Capitolo 15
«Ancora non mi hai detto dove siamo diretti.» Eita aveva trascinato Kenjirou in giro per la nave e gli aveva presentato ogni membro dell'equipaggio – ora Kenjirou era giunto a conoscenza dei due ragazzi che avevano ritirato la passerella di legno quando erano risaliti, Suzuki e Umeda – e ora erano appoggiati alla prua della nave a guardare il mare che sbatteva contro lo scafo della nave.
«Stiamo andando a barattare delle casse di polvere da sparo con un tizio che dovrebbe darci una mappa.» Eita si voltò verso Kenjirou e si prese qualche secondo per ammirare la curiosità negli occhi del più piccolo. «La mappa dovrebbe condurci in un'isola sperduta dove si narra essere sepolto un tesoro.»
Gli occhi di Shirabu brillarono d'eccitazione. «Davvero?»
Semi scoppiò a ridere. «Certo che no, questo succede solo nelle storie. La mappa serve per arrivare in un'isola dove si vocifera esserci una miniera d'oro abbandonata. Sfortunatamente per noi la posizione dell'isola è ignota ed esistono solamente due mappe al mondo che ne indicano la posizione.»
«E come facciamo ad essere sicuri del fatto che il tizio non ci tradirà?» Kenjirou assottigliò le palpebre ed Eita alzò le spalle.
«Non possiamo.» per un attimo, Kenjirou pensò di aver capito male, ma osservando Eita negli occhi capì di aver compreso alla perfezione le sue parole.
«Quindi... Fammi capire, stiamo andando a consegnare cinquanta casse di polvere da sparo ad un uomo che potrebbe darci la mappa sbagliata o potrebbe tranquillamente tradirci?» Semi sorrise e annuì.
«Già! Proprio così!» se non fosse stato certo che in quel modo lo avrebbero sbattuto fuoribordo nel giro di trenta secondi, Shirabu gli avrebbe tirato un pugno in faccia. Eita gli lesse quel desiderio violento negli occhi e ridacchiò. Lo afferrò per la vita e lo tirò a sé con un sorriso, affondando il viso tra i capelli da poco spuntati. «Non ti preoccupare. Siamo persone responsabili. Se la situazione si complicherà non ci sarà nessuno scambio.»
«Lo spero.» mormorò il più piccolo, circondando la vita del biondo con le braccia in un goffo tentativo di abbraccio. Lo aveva visto fare da qualche umano durante la sua prigionia, ma non si era mai veramente ritrovato ad abbracciare qualcuno prima del biondo. Anche quando era ancora una sirena aveva sempre disprezzato il contatto fisico e l'unico gesto d'affetto che si concedeva di tanto intanto era una mano sulla spalla in segno di conforto e d'affetto. Stare abbracciati ad Eita era diverso da come si sarebbe aspettato. Pensava che lo avrebbe irritato sapere le mani dell'altro addosso, ma ora che si trovava immerso nel calore che il corpo altrui sprigionava, così come poche ore prima aveva già riflettuto, si ritrovò a pensare che sarebbe tranquillamente potuto vivere lì. Poi Eita si allontanò e spezzò quel momento d'affetto. Kenjirou si voltò vedendolo allontanarsi e si rese conto di non aver nemmeno sentito Tsutomu chiamarli. Si appuntò mentalmente di non prendere a male parole quel poveretto che aveva rotto il loro momento d'intimità.
«Vieni anche tu, Shirabu?» Semi si voltò verso il castano che aveva lo sguardo perso nel vuoto e la testa nei suoi pensieri. Kenjirou si riscosse e voltò il viso verso i due.
«Eh? Cosa?» si avvicinò stando ben attento a mantener la dovuta distanza di sicurezza dal corvino irritante – in qualche modo aveva paura che lo contagiasse con la sua stupidità costruita su misura.
«Noi andiamo a mangaire qualcosa. Vieni anche tu?» Shirabu inclinò la testa di lato, guardando Eita confuso per qualche secondo, poi realizzò cosa il biondo intendesse e scosse la testa.
«Oh... No, io... No.» decise, deglutendo. Li osservò allontanarsi senza ribattere e chiacchierando allegramente tra di loro.
Con un sospiro il castano tornò ad appoggiarsi alla balaustra di legno della prua e puntò lo sguardo verso l'orizzonte che si era tinto d'arancione. Dovevano essere all'incirca le sei e mezza di sera. Ora l'acqua rifletteva i raggi sulla sua superficie e aveva perso il suo solito colorito azzurro per tingersi di riflessi caldi e che ricordarono come in un deja-vù a Kenjirou ogni volta che assieme a Shunki e Yuuji – e qualche volta le loro strambe combriccole di amici – aveva nuotato a filo del liquido trasparente solamente per sentire il calore dei raggi filtrati dall'acqua sulle squame.
Taichi si appoggiò alla balaustra al fianco di Kenjirou ma non disse nulla. Non aveva mai parlato molto con il castano quando ancora era prigioniero della vasca nella stiva e Kenjirou non aveva mai insistito molto per fare conversazione. Si era sempre limitato a pensare che la presenza del rosso fosse in qualche modo rilassante perché i loro silenzi non erano imbarazzanti come quelli con molti altri membri dell'equipaggio e nessuno dei due sentiva la necessità di porre domande o di pronunciare frasi di circostanza solamente per alleggerire l'atmosfera. Ognuno dei due sapeva alla perfezione in quale situazione si trovassero: Taichi aveva sempre saputo di essere da una sottospecie di parte del torto e di essere il rapitore, mentre Kenjirou sapeva di non poter far nulla e accettava semplicemente il suo destino limitandosi a pregare dei inesistenti di non farlo morire. Nessuno dei due si era mai sentito in colpa per la situazione dell'altro però né si era interessato più del tanto a come si sentisse perché c'era sin da subito stato una sorta di legame e anche se non si erano mai chiesti esplicitamente cosa passasse l'altro per la testa sapevano benissimo come stesse e cosa provasse.
Così era anche ora. Taichi capiva il senso di smarrimento di Kenjirou ma non gli domandava se volesse fare qualcosa per sentirsi più a suo agio e Shirabu conosceva la sensazione di aver un novellino insieme a loro, ma non gli chiedeva se potesse far qualcosa per dare una mano perché sapeva che se ci fosse stato bisogno di lui allora il rosso avrebbe parlato senza troppi giri di parole. Kenjirou si sarebbe aspettato che Taichi sarebbe restato di fianco a lui in silenzio in un muto momento di conforto e di compagnia mentre tutti gli altri erano a mangiare o a svolgere altri doveri, ma il biondo parlò e quando lo fece Shirabu ne rimase colpito perché non se lo aspettava. O quanto meno, non si aspettava che gli dicesse di punto in bianco: «Per favore, non far soffrire Semi.»
Shirabu sbatté più volte le palpebre nel tentativo di resettare il cervello. «Perché dovrei farlo soffrire?»
Taichi si voltò verso il castano e lo guardò negli occhi. «Perché lui ha la capacità di circondarsi delle persone sbagliate come nessun altro al mondo.»
Kenjirou sentì la bocca secca e per un attimo boccheggiò senza saper nuovamente cosa dire, poi la sua espressione si fece dura. «Mi ha salvato la vita. Non gli farò nulla.»
«Non è il fare qualcosa il problema, perché sono sicuro del fatto che tu non voglia fargli nulla di male. Si vede dal modo in cui lo guardi.» il castano sentì le guance farsi rosse a quella frase. «Il problema sorge quando fai qualcosa senza l'intenzione di ferire e ferisci senza rendertene conto, ma nessuno te lo dice.»
«Hai paura che io possa ferire il tuo senpai senza rendermene conto?» Kenjirou fece scattare un sopracciglio verso l'alto.
«È anche un tuo senpai, ora.» puntualizzò il rosso, spostando nuovamente lo sguardo verso l'orizzonte arancione.. «E comunque, è solo un consiglio.»
«E perché dovrebbe essere un consiglio?»
«Perché nel momento in cui vedrò Semi soffrire per colpa tua allora sarò il primo a lanciarti fuori dalla nave e far sì che tu possa affogare.» Kenjirou sentì la colonna vertebrale fremere a quella minaccia, ma il brivido dello spavento lo sentì solamente quando Taichi si voltò verso di lui e mise su un lieve accenno di sorriso. «Spero per te che tu non sia una di quelle persone sbagliate che piacevano tanto a Semi quando era più giovane.»
Kenjirou strinse i pugni, ignorando il senso di disagio che provava in fondo allo stomaco e sentenziando deciso: «Non lo sono.»
Taichi annuì. «Bene. Andiamo a mangiare qualcosa? Credo che Shibata abbia fatto del pesce per fartelo assaggiare.»
A sentir quelle parole Shirabu si sentì in colpa ad aver fatto cucinare un essere vivente solo per poi non presentarsi al pasto, quindi si costrinse a seguire Taichi constatando con sorpresa che aveva una fame assurda. Con tutto quello che era successo in quei giorni non aveva avuto tempo di pensare al mangiare, ma ora che si avvicinava alla mensa non poté far a meno di sentire il proprio stomaco gorgogliare affamato.
Lui e Kawanishi fecero il loro ingresso in mensa in silenzio e non appena la porta si chiuse dietro di loro per un attimo nella stanza calò il silenzio. Mentre si andava a sedere al fianco di Eita, Kenjirou poté sentire alla perfezione gli sguardi di tutti su di sé, poi Yuu fece il suo ingresso dalla cucina portandosi dietro una grossa pentola fumante e l'attenzione fu catturata da lui e Kai che si misero a riempire i piatti.
Eita si sporse verso Kenjirou mentre appoggiava il piatto con il pesce cotto a puntino davanti a lui. «Va tutto bene? Sembri pallido.»
Shirabu non gli diede ascolto e rimase con lo sguardo puntato sulla carne davanti a lui. Ad Eita non sfuggì l'occhiata famelica che lanciò alla bottiglia d'acqua e con un tovagliolo pulì il piccolo rivolo di saliva che minacciava di rigare il mento dell'altro. Non appena anche Yuu e Kai si furono seduti, il castano non se lo fece ripetere due volte e, nonostante gli facesse leggermente senso mangiare uno degli animali che aveva visto sempre attorno a sé, si cacciò in bocca un gran pezzo di carne. Non aveva mai avuto bisogno di mangiare altro che frutti di mare, coralli o cozze e vongole e sentir il suo corpo bisognoso di così tante proteine gli sembrò strano, ma quel pesce era talmente buono e invitante che prima che potesse rendersene conto aveva già spazzolato il contenuto all'interno del piatto. Satori, seduto di fronte a lui, lo guardò cacciarsi in bocca l'ultimo boccone con un sorriso divertito.
«Così ti strozzi, Kenjirou-kun.» esclamò, tamburellando con le dita sul tavolo. Il castano si coprì il viso con il tovagliolo per pulirsi la bocca e nascondere l'improvviso rossore. Semi gli versò un po' d'acqua nel bicchiere e gli puntò l'indice contro.
«Non tutta d'un fiato che ti strozzi davvero.» a piccoli sorsi Shirabu mandò giù anche quella e si rannicchiò su se stesso, puntando lo sguardo su Eita, poi mormorò: «Grazie.»
Eita non ricambiò il suo sguardo e si limitò ad appoggiare in silenzio il bicchiere vuoto sul tavolo. «Per cosa?»
«Per avermi salvato da quel tizio.» sussurrò ancora il castano. Satori fece vagare lo sguardo dal biondo al castano in silenzio, scrutandoli con circospezione alla ricerca del momento in cui avrebbero iniziato a tirarsi contro frecciatine pungenti.
Semi strinse le labbra in una linea dura e fissò per qualche secondo il legno rovinato della tavola. «Se non avessi gridato non ti avrei nemmeno visto.»
Si sentiva in colpa perché sapeva che se Kenjirou non avesse gridato il suo nome lui lo avrebbe lasciato lì. Lo aveva visto, lo aveva guardato negli occhi, lo aveva quasi riconosciuto, eppure non era stato in grado di rendersi conto del fatto che quel ragazzino coperto di polvere fosse lui, colui che nemmeno per un secondo aveva abbandonato i pensieri del biondo. La presa attorno al bicchiere si fece ferrea. Il castano allungò una mano e la appoggiò delicatamente su quella che stringeva il vetro. Sotto a quel tocco delicato il più grande rilasso leggermente le dita. «Non è stata colpa tua. Non mi importa se non mi hai riconosciuto subito. L'importante è che tu l'abbia fatto dopo, no?»
Eita annuì ma sia lui che Kenjirou che Satori notarono che non era per nulla convinto delle parole di Shirabu. Il senso di colpa per aver rischiato di perderlo per sempre si era impossessato di lui e ora non sentiva altro che il peso del suo cuore che martellava nel petto e che gli ricordava che se Kenjirou non avesse gridato ora il suo, di cuore, non starebbe battendo.
La mano di Hayato si allungò oltre la sua spalla e serrò nella sua stretta la mela del biondo. «Smettila di commiserarti. Nessuno di noi lo avrebbe riconosciuto se tu non fossi scattato per provare a salvarlo, quindi vedi di non stare qui a piangerti addosso come un poppante.»
Eita si voltò di scatto verso il castano che aveva addentato la mela e già stava uscendo dalla stanza, diretto nuovamente al timone della nave a cui era stato affidato. Il biondo abbassò lo sguardo e chiuse gli occhi, mentre un piccolo sorriso si andava a formare sul suo viso. Strinse la mano di Kenjirou nella sua. «Avete ragione. Scusatemi.»
Shirabu piegò leggermente le labbra verso l'alto e ricambiò la stretta con la stessa intensità. «Non ti preoccupare.»
Nessuno spiccicò più una parola per il resto della cena. Satori fu il primo a togliere baracca e si ritirò nella propria cabina non appena ebbe finito di mangiare. A quel punto, Kenjirou si voltò verso Eita. «Io dove dormo?»
Il biondo si fece pensieroso. In effetti, rifletté, nessuno aveva ancora dato disposizioni per la sistemazione di Shirabu. Taichi con tutta la tranquillità del mondo si sporse verso Eita. «Nella mia cabina c'è ancora quella branda vuota, se ne avete bisogno.»
Tsutomu si intromise e parlò con la bocca piena, le guance gonfie che lo facevano somigliare ad un criceto. «Oppure potrebbe dormire con te, senpai!»
Le guance di Eita scattarono in un'accesa colorazione di rosso e Shirabu lanciò un'occhiata gelida al corvino, sibilando: «Non parlare con la bocca piena, moccioso maleducato con la testa a scodella.»
Goshiki mandò giù il boccone della cena e gli lanciò un'occhiata torva, ma non disse nulla per controbattere e si limitò a voltarsi verso Semi. «Se vuoi cambio cabina e vado a dormire io nella branda nella cabina di Kawanishi.»
Il rosso guardò il più piccolo senza dire nulla sul fatto che si stesse autoinvitando a stare nella sua cabina. Eita agitò una mano nella direzione di Tsutomu. «No, non voglio disturbarti.»
Il corvino sorrise e batté una mano sulla spalla di Taichi al suo fianco. «Nessun disturbo, senpai! Così avrete sempre un vostro spazio!»
A colorarsi questa volta furono le guance di Kenjirou, che lanciò un'occhiata assassina a Goshiki solo per essere brutalmente ignorato. Per un attimo fu tentato dall'esclamare che avrebbe volentieri preso posto nella branda nella cabina del biondo, poi il suo sguardo calò sulla mano del corvino ancora sulla spalla dell'altro ed ebbe la sensazione che la proposta di Tsutomu non fosse al solo scopo di lasciar a Shirabu ed Eita il loro spazio personale, ma anche di crearsene uno tutto suo. Fece quindi scivolare una mano sulla gamba del biondo per richiamare la sua attenzione e lo guardò.
«La tua cabina va bene.» esclamò di scatto. Per un attimo, con la coda dell'occhio vide un barlume di speranza nello sguardo del corvino, ma quello si affrettò a mascherarlo. Eita fece vagare lo sguardo da Taichi a Tsutomu a Kenjirou ed infine annuì capendo che la sua idea di non scomodare il corvino non sarebbe stata ascoltata.
«D'accordo, allora vediamo di sistemare le cabine.»
Quando nella cabina di Eita non fu rimasto mezzo effetto personale del suo vecchio compagno di stanza Semi si voltò verso Kenjirou che aveva lo sguardo voltato verso l'oblò e osservava il mare incresparsi al passaggio della nave e si sedette dietro di lui, tirandolo verso di sé finché la schiena del castano non fu appoggiata al suo petto. Affondò il viso tra i suoi capelli e mormorò.
«Perché hai insistito perché Tsutomu se ne andasse?» domandò, curioso. Kenjirou alzò lo sguardo e con tutta la calma del mondo rispose: «Perché sembrava più interessato di me nel condividere la stanza con Taichi.»
Eita fece saettare un sopracciglio verso l'alto. «Taichi?»
«Kawanishi.» chiarì Kenjirou, tornando a voltare lo sguardo verso il mare.
«Da quando vi chiamate per nome?» domandò il biondo, sempre più confuso. Shirabu scrollò le spalle.
«Da prima che tu mi buttassi in mare. È... Uhm... Diciamo che ci è venuto spontaneo.» ribatté il castano. Eita gli prese delicatamente il viso tra le mani e glielo fece reclinare all'indietro fino a quando non fu ad un soffio dalle sue labbra con le proprie.
«E dimmi... Posso chiamarti anche io per nome?» Kenjirou puntò lo sguardo sul pomo d'Adamo del biondo e chiuse gli occhi.
«Solo se io posso chiamarti anch'io così.» rispose, increspando le labbra in un sorriso.
«D'accordo... Kenjirou.» lo baciò delicatamente e con un grosso sorriso, poi lo strinse al petto e si stese sulla branda, affondando il viso tra i suoi capelli. «Buonanotte.»
Shirabu si rannicchiò contro di lui. «Buonanotte, Eita.»
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