mascella a terra. Quello stupido si era letteralmente appena confessato a lui mentre lo piantava in asso? Se Taichi pensava di aver visto tutto dopo la mano avvizzita di Satori per colpa di una maledizione, allora si disse che aveva sbagliato tutti i suoi calcoli, perché ricevere una dichiarazione d'amore e poi essere rifiutati nello stesso momento dalla stessa persona superava tutte le sue aspettative.
«Goshiki...» Taichi deglutì, senza saper bene come iniziare il discorso.
Tsutomu lo ignorò. Aveva appena detto che non poteva funzionare tra di loro. Non aveva né la voglia né la forza di sentirsi rifiutare e sapeva che se avesse sentito quelle parole uscire dalla bocca di Taichi sarebbe crollato come un castello di carte al vento. Evidentemente Taichi non era del suo stesso parere perché lo richiamò. «Goshiki.»
Tsutomu lo ignorò ancora e lo ignorò anche quando gli appoggiò una mano su una spalla. A quel punto, Taichi decise che quello che aveva davanti doveva essere definitivamente ammattito e diventato un idiota, quindi gli afferrò saldamente entrambe le spalle, sbottando.
«Tsutomu!» lo fece girare di scatto verso di sé e lesse il panico e lo stupore nei suoi occhi, ma non riuscì a non continuare con tono scorbutico. «Sei un cretino.»
E poi si piegò verso di lui e lo baciò. Per un attimo, Tsutomu si ritrovò a pensare oh, questo è un sogno bellissimo e meraviglioso, quindi per favore non svegliatemi, poi si rese conto del fatto che no, quello non era un sogno e che Taichi lo stava veramente baciando. A sentirlo parlare sempre di donzelle raffinate e ricche si sarebbe aspettato che baciarlo sarebbe stato delicato e quasi come uno sfioramento, invece, il biondo premeva con forza le proprie labbra contro quelle del corvino e quando si allontanò risuonò nell'aria lo schiocco delle loro labbra che si staccarono. Tsutomu si coprì il viso con le braccia per nascondere l'improvviso rossore che gli aveva imporporato le punte delle orecchie e gli zigomi. Taichi gli afferrò i polsi con le mani e lo costrinse a scoprire la faccia, sospirando.
«Sei un vero idiota, lo sai?» domandò, poi si chinò su di lui e lo baciò ancora. Questa volta il corvino non rimase immobile e, superato lo stupore del momento, strinse le mani del biondo tra le proprie.
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