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Capitolo 10

Eita non era stato felice di essere svegliato, ma quando Tsutomu gli aveva detto che a cercarlo era Kenjirou era scattato a sedere come una molla e nel giro di pochi minuti si era ritrovato nella stanza del castano. Shirabu aveva passato qualche ora a rimuginare su come dar fastidio a Semi in modo tale che si sentisse almeno in minima parte colpevole della sua imminente morte ed era giunto alla conclusione del fatto che in realtà non voleva davvero dargli fastidio, quanto più farsi scarrozzare in giro.
«Voglio uscire.» sentenziò mentre Eita si avvicinava alla vasca. Il biondo fece scattare un sopracciglio verso l'alto.
«Vuoi... Uscire?» domandò, genuinamente confuso.
«Sì, uscire. All'aria aperta.» ribadì Kenjirou e allora Eita capì e se lo caricò tra le braccia. Il ponte della nave era praticamente deserto quella sera – no, era notte, le stelle splendevano già in cielo – e tutti erano già quasi a dormire. Al timone si trovava Rintarou, che però non prestò loro attenzione, del tutto concentrato sulla figura di Osamu dietro di lui che a detta sua lo stava riparando dal freddo mentre lo abbracciava.
Semi raggiunse il fondo del lungo ponte e fece adagiare Kenjirou sul cornicione. Attorno a loro c'era il buio – l'unico lume era quello appeso sopra alle scale della sottocoperta – e si sentiva solamente il rumore delle onde che si infrangevano contro la barca.
Per lunghi minuti né Shirabu né Eita spiccicarono parola ma rimasero semplicemente con lo sguardo rivolto al cielo, ad osservare le costellazioni luminose mentre Semi stringeva con un braccio la vita di Kenjirou per non farlo cadere in mare. Il castano, dal canto suo, non si ribellò. Si era ben reso conto della situazione e sapeva che gli sarebbe bastato semplicemente tirare un pugno ad Eita per poter fuggire. L'acqua era lì, a così pochi metri di distanza, lo chiamava con gran forza, ma lui rimase immobile, stretto nella presa del biondo, con la sua mano a serrargli il fianco e i capelli che, mossi dal vento, gli sfioravano la guancia.
Avrebbe dovuto scappare e lo sapeva, ma il suo corpo non ne voleva sapere di muoversi e la sua mente era in subbuglio. Abbassò lo sguardo e lo puntò sul viso di Eita. Contrariamente a come si era figurato il loro incontro, non aveva voglia né di tirargli un pugno, né di urlargli contro, né di ringraziarlo. Semplicemente, voleva solo che continuasse a stringerlo per sempre a sé come stava facendo. Stava talmente bene in quell'abbraccio, mentre osservava il profilo perfetto del biondo, illuminato solo dalla chiara luce della luna, che quasi non lo sentì parlare.
«Perché non stai cercando di scappare? Sai anche tu che domani morirai, quindi perché non scappi?» domandò d'un tratto Semi. Kenjirou non rispose subito. Alzò di nuovo lo sguardo al cielo e osservò la luna per quella che era certo essere l'ultima volta in cui l'avrebbe vista.
«Non lo so.» Kenjirou amava il paesaggio notturno. Amava salire in superficie ad orari improponibili di nascosto dai suoi genitori solo per stendersi su uno scoglio e osservare quegli astri luminosi che formavano strambi disegni nel nero. Abbassò lo sguardo e si ritrovò a pensare che no, lui non amava più vedere le costellazioni in cielo perché nell'esatto momento in cui incrociò lo sguardo di Eita pensò che non aveva mai visto nulla di più bello del riflesso delle stelle nei suoi occhi scuri.
Eita era sempre stato convinto che nulla avrebbe mai potuto superare la bellezza del vedersi immerso in una cassa piena d'oro fino a quando non aveva visto davanti a sé Kenjirou e in quel preciso momento aveva realizzato che semmai avesse dovuto scegliere qualcuno con cui passare il resto della sua vita, quello sarebbe dovuto essere bello come il castano. Ora, mentre osservava il suo viso illuminato dalla luna, si rendeva conto che no, non avrebbe mai trovato qualcuno del genere, perché Kenjirou aveva quel tipo di bellezza unica, genuina che capita una volta ogni cent'anni ed Eita si sentì improvvisamente l'uomo più fortunato del mondo mentre ammirava il viso perfetto dell'altro.
Guardò dapprima la sua frangetta millimetrica, le ciocche che ricadevano ancora bagnate sulla fronte, poi osservò le sue lunghe ciglia e gli occhi dallo sguardo intenso, il naso piccolo e perfettamente tirato all'insù e per ultime le labbra, non troppo carnose e non troppo scarne, né troppo rosse né troppo chiare, leggermente socchiuse come se Kenjirou fosse sul punto di dire qualcosa ma senza riuscire a dirlo, come se stesse decidendo quali parole utilizzare e fosse indeciso se parlare o meno. Eita sentì l'impellente bisogno di vedere quelle labbra perfette gonfie e di un rosso intenso.
«Se ora ti lasciassi...» attaccò Semi, alzando lo sguardo per incrociare quello del castano. «Se ora ti lasciassi scapperesti?»
Kenjirou sapeva perfettamente cosa avrebbe dovuto rispondere, ma era una persona testarda e lo sapeva, così come sapeva che non avrebbe mai dovuto avvicinarsi tanto agli umani, ma mentre osservava gli occhi pieni di costellazioni di Eita non riuscì a trovare un valido motivo per il quale dovesse scappare, nemmeno la sua imminente morte. Si sarebbe lasciato uccidere due volte se fosse servito a prolungare quel momento.
«No.» rispose infine. «No, non scapperei, ma tu non lasciarmi.»
Fu quella frase che convinse Eita a circondare con le braccia i fianchi di Kenjirou e ad avvicinare il viso al suo fino a far sfiorare i loro nasi, fino a far mischiare i loro respiri, fino a fondere gli occhi dell'altro in uno solo, grosso, in mezzo alla fronte, come un ciclope.
«E se ti baciassi...» attaccò nuovamente. «Se ti baciassi cosa faresti?»
Kenjirou sentì il cuore balzargli in gola. La pelle a contatto con le braccia nude del biondo formicolò in trepidante attesa, come se si aspettasse da un momento all'altro che Eita potesse poggiarvici sopra le mani.
«Perché non lo scopri da solo?» domandò con voce leggermente roca. Eita non se lo fece ripetere due volte e chiuse gli occhi, dapprima sfiorando le labbra del castano con finta timidezza, poi premendoci contro le proprie in un bacio a stampo che gli fece contorcere lo stomaco come ci fossero dentro mille farfalle e infine in una vera e propria lotta per il comando.
Kenjirou non aveva mai baciato nessuno prima d'ora e si era sempre aspettato che il suo primo bacio lo avrebbe dato ad una bella sirena dalla coda scintillante e con i capelli perfettamente intrecciati in un'acconciatura alla moda, magari una sirena con indosso una grossa collana di perle e con due belle stelle marine a coprirle i seni. Di certo se qualcuno gli avesse detto che il suo primo bacio lo avrebbe dato ad un umano – un maschio, per di più – gli sarebbe scoppiato a ridere in faccia. Eppure, mentre Eita gli stringeva i fianchi sottili e gli succhiava le labbra, mentre gli teneva il viso reclinato all'indietro, mentre imponeva il dominio su quel territorio ancora inesplorato, Kenjirou non ci trovò nulla di divertente.
Appoggiò le mani sulle guance del biondo e si sarebbe aspettato di prendere il controllo della situazione semplicemente con quel gesto, ma si trovò completamente scombussolato da quella nuova sensazione che gli avvinghiò lo stomaco, contorcendolo nella sua morsa e lasciandogli piacevoli brividi lungo la colonna dorsale. Eita doveva aver baciato già molte altre volte, perché altrimenti Shirabu non sarebbe mai riuscito a spiegarsi come quel ragazzo riuscisse a mantenere tanto tranquillamente il predominio su di lui e sul suo corpo, sulla sua bocca – sua, che gli apparteneva da quando era nato. Il biondo sapeva di cose dolci, cose cui Kenjirou non seppe dare un nome ma che qualunque umano avrebbe identificato come vaniglia e cioccolato. Eita sapeva di cose non dette e segreti nascosti, parole che nessuno dei due era in grado di pronunciare e di pensieri che nessuno dei due aveva il coraggio di formulare. Eita sapeva di libertà rubata e di avventura, di cose sconosciute e di futuri incerti, di raccomandazioni severe e di promesse infrante. Eita sapeva di novità – e di umano.
Eita si allontanò controvoglia, solo per riprendere fiato, ma non riuscì nella sua impresa mentre con lo sguardo osservava le guance purpuree del più piccolo, gli occhi socchiusi e le labbra, ora gonfie e rosse come si era prefissato di renderle. Si ripeté ancora un volta che no, decisamente non aveva mai visto nulla di più bello e che nulla di più bello avrebbe mai visto. Kenjirou era, per Eita, semplicemente una visione paradisiaca in quel momento.
Il castano aprì gli occhi solo per incontrare lo sguardo famelico di Semi e non poté far a meno di sentirsi profondamente soddisfatto nell'osservarlo e ritrovarlo in quello stato, perché se Eita ora lo osservava come se fosse la cosa più desiderabile del mondo era solo merito di Kenjirou.
«Spero di non interrompere nulla di importante.» Atsumu Miya si avvicinò con il sorrisetto tipico di chi sapeva perfettamente di star interrompendo qualcosa d'importante ma che si divertiva troppo a veder le facce incazzate di coloro a cui rubava un momento prettamente intimo e individuale. Puntò lo sguardo su Eita. «Il tuo capitano vuole vederti.»
Il biondo si allontanò controvoglia da Kenjirou e improvvisamente la bolla pregna dell'intimità e delle emozioni forti che avevano percepito, pregna di parole non dette e di sguardi magnetici, pregna di loro, scoppiò e Shirabu si ritrovò catapultato nel mondo reale.
«Portalo di nuovo alla vasca.» Eita lasciò andare del tutto Kenjirou che non disse nulla fino a quando Atsumu non se lo caricò in spalla. Si vide allontanato all'improvviso da Semi e dal mare e in un attimo capì di averli persi entrambi perché mentre veniva portato sottocoperta sapeva che l'indomani sarebbe morto e non avrebbe più sentito il sapore dolce delle labbra di Eita e nemmeno quello più aspro del sale sciolto nell'acqua dove stavano navigando.
Nonostante tutto, Kenjirou era felice di non aver tirato quel pugno a Semi per potersi buttare in mare.

Wakatoshi lo stava aspettando dentro all'ufficio di Shinsuke. Assieme a loro c'erano anche Jin e Aran, appartati in un angolo a chiacchierare amabilmente, e Satori, Hayato e Reon, in piedi vicino alla porta intenti in un'accesa discussione sull'estetica della loro prossima nave.
Quando Eita entro dentro all'ufficio calò il silenzio e fu Ushijima ad interromperlo. «Grazie di essere venuto.»
Semi scrollò le spalle con nonchalance. «Mi hanno detto che mi cercavi.»
«Esattamente. Domani arriveremo ad attraccare nei porti inglesi e se tutto andrà secondo i piani nel giro di pochi giorni potremmo nuovamente salpare con la fedina pulita.»
Il solo pensiero che il giorno successivo Eita avrebbe dovuto consegnare Kenjirou alle autorità inglesi gli diede il voltastomaco. Come poteva lui consegnare la persona che aveva appena baciato ai suoi aguzzini? Come avrebbe fatto a vivere con quel peso nel cuore? Shirabu gli aveva salvato la vita quando lui aveva rischiato di annegare e gli aveva confidato che anche se avesse potuto non sarebbe fuggito da lui. Ed Eita lo ripagava spedendolo tra le braccia dei suoi assassini. Si sentì la persona più falsa del mondo, un assassino e un ipocrita allo stesso tempo. Era diventato un mostro.
«Eita-kun, va tutto bene?» Satori gli appoggiò una mano sulla spalla e gli sorrise. Semi annuì ma per quanto si sforzasse le sue labbra si rifiutarono di piegarsi in un sorriso. Wakatoshi lo notò.
«Potreste lasciarci da soli solo per qualche minuto?» domandò di getto. Nessuno fece domande o obbiezioni e nel giro di qualche secondo nell'ufficio rimasero solo Ushijima, Eita e le sue menzogne. Il capitano gli fece segno di sedersi e Semi non se lo fece ripetere due volte. Crollò su una sedia a peso morto, le gambe che improvvisamente gli sembravano essere diventate gelatina.
«So che per te non è facile.» attaccò il capitano, sedendosi di fronte a lui. «Incontrare una sirena è sempre stato il tuo sogno e ora ne stiamo per consegnare una in mano alla marina inglese. Dev'essere un brutto colpo per te.»
Ad Eita venne da ridere ma si trattenne perché convenne con se stesso che sarebbe risultato oltre che poco dignitoso poco rispettoso nei confronti del suo capitano. Aveva voglia di ribattere che no, quello non era un brutto colpo per lui, quella era una vera pugnalata in pieno petto e faceva male, faceva male da morire. Eita era sicuro di non aver mai provato tanto dolore in tutta la sua vita, nemmeno quando lo avevano torturato, ma rimase in silenzio per poter ascoltare il suo capitano, che continuò: «Per favore, cerca di capire che ciò che ci permetterà di fare quel ragazzo è molto importante. Ho qui con me l'amuleto. Con questo potremmo vivere una vita perfetta, senza che qualcuno ci dica cosa fare e senza essere ricercati. Vendendo questo diventeremmo ricchi e potremmo fare tutto ciò che vogliamo. Devi pensare al tuo futuro, Eita. Lo capisci? Un giorno potresti mettere su famiglia e vorrai mantenerla al meglio. Tutto questo è per il nostro bene futuro.»
Eita si costrinse ad annuire mentre fissava il pavimento con lo sguardo vacuo. L'unica cosa a cui riusciva a pensare, però, fu che l'unica persona con cui avrebbe voluto mettere su famiglia era una certa sirena in una vasca da bagno al piano inferiore, la stessa sirena che pochi minuti prima aveva baciato con tutto l'ardore di cui era capace.

Nota autrice
Buon Natale a tutti quanti! Oggi doppio aggiornamento con i capitoli più importanti!
Ci vediamo stasera!❤
Eevee

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