Capitolo 2
Accadde di nuovo.
Notte dopo notte.
Ancora ed ancora.
Fino a non farcela più, fino a stare male.
La sensazione di gelo improvviso sulla superficie della pelle accalorata dal sonno, il tocco quasi impercettibile di dita fumose che elargivano un' ultima carezza.
Un' ultima carezza, un ultimo addio.
Un tocco fugace, per poi affondare quelle dita di fumo nella carne, incapaci di fermarsi sui confini tangibili di questo mondo.
Chissà se era davvero lei. O altro.
Quella sera crollai di nuovo, lo sfinimento che prendeva il sopravvento su qualsiasi altra emozione, gli occhi distrutti dal pianto che si abbandonavano al sollievo del sonno.
Le braccia conserte, come servisse a qualcosa. Tra le dita i grani di un rosario, la superficie lucente del vetro che catturava pungoli di luce tremante, il bagliore flebile di alcuni ceri accesi sul ripiano del comodino.
Per invocare qualsiasi santo fosse in ascolto.
Per bandire, qualsiasi cosa fosse.
Per quanto tempo rimasi in quello stato d'incoscienza, non avrei saputo dirlo. Le candele nel frattempo si erano spente nello scorrere delle ore, esalando il loro ultimo bagliore nel cuore della notte.
Poi una carezza gelida a lambire la pelle con il proprio tocco di fumo, prima di sprofondare e carezzarmi anche il respiro.
Quella sensazione, la aspettavo quella sensazione.
Subito seguita dalla percezione di un baluginare di luce intensa all' altezza degli occhi, percettibile nonostante le palpebre abbassate.
Un chiarore insistente, che invitava a dischiudere la corolla di ciglia scure abbassate per l' ora tarda.
Nella vista fumosa che mi ritrovai, con le ciglia che celavano di sfumature i contorni di ogni cosa, mi parve di scorgere due pungoli di luce fissi su di me. Come due occhi.
Fissi. Su di me. Un soffio d'aria a separarli dal mio volto.
Non era previsto.
Quando realizzai con chiarezza quanto i miei occhi offrivano alla vista, la consapevolezza disarmante che nessuna luce era stata accesa nella stanza o in quelle adiacenti, credetti di morire. Il respiro che veniva meno, il cuore che mancava di farsi sentire.
Vidi distintamente due occhi. Fissi su di me. Gialli, due perle color delle stelle.
Mi resi conto che le mie mani si erano mosse, per cercare a tentoni l'interruttore abbarbicato sulla parete, solo quando un lampo di luce inondò una stanza inaspettatamente vuota.
***
Diedi la colpa ad uno stupido gingillo, dalla superficie lucente e dorata, che avrebbe potuto catturare un nastro di luce proveniente da chissà dove. Quel gingillo quasi regalato, che avevo riposto tra gli scaffali della stanza solo qualche giorno innanzi. Le cose coincidevano.
Quasi. Perchè quel venditore ambulante aveva poi richiesto un compendio per quella statuetta che nemmeno mi piaceva e che in realtà avrebbe dovuto portare anche fortuna.
Quasi, è andata così. Forse fortuna l'ha portata, ma non di certo a me.
Stupida, mi dissi. Stupida mille e mille volte, per essermi lasciata suggestionare al punto di crederci, di credere di non averla persa del tutto.
La verità era che non ero pronta a perderla del tutto, non ancora.
Avevo implorato tutti i santi e spergiurato ogni male, pur di saperla accanto, anche senza poterla vedere, ancora per un po'. E per un istante avevo creduto che avrebbe potuto essere possibile, senza immaginare quali conseguenze potrebbero essere seguite.
Dovevo metterci una pietra sopra, ritornare alle vicissitudini di ogni giorno, con il viavai furibondo delle vetture nella statale e con l'ansia dei clienti.
Ansia per le scadenze di fine mese, ansia per gli adempimenti di fine anno e per quelli dei mesi che verranno. "Perché dicembre è alle porte e dopo le ferie è un attimo essere fine gennaio", erano venuti a dirmi.
Ed io non ho potuto fare a meno di pensare a Zafon, alle sue parole in "L'ombra del vento".
"L'ansia è la ruggine dell'anima", scriveva.
Ed io, con tutto quel pianto, non ero rimasta che ruggine, senza più nemmeno anima.
Ci misi una pietra sopra. Fino a qualche giorno più tardi.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro