Capitolo 14
L'acqua del catino era calda – no, bollente – ed era rilassante sentirla scivolare a dosso, seguita poi dalla spugna ruvida che gli sfregava la pelle incrostata di fango, facendola arrossare e bruciare leggermente. Kenjirou non aveva capito l'imbarazzo di Eita quando si era tolto lo straccio bianco che aveva portato in quei giorni e si era anche deciso a chiedere spiegazioni riguardo a quel coso che aveva in mezzo alle gambe. Alla risposta del biondo era rimasto leggermente spiazzato nel sentire che serviva ad andare in bagno e a generare figli.
«Voi... Non fate figli?» domandò Eita mentre passava delicatamente la spugna bagnata sulle spalle di Kenjirou, ancora leggermente imbarazzato dal discorso che aveva dovuto intraprendere alla domanda "ma questo coso che ho in mezzo alle gambe ce l'hai anche tu?".
«Si, beh...» Shirabu agitò una mano, questa volta imbarazzato a sua volta. «Ecco... È una cosa ovipara.»
«Oh.» Eita immerse la spugna in acqua.
«Non eri tu quello che sapeva tutto sulle sirene?»
«Beh, sai, non mi sono mai documentato sulla riproduzione. Non pensavo che un giorno mi sarei ritrovato a capire come fare sesso con una sirena.» borbottò il biondo con una certa dose si sarcasmo nella voce. Kenjirou ridacchiò, ma il suo divertimento durò poco perché Eita lo afferrò per i fianchi e lo tirò contro al suo petto, prendendo a baciargli il collo. «E tu lo sai come si riproducono gli umani, Kenjirou?»
Shirabu rabbrividì. «No e non mi interessa.»
Provò ad allontanarsi, ma Semi gli circondò la vita con le braccia per evitare che scappasse via, ridacchiando. «Ma come, non sei curioso di sapere se hai una possibilità con me?»
Kenjirou strinse i pugni. «Non hai capito. Non ho detto che non mi interessa perché non voglio saperlo, ma perché lo so già. Me lo ha mostrato chiaramente quel pervertito, anche se ero svenuto.» sbottò all'improvviso.
Eita si sentì improvvisamente in colpa e si fece indietro, lasciando andare Kenjirou. «Scusami. Non volevo.»
«Non preoccuparti.» nessuno dei due spiccicò più parola fino a quando Kenjirou non fu perfettamente pulito e vestito. Eita non poté far a meno di pensare che quegli stretti pantaloni bianchi gli fasciavano perfettamente il sedere e che quella camicia nera infilata nella cintura non facesse altro che mettere in mostra i fianchi magri. Si affrettò a scacciare quei pensieri quando vide il castano lottare contro la frangia troppo lunga. «Vuoi che ti tagli i capelli?»
Kenjirou passò le dita tra i capelli e annuì. «Sì, grazie.»
«D'accordo. Siediti qui.» Eita indicò con una mano un grosso sgabello in legno levigato che troneggiava al fianco della finestra e Shirabu lo accontentò immerso in un religioso silenzio. Eita avrebbe detto che fosse pensieroso se Kenjirou non lo avesse guardato con preoccupazione sentenziando di punto in bianco: «Per favore, stai attento. Ci tengo molto.»
Il biondo gli sorrise dolcemente e passò con delicatezza le dita tra le ciocche chiare dell'altro. «Certo.»
Chiunque li avesse visti da fuori avrebbe potuto scambiarli per un parrucchiere e un cliente, ma Eita non era un parrucchiere e tutte le persone che lo conoscevano avrebbero tranquillamente potuto affermare di non averlo mai visto tanto concentrato in vita loro perché mentre recideva con lentezza i fili setosi la sua espressione era seria e si mordeva la lingua tra le labbra con una forza tale da fargli quasi male, una forza capace di fargli scordare tutto meno che ciò che stava facendo. Aveva paura che sbagliando anche solo di mezzo millimetro il taglio Kenjirou sarebbe potuto sparire da un momento all'altro e sarebbe stata tutta colpa sua. Quel pensiero gli fece accapponare la pelle e rizzare i peli sulle braccia.
«Semi...» il castano non alzò lo sguardo per incrociare quello concentrato del biondo per paura di farlo sbagliare. «Taglia solo la frangia.»
Eita alzò le sopracciglia di scatto e lo osservò stupito. «Sei sicuro? Sembri uno molto rigido sul proprio taglio di capelli.»
Kenjirou annuì e un piccolo sorriso si andò a formare sul suo viso. «Sì, sono sicuro. Voglio provare. Al massimo li taglio.»
Eita annuì e tornò a concentrarsi sul suo minuzioso lavoro. Nel giro di pochi minuti attorno a Shirabu ci fu una piccola mezzaluna di corti ciuffi castani che fece ridacchiare Eita. «Allora, che ne dici? Ti piace?»
Kenjirou si alzò dallo sgabello e si avvicinò al piccolo specchio che, appeso alla parete di fronte a loro, aveva continuato a riflettere la loro immagine al suo interno, incorniciandoli in un intricato filo di conchiglie marine e spine di rose, fiori dipinti e stelle bianche. Kenjirou si sfiorò con delicatezza la frangia appena accorciata – constatò con gran sollievo e soddisfazione che il taglio era stato minuzioso e perfetto – e lasciò che gli ultimi fili marroncini che Eita non aveva ancora spazzolato via cadessero a terra in silenzio e con lentezza. Si voltò verso di lui e annuì. «Bel lavoro. Grazie.»
«Perfetto!» Eita batté le mani due volte e appoggiò le forbici. Si avvicinò e prese le mani di Shirabu tra le sue – più grandi e più da adulto, come tra poco avrebbero testimoniato anche il suo diciottesimo compleanno. «Sarà meglio andare. I proprietari ritorneranno tra poco.»
Kenjirou inclinò la testa di lato. «I... I proprietari?»
Il sorriso sardonico che andò a formarsi sul viso del biondo non promise nulla di buono al castano che, avvertendo con i rimasugli del suo sesto senso capta-pericoli da sirena, fece automaticamente un passo indietro. Eita gli afferrò il polso prima che potesse allontanarsi ancora e il suo sorriso si trasformò in un ghigno. «Ti sembriamo veramente persone tanto ricche da potersi permettere una camera del genere, Shirabu? Avanti, per chi ci hai preso? Siamo pirati.»
Lo zigomo del castano ebbe un fremito. «E... E di chi sarebbe questo posto allora?»
Eita scrollò le spalle con nonchalance. «Non lo so. Immagino, presumo, di qualche riccone del posto.»
Prima che uno dei due potesse dire o pensare altro il suono di un portone che si apriva, voci sconosciute e un grosso tonfo fecero capire loro che era giunto il momento di sloggiare da quel posto. Eita si portò un dito alle labbra e fece segno a Kenjirou di far silenzio, prima di avvicinarsi alla grossa finestra e aprirla. Uscì all'esterno inerpicandosi sul davanzale e balzò agilmente sul tetto di fronte. Kenjirou non fu altrettanto sicuro e solo quando si trovò in ginocchio sul legno scheggiato e guardò di sotto, osservando gli svariati metri che lo separavano dal suolo, si ritrovò a pensare che no, decisamente avrebbe preferito essere beccato. Dal tetto di fronte – all'incirca tre o quattro metri – Eita gli fece segno di sbrigarsi.
«Muoviti! Stanno salendo!» allungò le braccia oltre la soglia del sicuro, sporgendosi sulla strada, e sorrise rassicurante al castano. «Salta, ti prendo io. Fidati di me, okay?»
Kenjirou tornò a spostare lo sguardo verso il basso e un senso di vertigini lo avvolse. Sentì la testa girare e dovette aggrapparsi saldamente alla parete per non crollare disteso – sicuramente sul terreno a dieci metri di distanza. Poco oltre la porta udì passi pesanti e il volto gli si imperlò di sudore. Si impose di mantenere la calma – e un certo contegno – e tirò un profondo respiro mentre osservava quei quattro metri – tre, in realtà, ora che Eita si era sporto – che lo separavano dalla salvezza. Ce la poteva fare, doveva solamente spingersi con le gambe. Il suono di passi si fece più forte e Kenjirou si adagiò sui talloni. Il pomello della porta chiusa cigolò. Shirabu fletté il busto in avanti. Ora o mai più, si ordinò.
La porta si spalancò e Kenjirou saltò. Per un attimo tutto, attorno a lui, scomparve. Rimase sospeso in aria e sotto di sé vide solo il vuoto. Il senso di libertà lo pervase e si ripromise che, semmai si fosse reincarnato, avrebbe voluto nascere come un grosso uccello, magari un'aquila, e passare la sua vita a librarsi in volo. Mentre fendeva l'aria e il vento gli sfiorava il corpo si disse che, dopotutto, diventare umano non era stato poi un colpo così duro da incassare, perché ora, mentre si avvicinava alle braccia aperte di Eita, provava un senso di gioia e tranquillità che mai aveva sentito prima d'ora. Aprì gli occhi e in un attimo tutto il senso di pace che aveva trovato si dissolse nell'osservare l'espressione terrorizzata di Eita.
Semi si era reso conto del fatto che no, Kenjirou non avrebbe raggiunto il tetto, quando lo aveva visto saltare in avanti. Il suo cervello si azzerò nel vedere la figura del compagno che si staccava dal pezzo di legno su cui era accovacciato mentre dietro di lui un uomo parecchio alto e con parecchi muscoli faceva il suo ingresso in camera. Di certo non si sarebbe fatto problemi a salire su un davanzale e saltare in avanti di anche sei metri. Fu la prospettiva di essere raggiunti e maciullati sotto quelle mani enormi – il biondo era sicuro che fossero grandi per lo meno quanto la sua faccia – che lo costrinse a slanciarsi ancora di più in avanti.
Afferrò Kenjirou per un pelo e gli strinse con talmente tanta forza i polsi che per un attimo si dimenticò di dover dar forza anche alle gambe che ancora lo ancoravano al tetto. Shirabu, dal canto suo, non capì la gravità della situazione fino a quando non si ritrovò appeso per i polsi a dieci metri d'altezza dal terreno. Il panico si impossessò di lui e prese a muovere con frenesia le gambe, tremando. «Non lasciarmi! Non lasciarmi, Semi! Non lasciarmi!»
Eita gli rivolse un'occhiataccia e sbottò sottovoce. «Taci e sta' fermo! Ti tiro su!»
Kenjirou però non li ascoltò e continuò ad agitare frenetico le gambe. Serrò a sua volta i polsi di Eita e strinse gli occhi mentre il biondo lo tirava su. «Non voglio morire, non farmi morire! Non voglio morire!»
Continuò a ripeterlo anche quando fu stretto al petto del biondo e affondò tremando il viso nell'incavo del suo collo. Si aspettava che gli avrebbe dato qualche minuto per riprendersi dall'esperienza orribile del pendere nel vuoto, ma tutto ciò che Eita fece fu afferrarlo per gli avambracci e tirarlo in piedi. «Corri.» sbottò, poi corse via trascinandoselo dietro.
Le tegole erano scivolose e inclinate. Starci in equilibrio era difficile e Kenjirou rischiò più volte di cadere di sotto mentre saltavano da un muretto all'altro. Non ci aveva messo molto a capire perché Eita avesse insistito ad andarsene. Aveva appena fatto in tempo a spostarsi di un metro che il gigante era salito sul davanzale urlando insulti e ora era a pochissimi metri dietro di loro, che li rincorreva urlando loro le peggiori sciagure.
«Kenjirou!» Eita afferrò di scatto il castano per i fianchi e lo sollevò da terra. Kenjirou non ebbe tempo di domandarsi cosa stesse facendo, perché in un attimo si era ritrovato di nuovo sospeso nel vuoto, con la differenza che però ora davanti a lui non c'era nessun tetto a qualche metro di distanza o braccia rassicuranti pronte ad afferrarlo per non farlo schiantare al suolo. Ora si stavano proprio per schiantare per terra – o su una massa di persone, ma poco cambiava.
«RAGAZZI!» Eita gridò con tutto il fiato che aveva e poco dopo il gruppo di ragazzi su cui si stavano per schiantare si voltò verso di loro. Kenjirou li riconobbe all'istante e non poté far a meno di domandarsi se quella caduta fosse programmata o fosse solo una gran fortuna. Shirabu atterrò tra quattro forti braccia che non ebbero problemi a prenderlo al volo, dato il suo fisico magro e secco – aveva notato già da tempo come la trasformazione gli avesse tolto quel lieve filo di muscoli che aveva messo su in quegli anni quando ancora aveva una coda e respirava sott'acqua. Eita non fu del suo stesso parere e preferì schiantarsi con poca grazia contro Satori e Hayato, che crollarono a terra sotto al suo peso, investendo il povero Kai che si trovava sfortunatamente dietro di loro. Dalla cima del tetto poterono tutti vedere l'uomo che li aveva rincorsi fino a quel momento fermarsi per riprendere fiato. Loro non poterono dire lo stesso, perché in un attimo quello li indicò e con tutta la voce che riuscì a tirar fuori gridò: «PIRATI! ARRESTATELI! HANNO PROVATO A RUBARE IN CASA MIA!»
Kenjirou si stava ancora riprendendo dalla caduta e dall'atterraggio turbolento quando Reon se lo caricò sulle spalle e seguì di corsa tutti gli altri. Non c'era proprio tutto l'equipaggio, constatò Shirabu mentre attraversavano con gran fretta e velocità la piazza dove si erano fermati e in lontananza si intravedevano le prime avvisaglie del porto. Mancavano il capitano e quello che era ormai tornato ad essere il suo vice, mancavano molti dei ragazzi con cui Kenjirou non aveva quasi mai avuto a che fare e che aveva visto solo di sfuggita, mancava il corvino irritante che per tutto il tempo in cui erano stati insieme non aveva fatto altro che dirgliene d'ogni – e il castano non era stato da meno.
Mentre superavano di corsa una bancarella del pesce Kenjirou vide Taichi afferrare Kai per la vita e caricarselo in spalla come un sacco di patate – aveva visto già da prima come il poveretto avesse preso a zoppicare dopo che ben tre dei suoi senpai gli erano crollati addosso. Arrivano alla nave trafelati e con alle calcagna un gruppo di guardie armate.
Qualcuno doveva essere corso in avanscoperta per avvertire di preparare in fretta la partenza perché il grosso vascello – nuovo di zecca, constatò il castano – aveva la passerella calata e in cima due ragazzi erano pronti a farla scattare di nuovo su. S'inerpicarono su per il legno uno alla volta e prima che Kenjirou potesse rendersene conto erano già a cento metri di distanza dal fondo della banchina appena raggiunto dalle guardie.
Reon lo depositò per terra e il castano rimase seduto lì dove lo avevano lasciato, senza aver né la forza né le intenzioni di alzarsi. Si guardò intorno ancora con un alone di confusione addosso e notò che ora tutti gli sguardi vagavano da lui ad Eita, che si era avvicinato e inginocchiato di fronte a lui.
«Stai bene?» gli domandò sottovoce e con un tono sommesso. Kenjirou pensò che più che domandarsi se lui stava bene avrebbe dovuto domandarsi se Semi stesso stesse bene, perché gli sguardi torvi che gli rivolgeva il resto dell'equipaggio facevano venire voglia persino a Kenjirou di sotterrarsi e non mostrarsi mai più in giro.
«Che succede qui?» Jin si fece largo a spallate tra i suoi compagni e raggiunse il cerchio di quel capannello di curiosi che si era andato a formare di fronte alla coppia. Si sarebbe aspettato di tutto, ma non di certo ritrovarsi Kenjirou Shirabu davanti con due gambe al posto della coda, vestito di tutto punto, e con davanti Eita. Fece scattare un sopracciglio verso l'alto ma prima che potesse dire qualcosa calò il silenzio e tutti si voltarono per guardare alle sue spalle. Si voltò a sua volta e deglutì nel constatare che per Eita non si metteva bene.
Eita aveva capito dal primo momento in cui aveva deciso di salvare Shirabu che non si sarebbe messa bene la situazione per lui, ma aveva deciso che si sarebbe fatto buttar fuori dall'equipaggio se fosse servito a tenere al sicuro Kenjirou quindi mentre il loro capitano avanzava nel corridoio umano che si era andato a formare alla sua comparsa sul ponte sostenne con fierezza il suo sguardo e non vacillò nemmeno per un istante. A farlo vacillare fu il tono preoccupato che rivolse loro quando domandò: «Qualcuno vi ha fatto del male?»
Kenjirou alzò la testa e deglutì. Si sentiva vulnerabile e allo scoperto davanti a tutte quelle persone e ora che non aveva più la sua vasca dove isolarsi, l'acqua con cui proteggersi e la sua coda sbrilluccicante a renderlo diverso si sentiva debole e gli sembrava che assieme alla coda la trasformazione gli avesse portato via anche la sua arroganza, la sua sicurezza e la sua spavalderia. Avrebbe tonto voluto dire ad Eita che non c'era bisogno di fare una scenata a causa sua, perché il biondo sembrava proprio sul punto di fare una scenata e una guerra da vincere con l'orgoglio assieme al suo capitano mentre lo osservava avvicinarsi, ma il castano fu felice di vederlo vacillare a quella nota di preoccupazione nella voce dell'altro.
Semi scosse la testa. «No, stiamo bene.»
«Anche Akakura-kun sta bene, se vi interessa!» intervenne Satori con il suo solito e pittoresco sorriso sul volto, indicando il ragazzo che ora sedeva poco lontano, su una cassa, con affianco Yuushou che gli bagnava con delicatezza la caviglia dolorante. Capendo che il clima non era il migliore delle battute però Tendou fece un passo indietro e rimase in silenzio.
«Ciao, Shirabu. È tanto che non ci vediamo.» esclamò Wakatoshi con estrema calma. Kenjirou per un attimo non seppe cosa rispondere. Si era aspettato che qualcuno si accanisse contro Eita, che gli domandassero perché era lì, cosa glie era successo. Si era aspettato che lo buttassero fuori bordo o che lo rinchiudessero in una cella, ma di certo non si era aspettato un "ciao, è tanto che non ti vedo!", quindi per una decina di secondi si ritrovò ad annuire confuso e poi, ricordandosi che possedeva anche un apparato fonatorio deglutì e rispose come le buone maniere imponevano.
«U-uhm... Salve.» bofonchiò, senza saper esattamente cosa dire. "È un piacere rivederti" non suonava appropriato e avrebbe suonato di menzogna sulle sue labbra – Kenjirou era abbastanza sicuro che, se avesse avuto una lista di persone che avrebbe voluto rivedere, di certo lui non sarebbe stato tra i primi posti.
Il capitano si voltò verso Reon. «Quanta della merce siete riusciti a caricare?»
Il moro fece due conti con gli occhi al cielo. «Una grossa parte. Credo siano rimaste giù poche casse. O almeno, Goshiki mi ha detto così poco fa.»
Il diretto interessato gonfiò il petto e con aria tronfia si guardò intorno, come a sfidare qualcuno a contestarlo. Nessuno osò aprire bocca, più che altro per non far esplodere quel pallone gonfiato che si ritrovavano come compagno. Lui non sembrò accorgersene e si limitò a sgonfiarsi all'improvviso come si era gonfiato vedendo con disappunto che nessuno lo calcolava. Wakatoshi annuì e torno a puntare lo sguardo su Semi e Shirabu, ancora accucciati a terra.
«Vi aspetto in mensa tra dieci minuti.» si voltò e indicò il timone a Jin. «Te lo lascio per un po'. Seguiamo la rotta prestabilita. Non moriremo per due casse di esplosivo in meno e nemmeno il nostro acquirente.»
Jin lanciò un'occhiata storta a Kenjirou. «È stato molto preciso però. Ne voleva cinquanta. Se gliene portiamo quarantacinque o anche solo quarantanove non ci darà la mappa e noi non troveremo mai l'isola.»
«Allora trova un modo di procurarle. Mi fido di te.» scomparì sottocoperta.
Eita che per tutto il tempo era rimasto in ascolto e in silenzio si alzò, felice nel constatare che nonostante Kenjirou i loro piani di rotta non sarebbero cambiati per portarlo in un qualche posto strano. Porse una mano al castano e quello la accettò di buon grado, tirandosi in piedi. «Andiamo.»
Scesero le scale e mentre attraversavano la stiva Shirabu di punto in bianco domandò: «Pensi che mi caccerà?»
Eita lo guardò con la coda dell'occhio e scosse la testa più volte. «Non penso. Lui non è quel tipo di persona. Magari ti farà passare lo straccio.»
Il castano colse la nota ironica nell'ultima frase, ma decise di ignorarla perché aveva nuovamente paura, ma questa volta non aveva paura di morire, aveva paura che lui ed Eita sarebbero stati cacciati e a quel punto cosa avrebbero fatto? Non voleva che Eita perdesse tutto ciò che era stato fino a quel momento solamente perché aveva deciso di aiutarlo e salvargli la vita.
Varcarono la soglia della mensa e si andarono a sedere su una sedia. Kenjirou si ritrovò a pensare che era la prima volta che ne vedeva una e Semi rifletté sul fatto che nonostante ci mangiasse da un anno – otto mesi, in realtà – non si era ancora abituato del tutto a vedere le due tavolate a sinistra e non a destra com'era stato nella loro vecchia nave.
«Semi, senti...» Kenjirou si voltò verso di lui. «Cosa farai se mi cacceranno? O ci cacceranno.»
Il sopracciglio scuro del biondo scattò in alto. «Perché pensi che ci cacceranno? O ti cacceranno.»
Shirabu scrollò le spalle e finse una calma che non aveva, Eita lo avrebbe notato anche a chilometri di distanza. «Io sono un clandestino a bordo.»
«Ti ci ho portato io – Reon, per la verità.»
«Sei andato contro al tuo equipaggio un sacco di volte per me.»
«Ho già pagato per quello.»
«Io no.»
Semi sospirò. «Nessuno punirà te per qualcosa che ho arbitrariamente deciso di fare io. Siamo pirati, è vero, ma non siamo dei mostri come la gente ci descrive. Siamo anche noi persone.»
«Le persone sono crudeli, egoiste e meschine. Le persone sono mostri.» il sibilo di quelle due frasi era uscito in automatico dalle labbra di Kenjirou, abituato a ripetere quelle cose davanti a Yuuji e Shunki. Nella mensa calò il silenzio e Shirabu boccheggiò per qualche secondo, irrigidendosi davanti all'espressione fredda che si era andata a formare sul volto di Semi. «I-io... Non volevo offendere...»
«Lo so.» sibilò l'altro. «È questo il problema.»
Kenjirou si ritrovò con lo sguardo basso e si rifiutò di alzare la testa quando Eita lo chiamò. Il biondo appoggiò la mano sulla sua guancia e gli alzò a forza la testa, guardandolo negli occhi. «Ora fai parte anche tu dei mostri.»
Il castano aprì la bocca per rispondere ma Eita lo zittì. Si avvicinò e gli baciò le labbra socchiuse con delicatezza, poi con più forza e irruenza e Kenjirou lo lasciò fare, preso da quel contatto tanto agognato in quell'anno in cui non si erano visti. Si erano appena allontanati quando Wakatoshi entrò nella stanza. Si sedette di fronte a loro e guardò Kenjirou, andando dritto al nocciolo della questione.
«Non ho intenzione di buttarti fuoribordo. Se è qui che desideri stare allora potrai restare, a patto che tu ti renda utile.» Shirabu non conosceva così bene il capitano della Shiratorizawa per non potersi definire sorpreso da quelle parole così dirette, ma era intelligente e sapeva tenere una conversazione civile con più persone alla volta, quindi non si fece prendere dalla sorpresa com'era successo poco prima.
«Sarò ovunque Semi sarà.» rispose, sicuro. Eita lo guardò con un'espressione sorpresa per qualche secondo, poi sorrise. «Se lo manderete via io lo seguirò.»
Gli sembrò un discorso molto egoista da fare ma né lui né Eita ci fecero caso e puntarono entrambi lo sguardo sul capitano. Quello non si scompose e si alzò. «Molto bene. Allora benvenuto a bordo, Shirabu.»
Kenjirou si alzò e strinse la mano che l'altro gli porse con determinazione. «Grazie... Capitano.»
Nota autrice
Buon anno a tutti e speriamo che questo sia migliore. Anche oggi doppio aggiornamento!
Eevee
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