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Capitolo 17

Eita e il resto dell'equipaggio osservarono la scialuppa sbattere delicatamente contro lo scafo della loro nave, mossa semplicemente dal vento. Tsutomu cacciò una corda fuoribordo per legare la barchetta traballante che sembrava averne viste di migliori alla loro nave ma nessuno si azzardò a proporsi per andare a recuperare il ragazzo accasciato sul legno.
Erano giunti alla conclusione del fatto che non c'era la Nekoma dietro la barchetta quando erano arrivati ad essere a poche centinaia di metri di distanza e a quel punto avevano deciso di riaccendere le luci ed Eita aveva permesso a Shirabu di tornare sul ponte – Kenjirou aveva preteso, prima di uscire dalla cabina, il suo bacio e il biondo non aveva trovato un modo per negarglielo perché l'altro lo aveva afferrato per la maglia e lo aveva trattenuto contro la parete fino a quando Semi non lo aveva accontentato.
«Tiriamola su. Legate le corde alla rete dell'albero maestro e issiamo la scialuppa.» Jin batté le mani per spezzare il momento di sfasamento che era seguito nel vedere il poveretto accasciato sul fondo della barchetta.
Satori, Taichi e Suzuki si affrettarono a legare e a tirar su la scialuppa. Quando quella fu issata saldamente al ponte, Reon ci salì sopra e si piegò verso il ragazzo svenuto. Lo scosse per una spalla e per un attimo non successe nulla, poi le sue palpebre sfarfallarono e si socchiusero.

Yuuki era certo di esser svenuto dopo aver acceso la luce della bandiera. Aveva sentito le ginocchia cedere ed era crollato a terra. Aveva provato a combattere il senso di spossatezza che si era improvvisamente impossessato di lui, ma i suoi occhi si erano chiusi prima che potesse formulare un pensiero decente ed era stato certo che si sarebbe svegliato ore dopo, magari legato e tra le mani della marina spagnola. Invece si ritrovò a socchiudere le palpebre e a ritrovarsi davanti dei perfetti sconosciuti – o almeno, quello che sul momento gli sembrarono perfetti sconosciuti, dato che con il cervello in corto circuito che si ritrovava era certo non avrebbe riconosciuto nemmeno Kenma.
«È morto?» Eita si sporse da sopra la spalla di Jin per poter osservare la reazione dello sconosciuto. Il vicecapitano scosse la testa.
«No, è ancora vivo, ma non so per quanto.» si piegò sul corvino steso a terra. «Ehi, mi senti?»
Yuuki si costrinse ad annuire e poi un ultimo pensiero razionale gli trapassò il cervello dolorante e spento, quindi mormorò con voce roca: «A... Acqua...»
Jin non se lo fece ripetere due volte e con un gesto veloce fece segno a Yuu di correre a prendere una brocca del liquido fresco. Il castano scese dalla scialuppa e Reon prese delicatamente tra le braccia il corvino, poi lo fece adagiare per terra e quando Shibata ritornò con un bicchiere e il contenitore dell'acqua tra le mani gli diede una mano a mandar giù a piccole sorsate il liquido.
Quando fu certo che l'altro avesse forze sufficienti per tenere per lo meno gli occhi aperti, lo fece stendere di nuovo e lasciò che Wakatoshi si chinasse verso di lui. «Cos'è successo alla tua nave?»
Yuuki lottò contro le membra spossate e guardò negli occhi il capitano nemico. Gli sembrava familiare, ma con il viso nascosto nella penombra non seppe dirlo con certezza. Forse era sola la sua testa che era partita e gli giocava brutti scherzi.
«Ci hanno attaccati e... E hanno quasi affondato la nostra nave.» mormorò.
«E tu? Come sei scappato?» Jin si sedette dall'altro lato di Yuuki.
«Ero con Inuoka...» deglutì. «Ma poi lui è caduto in mare e lo hanno preso.»
«Chi vi ha attaccati?» Reon si scambiò un'occhiata preoccupata con Taichi. Yuuki sentì gli occhi chiudersi e per un attimo la sua mente si distaccò dal mondo circostante, quindi il suo sussurro non lasciò le sue labbra se non sottoforma di un mormorio. «Cosa? Puoi ripetere?»
Gli occhi di Yuuki sfarfallarono per qualche secondo e Jin sospirò. Stava per definirlo andato quando il corvino aprì di nuovo gli occhi e mormorò: «La Nave... Ci ha attaccato la Nave...»
E poi i suoi occhi si chiusero definitivamente e perse conoscenza. Per un attimo sul ponte regno il silenzio, poi si scatenò il caos. Il primo a parlare fu Tsutomu che saltò su come una molla e indicò il mare aperto, sbottando: «LANCIATELO FUORIBORDO!»
Un mormorio d'assenso non poco accennato si fece largo tra molti degli altri ragazzi e Taichi scattò su. «Rimettilo sulla sua barca e lascialo andar via. Noi non lo abbiamo mai visto né mai aiutato!»
Jin si voltò verso i due, stizzito. «Nessuno lancerà nessuno fuoribordo!»
«Oh, no. No, no.» Hayato agitò una mano nella direzione di Tsutomu. «Lui ha ragione. Ha dannatamente ragione. Buttalo fuori. Se ha il segno siamo fottuti!»
«Controllalo!» Eita puntò lo sguardo su Yuuki. «Controlla che non sia un Maledetto.»
«No, buttalo comunque fuori! Per sicurezza!» sbottò Taichi. Kenjirou si guardò intorno confuso.
«Che succede?» domandò, confuso. Eita agitò una mano nella sua direzione, ancora con lo sguardo puntato su Yuuki.
«Non ora, Kenjirou. Reon, vi andiamo a prendere i guanti. Tu intanto sciacqua le braccia per prevenzione.» Eita superò con una spallata il castano, diretto verso la sottocoperta.
«Eita! No, voglio sapere che succede!» sbottò. Eita lo ignorò e l'unica soluzione gli parve la più stupida. Affiancò Reon e secco piantò una mano sul braccio nudo di Yuuki. «Dimmi cosa sta succedendo!»
Sul ponte calò il silenzio, poi Reon afferrò di scatto per le spalle Kenjirou e lo tirò in piedi. Contro ogni protesta lo trascinò verso un barile d'acqua grosso all'incirca quando lui e lo sollevò di peso, cacciandocelo dentro ed immergendo le braccia dentro l'acqua fino alla spalla. Shirabu strabuzzò gli occhi quando l'acqua lo sommerse e annaspò alla ricerca d'aria. Lottò contro le mani del suo senpai che lo trattenevano sott'acqua e batte le mani e i piedi contro le pareti di legno alla disperata ricerca di un po' d'aria. Non voleva morire. Perché stavano cercando di affogarlo? Cos'aveva fatto?
Sentì i polmoni bruciare e proprio quando le braccia e le gambe iniziarono a farsi pesanti – quanto poteva essere passato? A lui sembrava un'eternità – due braccia forti lo afferrarono e lo tirano fuori dalla botte. Si accasciò per terra e sentì lo stomaco rigirarsi su se stesso. Fece appena in tempo a tirarsi su a carponi che percepì la bile in gola e vomitò per lo shock. Eita lo soccorse e gli scostò i capelli dalla fronte, massaggiandogli con movimenti circolari la schiena. Quando Kenjirou sentì che il terrore per esser quasi affogato si era leggermente affievolito e il suo stomaco non aveva più nulla da fargli rigurgitare si accasciò tremando e con il viso rigato di lacrime tra le braccia di Eita, che lo strinse al petto e gli baciò la testa, accarezzandogli i capelli per tranquillizzarlo.
«Calma... Non è successo nulla... Stai bene...» mormorò il biondo, lanciando un'occhiata a Reon. «L'hai tenuto due minuti sott'acqua?»
Oohira annuì. «Sì. Due minuti e mezzo per sicurezza. Nel caso, ora è pulito.»
«Semi.» Jin si stava infilando i guanti in tutta fretta. «Porta Shirabu di sotto.»
Wakatoshi stava sparando direttive per tutto il resto dell'equipaggio nel frattempo - «Goshiki, sull'albero maestro! Kawanishi, al timone! Qualcuno pulisca il pavimento! Satori, vieni in sottocoperta con me, dobbiamo controllare la mappa!». Reon superò Eita e Kenjirou e s'infilò un paio di guanti a sua volta. Eita sollevò di peso Kenjirou e corse verso la loro cabina, lasciandosi il caos del ponte alle spalle. Non appena a circondarli ci fu solo lo sbattere delle onde contro il legno della nave, Kenjirou riemerse dal mare delle sue lacrime e piantò un pugno dritto sul naso di Eita. Quello lo lasciò andare per la sorpresa e lo spavento e Shirabu crollò a terra dolorante.
«Che diavolo fai?!» sbottò il biondo, massaggiandosi la faccia dolorante. Provò ad avvicinarsi per riprendere in braccio il castano ma quello si allontanò di botto, tremando come una foglia e puntandogli un dito contro, poi sbraitò come un forsennato – era sicuro che la sua calma se ne fosse andata non appena lo avevano buttato in acqua -, ancora con il respiro spezzato dal pianto: «AVETE PROVATO AD AMMAZZARMI! HA PROVATO AD AMMAZZARMI E TU NON HAI FATTO NIENTE! NIENTE!»
Eita sospirò e si passò una mano tra i capelli. Kenjirou non poteva capire la pericolosità e la serietà della situazione, questo era chiaro. Era anche chiaro che non si sarebbe lasciato toccare fino a quando Eita non gli avesse spiegato per filo e per segno come stavano realmente le cose, ma Semi non aveva tempo per giocare a fare il maestro di scuola in quel momento, né aveva il tempo di star a consolare una persona che aveva perso la calma ed era terrorizzata a morte. Si mosse velocemente e prima che il cervello di Shirabu potesse realizzare cosa stava succedendo – evidentemente l'essere trattenuto sott'acqua senza poter respirare doveva aver scioccato più del previsto il suo sistema nervoso – Semi afferrò il castano per i fianchi e se lo caricò in spalla. Kenjirou prese a scalciare e gli mollò due o tre pugni alla base della colonna vertebrale.
«LASCIAMI ANDARE! LASCIAMI, DIAVOLO! LASCIAMI!» Eita lo ignorò e superò la loro cabina – era certo del fatto che se ce l'avesse lasciato dentro Kenjirou avrebbe sfondato il vetro dell'oblo, avrebbe buttato all'aria qualunque cosa o avrebbe scardinato la porta a suon di calci, anche se per andare dove ancora non lo sapeva visto che erano in mare aperto e la costa più vicina si trovava a tre giorni di navigazione con vento a favore – quindi optò per la prigione. Raggiunse il piano più basso e con un calcio secco aprì la porta di sbarre. Appoggiò Kenjirou a terra e al castano quello parve il momento giusto per scappare.
Lo volevano uccidere, non riusciva a pensar ad altro, e lui di certo non si sarebbe lasciato ammazzare tanto facilmente. Non appena i suoi piedi toccarono terra scattò verso la porta di sbarre aperta ma Eita gli circondò la vita con un braccio e lo scaraventò all'indietro, poi chiuse con un colpo secco la porta della prigione e fece scattare la chiave. Kenjirou scosse la testa e afferrò tra le dita le sbarre.
«No... Non... Non mi puoi lasciare qui! Eita! EITA!» Sentì le gambe cedere e crollò a terra, tremando. «Per favore...»
Semi si voltò verso di lui e lo indicò. «Starai lì fino a quando non ci saremo accertati del fatto che quel ragazzo non è un Maledetto. Vedi di calmarti nel frattempo. Poi ti spiegherò tutto.»
E se ne andò lasciando Shirabu da solo, insieme al terrore che gli aveva attanagliato le viscere. Il castano rotolò in un angolo e si strinse tremante su se stesso, poi affondò il viso tra le ginocchia e si impose di non piangere. Rimase in posizione fetale per parecchi minuti, tentando di tranquillizzarsi, ma il suo cervello scioccato smise di reggere tutta quella pressione e nel giro di qualche altra decina di secondi crollò sulla paglia secca della cella e perse conoscenza.

Nota autrice
Buona Epifania~
Eevee

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