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Capitolo 1

Eita stava pranzando quando si scatenò la tempesta e Hayato corse sottocoperta per avvertirlo di salire. Quando raggiunsero il ponte erano già vicini all'uragano che infuriava a pochi chilometri dalla loro imbarcazione e tutto il resto dell'equipaggio correva di qua e di là nel vano tentativo di sistemare le vele, girare la nave e tenere a bada il timone che sembrava impazzito.
«Vira a destra! A destra!» dalla cima dell'albero maestro si affacciò Tsutomu, agitando le braccia nel vano tentativo di indicare la destra a colui che stava tenendo a bada il timone. Eita si voltò e con suo gran rammarico notò che lì c'era Satori. Si affrettò a raggiungerlo.
«Eita-kun!» il rosso gli sorrise allegro nonostante fosse fradicio di pioggia e avesse praticamente le braccia incrociate nel tentativo di virare a destra. Eita afferrò uno dei manici e tirò, facendo lentamente cambiare direzione all'imbarcazione.
«Perché ci sei tu al timone?!» sbottò, guardandosi intorno con preoccupazione. «Dov'è finito Reon?!»
«Oh, credo che sia andato sottocoperta.» Satori ebbe la magnifica idea di mollare il timone ed Eita fu sbalzato in avanti. Dovette puntare i piedi per mantenere la presa salda. «Sai, prima per sbaglio credo di aver urtato uno scoglio e...»
Il biondo sgranò gli occhi. «Tu hai fatto cosa?!»
Satori agirò una mano con nonchalance. «Ma sì, non è stato nulla di ché. Comunque, ti dicevo, stavamo passando di fianco a questi scogli quando si è formato l'uragano e io forse mi ero distratto un attimo per accendere quell'affare che mi ha regalato quel piccoletto. Sai, no, quel coso che ha costruito quel suo amico che ha un occhio solo...»
«Cosa... Parli di Hinata e Kuroo? La... Uhm, come si chiamava?» Eita si guardò intorno e individuò l'oggetto di metallo in un angolo del ponte. «Pipa?»
«Sì, esatto! Proprio quella!» Satori parla con talmente tanto entusiasmo che per un attimo Eita è tentato dal sorridere. Solo per un momento, però, perché poi il timone gli sfuggì di mano e una folata di vento troppo forte fece voltare la nave verso sinistra, facendola sfrecciare in avanti ad una velocità inaudita. Il biondo imprecò mentre tentava di afferrare nuovamente uno dei manici.
«Semi! Vai di sotto, Sagae ha bisogno di una mano con quella falla!» Taichi afferrò uno dei manici del timone e lanciò un'occhiataccia a Satori, troppo intento a recuperare la sua pipa ormai spenta per rendersi conto dello sguardo arrabbiato del biondo.
Semi lasciò perdere il timone e guardò il più piccolo. «Non ci stava pensando Reon?!»
«Oh, sì!» Taichi fece un conto veloce sulle dita. «Si sta occupando della terza falla del secondo piano di sottocoperta e dopo dovrà pensare alla quarta...»
Eita si voltò furente verso Satori che aveva finalmente raccolto la sua pipa e ora la stava strofinando svogliatamente sulla maglia fradicia di pioggia. «Se ti rivedo un'altra volta al timone ti lancio in mare!»
«Eita-kun!» Satori gli batté una mano sulla spalla. «Sempre se sopravvivremo ad oggi.»
Eita corse in sottocoperta inveendogli contro. La situazione era peggiore del previsto. Il primo piano aveva due grossi buchi da cui continuavano ad entrare l'acqua piovana e gli schizzi delle onde mentre Kai ed Hayato si sforzavano di piantare le assi davanti a quel disastro per frenare almeno in parte l'allagamento della nave. Non che in realtà l'imbarcazione contenesse qualcosa di prezioso, cassa d'oro a parte, ma non era nei piani dell'equipaggio rimanere naufraghi in alto mare in pieno uragano. Il secondo piano era quello messo peggio: Yuushou e Reon avevano già tappato due delle falle e la terza era a buon punto, ma l'ultima era un vero e proprio squarcio nel mare e per quanto Sagae potesse tenere la tavola di legno ferma nel vano tentativo di fissarla alla parete della stiva i chiodi continuavano a saltare contro la forte spinta dell'acqua che li circondava già fino alla vita.
«Sagae!» Eita afferrò un martello da un tavolo e affiancò il suo kohai. «Tieni ferma al tavola!»
Con tre colpi secchi piantò uno dei chiodi nella parete e in poche decine di secondi il quarto squarcio del secondo piano fu tappato dalla foga del biondo. Di certo non rientrava nei suoi piani giornalieri morire affogato per colpa di Satori.
Si voltò verso Reon. «Lì è tutto apposto?»
Al cenno d'assenso del compagno si fiondò al primo piano. Anche lì sembrava essersi risolta la questioni "falle-per-colpa-di-Satori", quindi optò per tornare sul ponte. Non fece un solo passo che Tsutomu s'inclinò verso di loro dall'alto dell'albero maestro e gridò con quanta più voce possibile: «UOMO IN MARE!»
Eita, Hayato e Satori – Eita era sicuro che non appena tutta quella faccenda si fosse risolta avrebbe scaraventato in acqua quello scansafatiche – si sporsero dal bordo della nave solo per vedere il poveretto in acqua scontrarsi con la fiancata di legno e affondare di nuovo tra le onde.
«Prendete una rete!» Hayato si voltò verso Jin che trasportava una grossa tavola di legno e indicò la stiva. «Serve una rete e subito!»
«Kawanishi, fai inversione!» Tsutomu stava scendendo dalla sua postazione di vedetta e quando raggiunse il ponte corse verso il biondo. «Lo stiamo perdendo!»
«Non posso fare inversione! Non è mica un cavallo, idiota!» sbottò l'altro, benché stesse iniziando a far girare il timone. Jin riemerse dalla stiva con una grossa rete intrecciata tra le braccia.
«Dove la metto?» domandò, raggiungendo Eita ed Hayato. Lui gliela strappò dalle braccia e corse verso la poppa dell'imbarcazione per poi scaraventare le corde intrecciate in mare.
«Si è impigliato ma non si muove! Tendou!» Yamagata si voltò verso il rosso ancora nullafacente. «Dammi una mano a tirarlo su!»
Satori afferro la corda libera e strattonò verso l'alto con forza. Anche Eita si avvicinò per aiutarli e mentre issavano nuovamente la rete sulla nave sperò con tutto il cuore che non avessero tirato su quel poveretto solo per poi ritrovarsi nelle sue stesse condizioni nel giro di lì a poche ore.
Nessuno fece caso alla coda di pesce di Kenjirou fino a quando non lo districarono dalla rete. Una decina di secondi di sbigottimento inglobarono l'intero equipaggio – o almeno, la buona parte che era sul ponte – prima che il pensiero della tempesta passasse momentaneamente in secondo piano.
«Che cazzo è?!» Hayato si piegò sulle ginocchia e tastò con due dita la coda del castano. Kenjirou non diede segni di vita.
«È una sirena.» mormorò Eita, inginocchiandosi a sua volta davanti al ragazzo-pesce ed osservandolo affascinato. «No, un tritone. Non ne avevo mai visto uno.»
Satori si schiarì la gola divertito. «Eita-kun, scusami, è un che cosa?»
Eita lo ignorò. «Ci faremmo una fortuna se fosse morto.»
La consapevolezza di quello che aveva appena detto lo investì come un'onda ghiacciata in pieno inverno e un brivido di disgusto verso se stesso gli percorse la colonna vertebrale, ma lo ignorò. «Portiamolo di sotto.»
Kenjirou si rivelò più pesante del previsto da trasportare. Eita lo sollevò di peso e per poco non cadde all'indietro. Scese le scale a fatica e per lui fu una liberazione poter lasciare lo sconosciuto all'interno della vasca da bagno nella cabina del capitano – vasca allegramente riempita dallo sfaticato Satori con l'acqua del secondo piano mentre il biondo scendeva le scale.
«Eita!» Eita si voltò verso Reon. «Devi... Vieni a vedere sull'albero maestro!»
Eita si dimenticò presto della presenza di Kenjirou. Salì le scale in fretta e furia al seguito di Reon e si arrampicò verso la postazione da vedetta. «Che succede?»
Tsutomu era nuovamente accampato lì e stringeva tra le mani un grosso binocolo. Lo allungò al biondo e indicò un punto di fronte a loro. «Guarda!»
Eita prese il binocolo e guardò. L'isola che si estendeva di fronte a loro era grande e rigogliosa, le immense foreste di un verde brillante che spiccava anche in mezzo alla tempesta e le imbarcazioni armeggiate nel molo che oscillavano pericolosamente su se stesse. Il biondo stava per fare un commento pungente su quanto quell'isola capitasse a pennello sia per salvare la vita a tutto l'equipaggio sia per spedirli dritti in prigione quando cadde il fulmine. Prima che potessero rendersene conto, Eita e Tsutomu si ritrovarono catapultati in mezzo al mare mentre il ponte della nave andava in fiamme e l'albero maestro crollava di lato.
 
Kenjirou si svegliò in una stanza. Non in una grotta, non in un'insenatura sottomarina, non in una conca. In una stanza vera e propria e all'aria aperta. Scattò a sedere e si ritrovò a stringere le palpebre mentre portava una mano alla fronte. Sgranò gli occhi sentendo la testa fasciata da un pezzo di stoffa e quando ritirò la mano la ritrovò macchiata di rosso. Un brivido gli percorse la colonna vertebrale e alzò lo sguardo.
Lo avevano immerso in una vasca da bagno piena d'acqua, sicuramente recuperato dagli umani dopo che aveva sbattuto contro la loro nave. Deglutì e tornò ad afflosciarsi dentro all'acqua, dandosi dello stupido.
Si domandò silenziosamente cosa avrebbe detto Yuuji se avesse scoperto che era stato catturato dagli umani. Sicuramente lo avrebbe sfottuto per il resto della sua vita.
Con un sospiro, si guardò curiosamente in giro. Non aveva mai visto un umano in vita sua – si era sempre assicurato di tenersene il più lontano possibile per via di tutti i racconti raccapriccianti che circolavano su di loro sui fondali marini – e men che meno era mai salito su una delle loro imbarcazioni, come solevano chiamarle. Per Kenjirou erano solo grossi ammassi di legno inquinante. Poteva sentir l'aria pregna di anidride carbonica solamente respirandola: un disgustoso odore che sapeva di marcio. Oltre alla vasca nella stanza non c'era un gran ché: una bacinella, un mobile pieno di cassetti e un grosso armadio. Il castano si sporse dalla vasca e tirò un'anta. Quella si aprì con un cigolio sinistro rivelando due grosse pile di stoffa e svariati piani di boccette dalla dubbia provenienza.
Dall'oblò al fianco del prigioniero entrava il sole. Kenjirou sbirciò fuori e notò che la nave era stata ormeggiata vicino un'insenatura rocciosa, nascosta agli occhi dell'isola e da eventuali altre imbarcazioni. Da oltre il vetro riusciva a scorgere alla perfezione le onde infrangersi contro gli scogli e schizzare le pareti rocciose della montagna che li nascondeva.
La porta del bagno venne spalancata di scatto e Kenjirou sobbalzò. Sulla soglia si stagliava una figura non troppo massiccia con una massa di ciocche bionde sparpagliate per aria e la bocca contratta in una smorfia. Il castano rimase ad osservarlo per  lunghi, parecchi secondi. Il ragazzo che gli si parava davanti non poteva avere più di diciassette anni. Si reggeva in piedi su due gambe e non cinque come avevano spesso raccontato a Kenjirou e lo fissava con le braccia incrociate – anche queste due e non sei – guardandolo con un sopracciglio alzato e due sottili occhi marroni. Indossava un paio di pantaloni lunghi color cachi e in vita teneva stretta una cintura di stoffa a cui erano legate una fondina con una pistola dorata e il fodero di una lunga sciabola. La camicia e il gilet erano sporchi e completamente bagnati e il cappello da cowboy che teneva in testa gli dava un'aria da banchiere dell'Est.
Restarono a fissarsi per una buona ventina di secondi e proprio quando Kenjirou stava per aprire la bocca per parlare il biondo si voltò e fece dietrofront gridando a gran voce: «L'uomo-pesce si è svegliato!»
Kenjirou rimase interdetto per un momento. Uomo-pesce?, si chiese. Si guardò la coda violacea, confuso. Uomo-pesce?!, si domandò ancora. Mosse le pinne irrequieto. Quel tizio lo aveva chiamato "uomo-pesce"!, rifletté, sempre più scioccato. La porta si aprì di nuovo e questa volta sulla soglia comparvero anche altri umani. Si sporsero tutti insieme per vedere Kenjirou e un coro di "ooh" si levò nella cabina.
Anche il castano si ritrovò a pensare un "ooh" mentre due ragazzi si facevano avanti. Anche loro non potevano avere più di diciassette o diciotto anni: uno aveva la pelle di un bianco pallido e un abbigliamento stravagante color giallo zafferano e beige che faceva a pugni con i suoi capelli rossi sparati per aria. Un altro aveva dei corti capelli castani e due folte sopracciglia scure. Da come si fece avanti Kenjirou intuì essere colui al comando. Si schiarì la voce e con tutta la determinazione che riuscì a trovare – che non era poi tanta, dato che si trovava in territorio nemico – esclamò: «Esigo di esser lasciato andare immediatamente.»
Nella cabina per un secondo regnò il silenzio, poi il rosso scoppiò a ridere e anche il tizio al comando dovette mettere una mano davanti alla bocca per nascondere un sorriso divertito. Il castano non ci trovava nulla di divertente in quella situazione invece. Gli faceva male la coda, arricciata su se stessa per restare all'interno della vasca e dell'acqua, e sentiva la pelle secca.
«Temo di non poterti accontentare.» il "tizio al comando", Jin, pattò con la mano libera la spalla di Kenjirou e si sorprese nel sentire la pelle sotto i polpastrelli lievemente squamosa. Lo sguardo irritato che l'altro gli porse lo convinse ad alzarsi e allontanarsi il prima possibile.
«Come ti chiami?» il rosso con l'accozzamento abbigliamento-capelli tremendo, Satori, si sporse verso Kenjirou con un sorrisetto che in realtà non prometteva nulla di buono. Vedendo che il castano esitava, continuò: «Avrai un nome, no?»
L'altro deglutì, ma sarebbe stato scortese non presentarsi ai suoi rapitori, no?, rifletté sarcasticamente tra sé e sé. «Shirabu... Shirabu Kenjirou.»
«Beh, Kenjirou-kun...» Satori stese le labbra in un sorriso serafico. «Al momento abbiamo due uomini dispersi, quindi ci scuserai se non ci occupiamo subito di te. Lasciamo qui Kawanishi-kun per farti compagnia!»
Kenjirou aprì la bocca per ribattere che no, non voleva essere lasciato lì e soprattutto in compagnia di un umano, ma per la seconda volta in pochi minuti si ritrovò a contatto visivo solo con la porta che veniva sbattuta. Sentì la palpebra contrarsi e tirando un profondo respiro per calmarsi affondò completamente in acqua, deciso ad ignorare brutalmente il poveretto lasciato di guardia.

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